Alfred L. De Flumeri, di 33 anni, sergente US Army
Liberty J. Tremonte, di 24 anni, caporale tecnico US Army
Joseph M. Farrell, di 22 anni, caporale tecnico US Army
Salvatore DiSclafani, di 28 anni, caporale tecnico US Army
Angelo Sirico, di 23 anni, caporale tecnico US Army
Thomas N. Savino, di 29 anni, caporale tecnico US Army
John J. Leone, di 22 anni, caporale tecnico US Army
Joseph A. Libardi, caporale tecnico US Army
Livio Visceli, di 28 anni, sergente tecnico US Army
Dominick Mauro, di 27 anni, sergente US Army
Joseph Noia, di 25 anni, sergente US Army
Rosario Squatrito, di 22 anni, caporale tecnico US Army
Santoro Calcara, di 24 anni, caporale tecnico US Army.
Come si chiamava la missione di guerra di cui i soldati erano stati incaricati, quando avvenne, da chi ebbero tale compito?
La missione si chiamava “Ginny II”4, avvenne in data 22 marzo 1944, su ordine dell’OSS5.
A quale reparto appartenevano i soldati statunitensi? Erano riconoscibili come soldati? Qual era il compito della loro missione?
I componenti del Commando appartenevano tutti all’US Army OSS 2677 Special Reconnaissance Regiment (Company D), vestivano tutti l’uniforme e dovevano interrompere, tra Bonassola e Framura, la linea ferroviaria, strategica per le comunicazioni tedesche e per i rifornimenti alla Linea Gustav.
Quando e con quale mezzo arrivarono? Come era stato programmato il loro arrivo e il loro rientro?
Arrivarono dalla Corsica, a bordo di motosiluranti6, nella notte del 22 marzo 1944, e, tramite tre gommoni, sbarcarono sulla spiaggia, tra Bonassola e Framura; dopo il sabotaggio, per il ritorno, da attuare sempre a bordo dei gommoni, sarebbero stati attesi dalle stesse motosiluranti.
Che cosa successe realmente?
Il punto di sbarco risultò diverso da quello previsto, e molto lontano dal punto del sabotaggio, i contatti “in loco” non si attivarono subito, le motosiluranti, che avrebbero dovuto all’occorrenza recuperare i soldati, non poterono farlo per sopravvenute difficoltà, ed essi dovettero nascondere, con problemi, tutto il loro materiale, compresi i gommoni, trovare un rifugio e, poiché non era previsto che rimanessero lì, cercare anche del cibo. Un ragazzo del luogo li aiutò ma, purtroppo, un altro abitante avvertì il posto di guardia fascista e i 15 militari statunitensi vennero fatti prigionieri.
Questo successe il 24 marzo 1944.
Che cosa accadde nell’intervallo di tempo tra la loro cattura e la fucilazione?
Brevemente interrogati a Bonassola, furono poi portati alla Spezia, dove subirono veri e propri interrogatori da parte di ufficiali tedeschi che sapevano la lingua inglese. Ciò avvenne a Carozzo, presso il Comando della 135° Brigata da Fortezza agli ordini del Colonnello Kurt Almers. Egli trasmise la notizia al suo superiore generale Anton Dostler del LXXV Corpo d’Armata. Dostler informò, a sua volta, il Comandante supremo tedesco in Italia, Feldmaresciallo Albert von Kesselring, ricevendo, secondo la testimonianza resa successivamente dallo stesso Dostler, l’ordine di fucilarli, sulla base dell’ordine del Führer per l’eliminazione dei Commando catturati dietro le linee. E così accadde, sebbene Kurt Almers avesse tentato, in data 25 marzo 1944, di far annullare a Dostler l’ordine di esecuzione.
Quando e dove avvenne la loro fucilazione?
I 15 militari statunitensi furono portati ad Ameglia, dove vennero fucilati in località Punta Bianca, all’alba di domenica 26 marzo 1944, senza alcun processo, forse alla presenza della popolazione, e poi sepolti in località isolata di quel territorio.
Dopo la guerra, qualcuno ha pagato per la loro morte?
Il Generale Anton Dostler fu processato a Caserta7 da un tribunale alleato per crimini di guerra e condannato a morte, sentenza eseguita mediante fucilazione ad Aversa il 1° dicembre 1945. Non fu possibile, in quel contesto, dimostrare la responsabilità di Albert von Kesselring riguardo ai fatti, sebbene, all’epoca di essi, egli si trovasse, come accertato in seguito, addirittura in Liguria.8
Note
1 Nel Comune di Ameglia esistono più targhe in memoria della fucilazione (luogo), del loro seppellimento (luogo) e una in ricordo dell’episodio (con tutti i nomi dei 15 soldati).
7 Il processo a Dostler viene ritenuto, giuridicamente, l’apripista per il processo di Norimberga.
8 Giorgio Pagano, riprendendo il libro di Sandro Antonini “Generali e burocrati nazisti in Italia:1943-1945” e il saggio “Kesserling, via Rasella e la ‘missione Ginny’” dello storico statunitense Richard Raiben, scrive un articolo sul fatto che, proprio nei giorni della strage, Kesserling era in Italia, anzi in Liguria, e il 24 marzo 1944, alle 10,45 alla Spezia.
It was the day of March 26th, 1944
(Translated by Tamara Corning and Valerio Martone)
Snippets of history: a few questions and answers to remember a tragic event.
On March 26th, 1944 German soldiers executed 15 American soldiers by firing squad after they were captured during a war mission.
Eighty years after the massacre, we revisit the episode and include the text in English as a tribute to the victims.
The American soldiers were:
Vincent Russo, 28 years old, Lieutenant of the US Army
Paul J. Traficante, 26 years old, Lieutenant of the US Army
Alfred L. De Flumeri, 33 years old, Sergeant of the US Army
Liberty J. Tremonte, 24 years old, Tech Corporal of the US Army
Joseph M. Farrell, 22 years old, Tech Corporal of the US Army
Salvatore DiSclafani, 28 years old, Tech Corporal of the US Army
Angelo Sirico, 23 years old, Tech Corporal of the US Army
Thomas N. Savino, 29 years old, Tech Corporal of the US Army
John J. Leone, 22 years old, Tech Corporal of the US Army
Joseph A. Libardi, Tech Corporal of the US Army
Livio Visceli, 28 years old, Tech Corporal of the US Army
Dominick Mauro, 27 years old, Sergeant of the US Army
Joseph Noia, 25 years old, Sergeant of the US Army
Rosario Squatrito, 22 years old, Tech Corporal of the US Army
Santoro Calcara, 24 years old, Tech Corporal of the US Army.
What was the name of the war mission to which the soldiers were entrusted? When did it happen? Who gave them this duty?
The mission was called “Ginny II”. It occurred on March 22nd, 1944 under the OSS orders.
What was the military unit of the American soldiers? Were they recognizable as soldiers? What was the final goal of their mission?
All the men of the commando were part of the US Army OSS 2677 Special Reconnaissance Regiment (Company D). All of them wore a military uniform. Their final goal was to blow up the railway line between Bonassola and Framura, which was strategic for both German communications and their supply lines that reinforced the Gustav line.
When and how did they arrive? How was their arrival and return planned?
They arrived from Corsica during the night of March 22nd, 1944, using PT boats. They landed on the beach between Bonassola and Framura using three rubber dinghy boats. After the sabotage, the plan was to use the same means of transport to return.
What actually happened?
They landed in a different place than they had intended to, which was very far from the point of the sabotage. Due to this error, the local contacts did not come to action immediatly. Causing further complications, the PT boats, which the soldiers should have used for their return, couldn’t recover them because of unexpected difficulties. At this point, the American soldiers weren’t where they were supposed to be, so they had to hide all their equipment and find refuge and food. They found help from a local boy, but unfortunately another local inhabitant notified their presence to the local fascist guard post and the 15 American soldiers were taken as prisoners. All of this happened on March 24th, 1944.
What happended in the time between being captured and their executed by firing squad?
After being briefly questioned in Bonassola, they were brought to La Spezia, where they were interrogated by English speaking German officers. This took place in Carozzo, at the command post of the 135th Fortress Brigade, under the command of Colonel Kurt Almers. Almers informed his superior in command, the General of the LXXV army corps, Anton Dostler who in turn informed the supreme German commander in Italy, General Field Marshal Albert von Kesserling. According to the testimony later released by Dostler himself, it was von Kesserling who gave the execution orders, as ordered by the Führer himself for the enemy commandoes caughts behind the lines. Despite the efforts of Kurt Almers to cancel the execution orders on March 25th, 1944, it became a reality.
When and where they were executed?
The 15 American soldiers were brought to Ameglia, where they were executed by firing squad near Punta Bianca, at dawn on Sunday, March 26th, 1944, without a trial, perhaps in the presence of the local citizens, and then buried in an isolated location in the area.
After the war, did anybody pay for their death?
General Anton Dostler was tried in an Allied war trial in Caserta for war crimes and sentenced to death. The sentence was carried out by firing squad in Aversa, on December 1st, 1945. Despite the fact that it was later verified he was in Liguria at the time everything happened, in 1945 it was not possible for the courts to prove any responsibility on the part of Albert von Kesserling.
Note: see the original text in Italian for the bibliography.
Il 20 Gennaio 1945 avveniva il rastrellamento nazifascista, che può essere correttamente definito come uno dei fatti d’arme più importanti per la Cronologia della IV Zona Operativa.
Il rastrellamento, spesso ingiustamente trascurato dalle cronache e dalla storiografia generale, è, in realtà, per molti versi, decisivo riguardo all’evoluzione della guerra in Italia, e quindi la sua rilevanza va ben oltre il territorio spezzino.
Mario Fontana, Comandante della IV Zona Operativa, nella sua “Relazione sull’attività operativa svolta dai reparti della IV Zona dal luglio 1944 al 25 aprile 1945” così descrisse quei giorni:
“Questa azione [NdR: cioè il rastrellamento] preparata lungamente ed accuratamente eseguita con enormi forze dotate di moderno materiale da guerra, condotta con decisa volontà di liquidare definitivamente le formazioni patriote della IV Zona, costituisce un definitivo ed inglorioso scacco di tutte le speranze fasciste. Sono 20.000 uomini stupendamente armati che vengono irreparabilmente gettati sulle posizioni di partenza da 2.000 patrioti che oltre al loro coraggio, alla loro fede, al loro spirito di sacrificio, al desiderio di immolarsi per i principi della libertà non avevano che armi portatili individuali, talune delle quali, come lo Sten, li obbligavano a buttarsi sotto per poterle usare.”
Insomma, la superiorità tecnica nazifascista non poté nulla contro un movimento partigiano che, attraverso tappe non facili, non sempre lineari, più di una volta dolorose, aveva però maturato una consapevolezza con la quale si era mostrato in grado di fronteggiare un nemico tanto più potente.
Nella 79° ricorrenza del rastrellamento, se qualcuno volesse leggere una veloce sintesi delle vicende occorse alle varie Brigate, nel quadro della massiccia operazione nazifascista, segnalo: La “Battaglia del Gottero”, una vera epopea senza retorica, pubblicata da ISR/ETS La Spezia, particolarmente utile per “rispolverare” la storia.
