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Autunno 1943/ gennaio 1944: alcuni lineamenti di storia resistenziale spezzina e lunigianese, leggendo Giulivo Ricci.

A cura di Patrizia Gallotti e Maria Cristina Mirabello*

(* Presidente e Vice Presidente Fondazione ETS ISR La Spezia)

Abbiamo deciso, come ISR-La Spezia, di dedicare, in questi primi giorni del 2024, un ricordo a Giulivo Ricci1 che tanto ha scritto, tra l’altro, sulla Resistenza spezzina e lunigianese, consentendo a tutte/tutti noi, successivamente, di attingere al patrimonio prezioso che ha lasciato, sia per le storie narrate dai suoi libri, sia per la documentazione in essi contenuta.

Sicuramente, nel frattempo, la ricerca sul territorio è andata avanti, ma non dobbiamo mai dimenticare che, senza l’apporto di Giulivo Ricci, e di altri2 che, con passione, hanno indagato gli avvenimenti resistenziali, non sarebbe possibile a noi, oggi, integrare, approfondire, e, se necessario, emendare, la storia della IV Zona Operativa.

Abbiamo perciò pensato che fosse cosa buona, per ricordarlo, estrapolare alcuni passaggi contenuti nei suoi libri, dedicati ai primi nuclei di Resistenza che si formarono in maniera embrionale nel territorio spezzino e lunigianese (con riferimento alle vicende spezzine), volgendo perciò lo sguardo a quello che accadde tra autunno 1943 e fine gennaio 1944, riguardo:

1) al gruppo misto, fondamentalmente composto da sarzanesi e santostefanesi (ma anche da arcolani e spezzini), configurabile, per certi aspetti, come il nucleo originario della successiva Brigata garibaldina “Ugo Muccini”;

2) al gruppo di Torpiana (Zignago), riconducibile al Partito d’Azione, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”;

3) al delinearsi della figura di Gordon Lett;

4) al Gruppo “Bottari”; al Gruppo, sorto a Calice al Cornoviglio, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”, di aderenza azionista.

I brani, necessariamente selezionati, tratti dai libri di Giulivo Ricci, sono collocati tra virgolette3; i raccordi esplicativi tra essi, scritti in corsivo, sono curati da chi ha scritto questo articolo, e sono ripresi, ma solo in parte, da lavori on line, già pubblicati da ISR nel proprio sito, vedi: Lessico della Resistenza e Le vie della Resistenza.

  1. Argomento: Gruppo misto, fondamentalmente formato da sarzanesi e santostefanesi (ma anche da arcolani e spezzini), configurabile, per certi aspetti, come il nucleo originario della futura garibaldina Brigata “Muccini”

Zone di riferimento: Val di Magra, Tresanese (Lunigiana), Prede Bianche (tra Val di Magra e Val di Vara).

A Sarzana il Partito Comunista, aveva un gruppo fortemente determinato, che, nonostante le varie ondate di arresti, persisteva, in qualche modo, dal Ventennio fascista. A capo di esso era Anelito Barontini4, per cui, già a ridosso dell’8 settembre 1943, sulle colline retrostanti la città, aveva trovato collocazione un nucleo di ispirazione comunista, articolati tra la Ghiaia di Giucano, Prula, Monte Nebbione. Comandante militare del gruppo, come tale generalmente riconosciuto, era Emilio Baccinelli5, mentre Paolino Ranieri6 assumeva di fatto il ruolo di Commissario politico. L’ obiettivo era quello di tessere le fila organizzative nella bassa Val di Magra, tra Lerici, Vezzano, Arcola, Santo Stefano e Sarzana, dove, non a caso, furono compiuti attentati di tipo gappistico7, fermo restando che l’attività dei GAP altro non era se non un’emanazione dei gruppi dimoranti sulle colline.

Nel frattempo si era formato un gruppo santostefanese, avente come riferimento Primo Battistini8 (che in seguito si chiamerà “Tullio”).

pp. 49-509

“Dalla zona di Caprigliola, intanto, Primo Battistini, che a queste operazioni gappistiche diede un suo contributo insieme con Emilio Baccinelli, si era spostato sotto la Casa Bianca, alle Prade di Falcinello, in casa di un Musetti. Lì i sarzanesi, e soprattutto Dario Montarese (Briché)10 e Paolino Ranieri (Andrea), lo avvicinarono e, da quel momento, i rapporti, nonostante una certa autonomia dei due gruppi saranno mantenuti; dovendosi fin da ora sottolineare che quanto l’antifascismo e la professione di fede comunista dei vecchi carcerati e confinati politici erano provati, meditati e volti a considerare globalmente i problemi dell’ora, tanto l’antifascismo di ‘Tullio’ era istintivo, alieno da ogni preoccupazione politica e partitica, venato di sentimenti anarchici e piuttosto insofferente dei freni che i primi avrebbero voluto a buon diritto imporre”.

Nota 21, p. 5411

“’Tullio’ era poi tornato per qualche tempo verso Caprigliola e Santo Stefano, perché era stato avvertito che alcuni giovani intendevano unirsi ai ‘ribelli’: questi erano, tra gli altri, Adalberto Signanini [NdR12: in realtà Cesare Signanini13 “Adalberto”], il cui padre, in contatto con il CLN, era addetto alla mensa dello Stabilimento ‘Muggiano’…”

A seguito dei colpi di mano gappistici, e per eventuali azioni di antiguerriglia fasciste, alcuni esponenti del gruppo sarzanese si misero alla ricerca di un luogo dove potersi trasferire in sicurezza, individuandolo, dopo avere a lungo girovagato, nella località Trambacco, Comune di Tresana (MS), non lontana da Bolano (SP) e da Podenzana (MS). Al Trambacco andò anche Primo Battistini.

pp. 56-5714

“Un primo gruppo nel quale si trovavano, tra gli altri, ‘Briché’, Pilade Perugi, ‘Tullio’, Luciano Magnolia, Emilio Baccinelli, Guglielmo Vesco ed Ernesto Parducci, partì il 27 dicembre15… Qualche giorno dopo arrivarono gli altri, da venti a trenta uomini in tutto: Paolino Ranieri, Ercole Madrignani, Flavio Bertone16, Goliardo Luciani, Giuseppe Podestà, Angelo Tasso, Amedeo Luigi Giannetti, Lino e Ottorino Schiasselloni, i fratelli Forcieri e il figlio del vicesindaco socialista di Sarzana, Lanfranco Sabbadini (‘Cesare’); insomma i componenti dei nuclei già costituiti fra i Succisi di Caprigliola, Ponzano e Falcinello.

Al Trambacco si portavano anche Anelito Barontini, Giovanni Albertini del Canaletto, che era stato uno dei primi dirigenti giovanili comunisti clandestini ed aveva patito il confino di polizia nel 1933, e Anselmo Corsini che, con l’Albertini e Barontini, dopo l’8 settembre 1943 faceva parte del Comitato Federale del PCI… E al Trambacco, secondo autorevoli testimonianze, da altri non accolte, si sarebbe costituito ufficialmente per la prima volta un distaccamento garibaldino nel nome di ‘Ugo Muccini’”.

Svariate furono le azioni compiute avendo come base di partenza il Trambacco, da cui talvolta si allontanavano anche, per incombenze varie, alcuni uomini; lo stesso Anelito Barontini dovette rientrare, insieme ad Anselmo Corsini, alla Spezia, dove era stato nominato segretario del PCI al posto di Terzo Ballani, che aveva retto di fatto la Segreteria fino ad allora.
La permanenza al Trambacco si rivelò dunque impossibile per motivi logistici. Il gruppo, costituito in prevalenza da sarzanesi, girovagò alquanto.

pp. 59-6017

“Anche nella guerra per bande occorreva [NdA= secondo il PCI] fare di più: quella di Ranieri, di Montarese, di ‘Tullio’ ‘sganciatisi’ al Trambacco, era in effetti l’unica banda che il PCI spezzino fosse riuscito a conservare, ma ora essa si trovava a mal partito, proprio mentre altre forze politiche antifasciste, antinaziste e socialiste, tra Vezzano e la Val di Vara, usufruendo dell’apporto di ex-ufficiali dell’esercito italiano come Franco Coni, Pietro Borrotzu18 e il colonnello Bottari19, stavano attivamente cospirando e tessendo la tela di un’organizzazione guerrigliera di stampo ‘badogliano’, ma politicamente influenzata o influenzabile dal Partito Socialista e dal Partito d’Azione…

…Le condizioni di vita al Trambacco apparvero, dopo poco tempo, tali da non consentire una permanenza…

Sta di fatto che la comunanza si sciolse, profilandosi l’esigenza della ricerca della possibilità di sopravvivere in attesa che si ricreassero le condizioni per la ripresa della lotta.

Un gruppo costituito in prevalenza da vecchi antifascisti sarzanesi, poco dopo oltre la metà di gennaio decise di rifugiarsi a Zerla, villaggio in Comune di Albareto…”.

Di tale gruppo sarzanese facevano parte, in quel momento, Paolino Ranieri, Podestà, Vesco, Montarese, Goliardo Luciani, Ercole Madrignani e alcuni giovani. Essi però vennero rapidamente individuati, dovettero varcare il Monte Gottero, recarsi a Popetto nel Comune di Tresana (MS) e, infine, tornare indietro, tra Forte Bastione e Vallecchia, tra il Comune di Fosdinovo e quello di Castelnuovo Magra.

Tra i “ribelli” del Trambacco c’era tuttavia, come già detto, anche una decina di uomini che, raccolti intorno a Primo Battistini, preferirono, dopo aver lasciato quella zona, andare verso l’alto, alle Prede Bianche, tra Val di Vara e Val di Magra, dove rimasero fino al 30 gennaio 1944, quando, sorpresi da un attacco nemico, ebbero un morto e tre prigionieri. Si salvò, con alcuni, grazie a uno stratagemma, Primo Battistini.

Ritroveremo Primo Battistini, qualche elemento del primitivo gruppo sarzanese-santostefanese ed altri, arcolani e spezzini, nel frattempo confluiti verso il Parmense, impegnati nell’ambito della così detta banda “Betti”, quando, il 12 marzo 1944, avvenne, a Valmozzola, il famoso assalto al treno. Ma questo avvenimento, molto importante, sarà raccontato a parte.

  1. Gruppo di Torpiana (Val di Vara, Zignago), riconducibile al Partito d’Azione, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà”20
  2. Gordon Lett21

Zone di riferimento: Zignago (Torpiana) e Rossanese (Zerasco)

Il primo nucleo organizzato dal Partito d’Azione sul territorio spezzino è ascrivibile a Torpiana di Zignago, dove, a partire dall’autunno 1943, operano azionisti genovesi con la collaborazione di quelli spezzini. A tale proposito, si possono citare i nomi dei genovesi Giulio Bertonelli “Balbi”22, importante figura di riferimento del Partito d’Azione ligure, Edoardo e Gaetano Basevi, Antonio Zolesio, Pier Lorenzo Wronowski, mentre sono autoctoni i Bogo, i Ferretti, i Benelli e Livio Acerbi.

