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Una giornata particolare: 26 marzo 1944, la Missione Ginny II si conclude tragicamente

Pillole di storia: domande e risposte per “rispolverare” un avvenimento tragico
English version here

Il 26 marzo 1944 i tedeschi fucilarono ad Ameglia (La Spezia)1 15 soldati statunitensi catturati nel corso di una missione di guerra.

Dopo 80 anni dall’eccidio ricordiamo brevemente l’episodio2, traducendo il testo, in omaggio alle vittime, anche in lingua inglese.

I soldati statunitensi erano3:

  • Vincent Russo, di 28 anni, tenente US Army
  • Paul J. Traficante, di 26 anni, tenente US Army
  • Alfred L. De Flumeri, di 33 anni, sergente US Army
  • Liberty J. Tremonte, di 24 anni, caporale tecnico US Army
  • Joseph M. Farrell, di 22 anni, caporale tecnico US Army
  • Salvatore DiSclafani, di 28 anni, caporale tecnico US Army
  • Angelo Sirico, di 23 anni, caporale tecnico US Army
  • Thomas N. Savino, di 29 anni, caporale tecnico US Army
  • John J. Leone, di 22 anni, caporale tecnico US Army
  • Joseph A. Libardi, caporale tecnico US Army
  • Livio Visceli, di 28 anni, sergente tecnico US Army
  • Dominick Mauro, di 27 anni, sergente US Army
  • Joseph Noia, di 25 anni, sergente US Army
  • Rosario Squatrito, di 22 anni, caporale tecnico US Army
  • Santoro Calcara, di 24 anni, caporale tecnico US Army.

Come si chiamava la missione di guerra di cui i soldati erano stati incaricati, quando avvenne, da chi ebbero tale compito?

La missione si chiamava “Ginny II4, avvenne in data 22 marzo 1944, su ordine dell’OSS5.

A quale reparto appartenevano i soldati statunitensi? Erano riconoscibili come soldati? Qual era il compito della loro missione?

I componenti del Commando appartenevano tutti all’US Army OSS 2677 Special Reconnaissance Regiment (Company D), vestivano tutti l’uniforme e dovevano interrompere, tra Bonassola e Framura, la linea ferroviaria, strategica per le comunicazioni tedesche e per i rifornimenti alla Linea Gustav.

Quando e con quale mezzo arrivarono? Come era stato programmato il loro arrivo e il loro rientro?

Arrivarono dalla Corsica, a bordo di motosiluranti6, nella notte del 22 marzo 1944, e, tramite tre gommoni, sbarcarono sulla spiaggia, tra Bonassola e Framura; dopo il sabotaggio, per il ritorno, da attuare sempre a bordo dei gommoni, sarebbero stati attesi dalle stesse motosiluranti.

Che cosa successe realmente?

Il punto di sbarco risultò diverso da quello previsto, e molto lontano dal punto del sabotaggio, i contatti “in loco” non si attivarono subito, le motosiluranti, che avrebbero dovuto all’occorrenza recuperare i soldati, non poterono farlo per sopravvenute difficoltà, ed essi dovettero nascondere, con problemi, tutto il loro materiale, compresi i gommoni, trovare un rifugio e, poiché non era previsto che rimanessero lì, cercare anche del cibo. Un ragazzo del luogo li aiutò ma, purtroppo, un altro abitante avvertì il posto di guardia fascista e i 15 militari statunitensi vennero fatti prigionieri.

Questo successe il 24 marzo 1944.

lapide in loc. Punta Bianca

Che cosa accadde nell’intervallo di tempo tra la loro cattura e la fucilazione?

Brevemente interrogati a Bonassola, furono poi portati alla Spezia, dove subirono veri e propri interrogatori da parte di ufficiali tedeschi che sapevano la lingua inglese. Ciò avvenne a Carozzo, presso il Comando della 135° Brigata da Fortezza agli ordini del Colonnello Kurt Almers. Egli trasmise la notizia al suo superiore generale Anton Dostler del LXXV Corpo d’Armata. Dostler informò, a sua volta, il Comandante supremo tedesco in Italia, Feldmaresciallo Albert von Kesselring, ricevendo, secondo la testimonianza resa successivamente dallo stesso Dostler, l’ordine di fucilarli, sulla base dell’ordine del Führer per l’eliminazione dei Commando catturati dietro le linee. E così accadde, sebbene Kurt Almers avesse tentato, in data 25 marzo 1944, di far annullare a Dostler l’ordine di esecuzione.

Quando e dove avvenne la loro fucilazione?

I 15 militari statunitensi furono portati ad Ameglia, dove vennero fucilati in località Punta Bianca, all’alba di domenica 26 marzo 1944, senza alcun processo, forse alla presenza della popolazione, e poi sepolti in località isolata di quel territorio.

Dopo la guerra, qualcuno ha pagato per la loro morte?

Il Generale Anton Dostler fu processato a Caserta7 da un tribunale alleato per crimini di guerra e condannato a morte, sentenza eseguita mediante fucilazione ad Aversa il 1° dicembre 1945. Non fu possibile, in quel contesto, dimostrare la responsabilità di Albert von Kesselring riguardo ai fatti, sebbene, all’epoca di essi, egli si trovasse, come accertato in seguito, addirittura in Liguria.8

Il generale Dostler con il suo interprete Albert O. Hirschman durante un’udienza del processo.

Note

1 Nel Comune di Ameglia esistono più targhe in memoria della fucilazione (luogo), del loro seppellimento (luogo) e una in ricordo dell’episodio (con tutti i nomi dei 15 soldati).

2 Numerosi sono coloro che si sono interessati all’eccidio nel corso degli anni. Tra essi, Maurizio Fiorillo, che compila la scheda “Episodio di Punta Bianca, Ameglia”; Giorgio Pagano, che scrive in data 3 aprile 2022 “Dalla Corsica a Punta Bianca. Il viaggio senza ritorno di 15 giovani” e “Kesserling e le menzogne sull’episodio degli americani a Punta Bianca” in “Ameglia informa”, maggio 2022 e seg..
Sia Maurizio Fiorillo che Giorgio Pagano indicano numerose fonti di appoggio.
Molto articolata e documentata, riguardo allo svolgersi della missione, cattura dei soldati, loro fucilazione e processo relativo alla loro uccisione, è anche la voce relativa su Wikipedia.

3 L’elenco è stato trascritto integralmente dalla Scheda di Maurizio Fiorillo (V. Nota 2).

4 L’impresa era stata già tentata, ma inutilmente, nella notte tra 27 e 28 febbraio 1944 (Missione “Ginny I”).

5 Office of Strategic Services.

6 PT 214 e PT 210

7 Il processo a Dostler viene ritenuto, giuridicamente, l’apripista per il processo di Norimberga.

8 Giorgio Pagano, riprendendo il libro di Sandro Antonini “Generali e burocrati nazisti in Italia:1943-1945” e il saggio “Kesserling, via Rasella e la ‘missione Ginny’” dello storico statunitense Richard Raiben, scrive un articolo sul fatto che, proprio nei giorni della strage, Kesserling era in Italia, anzi in Liguria, e il 24 marzo 1944, alle 10,45 alla Spezia.


It was the day of March 26th, 1944

(Translated by Tamara Corning and Valerio Martone)

Snippets of history: a few questions and answers to remember a tragic event.

On March 26th, 1944 German soldiers executed 15 American soldiers by firing squad after they were captured during a war mission.

Eighty years after the massacre, we revisit the episode and include the text in English as a tribute to the victims.

The American soldiers were:

  • Vincent Russo, 28 years old, Lieutenant of the US Army
  • Paul J. Traficante, 26 years old, Lieutenant of the US Army
  • Alfred L. De Flumeri, 33 years old, Sergeant of the US Army
  • Liberty J. Tremonte, 24 years old, Tech Corporal of the US Army
  • Joseph M. Farrell, 22 years old, Tech Corporal of the US Army
  • Salvatore DiSclafani, 28 years old, Tech Corporal of the US Army
  • Angelo Sirico, 23 years old, Tech Corporal of the US Army
  • Thomas N. Savino, 29 years old, Tech Corporal of the US Army
  • John J. Leone, 22 years old, Tech Corporal of the US Army
  • Joseph A. Libardi, Tech Corporal of the US Army
  • Livio Visceli, 28 years old, Tech Corporal of the US Army
  • Dominick Mauro, 27 years old, Sergeant of the US Army
  • Joseph Noia, 25 years old, Sergeant of the US Army
  • Rosario Squatrito, 22 years old, Tech Corporal of the US Army
  • Santoro Calcara, 24 years old, Tech Corporal of the US Army.

What was the name of the war mission to which the soldiers were entrusted? When did it happen? Who gave them this duty?

The mission was called “Ginny II”. It occurred on March 22nd, 1944 under the OSS orders.

What was the military unit of the American soldiers? Were they recognizable as soldiers? What was the final goal of their mission?

All the men of the commando were part of the US Army OSS 2677 Special Reconnaissance Regiment (Company D). All of them wore a military uniform. Their final goal was to blow up the railway line between Bonassola and Framura, which was strategic for both German communications and their supply lines that reinforced the Gustav line.

When and how did they arrive? How was their arrival and return planned?

They arrived from Corsica during the night of March 22nd, 1944, using PT boats. They landed on the beach between Bonassola and Framura using three rubber dinghy boats. After the sabotage, the plan was to use the same means of transport to return.

What actually happened?

They landed in a different place than they had intended to, which was very far from the point of the sabotage. Due to this error, the local contacts did not come to action immediatly. Causing further complications, the PT boats, which the soldiers should have used for their return, couldn’t recover them because of unexpected difficulties. At this point, the American soldiers weren’t where they were supposed to be, so they had to hide all their equipment and find refuge and food. They found help from a local boy, but unfortunately another local inhabitant notified their presence to the local fascist guard post and the 15 American soldiers were taken as prisoners. All of this happened on March 24th, 1944.

What happended in the time between being captured and their executed by firing squad?

After being briefly questioned in Bonassola, they were brought to La Spezia, where they were interrogated by English speaking German officers. This took place in Carozzo, at the command post of the 135th Fortress Brigade, under the command of Colonel Kurt Almers. Almers informed his superior in command, the General of the LXXV army corps, Anton Dostler who in turn informed the supreme German commander in Italy, General Field Marshal Albert von Kesserling. According to the testimony later released by Dostler himself, it was von Kesserling who gave the execution orders, as ordered by the Führer himself for the enemy commandoes caughts behind the lines. Despite the efforts of Kurt Almers to cancel the execution orders on March 25th, 1944, it became a reality.

When and where they were executed?

The 15 American soldiers were brought to Ameglia, where they were executed by firing squad near Punta Bianca, at dawn on Sunday, March 26th, 1944, without a trial, perhaps in the presence of the local citizens, and then buried in an isolated location in the area.

After the war, did anybody pay for their death?

General Anton Dostler was tried in an Allied war trial in Caserta for war crimes and sentenced to death. The sentence was carried out by firing squad in Aversa, on December 1st, 1945. Despite the fact that it was later verified he was in Liguria at the time everything happened, in 1945 it was not possible for the courts to prove any responsibility on the part of Albert von Kesserling.

Note: see the original text in Italian for the bibliography.

Una giornata particolare: 8 marzo. “La Resistenza la fanno le donne”, come affermò Arrigo Boldrini (Bulow)

Premessa a cura di Patrizia Gallotti e Maria Cristina Mirabello

Abbiamo più volte ricordato come la Resistenza sia il momento in cui le donne italiane rivelano un protagonismo prima sconosciuto, sebbene luminosi esempi femminili siano ravvisabili anche anteriormente, a livello di lotta per l’emancipazione, per la giustizia, per la libertà.

Senza soffermarci sulla storia generale delle donne italiane, basti ricordare che, nel corso del Ventennio fascista, non tutte le donne chinarono il capo, anzi, molte conobbero la persecuzione politica, la vigilanza continua, l’esilio, il confino, la prigione, incorrendo anche nelle condanne del Tribunale Speciale, e/o furono oggetto di vessazioni, semplicemente perché amiche o familiari di antifascisti.

Sicuramente è però il momento resistenziale a svelare, con più nettezza, il protagonismo femminile, sia a livello di lotta armata che di rete civile clandestina: portaordini, staffette, dattilografe, travestitrici di soldati sbandati nel dramma dell’8 settembre, coadiuvanti di una scelta che implicava, comunque, anche semplicemente proteggendo con il silenzio chi effettivamente cospirava, grossi rischi.

La loro funzione è riconosciuta chiaramente da Antonio Borgatti “Silvio”, membro comunista del CLNp, in molte delle sue Relazioni, nonché nel suo libro, postumo, pubblicato nel 2022, tanto che, tra febbraio e marzo 1945, essendo colpita la rete clandestina da vere e proprie ondate di arresti, egli dice chiaramente che, ormai, può fidare solo sulle donne, meno individuabili sicuramente degli uomini.

Non si può comunque dimenticare che proprio queste ultime furono, in un certo senso, le vere volontarie della libertà, non essendo colpite dai bandi forzati di chiamata alle armi della RSI, ma compiendo dunque una scelta che potevano risparmiarsi, e che, per il genere femminile, si rivelava, in quel contesto, inusuale, oltremodo difficile e pericolosa.