Quest’anno, tuttavia, ISR/ETS può presentare una novità che va a completare la pubblicazione, approfondendo alcune questioni.
Infatti, sulla scorta di quanto ho letto e sulla base di ricerche fatte, ho delineato due Mappe tridimensionali, a colori, con l’obiettivo:
a) di rendere chiara agli occhi di chi legge la vasta area del rastrellamento stesso e le forze nemiche impiegate in esso;
b) di far comprendere l’epicità dello sganciamento attuato dai partigiani del Battaglione “Vanni”1 che, dopo avere combattuto, si diressero, come era stato ordinato loro dal Comando IV Zona Operativa, verso il Monte Gottero, completamente innevato, arrivando a sopportare temperatura di 20 gradi sotto zero.
La Mappa n.12 delinea l’area del rastrellamento e le forze in campo. Ho lavorato ad essa basandomi su testi già noti, ma integrandoli a seguito di mie riflessioni, per mettere in evidenza le direttrici della manovra, specificando, dove possibile, i reparti nazifascisti impegnati.
La Mappa n.23 chiarisce invece come il Battaglione “Melchiorre Vanni” (Comandante Astorre Tanca “Astorre”4; Commissario Politico Franco Mocchi “Paolo”) riesca a salvarsi, dapprima combattendo duramente verso Bozzolo e poi nella zona di Zignago, sganciandosi, infine, con l’ascesa quasi proibitiva, a causa delle condizioni climatiche e ambientali, della fame e dei vestiti non adatti, verso il Monte Gottero.
Il cammino percorso, sull’andata e sul ritorno, fu incredibilmente lungo come chilometri e incredibilmente corto come capacità oraria di percorrerli, nonostante l’itinerario impervio, e la durissima giornata di combattimenti del 20 gennaio, che pesava sulle spalle di quegli uomini.
Il Battaglione “Vanni”, dopo avere combattuto senza sbandamenti, si ritrovò infatti, come stabilito, a Pieve di Zignago (sera del 20 gennaio 1945): qui la popolazione5 diede, con spirito fraterno, ai partigiani, tutto quel poco, praticamente quasi niente, che aveva, per cibarsi. Lo sganciamento avvenne in modo ordinato, e tendenzialmente omogeneo: se ci furono delle diversificazioni nei tempi, e delle variazioni di piccoli gruppi, esse furono causate dalla eventualità onnipresente di imboscate, dalla durezza del cammino, nonché dalla fatica e dai sintomi gravi di congelamento in numerosi partigiani.
Comunque, il ritorno dei primi gruppi6, e sembra quasi incredibile, avvenne già alla mezzanotte del 24 gennaio 1945, a Torpiana.
NOTE
1 La scelta di illustrare l’itinerario di tale Battaglione è dipesa dal fatto che ISR/ETS La Spezia sta preparando una pubblicazione su di esso, in cui confluiranno, tra le altre, le Mappe che vengono presentate nell’articolo. Per una visione complessiva delle vicende del Battaglione, V. https://www.isrlaspezia.it/strumenti/lessico-della-resistenza/battaglione-m-vanni/.
2 Per costruire la Mappa n.1 mi sono rifatto ai seguenti libri: AAVV, “La Battaglia del Monte Gottero”, ISR, 1970; Gimelli, Giorgio (a cura di Franco Gimelli), La Resistenza in Liguria. Cronache militari e documenti, Carocci, 2005; Fiorillo, Maurizio, Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010; Battistelli, Pier Paolo, La Wermacht in Italia 1943-1945.Wehrmacht. Waffen-SS. Organisation Todt. SS e Polizei, Agrafe, 2022, nonché a vari documenti presenti in AISRSP.
3 Per costruire la Mappa n. 2 mi sono servito della Testimonianza di Giuseppe Mirabello “Apollo”, che fu impegnato, a capo del suo Distaccamento, tra Serò, Imara e Valle Oscura (in una carta militare del 1930 detta “Valle Scura”), confrontandola con le testimonianze di Saverio Sampietro “Falchetto” e Ottavio Chiappini “Lepre” (v. AISRSP) e con altri documenti di Archivio.
4 Astorre Tanca, Medaglia d’argento al VM alla memoria, muore, in combattimento, a Pieve di Zignago, il 4 marzo 1945
5 A proposito della popolazione, va ricordato brevemente, in questa sede, che essa non solo diede aiuto morale e materiale, ma che quella di Serò (dove si trovavano un Distaccamento del Battaglione “Vanni” e una Compagnia di “Giustizia e Libertà”, quest’ultima agli ordini di Giovanni Pagani, Medaglia d’oro al VM alla memoria, in seguito catturato sul Dragnone e poi fucilato (V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2023/03/Pagani-Giovanni-largo.pdf), partecipò direttamente, prendendo le armi, ai combattimenti.
6 Tra essi, quello di Giuseppe Mirabello “Apollo” (V. Testimonianza).
A cura di Patrizia Gallotti e Maria Cristina Mirabello*
(* Presidente e Vice Presidente Fondazione ETS ISR La Spezia)
Abbiamo deciso, come ISR-La Spezia, di dedicare, in questi primi giorni del 2024, un ricordo aGiulivo Ricci1 che tanto ha scritto, tra l’altro, sulla Resistenza spezzina e lunigianese, consentendo a tutte/tutti noi, successivamente, di attingere al patrimonio prezioso che ha lasciato, sia per le storie narrate dai suoi libri, sia per la documentazione in essi contenuta.
Sicuramente, nel frattempo, la ricerca sul territorio è andata avanti, ma non dobbiamo mai dimenticare che, senza l’apporto di Giulivo Ricci, e di altri2 che, con passione, hanno indagato gli avvenimenti resistenziali, non sarebbe possibile a noi, oggi, integrare, approfondire, e, se necessario, emendare, la storia della IV Zona Operativa.
Abbiamo perciò pensato che fosse cosa buona, per ricordarlo, estrapolare alcuni passaggi contenuti nei suoi libri, dedicati ai primi nuclei di Resistenza che si formarono in maniera embrionale nel territorio spezzino e lunigianese (con riferimento alle vicende spezzine), volgendo perciò lo sguardo a quello che accadde tra autunno 1943 e fine gennaio 1944, riguardo:
1) al gruppo misto, fondamentalmente composto da sarzanesi e santostefanesi (ma anche da arcolani e spezzini), configurabile, per certi aspetti, come il nucleo originario della successiva Brigata garibaldina “Ugo Muccini”;
2) al gruppo di Torpiana (Zignago), riconducibile al Partito d’Azione, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”;
3) al delinearsi della figura di Gordon Lett;
4) al Gruppo “Bottari”; al Gruppo, sorto a Calice al Cornoviglio, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”, di aderenza azionista.
I brani, necessariamente selezionati, tratti dai libri di Giulivo Ricci, sono collocati tra virgolette3; i raccordi esplicativi tra essi, scritti in corsivo, sono curati da chi ha scritto questo articolo, e sono ripresi, ma solo in parte, da lavori on line, già pubblicati da ISR nel proprio sito, vedi: Lessico della Resistenza e Le vie della Resistenza.
Argomento: Gruppo misto, fondamentalmente formato da sarzanesi e santostefanesi (ma anche da arcolani e spezzini), configurabile, per certi aspetti, come il nucleo originario della futura garibaldina Brigata “Muccini”
Zone di riferimento: Val di Magra, Tresanese (Lunigiana), Prede Bianche (tra Val di Magra e Val di Vara).
A Sarzana il Partito Comunista, aveva un gruppo fortemente determinato, che, nonostante le varie ondate di arresti, persisteva, in qualche modo, dal Ventennio fascista. A capo di esso era Anelito Barontini4, per cui, già a ridosso dell’8 settembre 1943, sulle colline retrostanti la città, aveva trovato collocazione un nucleo di ispirazione comunista, articolati tra la Ghiaia di Giucano, Prula, Monte Nebbione. Comandante militare del gruppo, come tale generalmente riconosciuto, era Emilio Baccinelli5, mentre Paolino Ranieri6 assumeva di fatto il ruolo di Commissario politico. L’ obiettivo era quello di tessere le fila organizzative nella bassa Val di Magra, tra Lerici, Vezzano, Arcola, Santo Stefano e Sarzana, dove, non a caso, furono compiuti attentati di tipo gappistico7, fermo restando che l’attività dei GAP altro non era se non un’emanazione dei gruppi dimoranti sulle colline.
Nel frattempo si era formato un gruppo santostefanese, avente come riferimento Primo Battistini8 (che in seguito si chiamerà “Tullio”).
“Dalla zona di Caprigliola, intanto, Primo Battistini, che a queste operazioni gappistiche diede un suo contributo insieme con Emilio Baccinelli, si era spostato sotto la Casa Bianca, alle Prade di Falcinello, in casa di un Musetti. Lì i sarzanesi, e soprattutto Dario Montarese (Briché)10 e Paolino Ranieri (Andrea), lo avvicinarono e, da quel momento, i rapporti, nonostante una certa autonomia dei due gruppi saranno mantenuti; dovendosi fin da ora sottolineare che quanto l’antifascismo e la professione di fede comunista dei vecchi carcerati e confinati politici erano provati, meditati e volti a considerare globalmente i problemi dell’ora, tanto l’antifascismo di ‘Tullio’ era istintivo, alieno da ogni preoccupazione politica e partitica, venato di sentimenti anarchici e piuttosto insofferente dei freni che i primi avrebbero voluto a buon diritto imporre”.
“’Tullio’ era poi tornato per qualche tempo verso Caprigliola e Santo Stefano, perché era stato avvertito che alcuni giovani intendevano unirsi ai ‘ribelli’: questi erano, tra gli altri, Adalberto Signanini [NdR12: in realtà Cesare Signanini13 “Adalberto”], il cui padre, in contatto con il CLN, era addetto alla mensa dello Stabilimento ‘Muggiano’…”
A seguito dei colpi di mano gappistici, e per eventuali azioni di antiguerriglia fasciste, alcuni esponenti del gruppo sarzanese si misero alla ricerca di un luogo dove potersi trasferire in sicurezza, individuandolo, dopo avere a lungo girovagato, nella località Trambacco, Comune di Tresana (MS), non lontana da Bolano (SP) e da Podenzana (MS). Al Trambacco andò anche Primo Battistini.
“Un primo gruppo nel quale si trovavano, tra gli altri, ‘Briché’, Pilade Perugi, ‘Tullio’, Luciano Magnolia, Emilio Baccinelli, Guglielmo Vesco ed Ernesto Parducci, partì il 27 dicembre15… Qualche giorno dopo arrivarono gli altri, da venti a trenta uomini in tutto: Paolino Ranieri, Ercole Madrignani, Flavio Bertone16, Goliardo Luciani, Giuseppe Podestà, Angelo Tasso, Amedeo Luigi Giannetti, Lino e Ottorino Schiasselloni, i fratelli Forcieri e il figlio del vicesindaco socialista di Sarzana, Lanfranco Sabbadini (‘Cesare’); insomma i componenti dei nuclei già costituiti fra i Succisi di Caprigliola, Ponzano e Falcinello.