Il nucleo di Torpiana, che si sviluppa appunto nell’inverno 1943-1944, stringe anche importanti rapporti con un piccolo gruppo di militari inglesi fuggiti da un campo prigionia in provincia di Piacenza: al comando degli inglesi è il Maggiore Gordon Lett.

p. 42-4323

“… La posizione geografica [NdR: di Torpiana] offriva notevoli garanze per i requisiti che le erano propri, il trovarsi cioè quel villaggio all’interno di un Comune, Zignago, completamente privo di strade rotabili, Sufficientemente lontano dalle vie di comunicazione principali ma non tanto da ostacolare un rapporto od un contatto con il mondo ‘esterno’ ai fini del collegamento con la stessa città capoluogo di provincia, oltre che con altri ‘centri’ cospirativi e logistici, primo fra tutti Brugnato, punto di riferimento obbligato e tappa ineliminabile tra la Spezia e l’Alta Va di vara e, per sentieri e mulattiere impervi, Calice al Cornoviglio, Zeri, Rossano e la Val di Magra… A queste condizioni proprie dell’ambiente fisico si aggiungevano le caratteristiche dell’ambiente umano, di una popolazione ospitale, che aveva subito passivamente il fascismo, che aveva anzi visto non pochi tra i suoi figli rifugiarsi in Francia e in America durante il ventennio e, con l’invasione tedesca, divenire partigiani nella Resistenza d’Oltre Alpe. Altri fattori sostanziali vanno ricercati nel fatto che un esponente antifascista, qualificatosi su scala regionale, come Giulio Bertonelli, che già abbiamo più volte incontrato, fosse nato proprio in Comune di Zignago e mantenesse rapporti con la terra di provenienza, e che a Torpiana si trovassero, rifugiativisi per sfuggire alle persecuzioni razziali, i genovesi Edoardo e Gaetano Basevi, cugini, i quali si metteranno in contatto con un loro conoscente, il dottor Antonio Zolesio, che svolge a Genova attività cospirativa nell’ambito del partito d’Azione ed è già in contatto con altri noti antifascisti. E neppure va dimenticato che dal 15 ottobre 1943 a Rossano di Zeri, villaggio posto oltre la catena montuosa ma a pochi chilometri in linea d’aria da Torpiana, era capitato Gordon Lett, ex prigioniero di guerra, insieme con il sergente australiano Bob Blackmore, che poi abbandonerà il maggiore inglese e passerà alla G.L., il fuciliere Mick Micallef ed altri.”

p. 4324

“Nei primi tempi, come del resto in molti italiani, predominava in Gordon Lett la preoccupazione di non rischiare la vita, neppure con l’attraversamento delle linee del fronte, dal momento che ci si illudeva in una assai rapida fine del conflitto. Secondo un esponente della guerriglia tra Vara e Magra25, il Lett era, in quei tempi, convinto che il rischio non valesse la candela.

Chiusa momentaneamente questa parentesi su Lett, che sarà più volte riaperta, aggiungiamo subito che come in altre località di campagna e di montagna, anche a Torpiana ed in altri villaggi del Comune di Zignago e dei comuni limitrofi, avevano trovato ospitalità militari sbandati di ogni arma, soprattutto meridionali, impediti ed ostacolati a rientrare nei paesi nativi dalla divisione in due della penisola, configurantesi ormai in ‘Italia liberata? E in ‘Italia occupata’.

Tutti questi fattori, a loro volta, avevano agito fortemente nel senso di creare un’atmosfera di libertà e di speranza, di modo che le chiamate alle armi del governo di Salò non avevano conseguito risultati concreti; e materiale umano per l’opera di cospirazione e, poi, di lotta armata, stava maturandosi, pronto per i ruoli di collaboratori, d’informatori, di combattenti.”

p. 4526

“Secondo i ricordi del Bertonelli, l’inglese, ufficiale effettivo dell’esercito, concepiva i futuri partigiani italiani come una specie di legione straniera dell’esercito di Sua Maestà britannica. In ogni modo, la discussione [NdR: tra Bertonelli e Gordon Lett, durante un incontro avvenuto, secondo Giulivo Ricci il 1 novembre 1943] servì a chiarire a Gordon Lett quale fosse invece il concetto dominante deli antifascisti italiani, che si dichiararono pronti a stabilire un contatto tra lui e l’Inghilterra, dal quale sarebbero potuti uscire esiti favorevoli alla progettata collaborazione nella lotta contro il comune avversario. In effetti, gli azionisti milanesi, con Parri, avevano istituito un servizio di comunicazioni con la Svizzera e a Genova il Prof. Ottorino Balduzzi era riuscito a collegarsi con la Corsica. La lettera che il maggiore Gordon Lett consegnerà al Bertonelli giungerà a Londra prima di Natale.”

  1. Gruppo Bottari; Gruppo, sorto a Calice al Cornoviglio, che poi confluirà nella Colonna “Giustizia e Libertà” di aderenza azionista

Zone di riferimento: Vezzano Ligure, Calicese e Val di Vara.

Il nucleo ascrivibile al Calicese, cui afferisce un’area punteggiata da varie realtà, si sviluppa, sempre a partire dall’autunno 1943, dapprima con l’obiettivo di darsi una struttura organizzativa e, dal febbraio 1944, anche con scopo operativo.

Si formano inizialmente tre gruppi: uno in Località Borseda (con Ferdana, Garbugliaga, Beverone), uno in Località Debeduse (con Lavacchio Terrugiara e Vicchieda); uno in Località Villagrossa allargatosi poi a Santa Maria, Molunghi; Calice-Campi-Nasso; Suvero; Veppo e Casoni; Castiglione Vara.

Gli aderenti di Borseda, Debeduse e Villagrossa, partecipano al primo incontro di coordinamento, che ha luogo presso il cascinale Buscini, in località Debeduse, già il 19 ottobre 1943: promotore e coordinatore dell’incontro stesso è il Tenente Daniele Bucchioni27.

Si muove anche la frazione di Madrignano; Piana Battolla, Follo e Pian di Follo, dove esplicano un’intensa attività il capitano Orazio Montefiori (“Martini”)28 e Fernando Chiappini, collegatisi poi con il movimento già sorto a Vezzano Ligure29, mentre a Valeriano troviamo Amelio Guerrieri30.

Particolare incidenza assume, in questo quadro, la figura di don Carlo Borelli31, parroco di Follo Alto, che diventerà poi cappellano di GL.
Sempre a Follo-Bastremoli va ricordata la figura di Agostino Bronzi32, insigne militante socialista che lì risiede e che, in un certo senso, assume la funzione di tramite con il gruppo di Vezzano Ligure.

p. 33-3433

“Un punto di riferimento obbligato per chi voglia affrontare il problema generale della Resistenza alla Spezia, quello particolare della nascita delle prime formazioni patriottiche combattenti e, in maniera speciale, dei prodromi e dei primi passi dei nuclei che daranno vita alla Brigata d’Assalto Lunigiana e, successivamente, alla Colonna GL, è costituito dal Gruppo ‘Bottari’’… Il movimento sorto a Vezzano Ligure dall’innesto del patriottismo di derivazione legittimistico-militare sul vecchio tronco antifascista e socialista locale viene condotto in modi e forme diverse con l’attività politica del centro cittadino, con elementi azionisti e, ad un certo punto, fornirà alcuni dei quadri più qualificati all’organizzazione e alla direzione della guerriglia in Val di Vara… La presenza a Vezzano Ligure del colonnello Giulio Bottari34, ufficiale in SPE, reduce dalla Russia e in licenza, di orientamento chiaramente antifascista, del maresciallo Luigi Dallara, del marinaio Baviera è fattore assai importante di mobilitazione, specie verso il recupero delle armi.

Il colonnello Bottari è messo in contatto con l’ambiente socialista spezzino, con l’avvocato Agostino Bronzi, con Pietro Beghi35, con Rodolfo Locori e Vincenzo Puglia. Le idee divergono: il colonnello, in linea con la sua mentalità, tende alla costituzione di nuclei e gruppi composti esclusivamente da militari, ovviamente i dirigenti socialisti sono di altro parere.

Questo iniziale contrasto non impedisce la collaborazione. Un salto di qualità è operato dall’arrivo in paese del tenente sardo Piero Borrotzu36 -cugino di Antonio Ferrari- subito diventato infaticabile animatore e attore del movimento patriottico37.”

p. 3538

“ D’altra parte le località39, in cui si erano sprigionate queste preziose scintille, non presentavano le caratteristiche proprie delle terre atte alla guerriglia Né tanto meno quelle di un ambiente aggregante per il confluire di quegli elementi e fattori diversi, indispensabili al crearsi delle condizioni favorevoli al nascere, allo sviluppo e alla direzione della lotta armata… queste condizioni… potranno trovare la possibilità di concretarsi a Torpiana40, nel montano Comune di Zignago, in Val di Vara, quasi al confine con il territorio della provincia di Massa Carrara.”

Se questo succedeva nelle varie aree geografiche sommariamente delineate, va anche ricordato che, contemporaneamente, soprattutto in città, alla Spezia, muoveva i suoi primi e non facili passi il Comitato di Liberazione Nazionale provinciale (CLNp)41, istanza unitaria delle forze politiche antifasciste.


Note

1 Giulivo Ricci, nato ad Aulla il 27 gennaio 1924 e morto a Fivizzano il 23 settembre 2009, caratterizzato da profondi e molteplici interessi per la terra di Lunigiana, cui ha dedicato numerosi scritti a carattere culturale (a lui è intitolato il Centro Aullese di Ricerche e Studi Lunigianesi, che fondò), si volge, già dagli anni Settanta del Novecento, alla tematica della Resistenza, collaborando proficuamente con l’Istituto Storico della Resistenza spezzino, sorto nel 1972. All’inizio degli anni Ottanta, Ricci partecipa attivamente alla costituzione dell’Istituto Storico della Resistenza Apuana, di cui poi sarà anche, per un lungo periodo, Presidente. Citiamo, per un invito alla lettura e per eventuali ricerche, i seguenti volumi di Giulivo Ricci, che fanno parte, insieme ad altri dello stesso Autore, della dotazione libraria di ISR La Spezia: Avvento del fascismo, Resistenza e lotta di liberazione in Val di Magra (1975), Contributi alla storia della Resistenza in Lunigiana (1976), Storia della Brigata Matteotti-Picelli (1978), Storia della Brigata garibaldina Ugo Muccini ( 1978), I verbali delle sedute del Comitato comunale di liberazione nazionale di Aulla ( 1978), La Spezia combatte in Valsesia (1980), Resistenza in Lunigiana e fuoruscitismo apuano (1984), La Colonna Giustizia e Libertà (1995), La Brigata garibaldina Cento Croci, a cura di Giulivo Ricci, Varese Antoni e altri, ( 1997), Dalle montagne di Lunigiana (1999), Diserzione renitenza alla leva in Lunigiana durante la Repubblica di Salò (2000), I gruppi di Merizzo e di Monti (2002), Itinerari della resistenza Apuana (2004) Tra gli innumerevoli Convegni e iniziative culturali che promosse, va citato, a proposito di Resistenza, l’importante Convegno “Retrovie della Linea Gotica occidentale. Il crocevia della Lunigiana” che si svolse, nel 1986, ad Aulla, Pontremoli e Fivizzano, di cui curò anche la pubblicazione degli Atti. [NdR: per la data di nascita e di morte si ringrazia Paolo Bissoli, Presidente ISRA).

2 Cercheremo, nel corso dell’anno 2024, di ricordare, in qualche modo, specie attraverso stralci dai loro scritti, anche altri storici e/o appassionati di storia, che, ormai deceduti, hanno trattato il periodo resistenziale spezzino.

3 Non si riportano però le lunghe e documentate Note di Giulivo Ricci. Le Note dell’articolo, molto brevi, sono state curate dalle redattrici, facendo spesso riferimento a materiale on line nel sito ISR.

4 V. Brigata Garibaldi U. Muccini

5 V. GAP Gruppi Azione Patriottica

6 V. Brigata Garibaldi U. Muccini

7 V. GAP Gruppi Azione Patriottica

8 V. Battaglione M. Vanni e Brigata Garibaldi U. Muccini

9 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978.

10 V. Brigata Garibaldi U. Muccini

11 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978.

12 NdR: Nota delle Redattrici dell’articolo.

13 Nell’estate 1944 il primo nome della Brigata “Vanni” (Comandante Primo Battistini “Tullio”), essendo, nel frattempo, Signanini morto, sarà proprio quello di “Signanini”.

14 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978.

15 1943.

16 V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2017/04/Bertone-Flavio-Luigi-piazza.pdf

17 Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, cit.

18 V. successivamente in questo articolo.

19 V. successivamente in questo articolo.

20 V. Colonna Giustizia e Libertà

21 https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/Calice-Lett-Gordon-via.pdf

22 Giulio Bertonelli, esponente di primo piano del Partito d’Azione in Liguria, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2023/10/Zignago-Bertonelli-Giulio-piazza.pdf

23 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane); Associazione Partigiani “Mario Fontana”, La Spezia; Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1995.

24 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, cit.