In occasione dell’8 marzo 2024, pensiamo, ripubblicando di seguito la scheda sui Gruppi Difesa della Donna, di rendere un argomentato omaggio a tante donne che hanno fatto la Resistenza spezzina, mettendo direttamente a disposizione del grande pubblico un importante contenuto degli Strumenti, il Lessico della Resistenza spezzina.

Vogliamo infine anche ricordare che, proprio negli scioperi del 1-3 marzo 1944, fu rilevante il protagonismo femminile, sia dei GDD, che di singole donne, ad esempio di Elvira Fidolfi, operaia dello Jutificio Montecatini: faceva parte del gruppo organizzatore della protesta, venne arrestata con la sorella Dora e deportata, non tornando più dal campo di concentramento.

Foto di copertina tratta dall’archivio della rivista Noi Donne.

G.D.D. Gruppi Difesa della Donna

A cura di Maria Cristina Mirabello

Nel novembre 1943 si incontrano a Milano le comuniste Rina Picolato, Giovanna Barcellona e Lina Fibbi, l’azionista Ada Gobetti e la socialista Lina Merlin per costituire un’Associazione di donne che assista i combattenti per la libertà e sia aperta a tutte le donne intenzionate a lottare per la loro emancipazione, indipendentemente dalla propria fede religiosa o politica. A questo primo nucleo si aggiungono poi anche donne democristiane e il 10 luglio 1944 i Gruppi Difesa della Donna sono riconosciuti ufficialmente dal CLNAI come proprio organo.

I Gruppi Difesa della Donna affiancano quindi la Resistenza su molteplici piani: organizzano infatti scioperi contri i nazifascisti; creano una rete di assistenza solidale alle famiglie dei deportati, incarcerati e caduti; organizzano le proteste contro il caro-vita; propagandano la resistenza ai nazi-fascisti contribuendo a ciò nella vita quotidiana e nelle fabbriche ( per il sabotaggio della produzione di guerra), nelle scuole, nelle campagne (per boicottare la consegna di viveri all’ammasso); si dedicano all’assistenza sanitaria, alla stampa (abbiamo in tale ambito i giornali “La compagna”, “La difesa della donna lavoratrice”, mentre di ispirazione cattolica è “La Fiamma”)[1].

IV Zona Operativa
Va detto innanzitutto che i Gruppi Difesa della Donna si presentano in genere in Liguria come un fenomeno fondamentalmente urbano ma che nel territorio spezzino[2] vedono un radicamento nelle campagne, specie arcolane e sarzanesi.

Per quanto si può capire e ricavare dai documenti di Archivio (scarsi) coevi e dalle testimonianze posteriori si ha un continuo interscambio fra S.A.P., Gruppi Difesa della Donna e Fronte della Gioventù. In un certo senso è come se chi agiva in quel momento avesse di sé l’idea di operare in qualità di appartenente ai Gruppi Difesa della Donna e/o al Fronte della Gioventù, essendo però inquadrato burocraticamente “a posteriori” nei Battaglioni S.A.P. Questa importante notazione esce fuori anche dalla lucidissima e organica testimonianza resa da Anna Maria Vignolini la quale parla, a proposito delle organizzazioni dell’epoca, di un lavoro “artigianale”, cioè poco formalizzato, in cui sicuramente c’erano alcuni elementi-snodo, a conoscenza della rete cospirativa nel suo complesso, ma la maggior parte dei componenti sapeva solo un “segmento” delle strutture, accadimenti e decisioni[3].

E’ indubbio che alcune zone della Provincia presentino nel corso della Resistenza gruppi di donne particolarmente attive, come si può dedurre e dalle testimonianze citate nelle Fonti e da documenti trasmessi. Alla fine di dicembre 1943 esce, ad esempio, in tutta la Val di Magra un lungo volantino in cui sono ripresi articoli de “l’Unità”.

Ad Arcola, da cui proviene Elvira Fidolfi, animatrice insieme alla sorella Dora dello sciopero del 1944 allo Jutificio Montecatini[4], esiste un gruppo particolarmente combattivo di donne, alcune delle quali molto giovani: fra esse si distinguono Laura De Fraia “Franca”, Mimma Rolla “Aura”, Iva Rolla (madre di Mimma), tutte riconosciute nel Battaglione S.A.P. II Zona. Con loro è Paola Toffi (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. II Zona) addetta alla stampa e propaganda (in contatto con Antonio Borgatti “Silvio”, segretario della Federazione Comunista, Maria Roffo (riconosciuta nel battaglione S.A.P. II Zona), Jone Nevia Ricco, incaricata di battere a macchina.

Sempre di questo gruppo fa parte Dina Gattoronchieri, che rimarrà poi uccisa. Con tale consistente nucleo entra per un certo periodo in contatto anche Vega Gori “Ivana” di Vezzano Stazione (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. III Zona), la quale lavora come dattilografa della stampa clandestina, dei documenti P.C.I. e C.L.N., a continuo contatto, per questa mansione e per quella di staffetta porta-materiale, con Antonio Borgatti “Silvio”.

Anna Maria Vignolini “Valeria” (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. Ia Zona) muove le fila delle donne di tutta la variegata area che va da Ortonovo, a Sarzana, a Santo Stefano, Lerici, S. Terenzo, Termo, Limone. Melara, fino alla zona del cimitero dei Boschetti alla Spezia.
La sua opera inizia subito dopo l’8 settembre 1943, quando è incaricata di organizzare gruppi femminili per raccogliere denaro e vestiario, onde dare supporto a nuclei partigiani ai monti, gruppi che solo successivamente si chiameranno Gruppi Difesa della Donna. E’ lei che, nel suo operare, incontra tutta una serie di donne: quelle arcolane citate più sopra, specie Laura De Fraia e Mimma Rolla, ma si reca anche molte volte a casa di Vega Gori a Vezzano Stazione per insegnarle, fra l’altro, a scrivere a macchina in grande, tramite l’uso ripetuto delle X, le testate della stampa clandestina.

I compiti svolti dalle donne, deducibili dalla testimonianza di “Valeria” e dalle testimonianze citate nelle Fonti, sono molteplici: da quelli, più legati al ruolo femminile, del lavoro a maglia e del ricamo e cucito per le uniformi partigiane e bandiere a quelli di supporto alla così detta “resistenza civile”, fino a quelli che traguardano livelli di rischio ben più elevati, e comunque più lontani dalla tradizionale immagine femminile: si va così dal fare le scritte sui muri, alla battitura a macchina di documenti delicatissimi del C.L.N. e del P.C.I., della stampa clandestina (specialmente “l’Unità” e “Noi Donne”), al trasporto e diffusione di materiale clandestino (talvolta anche armi), al mantenimento dei contatti fra le varie zone della città, della montagna e, in taluni casi, fuori La Spezia.

Ha compiti di questo tipo ad esempio Rina Gennaro “Anna”[5] (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. IV Zona, v. Fonti): “Anna”, membro per un certo periodo del Comitato federale del P.C.I., funge da staffetta in provincia ma si reca anche a Genova (con lei ha un fitto scambio di materiale alla stazione FF.SS. di Sarzana sempre Anna Maria Vignolini). Tutte le donne nominate ed in genere i Gruppi Difesa della Donna ruotano nell’area del Partito Comunista[6].

Particolarmente rimarchevole è il ruolo dei Gruppi Difesa della Donna nella preparazione e supporto dei grandi scioperi del marzo 1944 che, diretti e voluti dal C.L.N.A.I. si diffondono nel Nord Italia, interessando le industrie spezzine e segnando un punto di svolta notevole a livello di Resistenza (e di repressione di essa).

I Gruppi Difesa della Donna offrono un notevole supporto al grande sciopero delle fabbriche spezzine in generale, sostenendo e partecipando in modo attivo particolarmente alla dura e coraggiosa lotta condotta dalle operaie dello Jutificio “Montecatini”.

E tuttavia le donne dei G.D.D. non operano solo in appoggio ad azioni decise da altri, cioè da organismi esterni rispetto ai Gruppi, ma arrivano anche a promuovere azioni autonome, che le vedono protagoniste a tutti gli effetti della lotta.

Ad Arcola, ad esempio, esse pensano, vogliono e gestiscono in proprio una manifestazione per ottenere derrate alimentari. La protesta si articola in due fasi: la prima, meno partecipata, avviene il 12 febbraio 1945, la seconda, di fronte al Palazzo Comunale, il 15 febbraio 1945: in quest’ultima circa 300 donne, fra arcolane e sfollate, ottengono pieno successo, tanto che riescono pienamente nel loro intento di far distribuire pane e zucchero.

Dalla lettura delle testimonianze e dai documenti d’archivio (pochi) rimasti, si ricava comunque, cosa già detta alla nota 2, ma che è utile sottolineare, un continuo interscambio fra S.A.P., Gruppi Difesa della Donna e Fronte della Gioventù.

Sintesi della conversazione tra M. Cristina Mirabello e Anna Maria Vignolini “Valeria” nella sua casa sarzanese, il giorno 23 novembre 2015. Tale sintesi va vista come integrativa e non sostitutiva delle altre importanti testimonianze da lei rilasciate in passato e citate nelle Fonti.

Anna Maria Vignolini “Valeria”, nata nel 1923, è forse la donna il cui nome ricorre più frequentemente nei documenti di Archivio e nelle pubblicazioni sulla IV Zona Operativa, pur essendosi ella mantenuta piuttosto defilata rispetto alle occasioni pubbliche in cui negli ultimi anni si è parlato di Resistenza, tanto che, ad esempio, è decisamente poco ritrovabile nella Rete e quindi nella comunicazione on line.

La sua importante vicenda resistenziale parte prima del 25 luglio 1943 e matura definitivamente nel contesto dei drammatici fatti dell’8 settembre 1943.

Nata e cresciuta in una famiglia di sentimenti antifascisti, dopo essersi diplomata maestra, lavora immediatamente dopo il diploma al Consorzio Agrario di Sarzana: qui sostituisce un impiegato richiamato al fronte e fratello del suo futuro fidanzato e marito, Turiddo Perugi, che Anna Maria conosce al Consorzio e che sarà, con il nome di battaglia “Rì”, fra i fondatori della Brigata “U. Muccini”. E’ proprio Turiddo che la segnala, come elemento potenzialmente disponibile alla lotta antifascista, ai comunisti sarzanesi, da cui viene progressivamente avvicinata.
Paolino Ranieri ed Anelito Barontini, dirigenti del P.C.I., che hanno già patito il carcere e il confino fascista e che tanta parte avranno nella Resistenza dopo l’8 settembre, tengono con lei illuminanti conversazioni a carattere politico-storico, ad esempio sulle recenti vicende della guerra di Spagna e di Etiopia.

Anna Maria comincia così a leggere “La madre” di Gorki e viene convinta a trascrivere a macchina l’intero testo del “Manifesto del Partito Comunista” di K.Marx e F.Engels, cosa che fa nella pausa pranzo dalle 13 alle 14 o dopo l’orario di lavoro, anche se viene poi scoperta e denunciata da un impiegato.

Quando arriva l’8 settembre 1943, il gruppo sarzanese del P.C.I. è quello più organizzato in provincia per affrontare le drammatiche vicende dell’epoca ed Anna Maria Vignolini, che rimane al Consorzio Agrario fino alla primavera 1944, quando sarà invitata dal Partito a dedicarsi completamente alla lotta resistenziale, è subito investita della responsabilità di coordinare ed organizzare le donne, le quali solo ad un certo punto prendono la denominazione di Gruppi Difesa della Donna.

A Sarzana, già dal dicembre ’43, Anna Maria, cui viene raccomandato di non far conoscere fra loro i gruppi resistenziali, costituiti al massimo da cinque elementi fra loro e di non dire i nomi dei capi partigiani, prende i contatti, presentandosi come comunista, con numerose donne.

Fra esse, innanzitutto, una collega di lavoro al Consorzio, Benita Marchini, quindi con Saura Bertolla, Anna Garbusi, Nella Giannazzi, Maria Guelfi, Iella Cargioli, Anna Merli, Adriana Galletto, Lucetta Posselt con l’obiettivo di svolgere importanti compiti giornalieri, quali la raccolta di materiale, vestiario, cibo, denari e collegamenti con il nucleo originario di quella che sarà poi la “Brigata Muccini”.

Nel corso del suo impegno incontra così, in alcuni casi per una volta sola, in altri casi più frequentemente o abitualmente, una serie di personaggi che hanno parte anche notevole nelle vicende resistenziali spezzine, ad esempio Franco Diodati “Renato” (v. nota 1, in “Fronte della Gioventù”) da lei visto una volta sola, all’inizio, ai Giardini pubblici della Spezia, dove si reca con titubanza, perché lontana dai luoghi conosciuti di Sarzana e dintorni, recando con sé un orologio datole da una zia per controllare i tempi e dove, probabilmente per l’agitazione del momento, lo smarrisce.