Al Trambacco si portavano anche Anelito Barontini, Giovanni Albertini del Canaletto, che era stato uno dei primi dirigenti giovanili comunisti clandestini ed aveva patito il confino di polizia nel 1933, e Anselmo Corsini che, con l’Albertini e Barontini, dopo l’8 settembre 1943 faceva parte del Comitato Federale del PCI… E al Trambacco, secondo autorevoli testimonianze, da altri non accolte, si sarebbe costituito ufficialmente per la prima volta un distaccamento garibaldino nel nome di ‘Ugo Muccini’”.
Svariate furono le azioni compiute avendo come base di partenza il Trambacco, da cui talvolta si allontanavano anche, per incombenze varie, alcuni uomini; lo stesso Anelito Barontini dovette rientrare, insieme ad Anselmo Corsini, alla Spezia, dove era stato nominato segretario del PCI al posto di Terzo Ballani, che aveva retto di fatto la Segreteria fino ad allora. La permanenza al Trambacco si rivelò dunque impossibile per motivi logistici. Il gruppo, costituito in prevalenza da sarzanesi, girovagò alquanto.
“Anche nella guerra per bande occorreva [NdA= secondo il PCI] fare di più: quella di Ranieri, di Montarese, di ‘Tullio’ ‘sganciatisi’ al Trambacco, era in effetti l’unica banda che il PCI spezzino fosse riuscito a conservare, ma ora essa si trovava a mal partito, proprio mentre altre forze politiche antifasciste, antinaziste e socialiste, tra Vezzano e la Val di Vara, usufruendo dell’apporto di ex-ufficiali dell’esercito italiano come Franco Coni, Pietro Borrotzu18 e il colonnello Bottari19, stavano attivamente cospirando e tessendo la tela di un’organizzazione guerrigliera di stampo ‘badogliano’, ma politicamente influenzata o influenzabile dal Partito Socialista e dal Partito d’Azione…
…Le condizioni di vita al Trambacco apparvero, dopo poco tempo, tali da non consentire una permanenza…
Sta di fatto che la comunanza si sciolse, profilandosi l’esigenza della ricerca della possibilità di sopravvivere in attesa che si ricreassero le condizioni per la ripresa della lotta.
Un gruppo costituito in prevalenza da vecchi antifascisti sarzanesi, poco dopo oltre la metà di gennaio decise di rifugiarsi a Zerla, villaggio in Comune di Albareto…”.
Di tale gruppo sarzanese facevano parte, in quel momento, Paolino Ranieri, Podestà, Vesco, Montarese, Goliardo Luciani, Ercole Madrignani e alcuni giovani. Essi però vennero rapidamente individuati, dovettero varcare il Monte Gottero, recarsi a Popetto nel Comune di Tresana (MS) e, infine, tornare indietro, tra Forte Bastione e Vallecchia, tra il Comune di Fosdinovo e quello di Castelnuovo Magra.
Tra i “ribelli” del Trambacco c’era tuttavia, come già detto, anche una decina di uomini che, raccolti intorno a Primo Battistini, preferirono, dopo aver lasciato quella zona, andare verso l’alto, alle Prede Bianche, tra Val di Vara e Val di Magra, dove rimasero fino al 30 gennaio 1944, quando, sorpresi da un attacco nemico, ebbero un morto e tre prigionieri. Si salvò, con alcuni, grazie a uno stratagemma, Primo Battistini.
Ritroveremo Primo Battistini, qualche elemento del primitivo gruppo sarzanese-santostefanese ed altri, arcolani e spezzini, nel frattempo confluiti verso il Parmense, impegnati nell’ambito della così detta banda “Betti”, quando, il 12 marzo 1944, avvenne, a Valmozzola, il famoso assalto al treno. Ma questo avvenimento, molto importante, sarà raccontato a parte.
Gruppo di Torpiana (Val di Vara, Zignago), riconducibile al Partito d’Azione, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”20
Zone di riferimento: Zignago (Torpiana) e Rossanese (Zerasco)
Il primo nucleo organizzato dal Partito d’Azione sul territorio spezzino è ascrivibile a Torpiana di Zignago, dove, a partire dall’autunno 1943, operano azionisti genovesi con la collaborazione di quelli spezzini. A tale proposito, si possono citare i nomi dei genovesi Giulio Bertonelli “Balbi”22, importante figura di riferimento del Partito d’Azione ligure, Edoardo e Gaetano Basevi, Antonio Zolesio, Pier Lorenzo Wronowski, mentre sono autoctoni i Bogo, i Ferretti, i Benelli e Livio Acerbi.
Il nucleo di Torpiana, che si sviluppa appunto nell’inverno 1943-1944, stringe anche importanti rapporti con un piccolo gruppo di militari inglesi fuggiti da un campo prigionia in provincia di Piacenza: al comando degli inglesi è il Maggiore Gordon Lett.
“… La posizione geografica [NdR: di Torpiana] offriva notevoli garanze per i requisiti che le erano propri, il trovarsi cioè quel villaggio all’interno di un Comune, Zignago, completamente privo di strade rotabili, Sufficientemente lontano dalle vie di comunicazione principali ma non tanto da ostacolare un rapporto od un contatto con il mondo ‘esterno’ ai fini del collegamento con la stessa città capoluogo di provincia, oltre che con altri ‘centri’ cospirativi e logistici, primo fra tutti Brugnato, punto di riferimento obbligato e tappa ineliminabile tra la Spezia e l’Alta Va di vara e, per sentieri e mulattiere impervi, Calice al Cornoviglio, Zeri, Rossano e la Val di Magra… A queste condizioni proprie dell’ambiente fisico si aggiungevano le caratteristiche dell’ambiente umano, di una popolazione ospitale, che aveva subito passivamente il fascismo, che aveva anzi visto non pochi tra i suoi figli rifugiarsi in Francia e in America durante il ventennio e, con l’invasione tedesca, divenire partigiani nella Resistenza d’Oltre Alpe. Altri fattori sostanziali vanno ricercati nel fatto che un esponente antifascista, qualificatosi su scala regionale, come Giulio Bertonelli, che già abbiamo più volte incontrato, fosse nato proprio in Comune di Zignago e mantenesse rapporti con la terra di provenienza, e che a Torpiana si trovassero, rifugiativisi per sfuggire alle persecuzioni razziali, i genovesi Edoardo e Gaetano Basevi, cugini, i quali si metteranno in contatto con un loro conoscente, il dottor Antonio Zolesio, che svolge a Genova attività cospirativa nell’ambito del partito d’Azione ed è già in contatto con altri noti antifascisti. E neppure va dimenticato che dal 15 ottobre 1943 a Rossano di Zeri, villaggio posto oltre la catena montuosa ma a pochi chilometri in linea d’aria da Torpiana, era capitato Gordon Lett, ex prigioniero di guerra, insieme con il sergente australiano Bob Blackmore, che poi abbandonerà il maggiore inglese e passerà alla G.L., il fuciliere Mick Micallef ed altri.”
“Nei primi tempi, come del resto in molti italiani, predominava in Gordon Lett la preoccupazione di non rischiare la vita, neppure con l’attraversamento delle linee del fronte, dal momento che ci si illudeva in una assai rapida fine del conflitto. Secondo un esponente della guerriglia tra Vara e Magra25, il Lett era, in quei tempi, convinto che il rischio non valesse la candela.
Chiusa momentaneamente questa parentesi su Lett, che sarà più volte riaperta, aggiungiamo subito che come in altre località di campagna e di montagna, anche a Torpiana ed in altri villaggi del Comune di Zignago e dei comuni limitrofi, avevano trovato ospitalità militari sbandati di ogni arma, soprattutto meridionali, impediti ed ostacolati a rientrare nei paesi nativi dalla divisione in due della penisola, configurantesi ormai in ‘Italia liberata? E in ‘Italia occupata’.
Tutti questi fattori, a loro volta, avevano agito fortemente nel senso di creare un’atmosfera di libertà e di speranza, di modo che le chiamate alle armi del governo di Salò non avevano conseguito risultati concreti; e materiale umano per l’opera di cospirazione e, poi, di lotta armata, stava maturandosi, pronto per i ruoli di collaboratori, d’informatori, di combattenti.”
“Secondo i ricordi del Bertonelli, l’inglese, ufficiale effettivo dell’esercito, concepiva i futuri partigiani italiani come una specie di legione straniera dell’esercito di Sua Maestà britannica. In ogni modo, la discussione [NdR: tra Bertonelli e Gordon Lett, durante un incontro avvenuto, secondo Giulivo Ricci il 1 novembre 1943] servì a chiarire a Gordon Lett quale fosse invece il concetto dominante deli antifascisti italiani, che si dichiararono pronti a stabilire un contatto tra lui e l’Inghilterra, dal quale sarebbero potuti uscire esiti favorevoli alla progettata collaborazione nella lotta contro il comune avversario. In effetti, gli azionisti milanesi, con Parri, avevano istituito un servizio di comunicazioni con la Svizzera e a Genova il Prof. Ottorino Balduzzi era riuscito a collegarsi con la Corsica. La lettera che il maggiore Gordon Lett consegnerà al Bertonelli giungerà a Londra prima di Natale.”
Gruppo Bottari; Gruppo, sorto a Calice al Cornoviglio, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà” di aderenza azionista
Zone di riferimento: Vezzano Ligure, Calicese e Val di Vara.
Il nucleo ascrivibile al Calicese, cui afferisce un’area punteggiata da varie realtà, si sviluppa, sempre a partire dall’autunno 1943, dapprima con l’obiettivo di darsi una struttura organizzativa e, dal febbraio 1944, anche con scopo operativo.
Si formano inizialmente tre gruppi: uno in Località Borseda (con Ferdana, Garbugliaga, Beverone), uno in Località Debeduse (con Lavacchio Terrugiara e Vicchieda); uno in Località Villagrossa allargatosi poi a Santa Maria, Molunghi; Calice-Campi-Nasso; Suvero; Veppo e Casoni; Castiglione Vara.
Gli aderenti di Borseda, Debeduse e Villagrossa, partecipano al primo incontro di coordinamento, che ha luogo presso il cascinale Buscini, in località Debeduse, già il 19 ottobre 1943: promotore e coordinatore dell’incontro stesso è il Tenente Daniele Bucchioni27.
Si muove anche la frazione di Madrignano; Piana Battolla, Follo e Pian di Follo, dove esplicano un’intensa attività il capitano Orazio Montefiori (“Martini”)28 e Fernando Chiappini, collegatisi poi con il movimento già sorto a Vezzano Ligure29, mentre a Valeriano troviamo Amelio Guerrieri30.
Particolare incidenza assume, in questo quadro, la figura di don Carlo Borelli31, parroco di Follo Alto, che diventerà poi cappellano di GL. Sempre a Follo-Bastremoli va ricordata la figura di Agostino Bronzi32, insigne militante socialista che lì risiede e che, in un certo senso, assume la funzione di tramite con il gruppo di Vezzano Ligure.