25 Giulivo Ricci si riferisce, come dichiara in una Nota, a Ezio Giovannoni, esponente di GL, capo del SIM (Servizio Informativo Militare) IV Zona Operativa.

26 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, cit.

27 V. Battaglione Val di Vara

28 V. Colonna Giustizia e Libertà

29 V. Paragrafo seguente.

30 Amelio Guerrieri, Medaglia d’argento al VM, diventerà poi Comandante del Battaglione “Zignago-Gindoli” della Colonna “Giustizia e Libertà”.

31 V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/Follo-Borelli-don-Carlo-piazza.pdf

32 V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/10/Bronzi-Agostino-darsena.pdf

33 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, cit.

34 V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Bottari-Giulio-via.pdf

35 V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Beghi-Pietro-Mario-via.pdf

36 Medaglia d’oro al VM alla memoria. V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Borrotzu-Pietro-largo.pdf

37 Va ricordato, insieme a lui, Franco Coni, anch’egli sardo, sottotenente dell’Esercito e suo amico. V. 1a Compagnia Arditi

38 Ricci, Giulivo, La Colonna “Giustizia e Libertà”, FIAP (Federazione Italiana delle Associazioni Partigiane); Associazione Partigiani “Mario Fontana”, La Spezia; Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1995.

39 Le località comprese da Ricci, e di cui parla, vanno anche oltre il Calicese.

40 Di Torpiana si è già parlato nei Paragrafi precedenti.

41 V. C.L.N. La Spezia

NB
In copertina Giulivo Ricci all’inaugurazione della lapide in ricordo della Resistenza a Codolo di Zeri nel 2002 (part.).

Breve Cronologia della IV Zona Operativa, luglio 1943 – aprile 1945

All’inizio del triennio di celebrazioni dell’Ottantesimo della Liberazione (1943-45/2023-25), pubblichiamo una breve Cronologia della IV Zona Operativa come strumento di consultazione per tutti, in particolar modo per le Scuole. Molti termini sono opportunamente collegati, a cura di ISR-La Spezia, a pagine di riferimento ritrovabili in questo sito.


La Cronologia, curata da Maria Cristina Mirabello, è già stata pubblicata nel libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana”, Edizioni Cinque Terre, 2017.


La medesima Cronologia, in occasione della pubblicazione on line, è stata integrata e corretta, sulla base di ulteriori documenti disponibili, a cura di Maria Cristina Mirabello e Giorgio Pagano.

Il 25 aprile è una gran festa, per la LIBERTÀ ritrovata, ma quanti sono morti per arrivare ad essa!

Il rastrellamento dell’8 ottobre 1944

A cura di Sandro Centi, membro del Consiglio di Amministrazione dell’ISR-ETS

Una premessa

Per comprendere meglio l’argomento trattato, può essere utile fare una breve ricostruzione storica degli avvenimenti che precedono l’8 ottobre 1944: mi soffermerò, per brevità, solo sugli antecedenti della Brigata Vanni, coinvolta, insieme ad altre forze partigiane, in esso. Il motivo di ciò è dato dal fatto che di tale Brigata non è stata ancora scritta una storia, e che quindi può essere utile delinearne alcuni caratteri.1

Il nucleo originario della futura Brigata Vanni nasce, nei primi giorni di giugno 1944, ad Adelano di Zeri, intorno a Primo Battistini (“Tullio”), al rientro di quest’ultimo, con pochi uomini, dalla Val di Taro e dalla Val di Ceno.

Questo gruppo, che si rafforza come quantità progressivamente, ha come Comandante Primo Battistini “Tullio” e come Commissario politico Giovanni Albertini “Luciano”. Denominato dapprima Brigata “Signanini”, verso la fine di luglio 1944, nell’ambito della nascita del Comando Unico affidato al Colonnello Mario Fontana “Turchi”, assume il nome di Brigata d’Assalto “Melchiorre Vanni”, con all’attivo più di duecento uomini.

I suoi Distaccamenti trovano posto in tale periodo nelle località di Adelano, Coloretta, Noce, Monte Favà, Patigno e Monte Malone, sul quale si svolgeranno i primi lanci.

Questa striscia di territorio offriva, oltre a un discreto isolamento, dato dal fatto che c’era una sola strada carrozzabile proveniente da Pontremoli, anche il vantaggio della posizione predominante per affrontare un eventuale combattimento in condizioni favorevoli. Da tali postazioni, gli uomini della Vanni, dovevano sostenere lunghe marce notturne per giungere in territorio nemico, a svolgere azioni di sabotaggio oppure di recupero di armi e materiale alimentare o prelevamenti di militari nemici, da utilizzare per scambio di prigionieri. “I più attivi erano sempre i vecchi ragazzi della Vanni”, ricorda il partigiano Saverio Sampietro (“Falchetto”), “che ormai si erano abituati a resistere ai sacrifici, alle fatiche, nell’affrontare tedeschi e fascisti”.

Basti ricordare, tra le altre, l’azione, che passerà alla storia come “La beffa di Ceparana” (24 luglio 1944), quando la squadra di Eugenio Lenzi “Primula Rossa”, composta di 15 partigiani, tra cui Giuseppe Mirabello “Apollo”, Francesconi Fausto (“Furia”) e Giovanni Cozzani (“Ciccio”), scende al piano ed effettua un clamoroso colpo di mano contro i magazzini generali tedeschi a Ceparana, catturando militari tedeschi e repubblichini, impossessandosi anche di grandi quantitativi di generi alimentari. 

Purtroppo il 3 agosto 1944 ha inizio il primo rastrellamento in grande stile delle forze nazifasciste. Viene investita l’intera zona compresa tra il Vara, il Magra, il Taro. Partecipano all’azione reparti della X^ Mas, della G.N.R., delle Brigate nere, alpini della Monte Rosa e alpini tedeschi, in tutto 10.000 uomini.

Tutta la struttura organizzativa della Resistenza del territorio, che poi diventerà 4^ Zona Operativa, non ancora efficiente e solida, è messa a dura prova.

La scarsità di armi, l’impreparazione militare, politica, psicologica dei singoli partigiani (molti uomini erano arrivati da poco ai monti), la mancata organizzazione di una ordinata difesa da parte del Comando di Divisione, furono i principali fattori che determinarono lo sbandamento di interi reparti partigiani. Solo una efficace resistenza della Brigata “Cento Croci” e reparti di Giustizia e Libertà di Bucchioni, permise ai resti delle altre Brigate di ripiegare, seppur con gravi perdite. Si distinse, per spirito combattivo e coraggio, però, anche il distaccamento della Vanni dislocato al Ponte dei Rumori di Noce, guidato da Duilio Lanaro (“Sceriffo”), che seppe tener testa all’impeto delle colonne nazifasciste che risalivano da Pontremoli per entrare nello Zerasco. 

Dopo lo sbandamento, e la destituzione del Comandante Primo Battistini “Tullio”, al momento del rastrellamento non presente (unico sottoposto poi ad inchiesta, e la cui posizione è però variamente interpretata ed interpretabile), per la Vanni l’opera di ricomposizione risultò molto laboriosa. L’opera di riorganizzazione fu affidata al Commissario politico Giovanni Albertini “Luciano” che, già pochi giorni dopo, era fiducioso di riuscire presto nell’impresa e scriveva “In questo momento la Brigata si sta organizzando alacremente “. Albertini fidava altresì nel rientro di alcune forze rimaste alle dipendenze del destituito “Tullio”, ma questa speranza andò delusa, perché diversi ex effettivi della Vanni non si staccarono da lui, e questo dimostra come egli esercitasse ancora un forte ascendente su tanti partigiani, specialmente i più giovani. 

La Vanni, comunque, si ricostituì in fretta e, seppur ridotta numericamente, ritornò presto operativa.

Comandante venne nominato Duilio Lanaro (“Sceriffo”) e Commissario politico rimase Giovanni Albertini “Luciano”.  Essi, insieme a un centinaio di uomini, si spostarono prima su Fontana Gilente e poi in località “Boschetto”, zona compresa tra il passo dei Due Santi e Albareto di Borgotaro. Si sistemarono, ad eccezione del distaccamento comandato da “Primula Rossa”, che si trovava a Montedivalli, in alcune capanne di montagna con un po’ di fieno per le bestie.     

Anche in quel periodo tuttavia furono frequenti le partenze di squadre di sabotatori che andavano a compiere azioni militari verso Bolano, Piana Battolla, Follo, Ceparana e periferia della Spezia. Vale la pena ricordare la distruzione del famoso ponte parabolico ferroviario di Ostia Parmense attuata da una squadra di sabotatori della Vanni, in collaborazione con un distaccamento della Brigata Julia operante nella zona, che interruppe la linea La Spezia-Parma fino alla fine della guerra.

A metà settembre il Comando di Divisione decide lo spostamento della Vanni nella zona del Calicese. Dapprima la Brigata prende posto a Santa Maria, poi il Comando di essa si sposta, secondo la testimonianza di Saverio Sampietro (“Falchetto”) presso le Case Carzachi, tra Monte Alpicella e Monte Ciliegia. Inoltre Duilio Lanaro, (“Sceriffo”), Comandante della Vanni, in un rapporto al Comando di Divisione specifica che “Tre compagnie di circa 70 uomini ciascuna, sono sistemate sul crinale che corre dal Monte Pietrebianche fin sopra Montebello, con un ulteriore distaccamento a Tranci di Montedivalli”. 

Arriva così l’8 OTTOBRE 1944

Per capire meglio il dipanarsi del rastrellamento, occorre conoscere bene le forze in campo, la loro consistenza e la loro dislocazione.

La Brigata Vanni contava su una forza di circa 230 uomini,

La Colonna Giustizia e Libertà è coinvolta nel rastrellamento solo con uno dei due Battaglioni che la compongono e cioè il Battaglione Val di Vara, formato da tre compagnie per un numero complessivo di quasi 300 uomini. Per ultimo c’è il Battaglione Picelli di Nello Quartieri con circa 60-80 uomini.

Vediamo nella cartina seguente la loro dislocazione. 

Anche in questa circostanza, come nel rastrellamento del 3 agosto, siamo di fronte ad una forte disparità, sia nel numero di combattenti impiegati, sia nelle armi in dotazione. Tremila e più nazifascisti, armati di tutto punto, contro poche centinaia di partigiani molti dei quali privi di armamento personale.

La zona interessata al rastrellamento è quella delimitata dal perimetro costruito sulle località di Rocchetta Vara, Suvero, Casoni, Montereggio, Mulazzo, Parana, Tresana, Bolano, Piana Battolla, Madrignano, Castiglione Vara, con al centro la vallata di Calice.

Come si può intuire dalle località coinvolte, il rastrellamento interessa la metà circa del territorio che costituirà la 4^ Zona Operativa. 

La manovra a tenaglia, visibile nella cartina seguente, prevedeva di far convergere le truppe nazifasciste, dalle ali esterne di partenza, verso un solo punto centrale, che, in questo caso, era rappresentato dalla conca di Calice. 

L’attacco nazifascista fu sferrato con reparti di alpini della Monterosa, della X^ Mas, di Brigate nere, di tedeschi e truppe mongole. La Brigata Vanni e il Battaglione Val di Vara di Giustizia e Libertà, come vedremo, risentirono il maggior peso del combattimento. Certamente, nel suo complesso, l’operazione antiguerriglia si risolse in un insuccesso dei nazifascisti che, non riuscendo, come invece era avvenuto il 3 agosto, a scompaginare il dispositivo partigiano, abbandonarono dopo tre lunghe giornate l’impresa, consolandosi con il comunicare, attraverso la stampa e la radio, la falsa notizia di centinaia di morti e di feriti partigiani e di mezzo migliaio di prigionieri. 

In realtà il bilancio degli scontri è di 47 perdite partigiane, tra morti, feriti e catturati e un centinaio di perdite nazifasciste.