Ha invece contatti organici con i comunisti Eugenio Bellegoni “Marcello” di Sarzana, Luciano Goliardi “Wladimiro” capo del CLN sarzanese, incontra talvolta il comunista sarzanese Emilio Baccinelli, ha frequenti interscambi con il giovane Filippo Borrini di Vezzano che, dopo la partenza di Diodati fortemente sospettato a seguito degli scioperi del ’44, si occupa del Fronte della Gioventù, incontra il comunista Silvio Maggiani “Giuseppe” di Arcola.

La segretezza dell’organizzazione, divisa per compartimenti e strutturata in modo da far conoscere il minor numero possibile di militanti fra loro, onde evitare eventuali lunghe file di arresti in caso di cattura, è ben dimostrata dal fatto che Anna Maria Vignolini, nonostante l’incarico assai delicato ed importante che svolge, non incontra mai, nel corso del periodo resistenziale, Antonio Borgatti “Silvio”, segretario della Federazione Comunista spezzina, che conoscerà solo nel dopoguerra.

Quello della Resistenza è anche, per molti versi, un lavoro “artigianale”, cioè poco formalizzato, in cui sicuramente ci sono alcuni uomini raffigurabili quali elementi- snodo, a conoscenza della rete cospirativa nel suo complesso, ma la maggior parte dei componenti, e per motivi di segretezza e perché talune cose erano in continuo divenire, conosce solo un “segmento” degli accadimenti, decisioni, linee generali dell’organizzazione.

L’ampiezza della zona coordinata da “Valeria” è notevole, allargandosi geograficamente da Ortonovo, confine della provincia spezzina a oriente, a Sarzana, Santo Stefano, Vezzano, Arcola, Lerici, fino a comprendere la parte del Comune della Spezia che riguarda il Termo, Melara, Limone, per arrivare al cimitero dei Boschetti.

Anna Maria si muove a piedi, in bicicletta, in treno, per informare, coordinare, consegnare e smistare materiale che batte a macchina. E nella vasta zona cui sovrintende risultano i gruppi forse più attivi di donne: quello di Sarzana sopra citato e quello di Arcola, in cui “Valeria” ricorda particolarmente Laura De Fraia e Mimma Rolla, con le quali si incontra una prima volta per strada, avendo come segno convenzionale di riconoscimento un fiore, anche se poi ci saranno riunioni, specie nella casa di Mimma Rolla, dentro il paese, e in quella di Anna Bassano, sorella di Ezio Bassano, a Ressora).

Proprio il gruppo costituitosi ad Arcola diventa ben presto uno dei più preparati ed attivi. Della zona di Vezzano Ligure ricorda soprattutto Vega Gori “Ivana”: a quest’ultima, andando nella sua casa, a Vezzano Stazione, insegna come si batte a macchina la stampa clandestina e soprattutto come si dispongono i caratteri per le testate dei giornali.

A Sarzana ha anche contatti con Rina Gennaro “Anna”, lì sfollata, cui consegna pacchi di volantini e stampa clandestina alla Stazione FF.SS., quando Rina prende il treno per La Spezia, dove lavora nel negozio di scarpe di Melley.

Quanto alle riunioni, esse avvengono, specie all’inizio e approfittando della buona stagione, generalmente in luoghi poco sospettabili, quindi non tanto e solo nelle case, ma in campagna o in riva al fiume, per sembrare, nel caso di gruppi sia misti di ragazze e ragazzi che formati da elementi di un solo sesso, impegnate/i in una scampagnata o per dare la sensazione di essere innocue/i bagnanti.

C’è una foto di Anna Maria insieme ad altri tre giovani (due uomini -Werther Bianchini e Dante Savona- e una donna, Benita Marchini) risalente all’estate del 1944, scattata in campagna, in cui il gruppetto, in questo caso animatore del Fronte della Gioventù (esempio lampante dell’osmosi fra varie organizzazioni di cui abbiamo lungamente detto nella presente Scheda), sembra tutto fuori che un pericoloso nucleo sovversivo.

Fra le azioni promosse dai Gruppi Difesa della Donna che Anna Maria Vignolini ricorda forse con più commozione è senza dubbio il grande sciopero delle fabbriche spezzine ai primi del 1944, durante il quale le donne organizzate da lei fungono da sostegno e supporto per la lotta in generale, ma specialmente partecipano in modo attivo e circostanziato a quella condotta dalle operaie dello Jutificio: fra queste ultime i nazi-fascisti catturano poi le due sorelle Elvira e Dora Fidolfi, deportandole: solo Dora ritornerà a casa.

Nel corso della sua attività, ad un certo punto, Anna Maria Vignolini si sposta di casa, si allontana cioè dalla sua dimora sarzanese, per collocarsi più vicino alla Brigata “U. Muccini”, caposaldo della Resistenza in zona, Brigata cui ella ha già portato aiuti in vestiario quando un primo nucleo della formazione si trovava al lago Santo nel Parmense: alloggia così nella casa di “Venù” (Benvenuto Ambrosini), futuro suocero di Flavio Bertone “Walter” nella zona di Giucano, una casa considerata il vero avamposto della “Muccini” verso il piano.

Poiché però bisogna giustificare la sua assenza da casa, viene sparsa la voce che Anna Maria insegna in un paesetto sui monti. Nel frattempo, nella sua casa di Sarzana, è stata requisita una stanza per un ufficiale tedesco che, non essendo a conoscenza della vera attività della ragazza, si offre, quando lei torna a casa a salutare i genitori, di farla accompagnare qualche volta con una macchina per risparmiarle un tratto di strada.

E’ così che Anna Maria sfila davanti all’Albergo Laurina, dove ha sede il Comando delle Brigate Nere, con la sua borsa apparentemente innocua ma carica di materiale clandestino ad elevatissimo rischio. La guerra rende audaci i timidi ed Anna Maria, ragazza riservata e perfino, come lei stessa si autodefinisce, un po’ paurosa, osa cose inimmaginabili: e questo soprattutto in nome degli ideali da cui è animata e da cui –ella dice- è spinta e sono spinti i ragazzi e le ragazze che operano con lei.

La vicenda sarzanese del suo impegno si chiude il 29 novembre 1944, quando i nazi-fascisti scatenano contro la “Muccini” il drammatico rastrellamento a seguito del quale buona parte della Brigata è costretta a passare il fronte guidata da Piero Galantini “Federico”, rimanendo nella zona sarzanese un nucleo ristretto con Flavio Bertone e Paolino Ranieri.

Proprio nella mattinata del 29 novembre Anna Maria si sta recando alla postazione avanzata della “Muccini”, e cioè alla casa di “Venù”, di cui si è detto, e sta facendo un tratto di via accompagnata dal padre. Ad un certo punto essi incontrano però un amico di famiglia il quale comunica loro che sta succedendo un vero inferno, che c’è un rastrellamento, insomma che non devono assolutamente andare verso quella direzione.

Allora Anna Maria rapidamente decide, ed è la sua fortuna, che è meglio ritornare alla Stazione di Sarzana per tentare di prendere un treno che va a Carrara, dove la sua mamma sta assistendo un’altra figlia, ricoverata per un intervento.

Riesce a prendere il treno, nessuno la cerca o riconosce, scende all’Avenza e arriva da lì a Carrara, dove si riunisce alla mamma e alla sorella, alloggiando presso una zia. E’ quindi a Carrara che vive, fino alla Liberazione, la seconda, importante fase della sua esperienza resistenziale, dirigendo i Gruppi Difesa della Donna del luogo, in continuo contatto con la dirigenza politica del P.C.I. e con la formazione partigiana “Menconi”, partecipando alle riunioni, accogliendo, nell’abitazione in cui è ospitata o in case amiche, i partigiani della “Muccini” quando, stremati e bisognosi di cure mediche ed ospedaliere, sconfinano oltre la IV Zona.

Anna Maria presta inoltre assistenza, con le altre donne ai numerosissimi feriti che, in condizioni precarie e drammatiche, affollano l’ospedale della città. Questi ultimi sono in massima parte vittime civili delle cannonate provenienti dalla Linea Gotica, dove gli anglo-americani le tirano, avendo l’obiettivo giornaliero di difendere i confini fra la provincia di Massa Carrara e La Spezia da incursioni tedesche e fasciste.

In questo drammatico e devastante contesto, quasi incredibilmente, dati i tempi, Anna Maria riesce anche a dedicarsi alla promozione e allestimento di spettacoli di varietà in teatro.

A guerra finita ritorna a Sarzana ed è chiamata per svariati anni ad importanti incarichi politici e istituzionali per conto del P.C.I.: eletta nelle prime votazioni per l’Amministrazione Comunale della Spezia, fa parte di essa ricoprendovi il ruolo di Assessore all’Assistenza Sociale ma rinunciando in seguito, nel 1954, ad ogni incarico, per motivi familiari.

 
 

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Anna Maria Vignolini “Valeria”, fino al novembre 1944 coordina i G.D.D. in una vasta area della provincia spezzina

delfina-betti
Delfina Betti, operaia dello Jutificio Montecatini e staffetta

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Dina Gattoronchieri, staffetta, muore a causa delle ferite riportate il 22 aprile 1945 durante il cannoneggiamento di Arcola

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Laura De Fraia (Franca), insieme a Mimma Rolla (Aura) fa parte dei G.D.D. di Arcola, svolgendo in essi importanti funzioni e organizzando rilevanti azioni

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Mimma Rolla (Aura), insieme a Laura De Fraia (Franca) fa parte dei G.D.D. di Arcola, svolgendo in essi importanti funzioni e organizzando rilevanti azioni

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Rina Gennaro “Anna”: collega Sarzana con la Spezia recandosi anche fuori provincia

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Vega Gori “Ivana”, lavora come dattilografa a fianco di del segretario del P.C.I. Antonio Borgatti “Silvio”, entrando in contatto con Anna Maria Vignolini e con il gruppo di Arcola

Fonti

In generale e sulla Liguria

  • AA.VV. Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, La Pietra, Milano 1968, vol. II, p.676 e segg. (voce Gruppi Difesa Donna) e vol.II p. 127 e segg. (Donne nella Resistenza)
  • Gimelli, Franco; Battifora, Paolo, (a cura di), Dizionario della Resistenza in Liguria, Genova, De Ferrari, [2008?], p.184 (Voce Gruppi Difesa della Donna)
  • Gruppi di difesa della donna
  • Riflessione della storica Anna Bravo e testimonianza di Marisa Cinciari Rodano

IV Zona Operativa

  • Testimonianze di Anna Maria Vignolini, Rina Gennaro, Delfina Betti, in “La Resistenza nello Spezzino e nella Lunigiana”, ISR, La Spezia, 1973, pp.185-190
  • Ricci, Giulivo, Storia della Brigata garibaldina “U. Muccini”, I.S.R. La Spezia, 1978, passim
  • Donne arcolane nella Resistenza- Le celebrazioni del 30° della Resistenza e della Liberazione, 1975, con particolare riferimento alle testimonianze di Diana Bassano, Laura De Fraia, Dora Fidolfi , Vega Gori, Esperia Morettini, Maria Roffo, Gigina Rolla, Iva Rolla, Mimma Rolla, Paola Toffi, Jone Nevia Ricco),
  • Bianchi, Antonio, Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana, Editori Riuniti, 1975, (p.256 e segg., p. 314, p.361, ma anche seguendo i nomi delle donne citate nel testo dello stesso Bianchi Antonio del 1999, v. più sotto)
  • La Spezia marzo 1944-Classe operaia e Resistenza, Atti della Conferenza “Scioperi del marzo 1944” Sala del Consiglio Provinciale, 1° marzo 1974, Farina, Mario (a cura), I.S.R. La Spezia, 1976
  • Ricci, Giulivo, Storia della Brigata garibaldina “U Muccini”, I.S.R. La Spezia, 1978, passim
  • Articolo “Il contributo delle donne sarzanesi alla Resistenza- Con i volantini sotto il naso dei fascisti” (giornale “Il Secolo XIX”), 28 novembre 1982.
  • “La donna e la Resistenza” in Petacco, Arrigo, in collaborazione con G.Fusco, La Spezia in guerra 1940-45, cinque anni della nostra vita, La Nazione 1984, p.313
  • Articolo “L’eroismo delle donne” (giornale “Il Secolo XIX”), 29 novembre 1987
  • Valle, Anna, Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano, Edizioni Giacché, 1994, passim
  • Bianchi, Antonio, La Spezia e Lunigiana-Società e politica dal 1861 al 1945, Franco Angeli, 1999, 336-342, passim; 401-402 passim; ma anche seguendo i nomi di Anna Bassano, Laura De Fraia, Dora Fidolfi, Elvira Fidolfi, Rina Gennaro, Vega Gori, Mimma Rolla, Iva Rolla, Paola Toffi, Anna Maria Vignolini, citati nella presente scheda.
  • Gimelli, Giorgio, La Resistenza in Liguria, Cronache militari e documenti, a cura di Franco Gimelli, Carocci, 2005, p. 37, 151, 164, 347, 348 e n, 349n, 550, 561, 562, 644-645, 644n, 870, 871n (ma anche seguendo i nomi di Anna Bassano, Delfina Betti “Mariuccia”, Laura De Fraia “Franca”, sorelle Fidolfi, Rina Gennaro “Anna”, Vega Gori “Ivana”, Mimma Rolla, Iva Rolla, Paola Toffi, Anna Maria Vignolini “Valeria”)
  • Valle, Anna; Coviello Annalisa, Anch’io ho votato Repubblica, Edizioni Giacché, 2008, con particolare riferimento alle testimonianze di Rina Gennaro Bruzzone e Anna Maria Vignolini Perugi
  • Marchini, Pino “Un berretto pieno di speranze. I ricordi di Vanda Bianchi” (Edizioni Cinque Terre, 2010)
  • Gori, Vega, “Ivana”; Mirabello M.Cristina “Ivana” racconta la sua Resistenza. Una ragazza nel cuore della rete clandestina, Edizioni Giacché, 2013.
  • Borgatti, Antonio (a cura di Aldo Giacché), Anni clandestini. Memorie dal 1904 al 1945”, Edizioni Giacché, 2022.
  • Interviste a Vanda Bianchi, Luisa Borrini, Laura De Fraia, Rina Gennaro, Vega Gori
  • Due interventi audiovisivi di Anna Maria Vignolini
  • Per una storia generale e sintetica della Resistenza nello Spezzino

Le fotografie di Laura De Fraia, Vega Gori, Mimma Rolla, Anna Maria Vignolini sono state gentilmente concesse dalle interessate, la fotografia di Rina Gennaro fa parte della collezione privata di Vega Gori, la fotografia di Dina Gattoronchieri è tratta dal libro Comune di Arcola-Comitato Unitario della Resistenza, Arcola tra storia e ricordo 1939-1945, Centrostampa, Arcola, 1996, p.215; la fotografia di Delfina Betti fa parte della collezione privata della sig.ra Renata Bambini.