“Un punto di riferimento obbligato per chi voglia affrontare il problema generale della Resistenza alla Spezia, quello particolare della nascita delle prime formazioni patriottiche combattenti e, in maniera speciale, dei prodromi e dei primi passi dei nuclei che daranno vita alla Brigata d’Assalto Lunigiana e, successivamente, alla Colonna GL, è costituito dal Gruppo ‘Bottari’’… Il movimento sorto a Vezzano Ligure dall’innesto del patriottismo di derivazione legittimistico-militare sul vecchio tronco antifascista e socialista locale viene condotto in modi e forme diverse con l’attività politica del centro cittadino, con elementi azionisti e, ad un certo punto, fornirà alcuni dei quadri più qualificati all’organizzazione e alla direzione della guerriglia in Val di Vara… La presenza a Vezzano Ligure del colonnello Giulio Bottari34, ufficiale in SPE, reduce dalla Russia e in licenza, di orientamento chiaramente antifascista, del maresciallo Luigi Dallara, del marinaio Baviera è fattore assai importante di mobilitazione, specie verso il recupero delle armi.
Il colonnello Bottari è messo in contatto con l’ambiente socialista spezzino, con l’avvocato Agostino Bronzi, con Pietro Beghi35, con Rodolfo Locori e Vincenzo Puglia. Le idee divergono: il colonnello, in linea con la sua mentalità, tende alla costituzione di nuclei e gruppi composti esclusivamente da militari, ovviamente i dirigenti socialisti sono di altro parere.
Questo iniziale contrasto non impedisce la collaborazione. Un salto di qualità è operato dall’arrivo in paese del tenente sardo Piero Borrotzu36 -cugino di Antonio Ferrari- subito diventato infaticabile animatore e attore del movimento patriottico37.”
“ D’altra parte le località39, in cui si erano sprigionate queste preziose scintille, non presentavano le caratteristiche proprie delle terre atte alla guerriglia Né tanto meno quelle di un ambiente aggregante per il confluire di quegli elementi e fattori diversi, indispensabili al crearsi delle condizioni favorevoli al nascere, allo sviluppo e alla direzione della lotta armata… queste condizioni… potranno trovare la possibilità di concretarsi a Torpiana40, nel montano Comune di Zignago, in Val di Vara, quasi al confine con il territorio della provincia di Massa Carrara.”
Se questo succedeva nelle varie aree geografiche sommariamente delineate, va anche ricordato che, contemporaneamente, soprattutto in città, alla Spezia, muoveva i suoi primi e non facili passi il Comitato di Liberazione Nazionale provinciale (CLNp)41, istanza unitaria delle forze politiche antifasciste.
Note
1 Giulivo Ricci, nato ad Aulla il 27 gennaio 1924 e morto a Fivizzano il 23 settembre 2009, caratterizzato da profondi e molteplici interessi per la terra di Lunigiana, cui ha dedicato numerosi scritti a carattere culturale (a lui è intitolato il Centro Aullese di Ricerche e Studi Lunigianesi, che fondò), si volge, già dagli anni Settanta del Novecento, alla tematica della Resistenza, collaborando proficuamente con l’Istituto Storico della Resistenza spezzino, sorto nel 1972. All’inizio degli anni Ottanta, Ricci partecipa attivamente alla costituzione dell’Istituto Storico della Resistenza Apuana, di cui poi sarà anche, per un lungo periodo, Presidente. Citiamo, per un invito alla lettura e per eventuali ricerche, i seguenti volumi di Giulivo Ricci, che fanno parte, insieme ad altri dello stesso Autore, della dotazione libraria di ISR La Spezia: Avvento del fascismo, Resistenza e lotta di liberazione in Val di Magra (1975), Contributi alla storia della Resistenza in Lunigiana (1976), Storia della Brigata Matteotti-Picelli (1978), Storia della Brigata garibaldina Ugo Muccini ( 1978), I verbali delle sedute del Comitato comunale di liberazione nazionale di Aulla ( 1978), La Spezia combatte in Valsesia (1980), Resistenza in Lunigiana e fuoruscitismo apuano (1984), La Colonna Giustizia e Libertà (1995), La Brigata garibaldina Cento Croci, a cura di Giulivo Ricci, Varese Antoni e altri, ( 1997), Dalle montagne di Lunigiana (1999), Diserzione renitenza alla leva in Lunigiana durante la Repubblica di Salò (2000), I gruppi di Merizzo e di Monti (2002), Itinerari della resistenza Apuana (2004) Tra gli innumerevoli Convegni e iniziative culturali che promosse, va citato, a proposito di Resistenza, l’importante Convegno “Retrovie della Linea Gotica occidentale. Il crocevia della Lunigiana” che si svolse, nel 1986, ad Aulla, Pontremoli e Fivizzano, di cui curò anche la pubblicazione degli Atti. [NdR: per la data di nascita e di morte si ringrazia Paolo Bissoli, Presidente ISRA).
2 Cercheremo, nel corso dell’anno 2024, di ricordare, in qualche modo, specie attraverso stralci dai loro scritti, anche altri storici e/o appassionati di storia, che, ormai deceduti, hanno trattato il periodo resistenziale spezzino.
3 Non si riportano però le lunghe e documentate Note di Giulivo Ricci. Le Note dell’articolo, molto brevi, sono state curate dalle redattrici, facendo spesso riferimento a materiale on line nel sito ISR.
11 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978.
12 NdR: Nota delle Redattrici dell’articolo.
13 Nell’estate 1944 il primo nome della Brigata “Vanni” (Comandante Primo Battistini “Tullio”), essendo, nel frattempo, Signanini morto, sarà proprio quello di “Signanini”.
14 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978.
23 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane); Associazione Partigiani “Mario Fontana”, La Spezia; Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1995.
24 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, cit.
25 Giulivo Ricci si riferisce, come dichiara in una Nota, a Ezio Giovannoni, esponente di GL, capo del SIM (Servizio Informativo Militare) IV Zona Operativa.
26 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, cit.
37 Va ricordato, insieme a lui, Franco Coni, anch’egli sardo, sottotenente dell’Esercito e suo amico. V. 1a Compagnia Arditi
38 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane); Associazione Partigiani “Mario Fontana”, La Spezia; Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1995.
39 Le località comprese da Ricci, e di cui parla, vanno anche oltre il Calicese.
40 Di Torpiana si è già parlato nei Paragrafi precedenti.
Questo articolo è stato scritto dopo un mio sopralluogo a Vezzano e, dal punto di vista bibliografico, grazie a chi ha fissato sulla carta i fatti del 7 dicembre prima di me. ISR La Spezia “7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure. Testimonianze raccolte dal Centro Culturale ‘7 dicembre’ di Vezzano Ligure”, 1976 (Misc. F 1 24); Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, Edizioni Giacché, 1994; Laura Lotti “Attilio e gli altri, con documenti e testimonianze”, Lunaria, 1996; Scheda nello Stradario della Resistenza spezzina, a cura di Francesca Mariani, dedicata a Piazza del Popolo-7 dicembre 1944; Schede per l’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia curate da Maurizio Fiorillo, dedicate al 7 dicembre 1944 e al 2 febbraio 1945.
NdR Foto di copertina a cura di Mauro Martone
Contesto generale e premessa
Nel dicembre 1944, pur essendo svanita la speranza di una rapida avanzata alleata e di una prossima liberazione, dato l’arresto del fronte e il proclama del generale Alexander (13 novembre 1944), con il quale praticamente lo sforzo bellico veniva rimandato alla primavera successiva, la Resistenza partigiana in IV Zona Operativa, tuttavia, permaneva, non smobilitandosi, né sulle montagne, né al piano.
Va detto, però, che I colpi assestati alla popolazione civile1 e alla Resistenza armata furono, in quella fase, particolarmente duri. Basti pensare alla Brigata “Muccini”, che aveva subito il drammatico rastrellamento del 29 novembre 1944, e che, pur essendo passata, in una sua parte, oltre le linee, si stava faticosamente ricostituendo nella zona di appartenenza, sebbene fosse destinata, di lì a pochi giorni, a patire un ulteriore rovescio. Venne infatti catturato il Commissario politico, Paolino Ranieri “Andrea”, fermato mentre cercava medicine per alcuni superstiti del rastrellamento, rimasti feriti. Sempre nella stessa fase, al piano, anche qualche appartenente alle SAP (Squadre Azione Patriottica) fu costretto ad allontanarsi, perché ormai “bruciato”, cioè scoperto, o in odore di esserlo2. Tra i sappisti, sicuramente, Rina Gennaro “Anna”, che operava tra Ponzano Magra e La Spezia, e Filippo Borrini “Pino”, con tutta la sua famiglia3. “Pino”, figlio di Andrea Borrini, operaio dell’OTO Melara, a sua volta aggregatore di forze all’interno della fabbrica (anche in occasione degli scioperi del marzo 19444), aveva diretto il Fronte della Gioventù5, dopo la partenza dalla Spezia del primo organizzatore di giovani ribelli, Arrigo Diodati “Renato” o “Franco”6. Proprio Filippo Borrini aveva operato, come base di partenza, principiando dall’area di Vezzano Stazione, dove abitava, per allargare il suo raggio di azione alla zona vezzanese, a San Venerio, Carozzo, luoghi finitimi7, e oltre.
Già nell’autunno 1943, dunque, l’area vezzanese8 era stata caratterizzata da molteplici segni di insofferenza, e, progressivamente, da una vera e propria resistenza a tedeschi e fascisti, tanto che tale area diventò un bacino particolarmente fecondo, da cui avrebbero ampiamente attinto sia le varie formazioni partigiane armate della montagna, sia le SAP, e da cui sarebbero emersi , via via, molti personaggi che, vezzanesi per origine o per adozione o per transito, avrebbero illuminato, alcuni anche con il sacrificio della vita, la Resistenza spezzina9.
E proprio Vezzano Ligure è teatro di una vicenda, tra le più drammatiche dell’epoca, accaduta il 7 dicembre 1944 e destinata, da un lato, a pesare fortemente su un’intera comunità, nonché sulla rete resistenziale clandestina, e quindi sul CLN e sulle SAP locali, dall’altro, ad accentuare il quadro difficile in cui si colloca a livello provinciale il periodo fine novembre-dicembre 1944. Infatti, durante la notte, il paese è racchiuso dentro una morsa che il giorno 7 lo stringe senza scampo, essendo controllate tutte le possibili vie di uscita. I rastrellatori, tedeschi e fascisti, sono informati su che cosa cercare e su chi cercare11. Non solo, nell’accadimento, tragedia e beffa si mescolano: infatti il CLN spezzino aveva saputo per tempo che il giorno 7 ci sarebbe stato un rastrellamento, e l’aveva comunicato, tanto che le persone a rischio, tra cui il Segretario locale del CLN, Enrico Bucchioni, erano avvisate e pronte ad allontanarsi. Ma, ad un certo punto, proprio il giorno 6 dicembre, e non da parte del CLN12, era pervenuto inopinatamente un altro avviso, che, spostando la data all’8 dicembre, aveva determinato il fatto che nessuno ritenesse opportuno andare via già il 7.
Successe così che, alle 5 del mattino, nazisti e fascisti13 (questi ultimi agli ordini di Aurelio Gallo14) cinsero, con un vero e proprio assedio, il borgo, uccisero, con raffiche di mitra, Vera Giorgi e Carlo Grossi, che si erano affacciati sulla porta delle loro case15, ferirono in modo molto grave il sottufficiale di Marina, sappista, Giuseppe Carmè, che aveva tentato di fuggire sui tetti, morendo alcuni mesi dopo.