Pietro Beghi, Segretario del C.L.N. provinciale, annoterà: “L’8 ottobre ‘44 un nuovo rastrellamento compiuto da ingenti forze nazifasciste ha posto a dura prova le nostre formazioni, le quali, forti di una migliore organizzazione, si comportarono brillantemente mantenendo integro il loro inquadramento.” E ancora, la relazione del Comandante di Divisione Colonnello Mario Fontana: “Nei recenti rastrellamenti si sono particolarmente distinti i reparti della Brigata Vanni e il Distaccamento Bucchioni della Colonna Giustizia e Libertà. Detti reparti, che non hanno potuto, come da ordine del Comando, effettuare per tempo lo sganciamento previsto, hanno accettato e ricercato il combattimento, infliggendo al nemico gravi perdite”.

Come si svolsero i fatti

Alle prime ore del mattino del giorno 8 pattuglie della Vanni e di Giustizia e Libertà segnalano la presenza di forti contingenti tedeschi autocarrati nelle località di Piana Battolla, Rocchetta Vara, Mulazzo.

A quel punto in tutta la vallata di Calice risuona l’allarme generale, che indica un pericolo grave ed imminente. 

Da Rocchetta, dove le truppe tedesche si sono concentrate durante la notte, al mattino presto si muovono due colonne, una diretta a Veppo e l’altra verso Suvero. Alle ore 8 si segnala l’arrivo a Suvero di 12 autocarri carichi di SS tedesche. Messa in allarme, la 1^ Compagnia della Colonna Giustizia e Libertà, comandata da Daniele Bucchioni “Dany”, viene schierata a difesa nella zona compresa tra il monte Bastia e Foce di Borseda, a sbarramento delle provenienze da Rocchetta Vara.

Alle 8 circa le prime pattuglie tedesche, percorrendo la mulattiera che sale dall’abitato di Veppo, protette da violento fuoco di accompagnamento, giungono a poca distanza dalle file partigiane. Al segnale convenuto il fuoco di arresto dei partigiani si scatena all’improvviso facendo cadere numerosi nazifascisti. 

Dopo i primi sbandamenti, i tedeschi si riorganizzano e, con l’ausilio di nuovi reparti sopraggiunti e del fuoco di alcuni pezzi di artiglieria piazzati sulla rotabile sotto Veppo, tentano un nuovo attacco, ma anche questo viene respinto.

A metà mattinata giunge la notizia che reparti tedeschi sopraggiunti a Prati di Forno, provenienti da Beverone, tentano un aggiramento delle forze partigiane. Un’altra brutta notizia arriva dal versante opposto, dove una forte colonna tedesca, che da Suvero ha raggiunto i Casoni, scende da Monte Bastia per colpire al fianco la linea di difesa partigiana alla Foce di Borseda. Ai Casoni i tedeschi sono passati indisturbati: qualcosa non ha funzionato. Sulla mancata resistenza ai Casoni da parte della Compagnia lì dislocata i Comandi della GL espressero severe critiche, anche perché non si era provveduto ad avvertire i reparti impegnati alla Foce di Borseda del pericolo che incombeva dall’alto.

A quel punto Bucchioni, per evitare l’accerchiamento, ordina il disimpegno delle squadre più minacciate e via via delle altre, un ripiegamento verso i boschi di Debeduse e Borseda, occultando le armi pesanti. Rimangono a coprire la ritirata soltanto il Comandante Bucchioni e il giovanissimo Gerolamo Spezia “Piero” che dalla loro postazione sparano rabbiosamente in tutte le direzioni. Ormai il cerchio di fuoco si stringe inesorabilmente su di loro. Una raffica di traccianti colpisce il povero Spezia alla testa e in pieno petto, e muore all’istante. A quel punto Bucchioni, sparando all’impazzata, approfittando di una bomba fumogena lanciata dai tedeschi, in mezzo a un inferno di fuoco, si lancia giù per il pendio, riuscendo a ricongiungersi con i propri uomini. I tedeschi dilagano su Borseda, sfogando tutta la furia su poveri civili e, dopo aver razziato il bestiame, temendo un contrattacco partigiano si avviano verso valle. Il bilancio di questa epica battaglia indica è di cinquanta morti nazifascisti, tre morti partigiani e oltre dieci uomini dichiarati dispersi. Furono quattro i civili barbaramente uccisi. 

Un’altra direttrice dell’attacco concentrico messo in atto dalle forze nazifasciste è quella proveniente da est, dalla vallata del Magra, partendo dai paesi di Mulazzo e Tresana.

Un tratto di questo versante della catena divisoria tra il Vara e il Magra è occupato dal Battaglione Picelli di Nello Quartieri (“Italiano”), con il grosso della formazione schierato alla Crocetta di Mulazzo e un distaccamento posizionato leggermente più a sud, in un casone sopra la frazione di Parana, dove, nell’abitato, si trova anche un distaccamento di Giustizia e Libertà comandato da Ferruccio Bardotti.

Il mattino presto dell’8 ottobre viene dato l’allarme su un movimento di truppe nella strada tra Mulazzo e il bivio Parana-Montereggio, poiché lì, allora, terminava la strada rotabile. Tutto il Battaglione Picelli si mobilita, ma il rastrellamento arriva su di esso all’improvviso. Dopo gli scontri a fuoco alla Madonna del Monte, a Montereggio e a Crocetta, che si protraggono fino alle due del pomeriggio, tutte le forze del Battaglione ripiegano sui crinali e decidono lo sganciamento alla Formentara di Zeri.

Nei combattimenti rimane ucciso un partigiano del vicino Battaglione Internazionale, un altro è ferito, e un altro ancora viene catturato e poi fucilato.  Il rastrellamento ha duramente scosso gli uomini del Picelli, che si sentono abbandonati dal Comando di Divisione, lasciati senza lanci e ridotti in miserevoli condizioni di armamento e vestiario. Seguirà, per fortuna, un chiarimento risolutore che porterà successivamente alla costituzione di un nuovo Battaglione, denominato Matteotti-Picelli, comandato sempre da Nello Quartieri, che entrerà a far parte della futura Brigata Gramsci.

Ritorniamo allo svolgimento del rastrellamento per vedere cosa è successo al distaccamento della GL stanziato a Parana. Alle prime luci del giorno, il tenente Ferruccio Bardotti, messo al corrente dell’arrivo di ingenti forze nemiche, lascia l’abitato di Parana e, risalendo la costa, prova a costituire una linea di difesa sul crinale del monte. Vista però la enorme superiorità dell’attaccante, ripiega e raggiunge il Comando della GL a Fresoni. Insieme al “Boia” (Vero Del Carpio, Comandante della Colonna) e altri addetti del Comado riuscirà ad occultarsi negli anfratti del torrente Mangiola. Lo stesso “Boia”, è bene ricordarlo, aveva impartito disposizioni che prevedevano di difendere le posizioni, se si era in presenza di truppe della R.S.I., e di sganciarsi, se si trattava di forti contingenti tedeschi. 

Il Colonnello Fontana, col suo Comando di Divisione si trova al Cerro, ma riesce ad allontanarsi, puntando su Fontanafredda, prima che la località venga raggiunta dalle truppe che salgono da Mulazzo. Queste truppe, in perfetto assetto di guerra, sono formate da tedeschi, mongoli e Brigate nere con reparti di SS italiane, guidate dal criminale torturatore, tristemente noto alla Spezia, Aurelio Gallo, che, appena arrivato a Parana, ordina di incendiare la casa che aveva ospitato il Distaccamento GL.

Durante la notte, tra otto e nove ottobre, era caduta abbondante pioggia, che aveva limitato le operazioni militari e le attività di pattuglia. Comunque i tedeschi e i fascisti, provenienti da più direzioni, si attestarono nei paesi del versante orientale (Castello, Santa Maria e Nasso). Ritennero pericolosa la permanenza a Borseda e a Debeduse, che pertanto tornarono sotto il controllo partigiano. 

Rimangono da spiegare gli avvenimenti del terzo fronte di attacco, quello portato da sud, che, nelle intenzioni del Comando germanico, avrebbe dovuto chiudere il cerchio intorno alle formazioni partigiane, per poi distruggerle.

In questo caso viene investita maggiormente la Brigata Vanni che, subendo vari scontri a fuoco, perde 13 combattenti.  

Come abbiamo visto, fin dalle prime ore dell’8 ottobre, forti contingenti tedeschi si stanno ammassando nei pressi di Piana Battolla.  Si crea un collegamento tra il Distaccamento comandato da “Primula Rossa” della Brigata Vanni, collocato a Tranci, e partigiani di Giustizia e Libertà della 2^ Compagnia stanziati poco sopra Piana Battolla. Intanto le truppe nazifasciste, prima di superare il ponte sul Vara, hanno effettuato un rastrellamento nell’abitato di Piana Battolla, in cui muore un operaio e un partigiano, gravemente ferito, perde la vita nei giorni successivi. 

I tedeschi, dopo aver razziato capi di bestiame a Castiglione e Beverino, formano uno schieramento che si estende da Padivarma alle pendici di Montebello, vicino a Bolano, con una colonna, che fa da caposaldo, dislocata nella frazione di Usurana, per bloccare ogni uscita a valle della conca di Calice. Sempre nella mattinata si aggiunge un altro forte contingente tedesco, che si mette in movimento da Tivegna, irradiandosi in tutte le direzioni. 

Il rastrellamento parte fulmineo e non dà tempo ai Comandi partigiani di organizzare una difesa efficace, perciò viene deciso di desistere alle prime puntate tedesche per mettere in salvo il materiale pesante e sganciarsi in un secondo tempo. Infatti, il gruppo di “Primula Rossa” si allontanerà da Tranci, dirigendosi verso i boschi di monte Falò, perché, dato l’esiguo numero di combattenti, non è in grado di contenere la forte spinta nemica. 

Le cose non vanno bene nemmeno nella zona di Madrignano dove, in uno scontro a fuoco, perdono la vita tre partigiani della Vanni: Ferri Lindo, Allegria Mario e Rabez Ivan, un partigiano russo.

Intanto verso le 13 del pomeriggio, più a monte, una parte del distaccamento di Case Carzachi della “Vanni” si è disposto a bloccare la strada di Calice e, sempre d’intesa con reparti di Giustizia e Libertà, l’altra parte di distaccamento si schiera su altre posizioni per respingere eventuali attacchi da Madrignano. 

Proprio mentre questi uomini si apprestano a sostenere l’urto del nemico, nella zona tenuta dalla Vanni, cominciano a circolare diversi elementi sbandati di altre formazioni, privi anche delle armi personali, che contribuiscono a determinare un clima di confusione e scompiglio nelle file dei combattenti.  Questo fatto, molto destabilizzante, viene riportato nel rapporto finale del Comando di Brigata firmato dal Comandante Duilio Lanaro (“Sceriffo”) Comandante e dal commissario Politico Giovanni Albertini (“Luciano”). 

Il primo reparto tedesco, giunto a tiro, viene preso sotto il fuoco di un mitragliatore e perde 7 uomini, ma gli attacchi successivi e l’intensificarsi del fuoco nemico spezzano ogni velleità di resistenza, quindi lo sganciamento ordinato dal Comando viene effettuato molto disordinatamente. 

Nel tardo pomeriggio “Sceriffo” e “Luciano” si portano con due plotoni nei pressi di Martinello, verso il piano, per effettuare un attacco contro i rincalzi tedeschi che stanno affluendo in zona. Appostato un plotone a sud di Martinello e uno fra Martinello e Novegina, con l’ausilio di elementi di Giustizia e Libertà, attaccano una compagnia nemica di circa 60 effettivi, che sta transitando, e provocano 47 perdite, tra morti e feriti. Il contingente della Vanni è però quasi subito esposto al fuoco di un’altra Compagnia nemica, piazzata più ad ovest del fiume: lo sganciamento si può effettuare solo al calar della notte. Alla sera del giorno 8 ottobre quasi tutte la frazioni, con le eccezioni di Borseda e Debeduse, sono occupate dai nazifascisti. I partigiani sono tutti intorno, nascosti nei boschi e nei canali. Durante la notte, comincia la pioggia, a tratti torrenziale, che continuerà a cadere fino alla fine del rastrellamento. Il giorno 9 un forte distaccamento della Vanni si trova nel canalone dei Carzachi e decide di affrontare e attaccare i rastrellatori che pattugliano vari punti della montagna.