Gli inserimenti fotografici della presente Scheda sono stati curati da Mauro Martone

 
 
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Note

[1] Dopo la Liberazione i GDD si sciolgono per entrare nell’UDI (Unione Donne Italiane) fondato il 15 settembre 1944 a Roma, ormai liberata, dalle comuniste Rita Montagnana, Marisa Cinciari Rodano, Egle Gualdi, Marisa Musu comuniste e dalle socialiste Giuliana Nenni e Maria Rovita.
[2] E’ opportuno far presente a chi legge che un conto è una ricostruzione lineare “a posteriori”, specie di organismi estremamente fluidi quali ad esempio i Gruppi Difesa della Donna fondamentalmente impiegati in ambito urbano, e un conto è il divenire reale di essi nel corso tumultuoso degli avvenimenti dell’epoca. Proprio perciò la razionalizzazione dei fatti frequentemente porta ordine in quella che è di fatto una rete che si allarga, si restringe, sovrappone maglie e nodi, a seconda dei momenti. Spesso si evince dalle carte di Archivio che S.A.P., Fronte della Gioventù (F.d.G.) e Gruppi Difesa della Donna (G.d.D.) vivono in osmosi. Non esiste un elenco dei GDD nello Spezzino e perciò bisogna risalire molto faticosamente ai nomi delle componenti di essi dall’elenco S.A.P. in cui le donne sono state inquadrate al momento del riconoscimento da parte della Commissione provinciale.
[3] Riportiamo in fondo alla Scheda, prima delle fotografie e delle Fonti, la sintesi di quanto Anna Maria Vignolini “Valeria” ha detto nel corso della conversazione avvenuta nella sua casa sarzanese, il giorno 23 novembre 2015, con M. Cristina Mirabello, curatrice della Scheda stessa per conto dell’I.S.R. della Spezia. La conversazione è importante per il contenuto intrinseco e perché on line ci sono scarsi documenti che riguardino Anna Maria Vignolini, la quale ha avuto invece un ruolo di tutto rilievo per la Resistenza al femminile
[4] Per lo Sciopero allo Jutificio “Montecatini” v. la testimonianza di Delfina Betti, dapprima operaia in fabbrica e poi staffetta, in I.S.R. La Spezia, La Resistenza nello Spezzino e nella Lunigiana- Scritti e testimonianze, 1973, p.190; ed ancora sempre la testimonianza di Delfina Betti in “La Spezia marzo 1944, Classe operaia e Resistenza. Atti della conferenza “Scioperi del marzo 1944”, a cura di Mario Farina, I.S.R. La Spezia, 1974, p.91
[5] A proposito dell’osmosi fra S.A.P., GDD. FDG di cui si parla alla Nota 2 della presente Scheda, proprio Rina Gennaro in una sua testimonianza del 1973 (v. Fonti) dice di essere stata contattata da Franco Diodati (v. Fronte della Gioventù) e di avere fatto parte delle S.A.P.
[6] Alcune di queste donne rivestiranno nel dopoguerra incarichi pubblici in cui metteranno a frutto l’incredibile esperienza e il patrimonio di idee maturati nel corso della Resistenza. Rina Gennaro sarà la prima segretaria U.D.I. alla Spezia, Anna Maria Vignolini sarà, fra le varie cariche ricoperte, l’unica donna Assessore nella Giunta del Comune della Spezia nel 1950, Laura De Fraia diventerà Assessore del Comune della Spezia

Una giornata particolare: 1° marzo 1944: SCIOPERO!

Classe operaia spezzina e suo protagonismo nella Resistenza… leggiamo Mario Farina

Abbiamo preannunciato, all’inizio di quest’anno, come fosse nostra intenzione, ricordare alcune figure di storici o cultori di storia, che, morti da tempo, si sono particolarmente distinti per la conservazione della memoria e per le indagini riguardo alla Resistenza nella IV Zona Operativa.

Nel decidere ciò, abbiamo anche pensato di pubblicare non un semplice profilo biografico che li riguardasse, ma, rendendo noti ai lettori testi di cui sono stati autori, far sì che il ricordo si intrecciasse proficuamente alla documentazione della loro opera.

In occasione dell’80° degli scioperi del 1°-2 marzo 1944, quando la classe operaia spezzina dimostrò la sua capacità di perseguire obiettivi non solo economici, ma tali da impensierire seriamente tedeschi e fascisti, così da scatenare la violenta repressione di essi, offriamo al nostro pubblico la possibilità di rileggere e, probabilmente, per i più giovani, di scorrere, per la prima volta, le belle pagine scritte sulla questione da Mario Farina1, autore della “Prefazione” che proponiamo.

Note:

1 Mario Farina, nato a Trieste nel 1931 e morto alla Spezia nel 2011, proviene da una famiglia di salde convinzioni antifasciste, basti ricordare che lo zio Mario Farina si attivò, tra altri, per acquistare la “pedalina” della Rocchetta di Lerici, luogo in cui aveva sede una tipografia clandestina, prestando poi la sua opera medica ai monti, tra i partigiani, come fece l’altro zio Sergio Farina, fratello di Mario, anche se non ancora laureato. Dopo aver respirato aria antifascista, Mario Farina, laureatosi nell’anno accademico 1957-1958 con una tesi sulle origini del fascismo alla Spezia, divenne professore di Lettere nella Scuola Secondaria Superiore e storico rigoroso. Si è occupato delle vicende del movimento operaio italiano e di scoperte geografiche, dando alle stampe numerosi volumi. Tra questi un posto di rilievo merita “La Spezia Marzo 1944. Classe operaia e Resistenza” che contiene gli atti della conferenza sugli scioperi del 1944, tenutasi il 1° marzo 1974. In tutta la sua vita Farina, prima Consigliere del PCI, poi stimato Assessore dell’Amministrazione comunale spezzina, ha sempre mostrato dedizione verso la propria comunità. Da ultimo, ne è stata prova anche la donazione alle Biblioteche del Comune della Spezia di una serie di volumi che rappresentano il percorso di una vita, testimoniando le preferenze, le scelte, l’amore per il suo impegno di insegnante e di storico. A lui è dedicato l’Auditorium della Civica Biblioteca Beghi.

Giorni con la Storia: Ilenia Rossini

Autori, autrici e protagonisti/e

Lunedì 4 Marzo 2024 ore 17
Centro studi “Memoria in rete” , Via G.B.Valle 6, La Spezia

Ilenia Rossini autrice di Un fiore che non muore. La voce delle donne nella Resistenza italiana (Red Star Press, 2022)

Dialoga con Annalisa Coviello, giornalista

Giorni con la Storia: Cinzia Dutto

Autori, autrici e protagonisti/e

Venerdì 22 Febbraio 2024 ore 17
Presso il Centro studi “Memoria in rete” , Via G.B.Valle 6, La Spezia

Cinzia Dutto, autrice de Il diario di Maria – Storie di donne sulle montagne della Resistenza (LAReditore,2023)

Dialoga con Annalisa Coviello, giornalista

Una giornata particolare: 27 gennaio, Giorno della Memoria

a cura di Doriana Ferrato, Presidente ANED La Spezia

Premessa: la scelta della data
La legge 20 luglio 2000 n. 211 ha istituito il 27 gennaio come “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”.

L’articolo 1 precisa:

“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”

L’articolo 2 prosegue:

In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere

Prima di giungere a definire il disegno di legge, in Parlamento si discusse a lungo su quale data di riferimento potesse essere considerata simbolica e su quali eventi fondare la riflessione pubblica sulla memoria.

Inizialmente emersero due opzioni alternative, avanzate rispettivamente dal deputato Furio Colombo e dall’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti (ANED): il 16 ottobre, data del rastrellamento del ghetto di Roma, e il 5 maggio, anniversario della liberazione del campo di Mauthausen.

Il 16 ottobre 1943 truppe tedesche delle SS e collaborazionisti fascisti effettuarono una retata di 1.259 cittadini ebrei prelevati dalle loro case; tra loro anche una donna incinta, che darà alla luce il suo bambino il giorno seguente. Saranno deportati ad Auschwitz in 1.023, solo una donna e quindici uomini sopravviveranno. Questa data avrebbe focalizzato l’attenzione sulle deportazioni razziali e sulle responsabilità, anche italiane, nello sterminio.

Il 5 maggio 1945 le avanguardie dell’Armata americana entrarono nel lager di Mauthausen, ultimo campo nazista liberato. Circa 20.000 deportati erano ancora prigionieri, quasi tutti al limite della sopravvivenza. Più del 10% morirà nel mese successivo alla liberazione, altri in seguito.

Si calcola che nel complesso dei lager dipendenti da Mauthausen siano stati imprigionati circa 230.000 deportati, quasi tutti “politici” e di decine di nazionalità diverse, oltre la metà deceduti.

La data del 5 maggio avrebbe sottolineato la centralità dell’antifascismo e delle deportazioni politiche in Italia.

Un’altra data fu proposta e accolta: il 27 gennaio, giorno della liberazione di Auschwitz, divenuto simbolo universale dello sterminio nazista durante la seconda guerra mondiale.

Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche arrivarono per prime presso la città polacca di Oswiecim (in tedesco Auschwitz), scoprirono il vicino campo di sterminio che rivelò compiutamente al mondo l’orrore del genocidio nazista e dei campi di sterminio.

Le cerimonie e le iniziative del “Giorno della Memoria” sono volte a conservare nel futuro la memoria delle vittime della Shoah e delle leggi razziali, di coloro che hanno messo a rischio la propria vita per proteggere gli ebrei, degli italiani perseguitati e deportati nella Germania nazista, sia militari sia politici.

Le cifre sono spaventose: circa 12 milioni di deportati (bambini, donne, uomini), 11 milioni di loro sterminati, circa la metà ebrei, gli altri principalmente oppositori politici e inoltre rom, sinti, zingari, Testimoni di Geova, asociali, apolidi, criminali comuni, omosessuali1.

Dall’anno 2005 il 27 gennaio, “Giorno della Memoria“, è una ricorrenza internazionale, come designato dalla risoluzione dell’Assemblea generale delle nazioni Unite.

Gli ultimi giorni di Auschwitz

Negli ultimi anni del secondo conflitto mondiale, la crescente pressione degli eserciti alleati sul Terzo Reich spinse i nazisti a liquidare progressivamente i campi di concentramento e i centri di sterminio situati a est e quindi prossimi alla linea del fronte orientale.

Il 18 gennaio 1945, incalzate dall’avanzata dell’Armata Rossa, le autorità naziste diedero inizio all’operazione di liquidazione definitiva del complesso concentrazionario di Auschwitz I, Auschwitz II (Birkenau), Monowitz (Buna) e dei suoi sottocampi, più di quaranta.

Le marce della morte

Circa 58.000 prigionieri di entrambi i sessi, purché si reggessero in piedi, furono incolonnati e costretti a marciare per chilometri nella neve in direzione ovest.

Ai liberatori, i percorsi si presenteranno disseminati di migliaia di corpi senza vita dei deportati, fucilati o morti per lo sfinimento o per il gelo durante il cammino.

I sopravvissuti alle marce della morte furono deportati principalmente ai campi di Mauthausen, Buchenwald e altri situati all’interno del Terzo Reich. I prigionieri superstiti vedranno la liberazione solo il 5 maggio 1945.