Furono fermate centinaia persone (circa 300), da cui fu scremato un numeroso gruppo (circa 90 uomini). Trasferiti in carcere, interrogati, in molti casi ferocemente torturati perché svelassero altri nomi, solo in parte rilasciati, furono portati con motozattere a Genova, e da qui mandati a Bolzano, per raggiungere poi, quale meta finale, i campi di concentramento, da cui in molti non ritornarono16. IL CLN vezzanese fu decimato: due membri di esso, Piero Andreani, Presidente, di 60 anni, ed Enrico Bucchioni, Segretario, di 24 anni, rimasero, sottoposti a sevizie, nel tristemente noto carcere, già sede del XXI Reggimento fanteria, da cui uscirono17 solo il 3 febbraio 1945, per essere però uccisi. Trasportati infatti davanti alla chiesa di Vezzano Basso, nel così detto “Campo”18, furono lì fucilati19.
Due uomini di età completamente diversa e con un unico destino
Dal libro di Anna Valle20 traggo materiale sui due fucilati. Il motivo per cui lo furono, in una mattinata fredda e piovigginosa, è sicuramente dovuto al fatto che essi erano ben conosciuti dai fascisti come esponenti di primo piano del CLN vezzanese: proprio perciò vennero prelevati dalla spedizione fascista agli ordini di Aurelio Gallo, in occasione della rappresaglia di cui si parla nella Nota 18. Posso fare anche l’ipotesi che non fossero stati eliminati in precedenza, o non avessero seguito la sorte di altri vezzanesi, deportati, in virtù del solito motivo, costituendo infatti essi, all’occasione, un’utile merce di scambio21. Ma questa è solo una mia ipotesi22.
Pietro Andreani23, detto “Pié de Cavana” era nato nel 1884. Antifascista, comunista fin dal 1921, licenziato, emigrato nel 1922, ritorna in Italia e fa il falegname, attività autonoma che probabilmente gli consente di sopravvivere tra le maglie della occhiuta vigilanza del regime dittatoriale, riprendendo le fila della cospirazione alla caduta del regime, e diventando, universalmente stimato, Presidente del CLN vezzanese. Catturato il 7 dicembre, è consapevole che molto difficilmente avrà scampo. Nel carcere dell’ex XXI è sottoposto a sevizie24 particolarmente prolungate, che risultano da numerose testimonianze25, e tuttavia riesce a provare sentimenti di solidarietà verso i compagni di prigionia26. Prima di essere fucilato, avrebbe gridato “Viva il comunismo”27.
Enrico Bucchioni, figlio di Natale e di Antonia Bellati, nasce nel 1920. Il padre, arsenalotto, integra il reddito familiare lavorando terreni di sua proprietà. In famiglia ci sono altri due figli, Natale (Francesco)28 e Pierino29. Portato alle belle arti, suona il violino e impara a dipingere sotto la guida di Navarrino Navarrini, diplomandosi maestro e non iscrivendosi all’Università per motivi economici. Cattolico, volto al prossimo, instaura un rapporto di stima con il parroco di Vezzano Alto30. L’8 settembre 1943 è militare, a Perugia e, arrivato a casa, è tra coloro che salgono sul Monte Grosso, insieme a Pierino. Ritornato a Vezzano, probabilmente dopo il drammatico rastrellamento del 3 agosto 1944, organizza il CLN locale, diventando uno dei dirigenti di esso, insieme ai “vecchi” Pietro Andreani, nato, come già detto, nel 1884, e a Rinaldo Basini31, nato nel 1893. Il giovane Enrico diventa responsabile della Resistenza in zona, dalle direttive riguardanti l’opera di accompagnamento dei giovani che volevano andare in montagna, agli atti di sabotaggio, alla diffusione di volantini. Avvicinatosi al Partito comunista, diffonde e/o produce materiale di tale Partito o ad esso ispirato.
Arrestato, e messo in cella con altri, tra cui il fratello Pierino, continua a scrivere ai suoi, dicendo di stare bene, e, probabilmente, continua a disegnare. Quest’ultimo particolare, toccante e per alcuni versi macabro, trova conferme nella testimonianza di Sante Quaglia32.
Enrico scrive l’ultimo biglietto alla madre il 2 febbraio 1945, comunicandole che l’altro figlio, Pierino, è stato portato via “oggi” dal carcere, e aggiungendo, sul retro: “Adesso occupatevi solo di me, a Pierino ci va bene, non pensate male di lui33.” In verità la madre non potrà fare proprio nulla per quei due suoi figli: Enrico è prelevato e fucilato il giorno dopo, Pierino non tornerà indietro da Bolzano.
Il corpo di Enrico, abbandonato nel Campo di Vezzano Basso, dimostrerà i segni inequivocabili delle torture subite.
Sopralluogo e riflessioni a partire dall’oggi
Arrivo a Vezzano sull’onda, soprattutto, della rilettura del libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”34, perché in esso si sente palpitare, nonostante gli anni intercorsi tra il 1944 e il 1994, data di uscita del testo, una storia viva, corale: quel “nostra” del titolo, è, infatti, significativo esempio di vicinanza e affetto.
Il mio tentativo è quello di riappropriarmi, se possibile, al di là degli aspetti fattuali e tecnici che riguardano la storia come materia35, di un’atmosfera.
Il mio appuntamento è con Nadia Ferdeghini36, dell’ANPI locale, la quale mi parla di quei tempi e di quegli uomini, per come li ha sentiti narrare (essendo nata, come me, nel Dopoguerra) e mi dice che, la mattina del 7 dicembre 1944, il paesaggio era caratterizzato da una nebbiolina trasudante umidità37, forse come quella che mi accoglie oggi.
E così, dal suo terrazzo, che dà verso il Golfo da una parte e verso il Magra dall’altra, fotografo innanzitutto la casupola38, ormai in rovina e sommersa dai rovi, dove si riuniva il CLN vezzanese, collocata un po’ fuori dal paese, lievemente a valle, raggiungibile attraverso sentierini e, soprattutto, in una posizione che consentisse a chi vi si trovava vie di fuga agevoli. E Nadia mi dice che la zona di Vezzano era luogo di transito per chi avesse deciso di recarsi ai monti, grazie alla guida di staffette incaricate di farlo: suo padre, Emilio Ferdeghini, detto “Lio”, riconosciuto come partigiano nella Brigata “Gramsci”-Battaglione “Maccione”39, nei rari racconti, le ha detto di avere messo bombe ai tralicci del ponte ferroviario di Fornola (cui si arrivava grazie ad una vietta posta in Masignano), e che, sempre lui, svolgeva anche la funzione di guida per chi volesse recarsi in montagna. Utilizzava, a tale scopo, la terra di famiglia, in Corongiola, particolarmente adatta a raggruppare uomini che dovessero fermarsi lì, per qualche ora o un po’ di più, in quanto sufficientemente riparata e dotata di una bella fontana, denominata “cirloncin”, dai canti degli uccellini che, attirati da essa, andavano a dissetarsi. Da lì partivano i ribelli, a gruppetti, ed Emilio li portava in genere verso la zona del Monte Gottero.
Vado poi, sempre con Nadia, nella sede dell’ANPI, un vero e proprio piccolo museo40, di fronte al quale trattengo quasi il fiato. Su tutte le pareti ci sono fotografie e documenti, ma noto anche che ad un muro sono addossati dei bellissimi maxi cartoni, disegnati da Luciano Viani: in essi, tramite disegni, si parla dei fatti salienti del 7 dicembre, ma anche di altre cose, compresa l’opera delle staffette e la fontana in Corongiola, un modo didattico e incisivo per spiegare la storia a ragazzi che vadano a visitare la sede.
E, mentre il mio sguardo si appunta tecnicamente sui documenti, per cui chiedo la possibilità di fotografarne almeno due, quello con la composizione, probabilmente, delle persone principalmente impegnate nella Resistenza vezzanese e quello costituito dalla foto dei partigiani, riuniti insieme in un quadro, vivi e morti41, come si prese l’abitudine di fare nell’immediato Dopoguerra, creando dei veri e propri “medaglieri” con le foto di tutti, ciò che mi fa davvero commuovere è ancora altro. Custoditi sotto vetro stanno documenti autografi di Enrico Bucchioni, gelosamente preservati e tramandati. Non solo, dentro una vetrina, su un manichino, è collocato l’abito e la sciarpa rossa che Pietro Andreani indossò, così mi viene detto, il 3 febbraio 1945, quando fu fucilato, mentre, subito sopra, su un altro ripiano, c’è la sciarpa gialla a pois, che metteva in carcere per ripararsi dal freddo. I colori hanno forse subito l’usura del tempo, ma non più di tanto: il vestito, forato dai proiettili, e le due sciarpe, ci ricordano materialmente e visivamente che un tempo appartenevano a un uomo, morto in circostanze drammatiche. Sono gli oggetti stessi a narrare, in un certo senso, la loro storia, senza bisogno di inventare nulla, è come se da essi provenissero dei barlumi, per aiutarci a ricostruirla, senza finzioni o aggiunte, rispettando i fatti della storia, ma anche con una sorta di empatia per quelle vicende.
L’ultimo passo, a chiusura logica, è quello che compio per portarmi lì vicino, di fronte alle targhe di marmo, poste sulla parete esterna dell’edificio comunale. Sono incisi nella pietra i nomi di chi morì nel periodo resistenziale: la comunità vezzanese ha deciso di suddividerli tra chi è caduto in combattimento, chi di fronte al plotone di esecuzione e chi nei campi di concentramento. Leggendoli, è possibile fare anche un ripasso veloce di storia della Resistenza della IV Zona Operativa. I nomi fissati nella pietra sembrano essere indelebili. E, tuttavia, le pietre non bastano: occorrono le narrazioni. Spariti i protagonisti e i testimoni, possiamo affidarci ai libri, alle pietre, ma, soprattutto, alla volontà di tramandare una storia, tragica certo, e tuttavia, proprio “nostra”, e perciò degna di essere ricordata.
2 Qualcuno, come il Capitano Renato Mazzolani di “Giustizia e Libertà”, responsabile delle SAP cittadine, venne arrestato in dicembre. Tradotto in carcere (nella sede dell’ex XXI Reggimento Fanteria), sottoposto a torture, si uccise, per non parlare. V. per lui anche https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2015/12/Mazzolani-Renato-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).
3 Nella famiglia è da ricordare la sorella minore, Luisa, soprannominata “Vanna” che, usando i pattini e fruendo della insospettabilità derivante dal fatto che era giovanissima (all’epoca aveva 15 anni), fungeva da collegamento rispetto a Antonio Borgatti “Silvio”, Segretario della Federazione provinciale comunista, il quale aveva trovato casa alle Pianazze, quindi, vicino al Termo, zona contigua al territorio vezzanese. Ne parla Borgatti nel suo libro “Anni clandestini. Memorie 1904-1945”, (a cura di Aldo Giacché), Edizioni Giacché, 2022.
4 Andrea Borrini si era già impegnato, clandestinamente, durante gli anni del regime fascista, nell’ambito del “Soccorso rosso”.