Sotto l’acquazzone partono a gruppi gli uomini, i quali, prese direzioni diverse, scelgono condizioni favorevoli per portare attacchi e imboscate. Purtroppo, nella Pineta di Calice, una squadra della Vanni, dislocata sul Monte Alpicella, si scontra con un forte contingente nazifascista salito dal madrignanese e, nella rabbiosa sparatoria che si scatena, perdono la vita 7 partigiani. Un cippo li ricorda. Sono: Ferrari Mario, Montefiori Giorgio, Marchini Armando, Montefiori Giulio, Ruggeri Luigi, Cioli Ovidio, e un Patriota non identificato. Altri tre perdono la vita nei pressi di Ferdana di Calice, mentre si spostano su Forno. Sono i partigiani Botto Giuseppe, Ferrari Attilio e Moretti Giovanni.

Il rastrellamento prosegue per tutto il giorno 9 ma, verso sera, le truppe tedesche cominciano a defluire verso valle, lasciando alla retroguardia reparti delle Brigate nere. Il giorno 10 il rastrellamento perde ulteriormente di intensità e il giorno 11 reparti della Brigata nera giunti alle ore 2 a Piana Battolla occupano e controllano tutto il paese, procedendo alle 6 di mattino ad un rastrellamento nell’abitato, con l’arresto di tutti gli uomini trovati. Durante il periodo di permanenza in paese la Brigata nera si dà al saccheggio più sfrenato in tutte le case. 

Finiva così il secondo rastrellamento in grande stile attuato dalle forze nazifasciste in quella che da dicembre avrebbe assunto la denominazione di IV Zona Operativa. 

Considerazioni finali

Come già visto anche in altre occasioni, la collaborazione fra uomini delle diverse formazioni avveniva, sul campo, senza problemi. L’attacco di Martinello, che causò notevoli perdite al nemico (47 tra morti e feriti), perché diversi automezzi furono centrati con bombe al plastico, fu condotto secondo i canoni classici della guerriglia: una colonna nemica fu sorpresa durante un trasferimento e colpita dall’alto della scarpata stradale (non vi furono perdite tra gli attaccanti).

L’11 ottobre i reparti nazifascisti si erano ritirati dalla zona colpita dal rastrellamento ed in pochi giorni ci fu la completa riorganizzazione delle forze partigiane. 

Ma non mancarono le polemiche. Di fronte ad un episodio militare come questo rastrellamento, che può essere ritenuto una sconfitta per gli attaccanti, i quali fallirono i loro obiettivi, stupisce, a mio parere, che nei primi rapporti dei Comandi, i quali in seguito modificheranno però il loro giudizio, siano state espresse critiche pesanti sull’operato del movimento partigiano. Certamente ciò è da attribuire alla pretesa di una perfezione organizzativa ed operativa dei reparti partigiani che non c’era e non poteva esserci. Non va inoltre dimenticato il concetto che finalmente era prevalso, malgrado la riluttanza dei militari di carriera, che il vero senso dell’attività delle formazioni consistesse nel conservare la propria capacità offensiva, usandola dove e quando l’autonoma iniziativa lo decidesse, e, al contrario, nel non accettare il combattimento secondo le condizioni e il momento scelto dal nemico, come appunto avveniva nei rastrellamenti. 

Certo, in questa occasione, il limite tra il combattimento attivo e il disimpegno, non fu uniformemente interpretato e applicato. Fu evidente che i Comandi avrebbero dovuto essere più chiari, e proprio di tale riflessione fu fatto tesoro in occasione del grande rastrellamento del gennaio 1945.

Infatti, il concetto di “sganciamento” sarebbe stato correttamente inteso, a gennaio, come un’operazione normale, da effettuare ogni volta che fosse possibile evitare il combattimento in condizioni sfavorevoli, mantenendo nel contempo, se non la compattezza, almeno l’integrità dei reparti. 

Da questo punto di vista salta agli occhi il progresso compiuto dell’agosto all’ottobre 1944. Molte testimonianze riferiscono che, spostandosi all’interno della zona rastrellata, si incontravano gruppi sparsi di partigiani, ma non si aveva l’impressione del panico, non erano state gettate le armi e, soprattutto, prevaleva la coscienza di riprendere subito dopo l’attività di reparto. 

Un ricordo personale

Con una certa emozione, chiudo questo articolo facendo un omaggio alla memoria di mio padre, Sergio Centi, partigiano della Brigata Vanni, e con lui, non potendoli nominare uno ad uno, vorrei dire grazie a tutti gli altri combattenti dell’8 ottobre 1944: a quelli della Vanni, di Giustizia e Libertà e del Picelli, ma vorrei anche ricordare la popolazione civile delle zone investite dal rastrellamento, colpita da uccisioni, violenze e ruberie. E, insieme a loro, occorre dire, e ribadire, con i dati numerici alla mano, specie in tempi di smemoratezza storica come quelli che viviamo, che tanti furono i morti lungo il cammino resistenziale: da quelli degli organismi politici, come il CLN, a quelli della Cento Croci, della Muccini, della Costiera, del Pontremolese, del Matteotti-Picelli, del Maccione, della Compagnia Arditi, dei V.A.L., della Leone Borrini, delle S.A.P. e dei G.A.P., insomma degli appartenenti a tutte le ramificazioni della rete clandestina.

Tantissimi furono i deportati nei campi di concentramento: La Spezia ha, nell’ambito della deportazione, un tragico primato, registrando, percentualmente, rispetto alle altre città italiane, più deportati, e annoverando il maggior numero di vittime a Mauthausen.

Acute furono le sofferenze e numerose le perdite nella popolazione civile.

Tornando al rastrellamento dell’8 ottobre, mio padre ha sempre raccontato che per due giorni si era trascinato, al pari dei suoi compagni, bagnato fradicio, nei boschi e nei canali, conducendo una sorta di guerriglia “mordi e fuggi” e trascorrendo le notti dentro i canaloni, semisommerso dall’acqua. Mi diceva anche, però, che, in quelle drammatiche circostanze, aveva ottenuto il permesso del Comando per sconfinare nella zona “libera” di Borseda. Voleva infatti dare l’ultimo saluto all’amico d’infanzia e coetaneo, il diciannovenne vezzanese “Piero” Spezia, deceduto in combattimento con GL e decorato poi di Medaglia d’oro al V.M. alla memoria, la cui salma era stata pietosamente composta nella cappella del cimitero di Borseda. 

Ora, “Piero” e mio padre, riposano, tutti e due a pochi metri di distanza, nel cimitero di Vezzano Ligure.

Mio padre, come altri, è stato tuttavia fortunato perché ha potuto vivere la sua vita, il povero Spezia, e moltissimi come lui, sono morti, spesso nel fiore degli anni.

1 L’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea sta provvedendo a colmare tale lacuna.

Ricerca storica e riflessioni (Battaglione garibaldino “Melchiorre Vanni”) #2

Battaglione “Vanni” e soprannomi: tra realtà e fantasia, tra essere e voler essere

a cura di Maria Cristina Mirabello

Premessa

Se esaminiamo storicamente, perché questo è il nostro compito, e tuttavia con occhio curioso ed umanamente partecipe, il lungo elenco di soprannomi che incontriamo in AISRSP, B 496, 76751, possiamo in un certo senso rapportarci al clima di un’epoca, quella degli anni Trenta/metà anni Quaranta, che si rispecchia spesso (non sempre) nei così detti “nomi di battaglia”. Come ben sappiamo, i partecipanti alla Resistenza assumevano (e comunque venivano invitati ad assumere), per confondere le tracce che a loro portassero nel disgraziato caso di delazioni, rinvenimenti di carte, catture, un altro nome, insomma un’identità diversa, con la quale, e frequentemente solo con la quale2, erano conosciuti dai loro stessi compagni (a meno che la mutua frequentazione non fosse precedente). E proprio riguardo a tale assunzione possiamo provare, attingendo dalle tracce documentali arrivate fino a noi, ad “organizzare” questi pseudonimi ed a fare qualche riflessione su che cosa significassero, avanzando anche ipotesi sul perché i vari patrioti decidessero di sceglierli. È evidente che, mentre per taluni soprannomi le nostre sono ipotesi suffragate da prove, per altri seguiamo una norma prudenziale, non pensando di avere necessariamente ragione.

Una tentativo di classificare i soprannomi

Per fare un po’ d’ordine in un universo che definire variegato è un eufemismo, data l’incredibile ricchezza di “alias”, diciamo innanzitutto, per procedere con qualche ordine, che alcuni “nomi di battaglia” si limitano a ripetere il nome di chi li assume. Ad esempio, tra gli altri, Astorre si chiama “Astorre”3, Fulvio ed Alfonso4 si denominano “Fulvio” ed “Alfonso”, Rodolfo ed Emo rimangono tali5, e così Alessandro6, oppure si ricorre ad un diminutivo del nome per cui Giuseppe diventa “Beppe”7, Giuliano8 diventa “Giulio”, Lorenzo diventa “Renzo”9, o, con piccola metatesi, Orlando diventa “Rolando”10, così come un Olivieri11 si chiama “Oliva”, accorciando il nome ed aggiungendo la prima lettera del cognome, o un Torti12 si muta in “Toti”, ed un Argilio si trasforma in “Argìa”13.

Molti sono i casi in cui il partigiano assume invece un altro nome, di persona: Marcello14 diventa “Walter”, Edo15 diventa “Dino”, Egidio diventa “Dante”16, e così via: a mio parere per questa assunzione sarebbe utile fare un’indagine, specie in famiglia o tra gli amici degli interessati, perché spesso risulta che il “nome di battaglia” abbia proprio questa derivazione, ma ciò richiederebbe un’indagine accurata che percorra la cerchia familiare o amicale, sebbene in taluni casi il nome possa avere una causa ancora diversa, ad esempio sia stato semplicemente scelto perché piaceva.

In genere, però, si dà ampio spazio, verosimilmente, a proiezioni della serie “Vorrei essere”, o “Vi dico in realtà chi sono”, “Questo è il mio programma”, “Questo è il mio personaggio preferito perché rappresenta…”, “Io vi sfido”, e così via.

Alcuni nomi possono ingannarci, sembrando in effetti appellativi di uso comune, ma, in realtà, andando a scavare, scopriamo che si tratta di personaggi letterari, protagonisti di libri a forte marcatura sociale, che hanno particolarmente colpito i lettori. E’ il caso del nome “Paolo”17, uno dei personaggi del libro “La Madre” di Maksim Go’rkij, stesso discorso per “Andrea”. A tale proposito, legati ad un riferimento letterario-politico o puramente politico, ricordiamo “Gorki”, come riporta l’originale dell’elenco, e “Lenin”18.

In taluni casi il soprannome è legato a circostanze del tutto estemporanee: è quanto succede, e ce lo dice lo stesso partigiano, per “Tardi”, che deve assumere appunto uno pseudonimo e non sa quale prendere, essendo arrivato dopo altri, i quali hanno assunto tutti i nomi che verrebbero in mente a lui, per cui, su suggerimento del partigiano “Falchetto”, si chiama semplicemente “Tardi”.

Per taluni si può ragionevolmente presupporre il richiamo a qualità che caratterizzano i portatori di essi, avvicinandoli a tratti in positivo del mondo animale: ecco allora la voce dialettale “Foin” (ma anche “Fuin”), cioè scaltro, veloce, un furetto19; e così “Lepre”20, che senza dubbio è assimilabile appunto ad una lepre, la quale non solo corre rapidamente, ma i cui piccoli sanno già correre ad un’ora dalla nascita; ed infine vale la stessa regola per “Falchetto”21, che ha la vista acutissima, come quella del falco. Ricordiamo a tale proposito anche “Lupo”22, “Cavallo”23, “Mosca”24 e “Gaina”25: in quest’ultimo caso il nome dialettale, che corrisponde a “gallina”, forse è stato assunto con una buona dose di autoironia o è stato attribuito da altri.