Primo Levi “giorni fuori dal mondo e dal tempo”

(18 gennaio – 27 gennaio 1945)

Primo Levi, deportato 174 517 nel lager Buna Monowitz, del complesso di Auschwitz, sopravvisse per alcune circostanze casuali: una certa conoscenza del tedesco che gli fece comprendere rapidamente le regole da rispettare nel lager, l’assegnazione al lavoro in laboratorio in una squadra di chimici e… la scarlattina. Infatti la malattia, nei giorni drammatici dell’evacuazione, non gli consentì di partire e lo costrinse a rimanere in infermeria nel campo. Questo lo salverà dalla “marcia della morte”.

In “Se questo è un uomo” Primo Levi testimonia ciò che ha visto e subito direttamente e l’oppressione esercitata contro l’uomo fino all’annientamento. Conclude l’autobiografia proprio con la “storia di dieci giorni fuori dal mondo e dal tempo”, (18 gennaio – 27 gennaio 1945), quelli dell’evacuazione e della liberazione del campo: in un mondo “di morti e di larve, l’ultima traccia di civiltà era sparita intorno a loro e dentro di loro. L’opera di bestializzazione, intrapresa dai tedeschi trionfanti, era stata portata a compimento da tedeschi disfatti”.

Dalla Spezia ad Auschwitz

Primo Levi era stato deportato ad Auschwitz dal campo di internamento di Fossoli (MO) il 22 febbraio 1944. In quello stesso trasporto (n.27), stimato intorno a 650 persone, delle quali 489 identificate2, si trovavano gli spezzini ebrei, donne, uomini e una bambina.

La piccola Adriana Revere ha compiuto nove anni da pochi giorni quando, con il padre Enrico e la madre Emilia De Benedetti, iniziò quel viaggio verso l’inferno che si concluse il 26 febbraio 1944. Adriana e la madre furono inviate alla camera a gas lo stesso giorno dell’arrivo ad Auschwitz II Birkenau, il padre superò la selezione ma successivamente fu deportato al campo di Flossenbürg, dove venne ucciso otto mesi dopo.

Nessuno degli ebrei spezzini deportati nei campi nazisti sopravvisse allo sterminio.

La liberazione di Auschwitz
Il Giorno della Memoria e La Spezia

La Spezia è una delle città italiane maggiormente colpita dalle deportazioni nazifasciste, in proporzione alla popolazione del tempo, e in particolare il quartiere di Migliarina, abitato da persone notoriamente antifasciste, già condannate negli anni Trenta a lunghi anni di esilio e confino e, dopo l’8 settembre 1943, tenute sotto stretta sorveglianza dai fascisti locali, pronti a vendette personali, ritorsioni e delazioni.

Il 27 gennaio di ogni anno La Spezia rinnova con sentita partecipazione il ricordo degli spezzini ebrei assassinati nel campo di Auschwitz e dei deportati perseguitati e uccisi per aver scelto di lottare per la Liberazione del Paese dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista.

Erano sindacalisti e maestranze che avevano organizzato o partecipato nelle fabbriche cittadine allo sciopero insurrezionale del marzo 1944, erano combattenti per la resistenza e partigiani arrestati da compiacenti Brigatisti Neri, donne e uomini diversi per idee, di ogni condizione sociale, comprese figure delle Forze Armate e del clero, uniti nella Resistenza civile contro i nazi-fascisti.

Il grande rastrellamento di Migliarina del 21 novembre 1944, rappresenta il culmine della ferocia nazifascista nel territorio spezzino.

Centinaia di cittadini inermi furono arrestati, imprigionati e torturati nella locale caserma XXI Reggimento di Fanteria, trasferiti via mare dal Molo Pirelli (oggi Molo Pagliari) al carcere di Marassi (GE) e poi nel campo di Bolzano. Infine deportati nei campi di sterminio del Reich, principalmente Mauthausen.

Gli ebrei, sterminati per la “colpa” di essere nati; tutti gli altri spezzini furono internati come oppositori politici. Accanto al numero di matricola, il triangolo di colore rosso, da esibire sulla divisa, nella simbologia del lager indicava il motivo della deportazione e il rosso rappresentava “i politici”.

A Mauthausen e nei sottocampi Gusen, Melk, Ebensee, ma anche a Dachau, Flossenbürg, Ravensbrück, Buchenwald,Neuengamme, Natzwweiler, Bergen Belsen si contano vittime spezzine.

Dalla sezione ANED della Spezia sono state accertate 585 persone deportate, di cui 234 decedute nei campi nazisti, ma le cifre sono sicuramente maggiori3.

La Spezia detiene un tragico primato: il più giovane deportato “triangolo rosso” deceduto nei lager, il quattordicenne Franco Cetrelli, ucciso il 22 aprile 1945 a Mauthausen.

Le cerimonie e le molteplici iniziative nel Giorno della Memoria, in particolare con gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, rappresentano momenti di narrazione e di riflessione su quanto è avvenuto nel nostro territorio e quanto accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, per non smarrire la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, nella speranza che mai più torni quel passato.

Il triangolo rosso, assegnato ai progionieri politici
27 gennaio 1945 – 5 maggio 1945

Non dimentichiamo: il 27 gennaio 1945 non segna la fine dell’orrore nei lager!

Per oltre tre lunghi e drammatici mesi lo sterminio nei campi a ovest del Reich prosegue con indici di mortalità altissimi per il sovraffollamento, le malattie, la denutrizione, lo sfruttamento nel lavoro schiavo, le esecuzioni in massa…

A Dachau, Flossenbürg, Ravensbrück, Buchenwald,Neuengamme, Natzwweiler, Bergen Belsen e principalmente a Mauthausen e nei sottocampi Gusen, Melk, Ebensee si contano centinaia di vittime spezzine uccise o mandate alla camera a gas nei mesi di marzo e aprile 1945.

Quando, il 25 Aprile 1945, l’Italia festeggiava la Liberazione dal nazifascismo, la camera a gas di Mauthausen era in funzione a pieno regime: era l’ultimo giorno.

Il 25 Aprile dei superstiti di Mauthausen e dei sessanta campi dipendenti, sarà il 5 maggio 1945.

Il simbolo assegnato ai Testimoni di Geova

Fonti

  • Archivio ANED della Spezia.
  • Tibaldi Italo, Compagni di viaggio Milano, Franco Angeli, 1994.
  • Sito: www.deportati.it

Note

  1. Le SS, probabilmente a partire dal 1937, introdussero nel sistema concentrazionario la classificazione dei deportati in base al motivo della deportazione. A ciascun deportato era assegnato come contrassegno un triangolo in stoffa di diverso colore da cucire sulla casacca, con mezzi di fortuna, con il vertice rivolto verso il basso. Semplificando, i colori erano i seguenti: Giallo, costituito da due triangoli sovrapposti a formare la stella di David per gli ebrei; Verde per i criminali comuni; Viola per i Testimoni di Geova; Marrone per gli zingari, rom, sinti; Nero per gli asociali: Azzurro per gli apolidi; Rosa per gli omosessuali; Rosso per gli oppositori politici, con all’interno la sigla della nazionalità. Nel triangolo rosso degli italiani c’era la “I” e talvolta “IT”. ↩︎
  2. Italo Tibaldi, deportato diciassettenne e superstite dei campi di Mauthausen ed Ebensee, dopo la liberazione ha dedicato la sua vita a studi e ricerche sulla deportazione dall’Italia ai lager nazisti, raccogliendo circa 44.000 nomi di deportati italiani. Ha svolto una ricerca capillare sui convogli dall’Italia e dalle isole greche verso il Reich e identificato nomi dei deportati di 267 trasporti. ↩︎
  3. Dati in possesso di ANED della Spezia in “Elenco delle persone deportate nei campi di sterminio KZ, registrate dalla sezione”. ↩︎

Una giornata particolare: in occasione del 79° Anniversario del Rastrellamento del 20 Gennaio 1945

A cura di Sandro Centi

Il 20 Gennaio 1945 avveniva il rastrellamento nazifascista, che può essere correttamente definito come uno dei fatti d’arme più importanti per la Cronologia della IV Zona Operativa.

Il rastrellamento, spesso ingiustamente trascurato dalle cronache e dalla storiografia generale, è, in realtà, per molti versi, decisivo riguardo all’evoluzione della guerra in Italia, e quindi la sua rilevanza va ben oltre il territorio spezzino.

Mario Fontana, Comandante della IV Zona Operativa, nella sua “Relazione sull’attività operativa svolta dai reparti della IV Zona dal luglio 1944 al 25 aprile 1945” così descrisse quei giorni:

Questa azione [NdR: cioè il rastrellamento] preparata lungamente ed accuratamente eseguita con enormi forze dotate di moderno materiale da guerra, condotta con decisa volontà di liquidare definitivamente le formazioni patriote della IV Zona, costituisce un definitivo ed inglorioso scacco di tutte le speranze fasciste. Sono 20.000 uomini stupendamente armati che vengono irreparabilmente gettati sulle posizioni di partenza da 2.000 patrioti che oltre al loro coraggio, alla loro fede, al loro spirito di sacrificio, al desiderio di immolarsi per i principi della libertà non avevano che armi portatili individuali, talune delle quali, come lo Sten, li obbligavano a buttarsi sotto per poterle usare.”

Insomma, la superiorità tecnica nazifascista non poté nulla contro un movimento partigiano che, attraverso tappe non facili, non sempre lineari, più di una volta dolorose, aveva però maturato una consapevolezza con la quale si era mostrato in grado di fronteggiare un nemico tanto più potente.

Nella 79° ricorrenza del rastrellamento, se qualcuno volesse leggere una veloce sintesi delle vicende occorse alle varie Brigate, nel quadro della massiccia operazione nazifascista, segnalo: La “Battaglia del Gottero”, una vera epopea senza retorica, pubblicata da ISR/ETS La Spezia, particolarmente utile per “rispolverare” la storia.

Quest’anno, tuttavia, ISR/ETS può presentare una novità che va a completare la pubblicazione, approfondendo alcune questioni.

Infatti, sulla scorta di quanto ho letto e sulla base di ricerche fatte, ho delineato due Mappe tridimensionali, a colori, con l’obiettivo:

a) di rendere chiara agli occhi di chi legge la vasta area del rastrellamento stesso e le forze nemiche impiegate in esso;

b) di far comprendere l’epicità dello sganciamento attuato dai partigiani del Battaglione “Vanni”1 che, dopo avere combattuto, si diressero, come era stato ordinato loro dal Comando IV Zona Operativa, verso il Monte Gottero, completamente innevato, arrivando a sopportare temperatura di 20 gradi sotto zero.

La Mappa n.12 delinea l’area del rastrellamento e le forze in campo. Ho lavorato ad essa basandomi su testi già noti, ma integrandoli a seguito di mie riflessioni, per mettere in evidenza le direttrici della manovra, specificando, dove possibile, i reparti nazifascisti impegnati.

Mappa 1,  Rastrellamento 20-1-1945, IV Zona Operativa
Mappa 1: Rastrellamento 20-1-1945, IV Zona Operativa

La Mappa n.23 chiarisce invece come il Battaglione “Melchiorre Vanni” (Comandante Astorre Tanca “Astorre”4; Commissario Politico Franco Mocchi “Paolo”) riesca a salvarsi, dapprima combattendo duramente verso Bozzolo e poi nella zona di Zignago, sganciandosi, infine, con l’ascesa quasi proibitiva, a causa delle condizioni climatiche e ambientali, della fame e dei vestiti non adatti, verso il Monte Gottero.

Mappa 2, Sganciamento dallo Zignago del Battaglione "Vanni", andata e ritorno, 20-24 gennaio 1945
Mappa 2: Sganciamento dallo Zignago del Battaglione “Vanni”, andata e ritorno, 20-24 gennaio 1945

Il cammino percorso, sull’andata e sul ritorno, fu incredibilmente lungo come chilometri e incredibilmente corto come capacità oraria di percorrerli, nonostante l’itinerario impervio, e la durissima giornata di combattimenti del 20 gennaio, che pesava sulle spalle di quegli uomini.

Il Battaglione “Vanni”, dopo avere combattuto senza sbandamenti, si ritrovò infatti, come stabilito, a Pieve di Zignago (sera del 20 gennaio 1945): qui la popolazione5 diede, con spirito fraterno, ai partigiani, tutto quel poco, praticamente quasi niente, che aveva, per cibarsi. Lo sganciamento avvenne in modo ordinato, e tendenzialmente omogeneo: se ci furono delle diversificazioni nei tempi, e delle variazioni di piccoli gruppi, esse furono causate dalla eventualità onnipresente di imboscate, dalla durezza del cammino, nonché dalla fatica e dai sintomi gravi di congelamento in numerosi partigiani.

Comunque, il ritorno dei primi gruppi6, e sembra quasi incredibile, avvenne già alla mezzanotte del 24 gennaio 1945, a Torpiana.


NOTE

1 La scelta di illustrare l’itinerario di tale Battaglione è dipesa dal fatto che ISR/ETS La Spezia sta preparando una pubblicazione su di esso, in cui confluiranno, tra le altre, le Mappe che vengono presentate nell’articolo. Per una visione complessiva delle vicende del Battaglione, V. https://www.isrlaspezia.it/strumenti/lessico-della-resistenza/battaglione-m-vanni/.