5 All’inizio, poco dopo l’8 settembre, si trattava di gruppi spontanei, costituiti da giovani e giovanissimi della zona di Vezzano Stazione, Fornola, Vezzano, San Venerio, Carozzo. Ne parla Vega Gori “Ivana”, la quale ricorda come spesso, all’inizio, manifestassero la loro insofferenza a fascisti e tedeschi cantando sommessamente cori di opera, ad esempio “Si ridesti il leon di Castiglia”, dall’“Ernani” di Verdi, per passare poi ad appiccicare ai muri volantini, anche scritti a mano, usando farina impastata con acqua come colla. Lei, che sarebbe diventata dattilografa e staffetta per Antonio Borgatti, rimanendogli a fianco per tutti i mesi, dal giugno 1944 fino, praticamente, alla Liberazione, era, nell’autunno 1943, una ragazza appena diciassettenne, che i fratelli non volevano nella cospirazione. V. “‘Ivana’ racconta la sua Resistenza. Una ragazza nel cuore della rete clandestina”, Edizioni Giacché, 2013. Dei due fratelli di “Ivana”, Erro, sarebbe poi andato ai monti, nel Parmense, mentre l’altro sarebbe rimasto al piano, diventando, nel Dopoguerra, il primo Sindaco, eletto, di Vezzano Ligure.
6 Arrigo Diodati, dopo la sua permanenza alla Spezia, si trasferì a Genova. Combattente nella Resistenza genovese, catturato, si salvò fortunosamente dalla strage nazifascista di Cravasco il 23 marzo 1945.
7 Tra i luoghi finitimi non va dimenticata Arcola, da subito caratterizzata da dinamiche molto attive, anche come Fronte della Gioventù.
8 D’altra parte l’area vezzanese, nonostante la repressione dovuta alla dittatura fascista e la presenza di un consistente gruppo di famiglie conservatrici, ha anche forti radici, sia repubblicane che socialiste (e poi comuniste). Il terreno si presenta, insomma, fecondo per le iniziative resistenziali, diventando una sorta di laboratorio per esse. Cospirano Piero Borrotzu, tenente, sardo, di madre vezzanese, accolto a Vezzano, dopo l’8 settembre, dal cugino della madre, Nino Ferrari), Medaglia d’oro al VM alla memoria, tra i primi della Brigata d’ assalto “Lunigiana, fucilato a Chiusola il 5 aprile 1944; Franco Coni, sottotenente, sardo, amico di Borrotzu, anche lui animatore della Brigata d’Assalto Lunigiana, quindi Comandante per un periodo del Battaglione “Matteotti” e poi, fino alla Liberazione, della I Compagnia “Arditi”; il Colonnello Giulio Bottari, che tesse da subito instancabilmente le fila clandestine e che, catturato a Genova, deportato, muore a Mauthausen nell’aprile 1945; Maresciallo Lugi Dallara, legato a Giulio Bottari, catturato e fucilato per rappresaglia a Ressora di Arcola (27 settembre 1944), Giovanni Spezia, catturato e fucilato per rappresaglia a Ressora di Arcola (27 settembre 1944), padre di Gerolamo; Gerolamo Spezia, Medaglia d’oro al VM alla memoria, caduto durante il rastrellamento dell’8 ottobre 1944. Non solo, numerosi sono i contatti, grazie al socialista Attilio Battolini, tra il paese e Follo, dove si trova l’avvocato Agostino Bronzi, anche lui socialista, e dove si stanno, a loro volta, muovendo gruppi resistenziali. Per Attilio Battolini e le sue vicende, v. in particolare “Attilio e gli altri” di Laura Lotti, cit. Per una maggiore conoscenza di Piero Borrotzu, Giulio Bottari, Agostino Bronzi, Piero Spezia, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Borrotzu-Pietro-largo.pdf; https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Bottari-Giulio-via.pdf; https//www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/10/Bronzi-Agostino-darsena.pdf; https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Spezia-Gerolamo-largo.pdf (Schede a cura di Maria Cristina Mirabello). Per le circostanze della fucilazione di Luigi Dallara e Giovanni Spezia v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/Arcola-Martiri-della-Libert%C3%A0-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).
9 L’articolo è dedicato ai fatti di Vezzano del 7 dicembre 1944, e non a tutta la Resistenza vezzanese o a tutta quella che in questo borgo ha radici o afferenze. Il Libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., nel corso delle sue pagine, dà però la parola, direttamente o mediatamente, a molti vezzanesi aderenti alla Resistenza: Renato Andreani, Ideale Battolini, Cesare Bonatti, Giuseppe Bonati, Medaglia d’argento al VM, Aldo Comis, Enrico Cozzani, Pietro Cozzani, Francesco Del Bello, Piero Del Giudice, Emilio Ferdeghini Riccardo Ferti, Alessandro Grossi, Cesare Orlandi, Pierino Puppo, Sante Quaglia, Ilvano Tomà, Bruno Scattina (va detto che dai loro racconti emergono ulteriori figure, alcune delle quali hanno combattuto in altre regioni, come quella di Gianni Bocchi, Medaglia d’argento al VM, Sergio Conti e Camillo Risi o, addirittura, in altre nazioni, come Pierino Baldassari). Si ricordi infine che appartiene al Comune di Vezzano anche il gruppo valeranese, con Amelio Guerrieri, Medaglia d’argento al VM, Origliano Montefiori, Nello Sani (quest’ultimo morto nel corso del rastrellamento del 20 gennaio 1945), gruppo cui il libro di Anna Valle fa cenni.
10 Numerose testimonianze sul 7 dicembre, o comunque su date collegate ad esso, riguardanti vezzanesi, sono ritrovabili nel libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., che, a sua volta, attinge in parte anche dal “Numero Unico ‘Circolo Culturale 7 dicembre’”, 1974, o da altri scritti. Tra i ricordi quelli di Giovanni Andreani, Edilio Conti, Rinaldo Basini, Attilio Battolini Emilio Ferdeghini, Alessandro Grossi, Riccardo Ferti, Piero Orlandi, Ilvano Tomà, Piero Puppo, Erio Portonato. C’è inoltre la testimonianza di Giuseppina Cogliolo “Fiamma”, che non è vezzanese ma che conosce Enrico Bucchioni in circostanze per lei drammatiche: ferita, ma scampata al rastrellamento della Brigata “Muccini” del 29 novembre 1944, arriva fortunosamente a Fornola, dove operano le SAP. Accompagnata a Vezzano Ligure, viene affidata a Enrico Bucchioni e accolta premurosamente dalla madre di lui. Collocata, in via provvisoria, dentro una casa disabitata, in fondo al paese, si sveglia il mattino dopo, quando una donna le dice di scappare, informandola che è stato catturato Enrico Bucchioni, con altri. Proprio Enrico era riuscito a farla avvisare, ed è, quindi, grazie a lui, che “Fiamma” può allontanarsi, mettendosi in salvo.
11 Tra i principali informatori di essi è, sicuramente, don Emilio Ambrosi, processato per questo motivo nel Dopoguerra, condannato a morte, commutati in 30 anni di reclusione, e morto poi in carcere nel corso del 1946. Il comportamento di don Ambrosi è, insomma, completamente diverso da quello di numerosi sacerdoti spezzini, i quali si dimostrarono veri “pastori del popolo”, patendo anche il carcere (v. per un approfondimento il rastrellamento di Migliarina del 21 novembre 1944). Per non parlare di chi fu ucciso (don Emanuele Toso e don Giovanni Battista Bobbio). Per ulteriori notizie sui sacerdoti spezzini, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/07/Scarpato-Mario-don-largo.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello). Tra i segnalati, si salva un ragazzo perché risparmiato dal soldato (polacco) che lo ha fermato. Dice Giovanni Andreani, il quale, in quella tragica giornata, riuscì a nascondersi: “Nel nascondiglio dove restai per diverse ore potei assistere anche a un fatto che mi colpì profondamente. Vidi un polacco che accompagnava un giovane vezzanese, Giuseppe Dalle Lucche, detto Pino; essi percorrevano la via Verdi quando, giunti all’altezza della ‘cabina’, il milite fece nascondere il giovane, poi fermò una pattuglia tedesca, impedendo così che il Dalle Lucche fosse visto, quindi si presentò a mia madre invitandola a nascondere il ragazzo per salvarlo dalle ire nazifasciste. Le fece capire che ‘Pino’ assomigliava a un suo fratello trucidato in Polonia dalle forze tedesche.” Sempre Giovanni Andreani, aggiungendo di avere notato come quel soldato polacco fosse dotato di una mappa “Dove erano segnate in rosso le case di alcuni partigiani vezzanesi”, conferma il fatto che il rastrellamento aveva degli obiettivi precisi e precedentemente segnalati (“7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure”, cit.).
12 La vicenda della data differita è ricostruita articolatamente in Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.
13 Scrive Maurizio Fiorillo nella Scheda già citata che il reparto tedesco non è stato identificato; quanto ai fascisti italiani, afferma Fiorillo, prendono parte al rastrellamento reparti della Divisione “Monterosa” della RSI e della spezzina Brigata Nera “Tullio Bertoni”.
14 Per Aurelio Gallo, fascista al servizio dei tedeschi, e per il carcere dell’ex XXI, luogo spezzino in cui egli interrogava e seviziava i prigionieri, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/XXI-Reggimento-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello). Aurelio Gallo viene processato (non solo per i fatti di Vezzano ma per molti altri gravissimi episodi) dalla Corte d’Assise straordinaria, alla Spezia, nel Dopoguerra. Condannato a morte, è ucciso a Forte Bastia (Vezzano Ligure) il 5 marzo 1947. Tra i torturatori del carcere vanno annoverati, in ordine alfabetico, Emilio Battisti, Aldo Capitani, Matteo Guerra, Michele Morelli, Ennio Viviani. Tra gli aguzzini, molti detenuti ricordano anche don Rinaldo Stretti. Subirono la pena di morte, fucilati insieme ad Aurelio Gallo, solo Emilio Battisti e Michele Morelli. A proposito delle torture inflitte e delle vicende processuali, v. l’articolo di Giorgio Pagano “I ribelli della Lunigiana e Aurelio Gallo, il torturatore” (22-4-2019) in “Città della Spezia”, giornale on line, https://www.cittadellaspezia.com/2019/04/22/i-ribelli-della-lunigiana-e-aurelio-gallo-il-torturatore-284477/
15 Si tratta quindi di due vittime civili che però la comunità vezzanese ha sentito di ascrivere alla Resistenza locale.
16 Laura Lotti in “Attilio e gli altri”, cit., dedicato ad Attilio Battolini, che il 7 dicembre è appena rientrato da una missione a Vezzola (Zignago) presso il Comandante Mario Fontana, dice, a proposito del 7 dicembre 1944: “Attilio è preoccupato perché ha cose murate. Egli cade con molti amici e compagni nella morsa tedesca che quella notte chiude tutte le strade di uscita dal paese. Contadini, operai appena usciti di casa sono fermati ed inviati nella piazza della chiesa. Non c’è possibilità di fuga. Tra i primi ad essere arrestati sono Pietro Andreani, vecchio comunista e presidente del CLN. Arrivano contemporaneamente nel piazzale davanti a villa Centi Attilio Battolini, la famiglia Ferdeghini composta da Luigi e dai suoi figli Emilio e Francesco, Rinaldo Basini, a cui si aggiungono Piero Orlandi, Vittorio Lumachelli, Edilio Conti, Rino Andreani, Luigi Cozzani e molti altri… I segnalati, circa 90 persone delle 300 fermate, sono raccolti in un recinto di tavole situato sotto villa Centi.” Le cose “murate” sono, evidentemente, documenti clandestini.