Esiste anche una vasta gamma di denominazioni riportabili a fenomeni naturali, con “Uragano”26, “Nebbia”27, “Fulmineo”28, “Fulmine”29, “Burrasca”30, “Saetta”31; nomi in genere riconducibili alla sfera della rapidità o del fuoco, quali “Freccia”32, “Fiamma”33, “Fuoco”34; ad armi (“Breda”35, che è una mitraglia, e “Raffica”36, strettamente a quest’ultima connessa), ma anche tali da suggerire qualità, atteggiamenti, aspirazioni o piglio personale (“Red”37, “Scalabrino”38, “Premura”39, “Libero”40, “Fido”41, “Vendetta”42, “Vampiro”43 e “Vampiro II”44, “Furia”45, “Solo”46, “Sceriffo”47), professioni nella vita reale (“Pompiere”48), una riconosciuta anzianità (“Zio”49). Riflettendo, possiamo dire che molti (non tutti) questi nomi richiamino fortemente il momento e le sue necessità (agire, mimetizzarsi, essere veloci, fare la guerra, vendicarsi, abbondando metafore inerenti ad una meteorologia perturbata, al fuoco ed al sangue).

Esistono anche vezzeggiativi di probabile origine familiare come “Sissi”50, forse “Tuli”51, o comunque di natura prettamente amicale, come “Picci”52, nonché nomi “minimalisti”, quali “Cito”53 (probabile voce dialettale, quindi priva di doppia “t”, per la quale si potrebbe presupporre la traduzione con il termine italiano “soldino”) o “Scampolo”54.

Per altri, il soprannome richiama la probabile città o il luogo geografico da cui provengono gli interessati: “Napoli”55, “Etna”56, “Ravenna”57, ne sono un esempio.

Reminiscenze storico-letterarie, in genere però legate a caratteristiche di coraggio o richiamanti comunque un mondo “ribelle” o caratterizzato da forza, sono ravvisabili in “Primula Rossa”58, “Athos”59, “Porthos”60, “Sandokan”61, “Kim”62, “Musolino”63, “Passatore”64. Come si vede, vanno alla grande Dumas, Salgari, ed il brigantaggio.

In quest’area è collocabile anche “Fanfulla”65, condottiero italiano, il più coraggioso nella disfida di Barletta dopo Ettore Fieramosca (con il dubbio però che chi ha assunto il nome, in realtà si riferisse, ironicamente, alla famosa canzone goliardica intitolata appunto “Fanfulla da Lodi”).

Anche il mondo dei fumetti e dei film ricorre: con “Gordon” che, chiaramente, si ispira a Flash Gordon66, così “Tarzan”67, “Gringo68”, “Buffalo Bill”69, “Tom”70.

Arrivano dal mondo antico e dalla mitologia classica “Enea”71, “Bruto”, “Marte”, “Apollo”72. Unico esempio, molto chiaro, da quello della musica, risulta essere “Puccini”73.

Al momento non decifrabile l’origine del soprannome “Lira”74 e “Ceppa”75.

Discorso a parte va fatto per il nutrito gruppo caratterizzato da nomi di russi che militano nel Battaglione “Vanni” e che risultano da più testimonianze e foto: il nome di battaglia di questi partigiani ripete il nome vero e proprio, e, purtroppo, ripetendolo, lo fa nelle forme grafiche più diverse, variando da un elenco all’altro, e ciò a causa della oggettiva difficoltà di trascrizione che determina in chi legge una difficoltà a seguirne le oscillazioni.

Detto tutto questo, chiudiamo con una nota curiosa e che deve metterci in guardia dal cadere in facili entusiasmi o collegamenti quando parliamo dei nomi di battaglia: è il caso di “Mina”76.

Il partigiano che lo portava era, a detta di tutte le testimonianze, intemerato e decisamente “esplosivo”, ma guai a stabilire una fin troppo banale relazione tra la denominazione ed il personaggio: egli si chiamò “Mina” per un motivo ben più romantico, visto che “Mina” è il diminutivo di Palmina, la sua amatissima fidanzata77.

Note

1 È stato selezionato questo elenco perché, probabilmente, tra i più completi (e comunque chiaro) nell’ambito di quelli disponibili, ma non è detto che in esso siano presenti tutti i partigiani del Battaglione “Vanni” (sono possibili non solo dimenticanze materiali nello stesso documento di Archivio, ma anche casualità dovute al fatto che partigiani presenti in un certo momento non ci sono in un altro e che la composizione del Battaglione è fluida nel corso del tempo).

2 Il fatto che spesso i compagni venissero conosciuti solo con un nome convenzionale ha determinato, anche nel Dopoguerra, confusioni riguardo a didascalie relative ad immagini di Archivio, dove spesso i vari personaggi sono indicati non con il nome e cognome ma con il nome di battaglia, per cui oggi, passato il tempo ed essendo in genere anagraficamente impossibile la presenza dei protagonisti, ci sono notevoli difficoltà ad individuarli.

3 Astorre Tanca.

4 Fulvio Buonriposi ed Alfonso D’Andrea.

5 Rodolfo Frassi ed Emo Rigotti.

6 Alessandro Azzati.

7 Giuseppe Meneghetti.

8 Giuliano Secchi.

9 Lorenzo Faggioni.

10 Orlando Lambertucci.

11 Angelo Olivieri.

12 Renzo Torti.

13 È inutile riportare tutti i casi di nomi che si ripetono come tali, essendo ciò non particolarmente utile per capire il clima dell’epoca (e del conflitto che si stava svolgendo). Si noti inoltre che, essendo stata riscontrata nella letteratura resistenziale presso molti combattenti l’abitudine di mimetizzarsi sotto nomi femminili, ciò ha tre riscontri nel Battaglione “Vanni” (almeno, per come si leggono i nomi, visto che alcuni non sono del tutto decifrabili). Due casi potrebbero essere quello di “Argìa”, principessa di Argo, anche se, talvolta, e quindi c’è qualche oscillazione, invece di “Argìa” si trova “Argì” (ambedue derivanti da Argilio), e quello di “Stella”, non si capisce però se riportabile ai corpi celesti, a una donna, alla stella molto evidente che, per come si legge in più di una testimonianza, i partigiani del Battaglione “Vanni” portavano sul berretto. C’è infine un terzo caso che riferiamo in fondo a questo testo. Comunque, nel caso di “Argìa” o “Argì” il partigiano è Argilio Bertella. Nel caso di “Stella” il partigiano interessato è Enzo Toracca.

14 Marcello Toracca.

15 Edo Scattina.

16 Egidio Panighetti. Si può pensare in questo caso anche ad un’origine dal mondo dei poeti.

17 Franco Mocchi. In questo caso la derivazione dal libro è acclarata grazie alla testimonianza delle figlie Sandra e Paola Mocchi, resa all’Autrice in data 8 febbraio 2023, e che, a stesura ultimata del libro, sarà pubblica. Si chiama “Andrea” ad esempio Piero Fedi.

18 In una formazione a forte (anche se non unica) marcatura ideologica comunista si potrebbe presupporre la presenza di molti soprannomi ascrivibili a tale universo, ma, in definitiva, essi sono decisamente minoritari.

19 Mario Avesani.

20 Ottavio Chiappini.

21 Saverio Sampietro (si trova scritto sia “Falco” che, più frequentemente, “Falchetto”).

22 Vincenzo Malmusi.

23 Franco Mussi.

24 Giovanni Uras.

25 Paolino Lorenzini.

26 Giulio Vasoli.

27 Euclide Folloni.

28 Augusto delle Piane.

29 Fernando Arzà.

30 Fulvio Fratoni (nel documento base, erroneamente, è scritto Frattoni).

31 Ezio Gualdi.

32 Giovanni Bolognani.

33 Luciano Carozzo.

34 Carlo Tamburini.

35 Adriano Rapallini.

36 Mario Lanfranchi.

37 Scritto anche “Redd”: fa pensare ad un colore ideologico ma anche fisico, riguardante i capelli. Il partigiano è Salvatore Serra.

38 Un diavolo, furbo, accorto. Il partigiano è Adolfo Righi.

39 Aldo Tamburini.

40 Sergio Richerme.

41 Ugo Giorgi.

42 Secondo Godani.

43 Antonio Venturini.

44 Sergio Mazzi.

45 Fausto Francesconi.

46 Mauro Vesigna.

47 Per “Sceriffo” si può pensare anche al mondo dei film western. Il partigiano è Duilio Lanaro.

48 Tale era in effetti il mestiere di colui che così era chiamato. Si tratta del partigiano Paolo Grillo.

49 Tale motivazione è confermata dall’anno di nascita della persona, 1904, quindi decisamente più anziana (v. articolo precedente sulle classi di età presenti nella “Vanni”) rispetto ai compagni.

50 Salvatore Briata.

51 Luciano Toracca.

52 Silvano D’Imporzano.

53 Cesare Del Santo.

54 Agostino Poli.

55 Domenico D’Auria.

56 Giovanni Giangreco.

57 Giovanni Petrolici.

58 Eugenio Lenzi.

59 Primo Lucianetti.

60 Bononi Duilio.

61 Ciro Rossi.

62 Angelo Lanaro.

63 Lino Baldassini.

64 Alfredo Giuntoli.

65 Fulvio Cantono.

66 Serie di fumetti di fantascienza uscita nel 1934 che sarà pubblicata in America per quasi settant’anni. Il nome del partigiano è Aldo, il cognome illeggibile.

67 Ivo Roffo.

68 Francesco De Biasi.

69 Vittorio Brizzi.

70 Per “Tom” l’origine potrebbe essere l’attore Tom Mix, protagonista dei primi film “western” muti, assai noto agli occhi del pubblico, e morto nel 1940. Il nome del partigiano è Piero Lucchesi.

71 Enea è nome abbastanza in uso nel periodo, e per il quale si potrebbe anche presupporre l’assunzione in quanto derivante da ambito amicale o familiare. Il nome del partigiano è Aureliano Rovere.

72 Più chiara la motivazione di “Bruto”, visto come difensore della libertà repubblicana, e di “Marte”, dio della guerra, molto meno chiara quella di “Apollo”, e comunque riconducibile sia ad una metafora bellica e luminosa (le frecce di Apollo che viaggia sempre con la faretra e che si identifica con la luce) o estetica. “Bruto” è Bruno Ruggia, “Marte” è Amedeo Bruschi, “Apollo” è Giuseppe Mirabello.

73 Roberto Rollando.

74 Franco Colombo. La figlia, Saura Colombo, da me intervistata il 20 febbraio 2023, non ha indicato la motivazione del soprannome.

75 Per “Ceppa” si potrebbe pensare ad un’origine arborea (e quindi la parte della pianta da cui si dipartono le radici, insomma, il basamento).

76 Otello Binasco.

77 L’origine del soprannome è emersa nel corso del colloquio precedentemente citato tra l’Autrice e le sorelle Sandra e Paola Mocchi, figlie di Franco Mocchi, Commissario Politico del Battaglione “Vanni”, ed è stata confermata da Loredana Binasco, figlia di “Mina”, in data 22 febbraio 2023.

Il rastrellamento del 20 Gennaio 1945. Una data memorabile

Il 20 Gennaio 1945 avveniva il rastrellamento nazifascista che può essere correttamente definito come uno dei fatti d’arme più importanti per la Cronologia della IV Zona Operativa.

Il rastrellamento, che spesso le storiografia generale trascura, è in realtà, per molti versi, decisivo riguardo all’evoluzione della guerra in Italia, e quindi la sua rilevanza va ben oltre il territorio spezzino.

Riportiamo di seguito un brano tratto da quanto dice Mario Fontana, Comandante della IV Zona Operativa, nella sua “Relazione sull’attività operativa svolta dai reparti della IV Zona dal luglio 1944 al 25 aprile 1945” su tale episodio.

“Questa azione [NdR: cioè il rastrellamento] preparata lungamente ed accuratamente eseguita con enormi forze dotate di moderno materiale da guerra, condotta con decisa volontà di liquidare definitivamente le formazioni patriote della IV Zona, costituisce un definitivo ed inglorioso scacco di tutte le speranze fasciste. Sono 20.000 uomini stupendamente armati che vengono irreparabilmente gettati sulle posizioni di partenza da 2.000 patrioti che oltre al loro coraggio, alla loro fede, al loro spirito di sacrificio, al desiderio di immolarsi per i principi della libertà non avevano che armi portatili individuali, talune delle quali, come lo Sten, li obbligavano a buttarsi sotto per poterle usare.”

Insomma, la superiorità tecnica nazifascista non poté nulla contro un movimento partigiano che, attraverso tappe non facili e non sempre lineari, aveva però maturato una consapevolezza con la quale si era mostrato in grado di fronteggiare un nemico tanto più potente.

Note

  • Erroneamente il rastrellamento del 20 gennaio 1945 è anche conosciuto con la denominazione di “battaglia del Monte Gottero”, sebbene sul monte non si sia svolta una vera e propria battaglia, ma esso sia stato invece teatro di un epico ed estenuante “sganciamento” da parte dei reparti partigiani che, dopo avere retto il primo urto del nemico, riuscirono in questo modo a salvarsi.
  • Le pagine seguenti sono state scritte, rielaborando fondamentalmente le schede, curate da Valerio Martone, su Via XX gennaio 1945 e Via Monte Gottero

20 Gennaio 1945

La cartina riportata rende bene la manovra a tenaglia che le forze nazi-fasciste mettono in atto a partire dal 20 gennaio 1945 per sconfiggere in modo definitivo i partigiani della IV Zona Operativa. Il tentativo è quello di eliminare il secondo polmone della Resistenza alle spalle della Linea Gotica, dopo aver distrutto alla fine di novembre 1944 la Divisione Garibaldi Lunense e ridimensionato la Brigata d’assalto Garibaldi “U. Muccini” in val d’Aulella. Non a caso proprio il 25 gennaio 1945 c’è la visita di Mussolini a Pontremoli, Aulla e Mocrone.

In realtà quella che avrebbe potuto essere per i Resistenti una vera e propria catastrofe, si rivela, nonostante le numerose e dolorose perdite subite, l’occasione in cui essi dimostrano una capacità di organizzazione molto più alta rispetto a quella messa in campo nei rastrellamenti precedenti. Alla fine di gennaio saranno perciò i nazifascisti, molto superiori per numero ed armi, a ritirarsi, senza avere raggiunto gli obiettivi prefissati.

Antefatti

Già il 29 dicembre 1944 reparti fascisti della Monterosa occupano l’area di Varese Ligure, isolando le formazioni della IV Zona da Genova e il giorno dopo reparti nazi-fascisti si dirigono in Val di Taro, isolando da nord i partigiani. Ulteriori arrivi di truppe nemiche sono segnalati a Pontremoli e a Borghetto Vara dal 15 al 18 gennaio 1945.

Il meteo

Meteo: Il 20 gennaio 1945 il tempo è sereno, il 21 il tempo è sereno; il 22 cade nuovamente la neve, il 23 e 24 il cielo si fa variabile, mentre fra 25 e 27 il tempo ritorna sereno.

Brigate partigiane, rastrellamento e Monte Gottero

L’ormai atteso (il SIM partigiano -Servizio Informazione Militare- ha tempestivamente segnalato l’azione nemica) e temuto rastrellamento, che qualche Resistente ha definito come “i giorni dell’ira”, scatta fra 20 e 25 gennaio 1945.

Il piano del Comando tedesco si propone di accerchiare tutta la zona e rastrellarla completamente: prendono parte ad esso la IV Divisione di Fanteria della Wehrmacht, reparti di Alpenjaeger, di Gebirgjager, la divisione Turkestan composta da mercenari tatari, Alpini della Divisione Monterosa, Bersaglieri della Divisione Italia, Brigate Nere della Spezia, Carrara, Chiavari, la X Flottiglia Mas, i reparti ANTISOM, per un complesso di 25 mila uomini circa.

I partigiani della IV Zona sono circa 2500, dotati di armi leggere, ma impossibilitati a resistere per lungo tempo, anche perché del tutto deficitario è il loro equipaggiamento a livello di vestititi e scarpe: proprio perciò l’ordine è di resistere al primo assalto, per consentire al grosso delle forze di effettuare spostamenti, sganciamenti e occultamenti.

Per tutta la durata del 20 gennaio, con cielo sereno e neve altissima sui crinali appenninici, viene così opposta al nemico una forte resistenza: verso la via Aurelia, a Brugnato, mentre a Serò di Zignago la popolazione locale si mescola addirittura ai partigiani, combattendo con essi e infliggendo perdite serie ai nemici.

Nel settore est i nazifascisti raggiungono Monte Scassella e Varese Ligure, inoltre da Pontremoli giungono a Coloretta, salendo lungo la valle di Zeri, per sorprendere le postazioni a difesa dei contrafforti meridionali del Picchiara, dei Casoni e del Cornoviglio.

Il ripiegamento programmato dei partigiani prevede l’abbandono ordinato di Cornice, Serò, Godano e Calabria e, sopraggiunta la notte, viene attuato il previsto piano di sganciamento, in condizioni climatiche proibitive, segnalate come tali negli annali di meteorologia, per la neve alta e la temperatura bassissima, essendo al contempo necessario lasciare il meno possibile tracce sul manto candido.

La maggior parte della I Divisione “Liguria-Picchiara”, formata dalla Colonna “Giustizia e Libertà” e dalla Brigata garibaldina “Gramsci” (in cui sono confluite le precedenti Brigate “Gramsci”, “Vanni” e “Matteotti-Picelli”, ormai con la denominazione di Battaglioni), compresa la Divisione “Cento Croci”, iniziano a ritirarsi verso il Monte Gottero, anche se nella zona di Cornice e Serò rimangono impegnati tutta la giornata reparti del Battaglione “Vanni”, del “Gramsci”, del “Matteotti Picelli” e una compagnia di “Giustizia e Libertà”.

La Brigata “Gramsci”, che ha sostenuto l’urto tedesco a Bozzolo con il Battaglione “Vanni” di Astorre Tanca, riallineatasi sulla direttrice che va da Serò a Scogna, lasciati due partigiani armati di Bren sul campanile di Scogna, a copertura dei reparti che si stanno avviando verso il Gottero, si concentra all’una di notte a Torpiana per raggiungere, secondo quanto stabilito dal Comando della IV Zona operativa, Fontana Gilente, nell’alto pontremolese.

Lo fa, divisa in due segmenti, l’uno costituito dal Battaglione “Gramsci” e dal Comando di Brigata e l’altro costituito soprattutto da uomini del “Vanni”, seguendo l’itinerario Pignona, Antessio, Chiusola. La marcia continua durante tutta la notte ma, nella giornata del 21, essendo sereno, la lunga linea nera di uomini che si muove verso il Gottero, è individuata dai tedeschi che, però, a causa della distanza, non riescono a far arrivare a segno le raffiche delle armi.

Nonostante il gelo e la neve, alta in alcuni punti anche due metri, i partigiani della Brigata “Gramsci” si portano entro il pomeriggio del 21, sul Gottero, alla cui sommità il termometro segna meno venti gradi (e dove trovano uomini della “Centocroci”, già lì): la Brigata, sempre divisa nei due segmenti sopra individuati, nonostante il manifestarsi di numerosi e gravi casi di congelamento, raggiunge infine Fontana Gilente, non senza ulteriori peripezie come lo scontro con i terribili Mongoli della divisione Turkestan e la cattura di un gruppo di partigiani, riusciti però per la maggior parte a fuggire.

Poiché tuttavia a Fontana Gilente non c’è cibo, viene ordinato ai due segmenti della Brigata “Gramsci” di recarsi alle così dette Cascine di Bassone, sopra Guinadi, alle quali arrivano in modo differito entro la giornata del 23. Le Cascine rappresentano la salvezza: qui i partigiani hanno infatti modo di riposare e mangiare almeno qualche patata che viene bollita nella neve fatta sciogliere. La marcia dei partigiani riprende poi per tutto lo Zerasco, dove la popolazione è terrorizzata dai Mongoli che hanno bruciato Adelano e massacrato dodici partigiani della colonna “Giustizia e Libertà”, fra cui la famiglia Perini, costituita dal padre e due fratelli gemelli. Il giorno dopo i partigiani superano il passo del Rastrello e rientrano su Torpiana.

Il Battaglione “Matteotti-Picelli”, comandato da Nello Quartieri “Italiano”, sempre appartenente alla “Gramsci” e che si è distinto soprattutto a Bergassana, a Godano e Calabria presso Scogna, segue all’incirca lo stesso percorso, rientrando nelle posizioni occupate prima del rastrellamento il 1 febbraio.

Più difficoltoso ed articolato risulta lo sganciamento della Colonna “Giustizia e Libertà”. Quest’ultima, che combatte duramente dalle sue posizioni, solo in parte valica il Gottero perché, nel caso del Battaglione “Val di Vara”, è dislocata troppo lontana da esso. Perciò tale Battaglione, dopo avere combattuto, ripiega, o disperdendosi nei boschi di Calice o oltrepassando di notte il Vara per uscire dalla zona rastrellata, o venendo sorpreso e scontrandosi con la Brigata Nera come succede a Valeriano.

Delle tre compagnie dell’altro Battaglione azionista, lo “Zignago”, solo una esce, non vista, dalla zona rastrellata, mentre le altre due, che il 20 gennaio a Brugnato si battono per oltre cinque ore, in un aspro combattimento portato avanti da Giovanni Pagani e dai suoi uomini, si trovano circondate dalle forze nemiche. Non potendo che ritirarsi, ma trovando ormai occupate dai nemici le vie in quota, i gruppi si disperdono per rifugiarsi in dirupi e anfratti, sul Monte Picchiara e sul Monte Dragnone, dove resistono ai limiti della sopravvivenza. In questo quadro vengono catturati sul Dragnone gli appartenenti alla Colonna “Giustizia e Libertà” Giovanni Pagani, Ezio Grandis e Giuseppe Da Pozzo, con 8 compagni.

Anche la Divisione “Cento Croci” tenta fra 20 e 21 lo sganciamento attraverso il Gottero, raggiunge, con parecchie perdite di uomini e materiali la cima del monte la sera del 21 gennaio, per poi ridiscendere verso la Val di Taro: la sera del 23 gennaio, 17 partigiani di essa, compresi il Comandante Richetto e il Commissario politico Benedetto, vengono catturati dai tedeschi, anche se, successivamente, il Commissario Benedetto, grazie ad uno scambio di prigionieri, tornerà libero insieme ad alcuni compagni, e Richetto riuscirà a scappare.

Il Maggiore inglese Gordon Lett e i paracadutisti della “Forza Speciale”, non avendo avuto collegamenti e notizie certe nell’ultimo periodo prima del rastrellamento, sono colti di sorpresa. Una parte dei paracadutisti, che si trovano a Coloretta, raggiungono le falde del Gottero passando a nord di Sesta Godano. Gordon Lett, con altri paracadutisti e una parte di uomini del Battaglione “Internazionale”, si trova nei pressi di Arzelato: da qui scende a Chiesa di Rossano, sale sul Picchiara e quindi sul Gottero. Rientrerà a Rossano attraverso Torpiana, Serò e Calice.

La “Brigata Costiera”, che ha come area di riferimento la fascia a mare, ma che, proprio nei giorni in cui inizia il rastrellamento, sta ristrutturandosi per integrarsi con il Battaglione Pontremolese nello Zerasco, è in parte a Sasseta di Zignago. Gli uomini che lì si trovano seguono perciò le sorti dei reparti garibaldini che vanno verso il Gottero.

I rastrellatori nazi-fascisti si ritirano fra 25 e 31 gennaio ed entro i primi giorni di febbraio 1945, dunque, i reparti partigiani, rientrano nelle rispettive posizioni. I morti partigiani sono stati circa 50 e circa 40 i prigionieri. Moltissimi uomini presentano congelamenti, più o meno gravi, agli arti inferiori, privi come sono delle calzature adatte. I reparti hanno subito colpi ma non si è verificato uno sbandamento generale, e questo grazie alla maggiore efficienza complessiva assunta dai partigiani, ma anche grazie alla popolazione civile che, quando e appena ha potuto, ha protetto, accolto e sfamato, con quel poco che c’è, i “ribelli”.

Ricerca storica e riflessioni (Battaglione garibaldino “Melchiorre Vanni”) #1

A cura di M. Cristina Mirabello

Premessa

Tra le formazioni partigiane della IV Zona Operativa, la Brigata garibaldina (poi Battaglione) “Vanni”1 non ha ancora una storia.

Esiste infatti, al momento, solo una sintesi delle sue importanti vicende, pubblicata nel nostro sito a cura di M. Cristina Mirabello.

L’Istituto Storico Spezzino sta lavorando perciò alacremente e concordemente, grazie all’apporto di più persone, in vista dell’80° della fondazione della Brigata (giugno 1944-giugno 2024), per colmare tale lacuna, raccogliendo dati, così da procedere, in base ad essi, a riflessioni: insomma, per fare storia e storiografia.

I dati, come si può ben capire, sono di varia natura: tra essi, particolarmente importanti, quelli attinti dall’Archivio storico del nostro Istituto, purtroppo solo in parte digitalizzato.

Nel corso dei mesi, prima della pubblicazione della storia vera e propria, ci proponiamo comunque di fornire qualche piccola anticipazione del lavoro in corso.

Prima puntata

Un esempio minimale del rapporto tra dati e riflessioni

Esame del documento AISRSP, Fondo II, Attività Militare bis, Comando Brigata Garibaldi Melchiorre Vanni, B 496, 7673, 7 settembre 1944

La Brigata “Vanni” (in un primo tempo, circa fino alla formazione del Comando Unico spezzino nell’ultima decade di luglio 1944, “Signanini”) è di aderenza garibaldina.

Ecco i quesiti con cui abbiamo interrogato i dati:

La prima domanda è stata: l’aderenza garibaldina, e quindi la coloritura di area comunista della Brigata, trovano una rispondenza nella sua composizione sociale?

La seconda domanda è stata: quali sono le classi di età maggiormente rappresentate nella Brigata?

La terza domanda è stata: a quali date risalgono le adesioni alla Resistenza dei componenti della Brigata?

La quarta domanda è stata: la Brigata presenta partigiani solo italiani?

Per rispondere a queste domande abbiamo esaminato un documento del settembre 1944. Tuttavia, prima di esporre che cosa ne abbiamo ricavato, diciamo che, nel settembre 1944, la Brigata “Vanni”, che ha già subito il rovinoso rastrellamento del 3 agosto 1944, cambiando, dopo di esso, anche il suo originario Comandante Primo Battistini “Tullio”, si sta faticosamente ricostituendo, dando luogo nel contempo ad alcune importanti azioni.

Ed ecco che cosa abbiamo ricavato dal documento

In data 7 settembre 1944 la Brigata “Vanni” risulta composta da 131 uomini (per 4 il cognome denota un’origine probabilmente russa).

Di due partigiani italiani risulta solo il nome e cognome senza data di nascita, paternità, maternità, professione, data di entrata nella Resistenza. Di altri tre partigiani italiani ci sono dati incompleti.

Dal punto di vista sociale, in ordine decrescente come numeri, abbiamo:

  • Operai 82 (di cui 72 non specializzati e 10 specializzati)
  • Contadini 13
  • Braccianti 3
  • Studenti 7
  • Geometri 2
  • Impiegati 3
  • Commercianti 2
  • Autisti 2
  • Carabinieri 2
  • Radio telegrafista 1
  • Maestro 1
  • Vigile del fuoco 1
  • Muratore 1
  • Falegnami, Barbieri, Cuochi, Fornai, Panettieri, Macellai, Armaioli, Sarti (ogni mestiere è rappresentato da una sola unità) 8

Le classi di età in ordine decrescente per consistenza sono:

1921 20 unità
1923 20 unità
1924 17 unità
1925 17 unità
1926 13 unità
1922 8 unità
1919 7 unità
1913 3 unità
1916 5 unità
1920 5 unità
1917 3 unità
1927 3 unità
1906 2 unità
1928 1 unità
1929 1 unità
1898 1 unità
1905 1 unità
1908 1 unità
1909 1 unità
1918 1 unità

Il più anziano partigiano della Brigata risulta nato nel 1898. Il più giovane nel 1929.

Le classi 1920-1926 sono rappresentate da 95 unità, quindi comprendono la stragrande maggioranza della Brigata composta da 131 uomini.

Data di adesione alla Resistenza

Sebbene per alcuni uomini manchino i dati dell’entrata nel partigianato ai monti, si può sottolineare come la maggior parte di essi vada ai monti tra giugno e luglio 1944. Esistono anche partecipazioni precedenti o molto precedenti al fenomeno resistenziale (la più precoce risale all’8 settembre 1943). Si registra una entrata di elementi abbastanza significativa dopo il rastrellamento del 3 agosto 1944 ed i mutamenti notevoli avvenuti nella Brigata. I quattro partigiani di probabile origine russa risultano in forza alla Brigata dal 6 settembre 1944, e, sempre in tale data, risultano essere entrati in forza altri 11 italiani. Tale dato confermerebbe quanto il Comandante Duilio Lanaro ed il Commissario politico Giovanni Albertini dichiarano in documenti coevi riguardo all’incremento della Brigata nel settembre 1944.

Note

1 Brigata “Vanni” fino alla formalizzazione della IV Zona Operativa (poi Battaglione “Vanni”).

25 aprile 2022: le iniziative dell’Istituto

L’Istituto storico spezzino, che da cinquant’anni raccoglie, tutela e valorizza il patrimonio materiale e ideale della Resistenza, promuove la celebrazione del 77° anniversario della Liberazione mettendo in evidenza tre strumenti fondamentali per la conoscenza della IV Zona Operativa

e cioè il Registro storico dei partigiani e patrioti riconosciuti operanti nella IV Zona Operativa, attualmente esposto al Centro d’Arte Moderna e Contemporanea (CAMeC),

Il Registro storico dei partigiani e patrioti riconosciuti operanti nella IV zona operativa in esposizione al CAMeC
Le vie della Resistenza

la pagina che elenca le Vie della Resistenza,

Mappa-Lessico

e quella dedicata al Lessico della Resistenza.

Interessante anche il percorso bibliografico tematico, con didascalie dedicate, che la Biblioteca Civica Beghi, unitamente all’ISR spezzino, propone mostrando i primi studi di carattere scientifico sulla Resistenza spezzina. Una ricca bibliografia compresa tra il 1972 e il 1995, che di seguito viene presentata:

  • Riunione tenutasi a Migliarina il 21 ottobre 1971 per la raccolta delle testimonianze, 1971
  • Testimonianze Miscellanee P.1.1-P.1.29, 1969-1975
  • Pietro Mario Beghi. Discorsi e scritti dal 1954 al 1966, 1972.
  • La Resistenza nello Spezzino e nella Lunigiana. Scritti e testimonianze, 1973 e 2° Ed. 1975
  • La Battaglia del Gottero (20 gennaio 1945), 1974.
  • I fatti di Valmozzola (il gruppo di Monte Barca), 13-17 marzo 1944, 1974.
  • Giulivo Ricci, Contributi alla storia della Resistenza in Lunigiana, 1976
  • La Spezia Marzo 1944. Classe operaia e Resistenza, 1976.
  • G.Ricci, Storia della Brigata Garibaldina Ugo Muccini, 1978.
  • G.Ricci, Storia della Brigata Matteotti-Picelli,1978.
  • Sacerdoti cattolici nella Resistenza, La Spezia, Sarzana, Brugnato / [presentazione di Franco Franchini], 1979.
  • Antifascismo e Resistenza alla Spezia (1922-1945), 1987.
  • Il CLN spezzino come autorità di governo, Atti del convegno, 1995.
  • G.Ricci, La Colonna Giustizia e Libertà, 1995.
  • Antifascismo e Resistenza nella e dalla scuola spezzina, Atti del convegno, 1999.
alcuni dei testi scelti per il persorso bibliografico tematico sul 25 aprile
alcuni dei testi scelti per il persorso bibliografico tematico

Fino al primo maggio sarà fruibile a tutti i cittadini e utenti della Biblioteca Beghi la vetrina tematica per la Festa della Liberazione, con i pannelli che descrivono la storiografia della Resistenza spezzina a partire dalla fondazione dell’ISR spezzino.

Alle didascalie sono affiancati i volumi più importanti e i pezzi unici recentemente rilegati della Resistenza spezzina.

info:
Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea
CAMeC

Interesse internazionale per il progetto “Gordon Lett…”

Il progetto riguardante la figura del maggiore inglese Gordon Lett e della Missione Alleata nella IV Zona operativa, promosso dall’ISR spezzino ha trovato conferma della sua valenza e del suo carattere internazionale nella menzione all’interno della newsletter pubblicata dall’International Federation for Public History.

Ringraziamenti ad Andrea Oldani per il suo contributo all’articolo.

“Umili e ribelli” di Luigi Leonardi al MiR

Mercoledi 22 Maggio alle ore 17.00 presso il Centro studi Memoria in Rete sarà presentato il libro di Luigi Leonardi “Umili e Ribelli. Memorie di Guerra in Lunigiana” (Edizioni Mursia) un saggio storico sui fatti più controversi e i momenti più cruenti del territorio ligure-lunigianese durante gli ultimi due anni della Seconda Guerra mondiale.

Il racconto si mescola con la microstoria personale di diversi uomini della Resistenza e la macrostoria delle vicende d’Italia e della IV Zona operativa in particolare.

Il libro è anche il frutto di una minuziosa ricerca su documenti presenti nell’Archivio storico dell’ISR spezzino , nell’Archivio di Stato della Spezia e di Padova e sulle testimonianze dirette e indirette dei fatti.

Nel volume sono affrontate anche quelle tematiche racchiuse nel concetto di “guerra civile” del famoso storico e partigiano Claudio Pavone: dagli uomini radunati con la popolazione per essere uccisi come ribelli, dalle vicende della Brigata “37b”, alla Brigata Borrini e alla morte di “Ebio” , il capo partigiano della stessa. Infine, non di minore importanza, la tragedia del XXI Reggimento Fanteria e la giustizia popolare sono sapientemente narrate nella seconda parte del libro

A dialogare con l’Autore ci sarà Giorgio Pagano, co-presidente del Comitato Unitario Provinciale della Resistenza.

Centro studi “Memoria in Rete”
via Gio Batta Valle
La Spezia

Nuova “sezione” del sito ISR: il “Lessico della Resistenza”

Mappa-Lessico

Giovedì 14 aprile, alle ore 11.15, presso la Biblioteca del Liceo Classico “Costa” sarà presentato il “Lessico della Resistenza”.

A un anno di distanza dalla presentazione del Progetto “Le vie della Resistenza”, il sito web dell’Istituto spezzino per la Storia della Resistenza si arricchisce di un nuovo, ulteriore, prezioso strumento per lo studio della Lotta di Liberazione nella IV Zona Operativa.

Il Lessico, graficamente visualizzato in forma di semplici “etichette” cliccabili che danno accesso a schede informative, propone l’organigramma completo delle forze partigiane, fotografato alla data del 12 aprile 1945, nell’ultimo periodo della Lotta di Liberazione. Le schede sono dotate di apparato critico e fonti.

Il progetto si è avvalso del patrocinio del Comitato Unitario Provinciale della Resistenza; l’elaborazione della mappa iniziale del Lessico è stata svolta da Maurizio Fiorillo e Maria Cristina Mirabello. Quest’ultima ha poi curato le schede nel loro complesso. Il Comitato Scientifico dell’ISR spezzino ha supportato tutto il lavoro.

Durante la presentazione sono previsti i saluti di Sara Cecchini, Dirigente Scolastico del Liceo Costa, gli interventi di Patrizia Gallotti, Direttrice dell’Istituto spezzino e Maria Cristina Mirabello, vice Presidente dell’Istituto.

La presentazione, rivolta il 14 aprile 2016 agli studenti del “Costa”, potrà essere richiesta all’ISR spezzino dagli altri istituti scolastici eventualmente interessati.