2 Per costruire la Mappa n.1 mi sono rifatto ai seguenti libri: AAVV, “La Battaglia del Monte Gottero”, ISR, 1970; Gimelli, Giorgio (a cura di Franco Gimelli), La Resistenza in Liguria. Cronache militari e documenti, Carocci, 2005; Fiorillo, Maurizio, Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010; Battistelli, Pier Paolo, La Wermacht in Italia 1943-1945.Wehrmacht. Waffen-SS. Organisation Todt. SS e Polizei, Agrafe, 2022, nonché a vari documenti presenti in AISRSP.

3 Per costruire la Mappa n. 2 mi sono servito della Testimonianza di Giuseppe Mirabello “Apollo”, che fu impegnato, a capo del suo Distaccamento, tra Serò, Imara e Valle Oscura (in una carta militare del 1930 detta “Valle Scura”), confrontandola con le testimonianze di Saverio Sampietro “Falchetto” e Ottavio Chiappini “Lepre” (v. AISRSP) e con altri documenti di Archivio.

4 Astorre Tanca, Medaglia d’argento al VM alla memoria, muore, in combattimento, a Pieve di Zignago, il 4 marzo 1945

5 A proposito della popolazione, va ricordato brevemente, in questa sede, che essa non solo diede aiuto morale e materiale, ma che quella di Serò (dove si trovavano un Distaccamento del Battaglione “Vanni” e una Compagnia di “Giustizia e Libertà”, quest’ultima agli ordini di Giovanni Pagani, Medaglia d’oro al VM alla memoria, in seguito catturato sul Dragnone e poi fucilato (V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2023/03/Pagani-Giovanni-largo.pdf), partecipò direttamente, prendendo le armi, ai combattimenti.

6 Tra essi, quello di Giuseppe Mirabello “Apollo” (V. Testimonianza).

Una giornata particolare: il 7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure

A cura di Maria Cristina Mirabello

Avvertenza tecnica

Questo articolo è stato scritto dopo un mio sopralluogo a Vezzano e, dal punto di vista bibliografico, grazie a chi ha fissato sulla carta i fatti del 7 dicembre prima di me. ISR La Spezia “7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure. Testimonianze raccolte dal Centro Culturale ‘7 dicembre’ di Vezzano Ligure”, 1976 (Misc. F 1 24); Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, Edizioni Giacché, 1994; Laura Lotti “Attilio e gli altri, con documenti e testimonianze”, Lunaria, 1996; Scheda nello Stradario della Resistenza spezzina, a cura di Francesca Mariani, dedicata a Piazza del Popolo-7 dicembre 1944; Schede per l’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia curate da Maurizio Fiorillo, dedicate al 7 dicembre 1944 e al 2 febbraio 1945.

NdR Foto di copertina a cura di Mauro Martone

Sede del CLN vezzanese come è oggi. Foto di Mauro Martone
Sede del CLN vezzanese come è oggi. Foto di Mauro Martone

Contesto generale e premessa

Nel dicembre 1944, pur essendo svanita la speranza di una rapida avanzata alleata e di una prossima liberazione, dato l’arresto del fronte e il proclama del generale Alexander (13 novembre 1944), con il quale praticamente lo sforzo bellico veniva rimandato alla primavera successiva, la Resistenza partigiana in IV Zona Operativa, tuttavia, permaneva, non smobilitandosi, né sulle montagne, né al piano.

Va detto, però, che I colpi assestati alla popolazione civile1 e alla Resistenza armata furono, in quella fase, particolarmente duri. Basti pensare alla Brigata “Muccini”, che aveva subito il drammatico rastrellamento del 29 novembre 1944, e che, pur essendo passata, in una sua parte, oltre le linee, si stava faticosamente ricostituendo nella zona di appartenenza, sebbene fosse destinata, di lì a pochi giorni, a patire un ulteriore rovescio. Venne infatti catturato il Commissario politico, Paolino Ranieri “Andrea”, fermato mentre cercava medicine per alcuni superstiti del rastrellamento, rimasti feriti. Sempre nella stessa fase, al piano, anche qualche appartenente alle SAP (Squadre Azione Patriottica) fu costretto ad allontanarsi, perché ormai “bruciato”, cioè scoperto, o in odore di esserlo2. Tra i sappisti, sicuramente, Rina Gennaro “Anna”, che operava tra Ponzano Magra e La Spezia, e Filippo Borrini “Pino”, con tutta la sua famiglia3. “Pino”, figlio di Andrea Borrini, operaio dell’OTO Melara, a sua volta aggregatore di forze all’interno della fabbrica (anche in occasione degli scioperi del marzo 19444), aveva diretto il Fronte della Gioventù5, dopo la partenza dalla Spezia del primo organizzatore di giovani ribelli, Arrigo Diodati “Renato” o “Franco”6. Proprio Filippo Borrini aveva operato, come base di partenza, principiando dall’area di Vezzano Stazione, dove abitava, per allargare il suo raggio di azione alla zona vezzanese, a San Venerio, Carozzo, luoghi finitimi7, e oltre.

Già nell’autunno 1943, dunque, l’area vezzanese8 era stata caratterizzata da molteplici segni di insofferenza, e, progressivamente, da una vera e propria resistenza a tedeschi e fascisti, tanto che tale area diventò un bacino particolarmente fecondo, da cui avrebbero ampiamente attinto sia le varie formazioni partigiane armate della montagna, sia le SAP, e da cui sarebbero emersi , via via, molti personaggi che, vezzanesi per origine o per adozione o per transito, avrebbero illuminato, alcuni anche con il sacrificio della vita, la Resistenza spezzina9.

I fatti del 7 dicembre 194410

E proprio Vezzano Ligure è teatro di una vicenda, tra le più drammatiche dell’epoca, accaduta il 7 dicembre 1944 e destinata, da un lato, a pesare fortemente su un’intera comunità, nonché sulla rete resistenziale clandestina, e quindi sul CLN e sulle SAP locali, dall’altro, ad accentuare il quadro difficile in cui si colloca a livello provinciale il periodo fine novembre-dicembre 1944. Infatti, durante la notte, il paese è racchiuso dentro una morsa che il giorno 7 lo stringe senza scampo, essendo controllate tutte le possibili vie di uscita. I rastrellatori, tedeschi e fascisti, sono informati su che cosa cercare e su chi cercare11. Non solo, nell’accadimento, tragedia e beffa si mescolano: infatti il CLN spezzino aveva saputo per tempo che il giorno 7 ci sarebbe stato un rastrellamento, e l’aveva comunicato, tanto che le persone a rischio, tra cui il Segretario locale del CLN, Enrico Bucchioni, erano avvisate e pronte ad allontanarsi. Ma, ad un certo punto, proprio il giorno 6 dicembre, e non da parte del CLN12, era pervenuto inopinatamente un altro avviso, che, spostando la data all’8 dicembre, aveva determinato il fatto che nessuno ritenesse opportuno andare via già il 7.

Successe così che, alle 5 del mattino, nazisti e fascisti13 (questi ultimi agli ordini di Aurelio Gallo14) cinsero, con un vero e proprio assedio, il borgo, uccisero, con raffiche di mitra, Vera Giorgi e Carlo Grossi, che si erano affacciati sulla porta delle loro case15, ferirono in modo molto grave il sottufficiale di Marina, sappista, Giuseppe Carmè, che aveva tentato di fuggire sui tetti, morendo alcuni mesi dopo.

Furono fermate centinaia persone (circa 300), da cui fu scremato un numeroso gruppo (circa 90 uomini). Trasferiti in carcere, interrogati, in molti casi ferocemente torturati perché svelassero altri nomi, solo in parte rilasciati, furono portati con motozattere a Genova, e da qui mandati a Bolzano, per raggiungere poi, quale meta finale, i campi di concentramento, da cui in molti non ritornarono16. IL CLN vezzanese fu decimato: due membri di esso, Piero Andreani, Presidente, di 60 anni, ed Enrico Bucchioni, Segretario, di 24 anni, rimasero, sottoposti a sevizie, nel tristemente noto carcere, già sede del XXI Reggimento fanteria, da cui uscirono17 solo il 3 febbraio 1945, per essere però uccisi. Trasportati infatti davanti alla chiesa di Vezzano Basso, nel così detto “Campo”18, furono lì fucilati19.

Due uomini di età completamente diversa e con un unico destino

Dal libro di Anna Valle20 traggo materiale sui due fucilati. Il motivo per cui lo furono, in una mattinata fredda e piovigginosa, è sicuramente dovuto al fatto che essi erano ben conosciuti dai fascisti come esponenti di primo piano del CLN vezzanese: proprio perciò vennero prelevati dalla spedizione fascista agli ordini di Aurelio Gallo, in occasione della rappresaglia di cui si parla nella Nota 18. Posso fare anche l’ipotesi che non fossero stati eliminati in precedenza, o non avessero seguito la sorte di altri vezzanesi, deportati, in virtù del solito motivo, costituendo infatti essi, all’occasione, un’utile merce di scambio21. Ma questa è solo una mia ipotesi22.

Pietro Andreani23, detto “Pié de Cavana” era nato nel 1884. Antifascista, comunista fin dal 1921, licenziato, emigrato nel 1922, ritorna in Italia e fa il falegname, attività autonoma che probabilmente gli consente di sopravvivere tra le maglie della occhiuta vigilanza del regime dittatoriale, riprendendo le fila della cospirazione alla caduta del regime, e diventando, universalmente stimato, Presidente del CLN vezzanese. Catturato il 7 dicembre, è consapevole che molto difficilmente avrà scampo. Nel carcere dell’ex XXI è sottoposto a sevizie24 particolarmente prolungate, che risultano da numerose testimonianze25, e tuttavia riesce a provare sentimenti di solidarietà verso i compagni di prigionia26. Prima di essere fucilato, avrebbe gridato “Viva il comunismo”27.

Enrico Bucchioni, figlio di Natale e di Antonia Bellati, nasce nel 1920. Il padre, arsenalotto, integra il reddito familiare lavorando terreni di sua proprietà. In famiglia ci sono altri due figli, Natale (Francesco)28 e Pierino29. Portato alle belle arti, suona il violino e impara a dipingere sotto la guida di Navarrino Navarrini, diplomandosi maestro e non iscrivendosi all’Università per motivi economici. Cattolico, volto al prossimo, instaura un rapporto di stima con il parroco di Vezzano Alto30. L’8 settembre 1943 è militare, a Perugia e, arrivato a casa, è tra coloro che salgono sul Monte Grosso, insieme a Pierino. Ritornato a Vezzano, probabilmente dopo il drammatico rastrellamento del 3 agosto 1944, organizza il CLN locale, diventando uno dei dirigenti di esso, insieme ai “vecchi” Pietro Andreani, nato, come già detto, nel 1884, e a Rinaldo Basini31, nato nel 1893. Il giovane Enrico diventa responsabile della Resistenza in zona, dalle direttive riguardanti l’opera di accompagnamento dei giovani che volevano andare in montagna, agli atti di sabotaggio, alla diffusione di volantini. Avvicinatosi al Partito comunista, diffonde e/o produce materiale di tale Partito o ad esso ispirato.

Arrestato, e messo in cella con altri, tra cui il fratello Pierino, continua a scrivere ai suoi, dicendo di stare bene, e, probabilmente, continua a disegnare. Quest’ultimo particolare, toccante e per alcuni versi macabro, trova conferme nella testimonianza di Sante Quaglia32.

Enrico scrive l’ultimo biglietto alla madre il 2 febbraio 1945, comunicandole che l’altro figlio, Pierino, è stato portato via “oggi” dal carcere, e aggiungendo, sul retro: “Adesso occupatevi solo di me, a Pierino ci va bene, non pensate male di lui33.” In verità la madre non potrà fare proprio nulla per quei due suoi figli: Enrico è prelevato e fucilato il giorno dopo, Pierino non tornerà indietro da Bolzano.

Il corpo di Enrico, abbandonato nel Campo di Vezzano Basso, dimostrerà i segni inequivocabili delle torture subite.

Sopralluogo e riflessioni a partire dall’oggi

Arrivo a Vezzano sull’onda, soprattutto, della rilettura del libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”34, perché in esso si sente palpitare, nonostante gli anni intercorsi tra il 1944 e il 1994, data di uscita del testo, una storia viva, corale: quel “nostra” del titolo, è, infatti, significativo esempio di vicinanza e affetto.

Il mio tentativo è quello di riappropriarmi, se possibile, al di là degli aspetti fattuali e tecnici che riguardano la storia come materia35, di un’atmosfera.

Il mio appuntamento è con Nadia Ferdeghini36, dell’ANPI locale, la quale mi parla di quei tempi e di quegli uomini, per come li ha sentiti narrare (essendo nata, come me, nel Dopoguerra) e mi dice che, la mattina del 7 dicembre 1944, il paesaggio era caratterizzato da una nebbiolina trasudante umidità37, forse come quella che mi accoglie oggi.

E così, dal suo terrazzo, che dà verso il Golfo da una parte e verso il Magra dall’altra, fotografo innanzitutto la casupola38, ormai in rovina e sommersa dai rovi, dove si riuniva il CLN vezzanese, collocata un po’ fuori dal paese, lievemente a valle, raggiungibile attraverso sentierini e, soprattutto, in una posizione che consentisse a chi vi si trovava vie di fuga agevoli. E Nadia mi dice che la zona di Vezzano era luogo di transito per chi avesse deciso di recarsi ai monti, grazie alla guida di staffette incaricate di farlo: suo padre, Emilio Ferdeghini, detto “Lio”, riconosciuto come partigiano nella Brigata “Gramsci”-Battaglione “Maccione”39, nei rari racconti, le ha detto di avere messo bombe ai tralicci del ponte ferroviario di Fornola (cui si arrivava grazie ad una vietta posta in Masignano), e che, sempre lui, svolgeva anche la funzione di guida per chi volesse recarsi in montagna. Utilizzava, a tale scopo, la terra di famiglia, in Corongiola, particolarmente adatta a raggruppare uomini che dovessero fermarsi lì, per qualche ora o un po’ di più, in quanto sufficientemente riparata e dotata di una bella fontana, denominata “cirloncin”, dai canti degli uccellini che, attirati da essa, andavano a dissetarsi. Da lì partivano i ribelli, a gruppetti, ed Emilio li portava in genere verso la zona del Monte Gottero.

Vado poi, sempre con Nadia, nella sede dell’ANPI, un vero e proprio piccolo museo40, di fronte al quale trattengo quasi il fiato. Su tutte le pareti ci sono fotografie e documenti, ma noto anche che ad un muro sono addossati dei bellissimi maxi cartoni, disegnati da Luciano Viani: in essi, tramite disegni, si parla dei fatti salienti del 7 dicembre, ma anche di altre cose, compresa l’opera delle staffette e la fontana in Corongiola, un modo didattico e incisivo per spiegare la storia a ragazzi che vadano a visitare la sede.

Quadro con fotografie dei partigiani e patrioti di Vezzano Ligure-Sede Anpi Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone
Quadro con fotografie dei partigiani e patrioti di Vezzano Ligure. Conservato presso la sede ANPI di Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone

E, mentre il mio sguardo si appunta tecnicamente sui documenti, per cui chiedo la possibilità di fotografarne almeno due, quello con la composizione, probabilmente, delle persone principalmente impegnate nella Resistenza vezzanese e quello costituito dalla foto dei partigiani, riuniti insieme in un quadro, vivi e morti41, come si prese l’abitudine di fare nell’immediato Dopoguerra, creando dei veri e propri “medaglieri” con le foto di tutti, ciò che mi fa davvero commuovere è ancora altro. Custoditi sotto vetro stanno documenti autografi di Enrico Bucchioni, gelosamente preservati e tramandati. Non solo, dentro una vetrina, su un manichino, è collocato l’abito e la sciarpa rossa che Pietro Andreani indossò, così mi viene detto, il 3 febbraio 1945, quando fu fucilato, mentre, subito sopra, su un altro ripiano, c’è la sciarpa gialla a pois, che metteva in carcere per ripararsi dal freddo. I colori hanno forse subito l’usura del tempo, ma non più di tanto: il vestito, forato dai proiettili, e le due sciarpe, ci ricordano materialmente e visivamente che un tempo appartenevano a un uomo, morto in circostanze drammatiche. Sono gli oggetti stessi a narrare, in un certo senso, la loro storia, senza bisogno di inventare nulla, è come se da essi provenissero dei barlumi, per aiutarci a ricostruirla, senza finzioni o aggiunte, rispettando i fatti della storia, ma anche con una sorta di empatia per quelle vicende.

Documento depoca conservato presso la sede ANPI di Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone
Documento d’epoca conservato presso la sede ANPI di Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone

L’ultimo passo, a chiusura logica, è quello che compio per portarmi lì vicino, di fronte alle targhe di marmo, poste sulla parete esterna dell’edificio comunale. Sono incisi nella pietra i nomi di chi morì nel periodo resistenziale: la comunità vezzanese ha deciso di suddividerli tra chi è caduto in combattimento, chi di fronte al plotone di esecuzione e chi nei campi di concentramento. Leggendoli, è possibile fare anche un ripasso veloce di storia della Resistenza della IV Zona Operativa. I nomi fissati nella pietra sembrano essere indelebili. E, tuttavia, le pietre non bastano: occorrono le narrazioni. Spariti i protagonisti e i testimoni, possiamo affidarci ai libri, alle pietre, ma, soprattutto, alla volontà di tramandare una storia, tragica certo, e tuttavia, proprio “nostra”, e perciò degna di essere ricordata.

Lapide commemorativa a Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone
Lapide commemorativa a Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone

NOTE

1 Basti pensare al massiccio rastrellamento del giorno 21 novembre 1944, a causa del quale vennero arrestate più di 250 persone, di tutte le età e provenienti da tutti gli strati sociali, V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/07/Deportati-di-Migliarina-largo.pdf (Scheda cura di Maria Cristina Mirabello)

2 Qualcuno, come il Capitano Renato Mazzolani di “Giustizia e Libertà”, responsabile delle SAP cittadine, venne arrestato in dicembre. Tradotto in carcere (nella sede dell’ex XXI Reggimento Fanteria), sottoposto a torture, si uccise, per non parlare. V. per lui anche https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2015/12/Mazzolani-Renato-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).

3 Nella famiglia è da ricordare la sorella minore, Luisa, soprannominata “Vanna” che, usando i pattini e fruendo della insospettabilità derivante dal fatto che era giovanissima (all’epoca aveva 15 anni), fungeva da collegamento rispetto a Antonio Borgatti “Silvio”, Segretario della Federazione provinciale comunista, il quale aveva trovato casa alle Pianazze, quindi, vicino al Termo, zona contigua al territorio vezzanese. Ne parla Borgatti nel suo libro “Anni clandestini. Memorie 1904-1945”, (a cura di Aldo Giacché), Edizioni Giacché, 2022.

4 Andrea Borrini si era già impegnato, clandestinamente, durante gli anni del regime fascista, nell’ambito del “Soccorso rosso”.

5 All’inizio, poco dopo l’8 settembre, si trattava di gruppi spontanei, costituiti da giovani e giovanissimi della zona di Vezzano Stazione, Fornola, Vezzano, San Venerio, Carozzo. Ne parla Vega Gori “Ivana”, la quale ricorda come spesso, all’inizio, manifestassero la loro insofferenza a fascisti e tedeschi cantando sommessamente cori di opera, ad esempio “Si ridesti il leon di Castiglia”, dall’“Ernani” di Verdi, per passare poi ad appiccicare ai muri volantini, anche scritti a mano, usando farina impastata con acqua come colla. Lei, che sarebbe diventata dattilografa e staffetta per Antonio Borgatti, rimanendogli a fianco per tutti i mesi, dal giugno 1944 fino, praticamente, alla Liberazione, era, nell’autunno 1943, una ragazza appena diciassettenne, che i fratelli non volevano nella cospirazione. V. “‘Ivana’ racconta la sua Resistenza. Una ragazza nel cuore della rete clandestina”, Edizioni Giacché, 2013. Dei due fratelli di “Ivana”, Erro, sarebbe poi andato ai monti, nel Parmense, mentre l’altro sarebbe rimasto al piano, diventando, nel Dopoguerra, il primo Sindaco, eletto, di Vezzano Ligure.

6 Arrigo Diodati, dopo la sua permanenza alla Spezia, si trasferì a Genova. Combattente nella Resistenza genovese, catturato, si salvò fortunosamente dalla strage nazifascista di Cravasco il 23 marzo 1945.

7 Tra i luoghi finitimi non va dimenticata Arcola, da subito caratterizzata da dinamiche molto attive, anche come Fronte della Gioventù.

8 D’altra parte l’area vezzanese, nonostante la repressione dovuta alla dittatura fascista e la presenza di un consistente gruppo di famiglie conservatrici, ha anche forti radici, sia repubblicane che socialiste (e poi comuniste). Il terreno si presenta, insomma, fecondo per le iniziative resistenziali, diventando una sorta di laboratorio per esse. Cospirano Piero Borrotzu, tenente, sardo, di madre vezzanese, accolto a Vezzano, dopo l’8 settembre, dal cugino della madre, Nino Ferrari), Medaglia d’oro al VM alla memoria, tra i primi della Brigata d’ assalto “Lunigiana, fucilato a Chiusola il 5 aprile 1944; Franco Coni, sottotenente, sardo, amico di Borrotzu, anche lui animatore della Brigata d’Assalto Lunigiana, quindi Comandante per un periodo del Battaglione “Matteotti” e poi, fino alla Liberazione, della I Compagnia “Arditi”; il Colonnello Giulio Bottari, che tesse da subito instancabilmente le fila clandestine e che, catturato a Genova, deportato, muore a Mauthausen nell’aprile 1945; Maresciallo Lugi Dallara, legato a Giulio Bottari, catturato e fucilato per rappresaglia a Ressora di Arcola (27 settembre 1944), Giovanni Spezia, catturato e fucilato per rappresaglia a Ressora di Arcola (27 settembre 1944), padre di Gerolamo; Gerolamo Spezia, Medaglia d’oro al VM alla memoria, caduto durante il rastrellamento dell’8 ottobre 1944. Non solo, numerosi sono i contatti, grazie al socialista Attilio Battolini, tra il paese e Follo, dove si trova l’avvocato Agostino Bronzi, anche lui socialista, e dove si stanno, a loro volta, muovendo gruppi resistenziali. Per Attilio Battolini e le sue vicende, v. in particolare “Attilio e gli altri” di Laura Lotti, cit.
Per una maggiore conoscenza di Piero Borrotzu, Giulio Bottari, Agostino Bronzi, Piero Spezia, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Borrotzu-Pietro-largo.pdf; https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Bottari-Giulio-via.pdf; https//www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/10/Bronzi-Agostino-darsena.pdf; https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Spezia-Gerolamo-largo.pdf (Schede a cura di Maria Cristina Mirabello). Per le circostanze della fucilazione di Luigi Dallara e Giovanni Spezia v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/Arcola-Martiri-della-Libert%C3%A0-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).

9 L’articolo è dedicato ai fatti di Vezzano del 7 dicembre 1944, e non a tutta la Resistenza vezzanese o a tutta quella che in questo borgo ha radici o afferenze. Il Libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., nel corso delle sue pagine, dà però la parola, direttamente o mediatamente, a molti vezzanesi aderenti alla Resistenza: Renato Andreani, Ideale Battolini, Cesare Bonatti, Giuseppe Bonati, Medaglia d’argento al VM, Aldo Comis, Enrico Cozzani, Pietro Cozzani, Francesco Del Bello, Piero Del Giudice, Emilio Ferdeghini Riccardo Ferti, Alessandro Grossi, Cesare Orlandi, Pierino Puppo, Sante Quaglia, Ilvano Tomà, Bruno Scattina (va detto che dai loro racconti emergono ulteriori figure, alcune delle quali hanno combattuto in altre regioni, come quella di Gianni Bocchi, Medaglia d’argento al VM, Sergio Conti e Camillo Risi o, addirittura, in altre nazioni, come Pierino Baldassari). Si ricordi infine che appartiene al Comune di Vezzano anche il gruppo valeranese, con Amelio Guerrieri, Medaglia d’argento al VM, Origliano Montefiori, Nello Sani (quest’ultimo morto nel corso del rastrellamento del 20 gennaio 1945), gruppo cui il libro di Anna Valle fa cenni.

10 Numerose testimonianze sul 7 dicembre, o comunque su date collegate ad esso, riguardanti vezzanesi, sono ritrovabili nel libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., che, a sua volta, attinge in parte anche dal “Numero Unico ‘Circolo Culturale 7 dicembre’”, 1974, o da altri scritti. Tra i ricordi quelli di Giovanni Andreani, Edilio Conti, Rinaldo Basini, Attilio Battolini Emilio Ferdeghini, Alessandro Grossi, Riccardo Ferti, Piero Orlandi, Ilvano Tomà, Piero Puppo, Erio Portonato. C’è inoltre la testimonianza di Giuseppina Cogliolo “Fiamma”, che non è vezzanese ma che conosce Enrico Bucchioni in circostanze per lei drammatiche: ferita, ma scampata al rastrellamento della Brigata “Muccini” del 29 novembre 1944, arriva fortunosamente a Fornola, dove operano le SAP. Accompagnata a Vezzano Ligure, viene affidata a Enrico Bucchioni e accolta premurosamente dalla madre di lui. Collocata, in via provvisoria, dentro una casa disabitata, in fondo al paese, si sveglia il mattino dopo, quando una donna le dice di scappare, informandola che è stato catturato Enrico Bucchioni, con altri. Proprio Enrico era riuscito a farla avvisare, ed è, quindi, grazie a lui, che “Fiamma” può allontanarsi, mettendosi in salvo.

11 Tra i principali informatori di essi è, sicuramente, don Emilio Ambrosi, processato per questo motivo nel Dopoguerra, condannato a morte, commutati in 30 anni di reclusione, e morto poi in carcere nel corso del 1946. Il comportamento di don Ambrosi è, insomma, completamente diverso da quello di numerosi sacerdoti spezzini, i quali si dimostrarono veri “pastori del popolo”, patendo anche il carcere (v. per un approfondimento il rastrellamento di Migliarina del 21 novembre 1944). Per non parlare di chi fu ucciso (don Emanuele Toso e don Giovanni Battista Bobbio). Per ulteriori notizie sui sacerdoti spezzini, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/07/Scarpato-Mario-don-largo.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).
Tra i segnalati, si salva un ragazzo perché risparmiato dal soldato (polacco) che lo ha fermato. Dice Giovanni Andreani, il quale, in quella tragica giornata, riuscì a nascondersi: “Nel nascondiglio dove restai per diverse ore potei assistere anche a un fatto che mi colpì profondamente. Vidi un polacco che accompagnava un giovane vezzanese, Giuseppe Dalle Lucche, detto Pino; essi percorrevano la via Verdi quando, giunti all’altezza della ‘cabina’, il milite fece nascondere il giovane, poi fermò una pattuglia tedesca, impedendo così che il Dalle Lucche fosse visto, quindi si presentò a mia madre invitandola a nascondere il ragazzo per salvarlo dalle ire nazifasciste. Le fece capire che ‘Pino’ assomigliava a un suo fratello trucidato in Polonia dalle forze tedesche.” Sempre Giovanni Andreani, aggiungendo di avere notato come quel soldato polacco fosse dotato di una mappa “Dove erano segnate in rosso le case di alcuni partigiani vezzanesi”, conferma il fatto che il rastrellamento aveva degli obiettivi precisi e precedentemente segnalati (“7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure”, cit.).

12 La vicenda della data differita è ricostruita articolatamente in Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.

13 Scrive Maurizio Fiorillo nella Scheda già citata che il reparto tedesco non è stato identificato; quanto ai fascisti italiani, afferma Fiorillo, prendono parte al rastrellamento reparti della Divisione “Monterosa” della RSI e della spezzina Brigata Nera “Tullio Bertoni”.

14 Per Aurelio Gallo, fascista al servizio dei tedeschi, e per il carcere dell’ex XXI, luogo spezzino in cui egli interrogava e seviziava i prigionieri, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/XXI-Reggimento-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello). Aurelio Gallo viene processato (non solo per i fatti di Vezzano ma per molti altri gravissimi episodi) dalla Corte d’Assise straordinaria, alla Spezia, nel Dopoguerra. Condannato a morte, è ucciso a Forte Bastia (Vezzano Ligure) il 5 marzo 1947. Tra i torturatori del carcere vanno annoverati, in ordine alfabetico, Emilio Battisti, Aldo Capitani, Matteo Guerra, Michele Morelli, Ennio Viviani. Tra gli aguzzini, molti detenuti ricordano anche don Rinaldo Stretti. Subirono la pena di morte, fucilati insieme ad Aurelio Gallo, solo Emilio Battisti e Michele Morelli.
A proposito delle torture inflitte e delle vicende processuali, v. l’articolo di Giorgio Pagano “I ribelli della Lunigiana e Aurelio Gallo, il torturatore” (22-4-2019) in “Città della Spezia”, giornale on line, https://www.cittadellaspezia.com/2019/04/22/i-ribelli-della-lunigiana-e-aurelio-gallo-il-torturatore-284477/

15 Si tratta quindi di due vittime civili che però la comunità vezzanese ha sentito di ascrivere alla Resistenza locale.

16 Laura Lotti in “Attilio e gli altri”, cit., dedicato ad Attilio Battolini, che il 7 dicembre è appena rientrato da una missione a Vezzola (Zignago) presso il Comandante Mario Fontana, dice, a proposito del 7 dicembre 1944: “Attilio è preoccupato perché ha cose murate. Egli cade con molti amici e compagni nella morsa tedesca che quella notte chiude tutte le strade di uscita dal paese. Contadini, operai appena usciti di casa sono fermati ed inviati nella piazza della chiesa. Non c’è possibilità di fuga. Tra i primi ad essere arrestati sono Pietro Andreani, vecchio comunista e presidente del CLN. Arrivano contemporaneamente nel piazzale davanti a villa Centi Attilio Battolini, la famiglia Ferdeghini composta da Luigi e dai suoi figli Emilio e Francesco, Rinaldo Basini, a cui si aggiungono Piero Orlandi, Vittorio Lumachelli, Edilio Conti, Rino Andreani, Luigi Cozzani e molti altri… I segnalati, circa 90 persone delle 300 fermate, sono raccolti in un recinto di tavole situato sotto villa Centi.” Le cose “murate” sono, evidentemente, documenti clandestini.

17 Il giorno prima, 2 febbraio 1945, c’era stato, a Vezzano, uno scontro tra una squadra di partigiani scesa al piano per approvvigionamenti, e alcuni fascisti, nel corso del quale furono feriti 4 partigiani (di cui due vennero portati via dai compagni; gli altri due, non individuati sul momento, rimasero lì: uno, Annibale Giansoldati, morì poche ore dopo, ed uno, Aldo Comis, ferito, ma in grado di muoversi, si salvò portandosi verso Fornola, dove fu soccorso da una famiglia. Per i fascisti ci furono un morto e un ferito, probabilmente provocati dall’avere fatto esplodere essi stessi, malamente, una bomba.

18 Oggi “Piazza del Popolo-7 dicembre 1944”.

19 La sequenza dei fatti del 7 dicembre 1944 e di quelli, ad essi collegati, del 2-3 febbraio 1945, è ricostruita da Maurizio Fiorillo nelle Schede citate.

20 “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.

21 Ad esempio, per scambi tra fascisti e/o tedeschi catturati dai partigiani ed elementi della Resistenza.

22 La lettura di alcuni biglietti scritti da Enrico Bucchioni in carcere, rivolti ai familiari, lascia intravedere in lui qualche speranza di poter sfuggire al duro destino che lo attende (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., pp. 64-72). Sempre dalle testimonianze sembra invece potersi ricavare la certezza, più volte espressa da Pietro Andreani, riguardo a sé, che morirà (v. dopo).

23 Citato anche nel libro di Antonio Bianchi “Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana”, Editori Riuniti, 1975, p. 111, come attivo propagandista del Partito Comunista.

24 Sul carcere e su quanto avveniva tra le sue mura esistono molte testimonianze. Tra esse, v. “Ricordi di un luogo di tortura” di Attilio Battolini, “La Spezia. Rivista del Comune”, ristampa del n.4-6, luglio-dicembre 1955 (anche Attilio Battolini subì percosse e torture). Presta cure a Battolini Emilio Ferdeghini (v. la sua testimonianza nel libro di Laura Lotti “Attilio e gli altri”, cit., p. 200).

25 V. ad esempio, tra le altre, quella di Emilio Ferdeghini nel libro di Laura Lotti “Attilio e gli altri”, cit., p. 201. Il comportamento di Andreani è sempre molto coraggioso, anche se “Tutte le sere veniva prelevato e torturato così ferocemente che non riusciva più a parlare”.

26 Ilvano Tomà, catturato il 7 dicembre e portato in carcere con gli altri vezzanesi, dichiara che una sera, mentre era interrogato, vide in un angolo della stanza il corpo sanguinante e riverso sul pavimento di Andreani. Probabilmente, come osserva Anna Valle, Tomà svenne, ritrovandosi poi nella stessa cella di Andreani che lo compianse dicendo appunto, in dialetto, allo stesso Tomà: “Povro fanto, guarda cosa i t’an fato”. Tomà rimase con Andreani qualche tempo, ma una sera, sempre Andreani, tornando da un interrogatorio, gli comunicò che era successo qualcosa a Vezzano, aggiungendo “Mi fucileranno e fucileranno anche te”, consigliandogli per il mattino dopo, quando sarebbe stata detta la Messa, di non rientrare nella sua stessa cella. Tomà fece così, rientrò, ma in un’altra cella, salvandosi, così egli sostiene, dalla fucilazione (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p. 63).

27 Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p.85.

28 Natale (Francesco) scampa in modo del tutto fortuito al rastrellamento del 7 dicembre 1944.

29 Pierino Bucchioni, rastrellato il 7 dicembre, imprigionato, segue, come molti compaesani, la via della deportazione, rimanendo bloccato (come altri) nel campo di Gries, a Bolzano. Nei giorni della Liberazione, muore tragicamente, travolto da un camion di tedeschi in fuga.

30 Il parroco di Vezzano Alto è don Storti, ben diverso dal delatore e connivente fascista don Emilio Ambrosi, parroco di Vezzano Basso. Secondo la testimonianza di Pietro Bernardi, riportata da Anna Valle in “Una storia nostra”, cit., p. 22, Enrico Bucchioni, prima di essere fucilato, avrebbe chiesto al parroco di Vezzano Basso di essere comunicato, e ciò gli sarebbe stato negato.

31 Basini, arrestato il 7 dicembre, imprigionato, viene avviato alla deportazione, ma, a causa dei bombardamenti, come altri vezzanesi, viene fermato a Bolzano e, in questo modo, si salvò.

32 Risulta da più fonti che il carcere dell’ex XXI, dopo la Liberazione, presentò, agli occhi di chi vi entrava, molti disegni sulle pareti. Tra essi, Sante Quaglia dice di avere ravvisato un disegno di Vezzano visto dal fiume, una Madonna, la chiesa di Vezzano Basso, riconoscendovi, senza dubbio, la mano di Enrico Bucchioni. La tinta dei disegni, bruno rossastra, per come è stata descritta, farebbe presupporre in essi la presenza di sangue (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p. 73).
Il carcere, situato nell’attuale via Aldo Ferrari, è stato abbattuto negli anni Settanta del Novecento: al posto di esso sorge oggi il complesso scolastico del “2 giugno”.

33 Probabilmente Enrico ritiene Pierino più al sicuro lontano dalle grinfie dei carcerieri fascisti spezzini rispetto a quanto può accadere a lui che, ormai, sente la morte appressarsi sempre più.

34 Cit.

35 Esempio di ciò sono le due Schede curate da Maurizio Fiorillo.

36 L’appuntamento è di pomeriggio, il 10 novembre 2023. Nadia è figlia di Emilio Ferdeghini “Lio”. Ho potuto mettermi in contatto con lei grazie a Oretta Jacopini, dell’ANPI-La Spezia.

37 Nell’opuscolo “7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure”, cit., Giovanni Andreani parla per quella giornata di pioggia e freddo intenso.

38 Una foto della casupola, in tempi in cui era ancora visibile nelle sue linee fondamentali, è appesa nella sede ANPI, di cui parlerò dopo. Mi dice Nadia Ferdeghini che nella casupola c’era un piano terra adibito a pollaio e, sopra di esso, un piano per il fieno.
Le riunioni del CLN non avvenivano solo in questa sede, ma, per non dare troppo nell’occhio, anche in sedi diverse.
E’ bene ricordare che un’altra casupola si trovava nel territorio vezzanese, ben nascosta dentro i boschi del Molinello, nel rigido inverno 1944-1945. La conformazione era identica, un piano terra, dove stavano però le pecore, e un piano sopraelevato, dove Vega Gori “Ivana”, diciottenne, vezzanese di adozione, batté a macchina, per lunghe ore, documenti della Federazione PCI e del CLN provinciali.

39 V. Registro Storico dei partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa https://www.isrlaspezia.it/strumenti/partigiani-e-patrioti-della-iv-zona-operativa-1943-1945/; v. anche la sua Scheda in https://partigianiditalia.cultura.gov.it/persona/?id=5bf7bf164d235218049f219f. Emilio Ferdeghini fu catturato il 7 dicembre 1944. Imprigionato all’ex XXI°, poi a Marassi, quindi a Milano, in un gruppo di 12 vezzanesi, arrivò a Bolzano. Destinato alla deportazione, ormai in treno sulla via di Mauthausen, non vi arrivò a causa dei bombardamenti. Riportato a Bolzano con il fratello, il padre e il cognato Giuseppe Baldassini, venuta la Liberazione, poté rientrare (Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p.56-57).

40 I documenti d’epoca conservati in esso, mi dice Nadia Ferdeghini, provengono da Claudio Bucchioni, figlio di Francesco Bucchioni, e quindi nipote di Enrico, che li ha donati all’ANPI. Di tali documenti, scritti da Enrico Bucchioni, si trova un’analisi accurata nel libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.

41 Questo tipo di documentazione è, a mio parere, assai importante, ed è stata però a lungo trascurata. Essa consente, pur nei limiti delle eventuali e scusabili dimenticanze, di ricostruire, almeno complessivamente, il quadro resistenziale di ogni zona della provincia, perché in tutta la provincia ci furono iniziative fotografiche identiche. Non solo, si dà così un volto a chi non c’è più, ma, poiché spesso, come nel caso di quello di Vezzano, il quadro è suddiviso in settori, si possono individuare le funzioni svolte dai dai vari personaggi.