17 Il giorno prima, 2 febbraio 1945, c’era stato, a Vezzano, uno scontro tra una squadra di partigiani scesa al piano per approvvigionamenti, e alcuni fascisti, nel corso del quale furono feriti 4 partigiani (di cui due vennero portati via dai compagni; gli altri due, non individuati sul momento, rimasero lì: uno, Annibale Giansoldati, morì poche ore dopo, ed uno, Aldo Comis, ferito, ma in grado di muoversi, si salvò portandosi verso Fornola, dove fu soccorso da una famiglia. Per i fascisti ci furono un morto e un ferito, probabilmente provocati dall’avere fatto esplodere essi stessi, malamente, una bomba.
19 La sequenza dei fatti del 7 dicembre 1944 e di quelli, ad essi collegati, del 2-3 febbraio 1945, è ricostruita da Maurizio Fiorillo nelle Schede citate.
20 “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.
21 Ad esempio, per scambi tra fascisti e/o tedeschi catturati dai partigiani ed elementi della Resistenza.
22 La lettura di alcuni biglietti scritti da Enrico Bucchioni in carcere, rivolti ai familiari, lascia intravedere in lui qualche speranza di poter sfuggire al duro destino che lo attende (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., pp. 64-72). Sempre dalle testimonianze sembra invece potersi ricavare la certezza, più volte espressa da Pietro Andreani, riguardo a sé, che morirà (v. dopo).
23 Citato anche nel libro di Antonio Bianchi “Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana”, Editori Riuniti, 1975, p. 111, come attivo propagandista del Partito Comunista.
24 Sul carcere e su quanto avveniva tra le sue mura esistono molte testimonianze. Tra esse, v. “Ricordi di un luogo di tortura” di Attilio Battolini, “La Spezia. Rivista del Comune”, ristampa del n.4-6, luglio-dicembre 1955 (anche Attilio Battolini subì percosse e torture). Presta cure a Battolini Emilio Ferdeghini (v. la sua testimonianza nel libro di Laura Lotti “Attilio e gli altri”, cit., p. 200).
25 V. ad esempio, tra le altre, quella di Emilio Ferdeghini nel libro di Laura Lotti “Attilio e gli altri”, cit., p. 201. Il comportamento di Andreani è sempre molto coraggioso, anche se “Tutte le sere veniva prelevato e torturato così ferocemente che non riusciva più a parlare”.
26 Ilvano Tomà, catturato il 7 dicembre e portato in carcere con gli altri vezzanesi, dichiara che una sera, mentre era interrogato, vide in un angolo della stanza il corpo sanguinante e riverso sul pavimento di Andreani. Probabilmente, come osserva Anna Valle, Tomà svenne, ritrovandosi poi nella stessa cella di Andreani che lo compianse dicendo appunto, in dialetto, allo stesso Tomà: “Povro fanto, guarda cosa i t’an fato”. Tomà rimase con Andreani qualche tempo, ma una sera, sempre Andreani, tornando da un interrogatorio, gli comunicò che era successo qualcosa a Vezzano, aggiungendo “Mi fucileranno e fucileranno anche te”, consigliandogli per il mattino dopo, quando sarebbe stata detta la Messa, di non rientrare nella sua stessa cella. Tomà fece così, rientrò, ma in un’altra cella, salvandosi, così egli sostiene, dalla fucilazione (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p. 63).
27 Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p.85.
28 Natale (Francesco) scampa in modo del tutto fortuito al rastrellamento del 7 dicembre 1944.
29 Pierino Bucchioni, rastrellato il 7 dicembre, imprigionato, segue, come molti compaesani, la via della deportazione, rimanendo bloccato (come altri) nel campo di Gries, a Bolzano. Nei giorni della Liberazione, muore tragicamente, travolto da un camion di tedeschi in fuga.
30 Il parroco di Vezzano Alto è don Storti, ben diverso dal delatore e connivente fascista don Emilio Ambrosi, parroco di Vezzano Basso. Secondo la testimonianza di Pietro Bernardi, riportata da Anna Valle in “Una storia nostra”, cit., p. 22, Enrico Bucchioni, prima di essere fucilato, avrebbe chiesto al parroco di Vezzano Basso di essere comunicato, e ciò gli sarebbe stato negato.
31 Basini, arrestato il 7 dicembre, imprigionato, viene avviato alla deportazione, ma, a causa dei bombardamenti, come altri vezzanesi, viene fermato a Bolzano e, in questo modo, si salvò.
32 Risulta da più fonti che il carcere dell’ex XXI, dopo la Liberazione, presentò, agli occhi di chi vi entrava, molti disegni sulle pareti. Tra essi, Sante Quaglia dice di avere ravvisato un disegno di Vezzano visto dal fiume, una Madonna, la chiesa di Vezzano Basso, riconoscendovi, senza dubbio, la mano di Enrico Bucchioni. La tinta dei disegni, bruno rossastra, per come è stata descritta, farebbe presupporre in essi la presenza di sangue (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p. 73). Il carcere, situato nell’attuale via Aldo Ferrari, è stato abbattuto negli anni Settanta del Novecento: al posto di esso sorge oggi il complesso scolastico del “2 giugno”.
33 Probabilmente Enrico ritiene Pierino più al sicuro lontano dalle grinfie dei carcerieri fascisti spezzini rispetto a quanto può accadere a lui che, ormai, sente la morte appressarsi sempre più.
35 Esempio di ciò sono le due Schede curate da Maurizio Fiorillo.
36 L’appuntamento è di pomeriggio, il 10 novembre 2023. Nadia è figlia di Emilio Ferdeghini “Lio”. Ho potuto mettermi in contatto con lei grazie a Oretta Jacopini, dell’ANPI-La Spezia.
37 Nell’opuscolo “7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure”, cit., Giovanni Andreani parla per quella giornata di pioggia e freddo intenso.
38 Una foto della casupola, in tempi in cui era ancora visibile nelle sue linee fondamentali, è appesa nella sede ANPI, di cui parlerò dopo. Mi dice Nadia Ferdeghini che nella casupola c’era un piano terra adibito a pollaio e, sopra di esso, un piano per il fieno. Le riunioni del CLN non avvenivano solo in questa sede, ma, per non dare troppo nell’occhio, anche in sedi diverse. E’ bene ricordare che un’altra casupola si trovava nel territorio vezzanese, ben nascosta dentro i boschi del Molinello, nel rigido inverno 1944-1945. La conformazione era identica, un piano terra, dove stavano però le pecore, e un piano sopraelevato, dove Vega Gori “Ivana”, diciottenne, vezzanese di adozione, batté a macchina, per lunghe ore, documenti della Federazione PCI e del CLN provinciali.
39 V. Registro Storico dei partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa https://www.isrlaspezia.it/strumenti/partigiani-e-patrioti-della-iv-zona-operativa-1943-1945/; v. anche la sua Scheda in https://partigianiditalia.cultura.gov.it/persona/?id=5bf7bf164d235218049f219f. Emilio Ferdeghini fu catturato il 7 dicembre 1944. Imprigionato all’ex XXI°, poi a Marassi, quindi a Milano, in un gruppo di 12 vezzanesi, arrivò a Bolzano. Destinato alla deportazione, ormai in treno sulla via di Mauthausen, non vi arrivò a causa dei bombardamenti. Riportato a Bolzano con il fratello, il padre e il cognato Giuseppe Baldassini, venuta la Liberazione, poté rientrare (Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p.56-57).
40 I documenti d’epoca conservati in esso, mi dice Nadia Ferdeghini, provengono da Claudio Bucchioni, figlio di Francesco Bucchioni, e quindi nipote di Enrico, che li ha donati all’ANPI. Di tali documenti, scritti da Enrico Bucchioni, si trova un’analisi accurata nel libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.
41 Questo tipo di documentazione è, a mio parere, assai importante, ed è stata però a lungo trascurata. Essa consente, pur nei limiti delle eventuali e scusabili dimenticanze, di ricostruire, almeno complessivamente, il quadro resistenziale di ogni zona della provincia, perché in tutta la provincia ci furono iniziative fotografiche identiche. Non solo, si dà così un volto a chi non c’è più, ma, poiché spesso, come nel caso di quello di Vezzano, il quadro è suddiviso in settori, si possono individuare le funzioni svolte dai dai vari personaggi.
Il 20 Gennaio 1945 avveniva il rastrellamento nazifascista che può essere correttamente definito come uno dei fatti d’arme più importanti per la Cronologia della IV Zona Operativa.
Il rastrellamento, che spesso le storiografia generale trascura, è in realtà, per molti versi, decisivo riguardo all’evoluzione della guerra in Italia, e quindi la sua rilevanza va ben oltre il territorio spezzino.
Riportiamo di seguito un brano tratto da quanto dice Mario Fontana, Comandante della IV Zona Operativa, nella sua “Relazione sull’attività operativa svolta dai reparti della IV Zona dal luglio 1944 al 25 aprile 1945” su tale episodio.
“Questa azione [NdR: cioè il rastrellamento] preparata lungamente ed accuratamente eseguita con enormi forze dotate di moderno materiale da guerra, condotta con decisa volontà di liquidare definitivamente le formazioni patriote della IV Zona, costituisce un definitivo ed inglorioso scacco di tutte le speranze fasciste. Sono 20.000 uomini stupendamente armati che vengono irreparabilmente gettati sulle posizioni di partenza da 2.000 patrioti che oltre al loro coraggio, alla loro fede, al loro spirito di sacrificio, al desiderio di immolarsi per i principi della libertà non avevano che armi portatili individuali, talune delle quali, come lo Sten, li obbligavano a buttarsi sotto per poterle usare.”
Insomma, la superiorità tecnica nazifascista non poté nulla contro un movimento partigiano che, attraverso tappe non facili e non sempre lineari, aveva però maturato una consapevolezza con la quale si era mostrato in grado di fronteggiare un nemico tanto più potente.
Note
Erroneamente il rastrellamento del 20 gennaio 1945 è anche conosciuto con la denominazione di “battaglia del Monte Gottero”, sebbene sul monte non si sia svolta una vera e propria battaglia, ma esso sia stato invece teatro di un epico ed estenuante “sganciamento” da parte dei reparti partigiani che, dopo avere retto il primo urto del nemico, riuscirono in questo modo a salvarsi.
Le pagine seguenti sono state scritte, rielaborando fondamentalmente le schede, curate da Valerio Martone, su Via XX gennaio 1945 e Via Monte Gottero
20 Gennaio 1945
La cartina riportata rende bene la manovra a tenaglia che le forze nazi-fasciste mettono in atto a partire dal 20 gennaio 1945 per sconfiggere in modo definitivo i partigiani della IV Zona Operativa. Il tentativo è quello di eliminare il secondo polmone della Resistenza alle spalle della Linea Gotica, dopo aver distrutto alla fine di novembre 1944 la Divisione Garibaldi Lunense e ridimensionato la Brigata d’assalto Garibaldi “U. Muccini” in val d’Aulella. Non a caso proprio il 25 gennaio 1945 c’è la visita di Mussolini a Pontremoli, Aulla e Mocrone.
In realtà quella che avrebbe potuto essere per i Resistenti una vera e propria catastrofe, si rivela, nonostante le numerose e dolorose perdite subite, l’occasione in cui essi dimostrano una capacità di organizzazione molto più alta rispetto a quella messa in campo nei rastrellamenti precedenti. Alla fine di gennaio saranno perciò i nazifascisti, molto superiori per numero ed armi, a ritirarsi, senza avere raggiunto gli obiettivi prefissati.
Antefatti
Già il 29 dicembre 1944 reparti fascisti della Monterosa occupano l’area di Varese Ligure, isolando le formazioni della IV Zona da Genova e il giorno dopo reparti nazi-fascisti si dirigono in Val di Taro, isolando da nord i partigiani. Ulteriori arrivi di truppe nemiche sono segnalati a Pontremoli e a Borghetto Vara dal 15 al 18 gennaio 1945.
Il meteo
Meteo: Il 20 gennaio 1945 il tempo è sereno, il 21 il tempo è sereno; il 22 cade nuovamente la neve, il 23 e 24 il cielo si fa variabile, mentre fra 25 e 27 il tempo ritorna sereno.
Brigate partigiane, rastrellamento e Monte Gottero
L’ormai atteso (il SIM partigiano -Servizio Informazione Militare- ha tempestivamente segnalato l’azione nemica) e temuto rastrellamento, che qualche Resistente ha definito come “i giorni dell’ira”, scatta fra 20 e 25 gennaio 1945.
Il piano del Comando tedesco si propone di accerchiare tutta la zona e rastrellarla completamente: prendono parte ad esso la IV Divisione di Fanteria della Wehrmacht, reparti di Alpenjaeger, di Gebirgjager, la divisione Turkestan composta da mercenari tatari, Alpini della Divisione Monterosa, Bersaglieri della Divisione Italia, Brigate Nere della Spezia, Carrara, Chiavari, la X Flottiglia Mas, i reparti ANTISOM, per un complesso di 25 mila uomini circa.
I partigiani della IV Zona sono circa 2500, dotati di armi leggere, ma impossibilitati a resistere per lungo tempo, anche perché del tutto deficitario è il loro equipaggiamento a livello di vestititi e scarpe: proprio perciò l’ordine è di resistere al primo assalto, per consentire al grosso delle forze di effettuare spostamenti, sganciamenti e occultamenti.
Per tutta la durata del 20 gennaio, con cielo sereno e neve altissima sui crinali appenninici, viene così opposta al nemico una forte resistenza: verso la via Aurelia, a Brugnato, mentre a Serò di Zignago la popolazione locale si mescola addirittura ai partigiani, combattendo con essi e infliggendo perdite serie ai nemici.
Nel settore est i nazifascisti raggiungono Monte Scassella e Varese Ligure, inoltre da Pontremoli giungono a Coloretta, salendo lungo la valle di Zeri, per sorprendere le postazioni a difesa dei contrafforti meridionali del Picchiara, dei Casoni e del Cornoviglio.
Il ripiegamento programmato dei partigiani prevede l’abbandono ordinato di Cornice, Serò, Godano e Calabria e, sopraggiunta la notte, viene attuato il previsto piano di sganciamento, in condizioni climatiche proibitive, segnalate come tali negli annali di meteorologia, per la neve alta e la temperatura bassissima, essendo al contempo necessario lasciare il meno possibile tracce sul manto candido.
La maggior parte della I Divisione “Liguria-Picchiara”, formata dalla Colonna “Giustizia e Libertà” e dalla Brigata garibaldina “Gramsci” (in cui sono confluite le precedenti Brigate “Gramsci”, “Vanni” e “Matteotti-Picelli”, ormai con la denominazione di Battaglioni), compresa la Divisione “Cento Croci”, iniziano a ritirarsi verso il Monte Gottero, anche se nella zona di Cornice e Serò rimangono impegnati tutta la giornata reparti del Battaglione “Vanni”, del “Gramsci”, del “Matteotti Picelli” e una compagnia di “Giustizia e Libertà”.
La Brigata “Gramsci”, che ha sostenuto l’urto tedesco a Bozzolo con il Battaglione “Vanni” di Astorre Tanca, riallineatasi sulla direttrice che va da Serò a Scogna, lasciati due partigiani armati di Bren sul campanile di Scogna, a copertura dei reparti che si stanno avviando verso il Gottero, si concentra all’una di notte a Torpiana per raggiungere, secondo quanto stabilito dal Comando della IV Zona operativa, Fontana Gilente, nell’alto pontremolese.
Lo fa, divisa in due segmenti, l’uno costituito dal Battaglione “Gramsci” e dal Comando di Brigata e l’altro costituito soprattutto da uomini del “Vanni”, seguendo l’itinerario Pignona, Antessio, Chiusola. La marcia continua durante tutta la notte ma, nella giornata del 21, essendo sereno, la lunga linea nera di uomini che si muove verso il Gottero, è individuata dai tedeschi che, però, a causa della distanza, non riescono a far arrivare a segno le raffiche delle armi.
Nonostante il gelo e la neve, alta in alcuni punti anche due metri, i partigiani della Brigata “Gramsci” si portano entro il pomeriggio del 21, sul Gottero, alla cui sommità il termometro segna meno venti gradi (e dove trovano uomini della “Centocroci”, già lì): la Brigata, sempre divisa nei due segmenti sopra individuati, nonostante il manifestarsi di numerosi e gravi casi di congelamento, raggiunge infine Fontana Gilente, non senza ulteriori peripezie come lo scontro con i terribili Mongoli della divisione Turkestan e la cattura di un gruppo di partigiani, riusciti però per la maggior parte a fuggire.
Poiché tuttavia a Fontana Gilente non c’è cibo, viene ordinato ai due segmenti della Brigata “Gramsci” di recarsi alle così dette Cascine di Bassone, sopra Guinadi, alle quali arrivano in modo differito entro la giornata del 23. Le Cascine rappresentano la salvezza: qui i partigiani hanno infatti modo di riposare e mangiare almeno qualche patata che viene bollita nella neve fatta sciogliere. La marcia dei partigiani riprende poi per tutto lo Zerasco, dove la popolazione è terrorizzata dai Mongoli che hanno bruciato Adelano e massacrato dodici partigiani della colonna “Giustizia e Libertà”, fra cui la famiglia Perini, costituita dal padre e due fratelli gemelli. Il giorno dopo i partigiani superano il passo del Rastrello e rientrano su Torpiana.
Il Battaglione “Matteotti-Picelli”, comandato da Nello Quartieri “Italiano”, sempre appartenente alla “Gramsci” e che si è distinto soprattutto a Bergassana, a Godano e Calabria presso Scogna, segue all’incirca lo stesso percorso, rientrando nelle posizioni occupate prima del rastrellamento il 1 febbraio.
Più difficoltoso ed articolato risulta lo sganciamento della Colonna “Giustizia e Libertà”. Quest’ultima, che combatte duramente dalle sue posizioni, solo in parte valica il Gottero perché, nel caso del Battaglione “Val di Vara”, è dislocata troppo lontana da esso. Perciò tale Battaglione, dopo avere combattuto, ripiega, o disperdendosi nei boschi di Calice o oltrepassando di notte il Vara per uscire dalla zona rastrellata, o venendo sorpreso e scontrandosi con la Brigata Nera come succede a Valeriano.
Delle tre compagnie dell’altro Battaglione azionista, lo “Zignago”, solo una esce, non vista, dalla zona rastrellata, mentre le altre due, che il 20 gennaio a Brugnato si battono per oltre cinque ore, in un aspro combattimento portato avanti da Giovanni Pagani e dai suoi uomini, si trovano circondate dalle forze nemiche. Non potendo che ritirarsi, ma trovando ormai occupate dai nemici le vie in quota, i gruppi si disperdono per rifugiarsi in dirupi e anfratti, sul Monte Picchiara e sul Monte Dragnone, dove resistono ai limiti della sopravvivenza. In questo quadro vengono catturati sul Dragnone gli appartenenti alla Colonna “Giustizia e Libertà” Giovanni Pagani, Ezio Grandis e Giuseppe Da Pozzo, con 8 compagni.
Anche la Divisione “Cento Croci” tenta fra 20 e 21 lo sganciamento attraverso il Gottero, raggiunge, con parecchie perdite di uomini e materiali la cima del monte la sera del 21 gennaio, per poi ridiscendere verso la Val di Taro: la sera del 23 gennaio, 17 partigiani di essa, compresi il Comandante Richetto e il Commissario politico Benedetto, vengono catturati dai tedeschi, anche se, successivamente, il Commissario Benedetto, grazie ad uno scambio di prigionieri, tornerà libero insieme ad alcuni compagni, e Richetto riuscirà a scappare.
Il Maggiore inglese Gordon Lett e i paracadutisti della “Forza Speciale”, non avendo avuto collegamenti e notizie certe nell’ultimo periodo prima del rastrellamento, sono colti di sorpresa. Una parte dei paracadutisti, che si trovano a Coloretta, raggiungono le falde del Gottero passando a nord di Sesta Godano. Gordon Lett, con altri paracadutisti e una parte di uomini del Battaglione “Internazionale”, si trova nei pressi di Arzelato: da qui scende a Chiesa di Rossano, sale sul Picchiara e quindi sul Gottero. Rientrerà a Rossano attraverso Torpiana, Serò e Calice.
La “Brigata Costiera”, che ha come area di riferimento la fascia a mare, ma che, proprio nei giorni in cui inizia il rastrellamento, sta ristrutturandosi per integrarsi con il Battaglione Pontremolese nello Zerasco, è in parte a Sasseta di Zignago. Gli uomini che lì si trovano seguono perciò le sorti dei reparti garibaldini che vanno verso il Gottero.
I rastrellatori nazi-fascisti si ritirano fra 25 e 31 gennaio ed entro i primi giorni di febbraio 1945, dunque, i reparti partigiani, rientrano nelle rispettive posizioni. I morti partigiani sono stati circa 50 e circa 40 i prigionieri. Moltissimi uomini presentano congelamenti, più o meno gravi, agli arti inferiori, privi come sono delle calzature adatte. I reparti hanno subito colpi ma non si è verificato uno sbandamento generale, e questo grazie alla maggiore efficienza complessiva assunta dai partigiani, ma anche grazie alla popolazione civile che, quando e appena ha potuto, ha protetto, accolto e sfamato, con quel poco che c’è, i “ribelli”.
Il 27 agosto 1944, il partigiano Nello Olivieri, originario di Mocrone, in Lunigiana, viene ucciso nei boschi nella Valsesia. La sua morte, però, è ancora avvolta nel mistero.
A quasi ottant’anni di distanza, lo scrittore Ivan Campagnolo, di Borgosesia, ripercorre tutta la storia del partigiano lunigianese, cui è dedicata la Scuola elementare di Rebocco e, partendo dai comunicati ufficiali, dalle testimonianze raccolte negli anni dai vari sopravvissuti, da sopralluoghi sul campo, ricostruisce le ultime ore di questo valoroso comandante partigiano.
L’evento è organizzato dall’Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea – Fondazione ETS in collaborazione con il Comune della Spezia.
Dialogherà con l’autore la giornalista Annalisa Coviello.
L’incontro sarà trasmesso in diretta streaming sui canali social dell’Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea.