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Correva il giorno… 25 luglio 1943

A cura di Maria Cristina Mirabello
Lina FrantoniRinoCerretti
Lina Fratoni e Rino Cerretti
Le fotografie, scattate e rielaborate da Mauro Martone, sono poste sulla pietra di marmo che chiude i loculi dei due caduti (Cimitero dei Boschetti-La Spezia)

La lente d’ingrandimento, per guardare al 25 luglio 1943, cioè alla caduta del regime fascista (e di Benito Mussolini), può essere variamente puntata: in questo breve intervento, non mi volgerò a fatti nazionali1 o regionali, o all’interpretazione storiografica di essi, ma focalizzerò alcuni episodi locali, più o meno rilevanti, e tuttavia significativi del clima dell’epoca, basandomi fondamentalmente su documenti riguardanti l’ordine pubblico. Accennerò così ad alcuni avvenimenti, compresa la ricostruzione della famosa manifestazione del 29 luglio 19432, che vide un imponente corteo spostarsi dalla zona sud della città della Spezia verso quella nord, con particolare attenzione al drammatico epilogo di esso, occupandomi infine di tre volantini, presaghi del futuro politico che si sarebbe determinato grazie alla costituzione dei CLN.

Tutti gli episodi, cui farò riferimento, sono documentati presso l’Archivio di Stato-La Spezia 3.

L’ordine dei fatti segue, in questo articolo, l’ordine dei documenti, cioè le date progressive che l’intestazione di questi ultimi riporta. N.B.: dentro ogni documento, però, possono essere elencati fatti avvenuti in giorni diversi4 o, se i documenti provengono da fonti diverse, ripetuti episodi.

28-7-1943

La Legione Carabinieri-Compagnia esterna La Spezia segnala che ad Arcola, in data 28 luglio 1943, giovani hanno forzato l’ingresso del fascio di combattimento distruggendo oggetti, schedari, ecc.

28-7-1943

La Tenenza dei Carabinieri-Sarzana segnala che il 28-7-1943, a Ponzano Magra, un gruppo di operai dell’Officina del Regio Arsenale, decentrata dalla Spezia a Ponzano, ha staccato lo stemma del fascio littorio dalla sede del fascio e quello collocato sulla locomotiva della Società Ceramica Ligure.

28-7-1943

La Tenenza dei Carabinieri-La Spezia segnala che in data 27 luglio, alle 21,30, 2 mila persone5 circa si sono portate, a Pitelli, sotto la sede del fascio, distruggendo tutto, compresi gli schedari, e che analoga manifestazione, composta da circa 100 elementi, è avvenuta davanti alla Casa del fascio a Muggiano.

28-7- 1943

La Tenenza dei Carabinieri-La Spezia denuncia quanto avvenuto a San Venerio, dove alcune decine di manifestanti si sono impadroniti di documenti vari nella sede locale del fascio, incendiandoli. In tale ambito sono intervenuti un agente di PS, un tenente della Regia Marina e alcuni marinai che hanno provveduto all’arresto di Domenico Colombo6.

28-7-1943

La Tenenza dei Carabinieri-La Spezia segnala che, alle 15, 30 di “oggi” (quindi 28-7-43), un “gruppo di facinorosi” è entrato nella sede del gruppo rionale “Bisagno” al Canaletto e nel Comando GIL La Spezia-Migliarina, buttando tutto all’aria e incendiando quanto trovato. Inoltre alle 17, a Fossamastra, presso lo stabilimento OTO-Termomeccanica, sono stati tratti in arresto: Frate Felice (abitante a Migliarina), Giuntini Mario (abitante a Fossamastra), Comiti Valentino (abitante a Fossamastra) e Cibei Luigi (abitante a Sarzana): sono accusati di avere ordinato a operai fascisti di abbandonare il lavoro e di avere sobillato le maestranze per indurle all’indisciplina.

Sempre in data 28-7, alle ore 13, “alcuni sediziosi” sono entrati nel gruppo rionale fascista “P. Montefiori” di Migliarina, raccogliendo carte, buttandole e incendiandole nel cortile.

Mattinale del giorno 28-7-1943, Regia Questura, La Spezia

Il Mattinale giudica la “giornata di ieri” (quindi 27 luglio 1943) “nel complesso normale”7, ma segnala svariati episodi.

Alcuni ufficiali degli Alpini, appartenenti a truppe di passaggio, hanno invitato alcuni fascisti a togliersi il distintivo8 dall’occhiello; verso le 12 c’è stata un’incursione nel circolo “Bisagno”, al Canaletto; è scoppiato un tafferuglio tra gli operai militarizzati alloggiati in piazza Verdi (a causa della presenza di appartenenti alla Milizia); a Sarzana un centinaio di persone, in gran parte studenti, ha fatto una dimostrazione al grido di W l’esercito, W Badoglio, Abbasso il fascismo9; ci sono stati anche lievi incidenti nelle frazioni; si sono inoltre verificati tafferugli, attribuiti dall’estensore del documento al fatto che alcuni avventori volevano giocare alla “morra”, nell’esercizio pubblico gestito in via Sarzana (La Spezia) da Portunato Ercole, con scoppio di bombe e colpi d’arma da fuoco10.

29-7-1943

La Tenenza Carabinieri- La Spezia segnala un assalto (avvenuto, secondo il documento, “ieri sera”), al gruppo rionale fascista “Alfredo Sensi”, al Limone, un assalto alla Chiappa contro la sede rionale del fascio “E. Ferro”, in occasione del quale erano stati ritrovati due volantini firmati “Partito Comunista- Sezione della Chiappa”, l’incendio del circolo “Majani” a Mazzetta, l’assalto alla sede delle Grazie (Portovenere), in occasione del quale sono stati arrestati dal “pattuglione” della Marina: Carassale Gino, Nardini Domenico, Sturlese Aldo, Bello Nicola, Speranza Giorgio, Fascetti Ajello, Valdettaro Giuseppe.

Viene inoltre segnalato che “stamane” (quindi 29 luglio) non si sono presentati al lavoro circa 100 operai delle Officine Motosi11 site in viale Costanzo Ciano, traversa di via della Pianta, che avrebbero partecipato alla manifestazione12 tenutasi alla Spezia, e così, verso le ore 10, 150 operai dell’OTO Termomeccanica hanno sospeso il lavoro, senza però abbandonare il loro posto, chiedendo la libertà per gli arrestati di Fossamastra. Tuttavia, nonostante i fatti “su esposti”, l’ordine pubblico “è rimasto normale”.

29-7-1943

La Tenenza di Sarzana segnala che a San Terenzo (Lerici) tre fascisti, con il benestare del Segretario, hanno trasportato dalla loro sede registri (che poi hanno incendiato), altri sono entrati nella sede di Pugliola.

Mattinale del giorno 29 luglio 1943- Regia Questura, La Spezia

Nel Mattinale c’è l’annotazione dei fatti di San Venerio, Pitelli, Migliarina, Canaletto, Arcola, Fossamastra, già riportati13, ma anche che 3 mila operai dell’OTO14 chiedono l’allontanamento dal lavoro degli operai squadristi e che “l’ingegner Rossi” ha istigato a ciò gli operai, compresa la descrizione, sommaria, della manifestazione, avvenuta alla Spezia lo stesso giorno.

Per la manifestazione tenutasi alla Spezia15, conviene esaminare un ulteriore documento.

29-7-1943, Carabinieri- Gruppo La Spezia

Secondo questo documento, firmato da Vincenzo Ragusa, Maggiore, Comandante del Gruppo, il corteo16 presenta momenti di arresto e di ramificazione, percorrendo corso Cavour, ma deviando anche verso via Colombo, dove viene preso d’assalto il circolo “Landini”, in viale Savoia17, dove è assaltata la caserma GIL18, ed ancora, nella zona nord, dove è assaltato il circolo fascista “Podestà”. In questa prima fase, con particolare riferimento al segmento che riguarda la Federazione dei fasci, in piazza del Municipio19, rimane ferito, con altri, Mario Ceretti20, operaio presso la ditta Puli in Arsenale21. Svariati sono gli arresti.

Il corteo, più volte disciolto (e ricomposto), si ritrova infine in viale Regina Margherita22, davanti alla caserma del XXI Reggimento, inneggiando a Badoglio e all’esercito.

E proprio qui si dipanano ulteriori fatti, drammatici, nell’ambito dei quali ci sono numerosi feriti e trova la morte una giovanissima donna.

“Una ventina di camicie nere della locale 35a legione MVSN23, al comando di un ufficiale, attraversava il ponticello che sovrasta il fossato circostante l’edificio della Direzione d’artiglieria e si schierava, trasversalmente, sulla strada di fronte, circa 200 m. dal gruppo dei dimostranti. I militi si inginocchiavano e spianavano i moschetti.”

A questo punto, nonostante l’intervento di un vice Brigadiere dell’Arma e di un altro carabiniere, che si portavano verso le camicie nere “gridando di non sparare”, i militi “Aprivano senz’altro il fuoco ed i due sottufficiali dell’Arma fecero appena in tempo a gettarsi sul lato della strada per non essere colpiti, mentre il crepitio dei moschetti continuava.” Succede così che “Qualcuno dei dimostranti si dava alla fuga, altri si rifugiavano all’interno della caserma del XXI Reggimento e alcuni cadevano a terra colpiti.” Inoltre, alcuni ufficiali del XXI Reggimento cercavano di far segno ai militi di desistere “Ma soltanto quando sulla strada non fu più alcun dimostrante, il fuoco cessava. Intanto una ragazza Frattoni24 Nicolina (1928), operaia Motosi (Canaletto) moriva”.

Numerosi risultavano i feriti: secondo il rapporto otto25.

Il Maggiore Ragusa puntualizza infine che “I dimostranti erano tutti disarmati e molti di essi furono perquisiti durante l’invasione del gruppo rionale fascista “Podestà”; alcuni di essi, avendo rinvenuto in una sala un moschetto, lo consegnavano al Comandante la stazione di La Spezia-settentrione.

Non risulta che dai dimostranti sia partita qualche frase offensiva contro la Milizia e si esclude che dai dimostranti siano partiti colpi d’arma da fuoco.”26

Nei giorni successivi (30 luglio 1943) sono segnalati dai Carabinieri episodi che denotano l’insofferenza popolare: a Padivarma (Beverino), dove compaiono scritte con “Abbasso Hitler, W la Russia, Abbasso gli assassini di Matteotti”, per cui sono fermate due persone, nonché a Marola27, dove è assaltato il gruppo rionale fascista, asportate e bruciate le carte rinvenute in esso.

Ma la cosa più interessante, e che dimostra il sicuro avvio di un’importante fase propositiva antifascista, è il rinvenimento di alcuni volantini.

In data 1 agosto 1943, la Compagnia Carabinieri interna-La Spezia dice che, alle ore 8, un sottufficiale “rinveniva a La Spezia, via Prione”, un foglietto piegato in quattro28, intestato “Unione nazionale per la pace e la libertà” e firmato “Il Comitato regionale Partito d’Azione, PCI, DC, PLI, Partito Socialista, Movimento Unità proletaria”. Il foglietto, per il quale disponiamo dell’originale in ASSP, si rivolge ai cittadini, dicendo loro di andare in piazza “Oggi alle ore 17”, per chiedere l’armistizio immediato, la pace con onore, via i tedeschi, lo scioglimento immediato della MVSN e del PNF29, la punizione dei responsabili dei crimini durati 20 anni, la liberazione immediata degli antifascisti dal carcere e la restituzione immediata delle libertà costituzionali.

A proposito di volantini30, va aggiunto che esistono, sempre in ASSP, gli originali di altri due volantini, uno datato 27 luglio 194331, firmato Il “Comitato Popolare Italiano”, in cui si parla di “mostruosa dittatura” responsabile del “sangue, rovine e fame” che opprimono il popolo italiano, e che si chiude con “W l’Italia! W la pace! W la Costituente”; c’è infine un ulteriore volantino32, non datato, ma risalente alla medesima fase. In quest’ultimo, partendo dall’invocazione “Italiani!”, si compie un’analisi del presente, affermando che “Spunta sul nostro Paese in rovina l’aurora della libertà e della pace.” Dopo avere dichiarato che “I partiti antifascisti che da vent’anni hanno condannato e decisamente combattuto la funesta dittatura fascista” pongono alcuni obiettivi, si individuano ulteriori punti: la liquidazione totale del fascismo e dei suoi strumenti di oppressione33, il ristabilimento di una giustizia esemplare, l’abolizione delle leggi razziali e la costituzione di un governo formato dai rappresentanti di tutti i partiti che esprimono la volontà nazionale. Il documento esprime poi “L’irremovibile volontà” che la nuova situazione creatasi non venga sfruttata per salvare gli interessi di chi ha sostenuto il fascismo o da esso è stato sostenuto. Il volantino è firmato da34 “Il Gruppo di Ricostruzione Liberale – Il Partito Democratico Cristiano – Il Partito d’Azione – Il Partito Socialista – Il Movimento di Unità Proletaria per la repubblica socialista – Il Partito Comunista”.

Insomma, era precocemente e faticosamente avviata, se pensiamo a quanto succede alla Spezia dopo l’8 settembre 1943, una unità antifascista: essa sarebbe stata alla base dei CLN35 e avrebbe reso possibile, nonostante la non sempre facile intesa tra componenti politicamente assai diverse, la crescita e la vittoria del fenomeno resistenziale. Una specie di miracolo, tenuto conto del fatto che l’Italia usciva da venti anni di dittatura e che ognuno, a quel punto, fu posto di fronte ad una scelta, da compiere in libertà. E ogni scelta è un rischio, specie quando non si è abituati a scegliere. Ebbene, tale unità fu, in un certo senso, la rete di fondo che, in qualche modo, dopo il momento prioritario della scelta, rese possibile la concretizzazione fattiva di essa.


NOTE

1 Ricordiamo, brevemente, che, nella notte tra 24 e 25 luglio 1943, il Gran Consiglio del fascismo, riunito nel pomeriggio del 24 luglio (convocazione alle 17), vota, alle 2,30 del 25 luglio, l’odg proposto da Dino Grandi, in quel momento Presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni (19 a favore, 7 contrari e 1 astenuto).Tale odg, chiede il ripristino di tutte le funzioni statali, seguendo le leggi statutarie e costituzionali e demandando al Re l’effettivo comando delle Forze Armate (quindi la conduzione della guerra). In questa maniera viene di fatto sfiduciato Benito Mussolini, anche perché, nell’architettura statale italiana, il Gran Consiglio non è semplicemente un organo di partito, ma, per volontà dello stesso Mussolini, è organo di massima rilevanza costituzionale. Mussolini, presentatosi nel pomeriggio del 25 luglio 1943 a Villa Savoia (residenza di Vittorio Emanuele III), viene costretto a dare le dimissioni, e, all’uscita dal colloquio con il sovrano, è tratto in arresto dai carabinieri e portato via con un’ambulanza. La notizia della caduta del regime comincia a diffondersi in serata e la radio ne dà notizia dopo le 23. Si apre così la fase conosciuta come i “Quarantacinque giorni”, che si conclude con l’8 settembre 1943. Per sentire l’annuncio radio, v. sito https://www.bolognatoday.it/cronaca/25-luglio-1943-caduta-fascismo-mussolini.html.

2 Una manifestazione era avvenuta a Sarzana il 27 luglio, a partire dalle 18, ispirata fondamentalmente dal PCI. Anelito Barontini si era spostato sulla Spezia, per diffondere la notizia; Paolino Ranieri era rimasto a Sarzana per provvedere localmente all’organizzazione. La sera del 25 luglio Soresio Montaresi, operaio dell’Ansaldo, per come tramandato, era già riuscito a stampare i primi volantini da diffondere.

3 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7.

4 Le date, le quantità di manifestanti, gli orari, i danneggiamenti vengono riportati come tali.

5 La valutazione sembra essere eccessiva.

6 Domenico Colombo, padre di Franco Colombo, partigiano durante la Resistenza del Battaglione “M. Vanni” e di Sauro Colombo, partigiano sempre del Battaglione “M. Vanni”, quest’ultimo catturato, deportato e morto in campo di sterminio, militerà, durante la Resistenza, nelle SAP spezzine, morendo a Montalbano il 24 aprile 1945 (v. la sua scheda in https://partigianiditalia.cultura.gov.it/persona/?id=5bf7bed34d235218049f147b).

7 Come si può notare, il tentativo è quello di ricondurre al termine “normale” uno stillicidio di fatti in realtà anormali.

8 Il distintivo del PNF portato abitualmente all’occhiello della giacca, specie dai funzionari pubblici, diede luogo, in quelle circostanze, ad atteggiamenti completamente diversi. Ci fu, infatti, tra le varie tipologie, chi l’aveva indossato pienamente convinto e che, quindi, avrebbe voluto tenerlo, chi scelse di buttarlo per paura, chi non l’aveva proprio mai indossato ed era stato perseguitato, ma anche chi lo tolse con sollievo. Quest’ultimo atteggiamento, che si potrebbe definire “nicodemitico”, è ben reso da Vega Gori “Ivana”, nel luglio 1943 impiegata presso l’Ufficio statale dell’ammasso del vino in viale Italia, a Migliarina. Dice “Ivana”: “Arrivò l’estate e una calda mattina di luglio, mentre ero in treno per recarmi al lavoro con la vice-capoufficio, Wilma, che mi aveva portato con sé a trovare la sua famiglia sfollata a Licciana Nardi, cominciò sommessamente a circolare la notizia incredibile della caduta del fascismo… In quella giornata non assistetti personalmente a manifestazioni di piazza ma, nel percorso che feci, dalla stazione di Migliarina all’ufficio, lessi sui volti di chi incontravo soprattutto stupore e ansia (temperata per taluni da un senso di liberazione) rispetto a quanto era successo e avrebbe potuto succedere. Arrivata al lavoro, accadde poi un episodio che mi è sempre rimasto chiaro nella mente. Si presentò un impiegato senza il distintivo fascista all’occhiello e il direttore lo apostrofò dicendo: ‘E’ bastato solo un giorno per buttare via il distintivo fascista?’, e quello, che si chiamava Marchesini, rispose: ’Sì, un giorno, che ho aspettato vent’anni!’” (Gori, Vega ‘ Ivana’, Mirabello Maria Cristina, “’Ivana racconta la sua Resistenza. Una ragazza nel cuore della rete clandestina”, Edizioni Giacché, 2013, p. 32).

9 Tali parole d’ordine erano state precedentemente concordate dal gruppo comunista di Sarzana. V. Mattinale del 28-7-1943 citato nel testo.

10 Sembra eccessivo che voler giocare alla “morra” implichi reazioni di questo tipo.

11 Le Officine Motosi erano, per come risulta da testimonianze e documenti, un centro cui afferivano, anche per motivi di lavoro, noti esponenti comunisti: ad esempio, cognato del titolare era Giovanni Albertini che, successivamente, avrebbe assunto il nome di “Luciano”, partecipando alla Resistenza ed assumendo in essa svariati incarichi, tra cui quello di Commissario politico della Brigata “ M. Vanni”, per un breve periodo anche Comandante di essa, ed infine Comandante della Brigata “Gramsci”(costituita dai Battaglioni “Maccione”, Matteotti-Picelli” e “Vanni”). Anche Duilio Lanaro “Sceriffo”, Comandante per alcuni mesi, dopo il 3 agosto 1944, della Brigata “Vanni”, vi aveva lavorato.

12 Per la manifestazione del 29 luglio, v. dopo.

13 V., in questo articolo, più sopra.

14 All’OTO lavorava come tecnico l’antifascista Michele Castagnaro il quale venne portato in trionfo. Per Michele Castagnaro, che, tra i più attivi organizzatori dello sciopero nelle fabbriche spezzine del marzo 1944, viene deportato a seguito di essi, morendo a Mauthausen-Gusen, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/SStefano-Castagnaro-Michele-via.pdf (a cura di Maria Cristina Mirabello).

15 Descrizione di tale manifestazione è leggibile in: Bianchi, Antonio, Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana, Editori Riuniti, Roma, 1975, pp.237-239; Pagano, Giorgio, L’arresto di Mussolini e i cortei alla Spezia e a Sarzana, (https://www.cittadellaspezia.com/2013/07/29/25-luglio-1943-larresto-di-mussolini-e-i-cortei-alla-spezia-e-sarzana-139083/); Pagano, Giorgio, 25 luglio, riscopriamo la speranza (https://www.cittadellaspezia.com/2018/07/29/25-luglio-riscopriamo-la-speranza-265314/).
La manifestazione (e il tragico epilogo di essa) suscitò molta commozione, dando il segnale che niente poteva ritornare come prima. Pina Cogliolo “Fiamma”, in un breve scritto di sei pagine, autografato dalla stessa “Fiamma” e dedicato “Alla compagna Ricciardi”, cioè alla madre di Nino Ricciardi, Medaglia d’oro al VM e partigiano del Battaglione “M. Vanni” (AISRSP, non catalogato), dice: “Le prime ribellioni al fascismo le avvertii il 29 luglio 1943 quado Lina Fratoni, una mia coetanea, fu uccisa alla Spezia, dalla milizia fascista durante una manifestazione.”

16 Per il corteo, nei documenti, si parla di circa 2 mila persone.

17 Attualmente, viale Giovanni Amendola.

18 Attualmente, sede della Polizia Municipale-La Spezia, in viale Giovanni Amendola.

19 Attualmente, piazza Beverini.

20 In realtà, Rino Cerretti, come sta scritto sul marmo del suo loculo (Cimitero dei Boschetti-La Spezia).

21 L’operaio morirà il giorno dopo. Secondo varie fonti, a causa di colpi partiti da un moschetto, comparso tra i marinai.

22 Attualmente, viale Aldo Ferrari.

23 Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

24 In realtà Nicolina Fratoni, detta comunemente Lina.

25 Nel rapporto sono reperibili anche i nomi.

26 L’episodio della manifestazione, in cui cade Lina Fratoni, e, ferito gravemente, muore poi Rino Cerretti, viene giustamente collocato nei prodromi della Resistenza. D’altra parte, se la Resistenza è guerra patriottica, civile, di classe, l’episodio narrato, in cui, nonostante il monito dei carabinieri, la Milizia spara contro i dimostranti, è esemplificativo della connotazione di “guerra civile”, con una parte, però, ancora disarmata. Di lì a poco, la “guerra civile” avrebbe visto due parti contrapposte, e in armi.

27 A seguito dell’episodio di Marola, i Carabinieri-Gruppo La Spezia, in data 3-8-1943, comunicano che sono stati effettuati svariati arresti.

28 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7, f 26.

29 Poiché lo scioglimento del PNF avviene già il 27 luglio 1943, è evidente che il volantino è precedente, e quindi collocabile a ridosso del 25 luglio.

30 La Tenenza Carabinieri-La Spezia, in data 1 agosto 1943, comunica che al cantiere OTO del Muggiano sono stati rinvenuti due manifestini stampati e che è stato trovato, a Pitelli, un manifestino incollato sul muro di una scalinata, con firma “Il Comitato Popolare Italiano”. Quindi, o il Comitato Popolare Italiano aveva firmato più manifestini, o quello di Pitelli coincide con il manifestino di cui parliamo.

31 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7, f 30.

32 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7, f 29.

33 Non si chiede più, quindi, lo scioglimento del PNF (già avvenuto in data 27 luglio 1943), ma, come si può vedere, la liquidazione, non solo formale, bensì sostanziale, del PNF, compresi tutti i suoi strumenti di dominio.

34 I nomi sono scritti a lettere tutte maiuscole.

35 Per il CLN spezzino, e le premesse di esso nel Comitato delle correnti antifasciste (28-7-1943) v. https://www.isrlaspezia.it/strumenti/lessico-della-resistenza/c-l-n-la-spezia/ (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello). Per una panoramica, sintetica, su CLN centrale, CLNAI, CVL, v. https://www.isrlaspezia.it/strumenti/lessico-della-resistenza/cln-clnai-cvl/ (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).

L’episodio di Valmozzola: una data importante, ma non sempre univoca negli scritti degli storici.

L’assalto al treno, fondamentale episodio della Resistenza tra Parma e La Spezia, accadde sicuramente il 12 marzo 1944.

A cura di Maria Cristina Mirabello

Ricostruiamo i fatti, strettamente legati alla discussione sulle date, seguendo il libro di Giulivo Ricci “Storia della Brigata garibaldina ‘Ugo Muccini’”, ISR-La Spezia, 1978, p. 105 e segg. (passim), ma proponendo anche alcune variazioni, segnalate con NdA.

La Banda “Betti”, la sua funzione centripeta per gli spezzini, l’episodio di Roccamurata, l’assalto al treno di Valmozzola e la morte di “Betti”

“Un gruppo era venuto polarizzandosi tra la Val Noveglia (Bardi), Varsi e Mariano (Valmozzola), nel dicembre 1943, non direttamente legato ad alcun partito politico né al CLN, quello di Mario Betti [NdA: per il nome Betti, v. dopo], che lo guiderà nel gennaio e ancora alla fine di febbraio, quando cominceranno ad arrivare a Valmozzola i primi elementi, avviati dal CLN e dal PCI, spezzini, sarzanesi e arcolani. Il Betti aveva trovato, peraltro, un embrionale movimento locale già sulla via dell’organizzazione… i legami con i partiti e con CLN erano saltuari ed episodici…”.

Seguendo sempre Ricci, ma facendone una sintesi, con le variazioni segnalate da NdA, ecco il seguito:

“Betti” [NdA: in realtà, seguendo Maurizio Fiorillo “Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010, p.69, si trattava del caporalmaggiore Mario Devoti, anche se in alcuni autori troviamo la denominazione Mario Betti], viene descritto da Ricci come personaggio abbastanza enigmatico, e su cui non si è mai fatta luce completa. Tale figura, nel mentre si afferma, dà luogo anche a contrasti che lo rendono oggetto di un misterioso attentato. Comunque sia, il “Betti” diventa capobanda ed entra in contatto con il CLN spezzino mediante Riccardo Galazzo, impiegato dell’Arsenale Marittimo Militare, cacciatore e frequentatore di quei luoghi, tramite a sua volta con elementi arcolani, e cioè suo fratello Aldo Galazzo, già condannato al confino e Flavio Maggiani, esponente di punta dell’antifascismo non solo arcolano. Essi sono a loro volta intermediari con Anelito Barontini, che era stato sollecitato da Raffaele Pieragostini del CLN genovese a prendere contatto con il “Betti” su cui il CLN parmense aveva dimostrato di avere poca presa.

Fu così che il gruppi di “Betti” diventò un punto di catalizzazione per gli spezzini che man mano si aggregarono ad esso, partendo a piccoli scaglioni. Mario Portonato “Claudio” e Primo Battistini “Tullio”, partiti lo stesso giorno (2 marzo 1944), sullo stesso treno, l’uno da Migliarina e l’altro da Santo Stefano, e senza sapere l’uno dell’altro, arrivarono così a Mariano, quartiere generale di “Betti” che propose loro di assumere rispettivamente l’incarico di vice Comandante e Comandante del gruppo Arditi. In tale ambito “Betti” incarica così Battistini di una serie di azioni, che riescono pienamente. Arriva nel gruppo anche il sarzanese Paolino Ranieri “Andrea”, che assume la funzione di Commissario politico fino a quel momento non prevista nella banda, e cui “Betti” non si oppone. Il 10 marzo arrivano anche altri: arcolani, ad esempio Ezio Bassano (“Romualdo”) e santostefanesi (ad esempio Arrigo Franceschini (“Tito”), Mario Tavilla (“Crasna”) e Adriano Casale (“Maranghin”). Arrivano anche armi e munizioni da Migliarina, grazie a Renato Grifoglio, e da Sarzana, grazie a Gino Guastini. L’11 marzo 1944 [v. NdA più sotto] avviene uno scontro con il presidio di Roccamurata, intorno alla cui organizzazione e predisposizione, così come intorno a quello di Valmozzola il giorno seguente, esistono varie versioni.

[NdA:la questione dell’11, 12 (e 13 marzo), in quanto date, è abbastanza confusa, nel senso che, per Valmozzola, è stata tramandata da molti la data del 13, accolta dallo stesso Ricci che, però, in una Nota a fine Capitolo, rileva come, nella testa dei protagonisti, l’assalto fosse avvenuto di domenica, quindi il 12 marzo. Tuttavia, Ricci non nega il 13, ma pone, piuttosto, il quesito del perché la maggior parte di chi parla dell’episodio (commemorazioni, scritti) indichi sempre, appunto, il 13 marzo. È evidente inoltre che, se Roccamurata, accade un giorno prima di Valmozzola, essa vada collocata in data 11 marzo (e non il 12). Da mia indagine condotta sulle fonti dell’epoca, e precisamente sui giornali, la data di Valmozzola è senza dubbio il 12 marzo 1944 (domenica). La “Gazzetta di Parma” del 14 marzo 1944 parla dell’episodio in questo modo: “Domenica mattina (quindi domenica 12 marzo) verso le ore 8,30, un gruppo di banditi armati, composto di una cinquantina di individui, dopo avere circondato il treno proveniente da La Spezia e diretto a Parma che si era fermato nella stazione di Valmozzola, apriva un violento fuoco di fucileria e di bombe a mano verso il convoglio… È morto altresì, ucciso uno dei banditi, non ancora identificato ma che si ha ragione di credere fosse il capo o uno dei capi della banda, addosso al quale è stata rinvenuta una forte somma in valuta italiana”.]

Seguiamo ora di nuovo Ricci, che riporta alcune versioni dei fatti: secondo una versione lo scontro di Roccamurata sarebbe avvenuto casualmente e senza connessione con l’episodio di Valmozzola. Secondo altre fonti, tra cui Primo Battistini, invece, proprio lui, che era in servizio di pattuglia non lontano dal Taro, sarebbe stato avvertito che il presidio fascista di Roccamurata teneva in custodia tre giovani destinati alla fucilazione, per cui con i suoi uomini assalì il presidio ma non trovò i ragazzi, trasportati nel frattempo a Borgotaro. Sarebbe nata da qui in Battistini l’idea (cui persuase “Betti”) di assalire a Valmozzola, l’indomani, il treno che, proveniente dalla Spezia, avrebbe raccolto i giovani. Gli uomini non sarebbero stati informati dello scopo della missione per evitare sia una fuga di notizie sia che elementi più politicizzati, quali Paolino Ranieri e Portonato, la sconsigliassero giudicandola rischiosa. Ranieri ricorda che Betti parlava di un assalto all’ammasso del Comune per requisire viveri e che “Betti” non volle farlo partecipare all’impresa che comunque, sempre secondo Ranieri, prevedeva la requisizione dei viveri ed il sequestro del capostazione, e null’altro. Secondo altri, avvenuta la requisizione, Betti decise invece improvvisamente di sequestrare il capostazione, considerato membro del quadrumvirato fascista della zona, e, qualora avessero trovato un treno fermo, di assalirlo. Il nodo è capire se l’assalto al treno che costituì per la Resistenza delle province di Parma e della Spezia un punto di svolta, data la notorietà dell’impresa e l’effetto galvanizzatore che ebbe, era stato programmato in funzione della liberazione dei giovani. Sta di fatto che, quali che siano le versioni, l’assalto ci fu alle 8,30 del mattino ed avvenne contro un treno pieno di militari che, dopo una prima fitta sparatoria, si arresero, sia tedeschi che fascisti. Nel corso della battaglia “Betti” rimase ucciso, anche se sul momento nessuno se ne accorse, rendendosene conto solo al ritorno, a Mariano.

[NdA: osserviamo infine che, sul fatto d’arme di Valmozzola, come dice Maurizio Fiorillo, il quale riporta la data del 12 marzo, notando che molte fonti parlano del 13, (p. 69 del libro “Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile”, cit.), esistono almeno “quattro versioni, tramandate dalla memorialistica, in parte inconciliabili”].

Bianca Mori Paganini, deportata nel campo femminile di Ravensbrück, a dieci anni dalla scomparsa.

Giovedì 18 maggio alle ore 17, presso l’auditorium della Biblioteca P.M. Beghi, via del Canaletto 100 alla Spezia.

Saluti istituzionali
Saluto dell’Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea – Fondazione ETS.

La figura di Bianca Paganini Mori nel ricordo delle figlie Anna Maria e Paola e di Doriana Ferrato, presidente ANED della Spezia

Il Campo femminile di Ravensbrück e la deportazione femminile attraverso le testimonianze raccolte nel libro “A volte sogniamo di essere libere” a cura di Raul Calzoni e Ambra Laurenzi.

Interviene Ambra Laurenzi, presidente del Comitato Internazionale di Ravensbrück.

Bianca Mori Paganini

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia per il 78° anniversario della Liberazione

Cuneo, 25/04/2023

“Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.

È Piero Calamandrei che rivolge queste parole a un gruppo di giovani studenti, a Milano, nel 1955.

Ed è qui allora, a Cuneo, nella terra delle 34 Medaglie d’oro al Valor militare e dei 174 insigniti di Medaglia d’argento, delle 228 Medaglie di bronzo per la Resistenza.

La terra dei dodicimila partigiani, dei duemila caduti in combattimento e delle duemilaseicento vittime delle stragi nazifasciste.

È qui che la Repubblica oggi celebra le sue radici, celebra la Festa della Liberazione.

Su queste montagne, in queste valli, ricche di virtù di patriottismo sin dal Risorgimento.

In questa terra che espresse, con Luigi Einaudi, il primo Presidente dell’Italia rinnovata nella Repubblica.

Rivolgo un saluto a tutti i presenti, ai Vice Presidenti del Senato e della Camera, ai Ministri della Difesa, del Turismo e degli Affari regionali. Al Capo di Stato Maggiore della Difesa. Ai parlamentari presenti.

Saluto, e ringrazio per i loro interventi, il Presidente della Regione, la Sindaca di Cuneo, il Presidente della Provincia. Un saluto ai Sindaci presenti, pregandoli di trasmetterlo a tutti i loro concittadini. Un saluto e un ringraziamento al Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza.

Stamane, con le altre autorità costituzionali, ho deposto all’Altare della Patria una corona in memoria di quanti hanno perso la vita per ridare indipendenza, unità nazionale, libertà, dignità, a un Paese dilaniato dalle guerre del fascismo, diviso e occupato dal regime sanguinario del nazismo, per ricostruire sulle macerie materiali e morali della dittatura una nuova comunità.

“La guerra continua” affermò, nella piazza di Cuneo che oggi reca il suo nome, Duccio Galimberti, il 26 luglio del 1943.

Una dichiarazione di senso ben diverso da quella del governo Badoglio.

Continua – proseguiva Galimberti – “fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana…non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani”.

Un giudizio netto e rigoroso. Uno discorso straordinario per lucidità e visione del momento. Che fa comprendere appieno valore e significato della Resistenza.

E fu coerente, salendo in montagna.

Assassinato l’anno seguente dai fascisti, è una delle prime Medaglie d’oro della nuova Italia; una medaglia assegnata alla memoria.

Il “motu proprio” del decreto luogotenenziale recita: “Arrestato, fieramente riaffermava la sua fede nella vittoria del popolo italiano contro la nefanda oppressione tedesca e fascista”; ed è datato, con grande significato, “Italia occupata, 2 dicembre 1944”.

Dopo l’8 settembre il tema fu quello della riconquista della Patria e della conferma dei valori della sua gente, dopo le ingannevoli parole d’ordine del fascismo: il mito del capo; un patriottismo contrapposto al patriottismo degli altri in spregio ai valori universali che animavano, invece, il Risorgimento dei moti europei dell’800; il mito della violenza e della guerra; il mito dell’Italia dominatrice e delle avventure imperiali nel Corno d’Africa e nei Balcani. Combattere non per difendere la propria gente ma per aggredire. Non per la causa della libertà ma per togliere libertà ad altri.

La Resistenza fu anzitutto rivolta morale di patrioti contro il fascismo per affermare il riscatto nazionale.

Un moto di popolo che coinvolse la vecchia generazione degli antifascisti.

Convocò i soldati mandati a combattere al fronte e che rifiutarono di porsi sotto il comando della potenza occupante tedesca, pagando questa scelta a caro prezzo, con l’internamento in Germania e oltre 50.000 morti nei lager.

Chiamò a raccolta i giovani della generazione del viaggio attraverso il fascismo, che ne scoprivano la natura e maturavano la scelta di opporvisi. La generazione, “sbagliata” perché tradita. Giovani ai quali Concetto Marchesi, rettore dell’Ateneo di Padova si rivolse per esortarli, dopo essere stati appunto “traditi”, a “rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano”.

Fu un moto che mobilitò gli operai delle fabbriche.

Coinvolse i contadini e i montanari che, per la loro solidarietà con i partigiani combattenti, subirono le più dure rappresaglie (nel Cuneese quasi 5.000 i patrioti e oltre 4.000 i benemeriti della Resistenza riconosciuti).

Quali colpe potevano avere le popolazioni civili?

Di voler difendere le proprie vite, i propri beni? Di essere solidali con i perseguitati?

Quali quelle dei soldati? Rifiutarsi di aggiungersi ai soldati nazisti per fare violenza alla propria gente?

L’elenco delle località colpite nel Cuneese compone una dolorosa litania e suona come preghiera.

Voglio ricordarle.

Furono decorate con Medaglie d’oro, d’argento o di bronzo, o con Croci di guerra: Cuneo, l’intera Provincia, Alba, Boves, Borgo San Dalmazzo, Dronero; Clavesana, Peveragno, Cherasco, Busca, Costigliole Saluzzo, Genòla, Trinità, Venasca, Ceva, Pamparato; Mondovì, Priola, Castellino Tanaro, Garessio, Roburent, Paesana, Narzòle, Rossana, Savigliano; Barge, San Damiano Macra, Villanova Mondovì.

Alla memoria delle vittime e alle sofferenze degli abitanti la Repubblica oggi si inchina.

Questo pomeriggio mi recherò a Boves, prima città martire della Resistenza, Medaglia d’oro al Valor militare e Medaglia d’oro al Valor Civile.

Lì si scatenò quella che fu la prima strage operata dai nazisti in Italia.

Una strage che colpì la popolazione inerme e coloro che avevano tentato di evitarla: Antonio Vassallo, don Giuseppe Bernardi, ai quali è stata tributata dalla Repubblica la Medaglia d’oro al Valor civile; don Mario Ghibaudo. I due sacerdoti, recentemente proclamati beati dalla Chiesa cattolica, testimoni di fede che non vollero abbandonare il popolo loro affidato, restarono accanto alla loro gente in pericolo.

E da Boves vengono segni di un futuro ricco di speranza: la Scuola di pace fortissimamente voluta dall’Amministrazione comunale quasi quarant’anni or sono e il gemellaggio con la cittadina bavarese di Schondorf am Ammersee, luogo dove giacciono i resti del comandante del battaglione SS responsabile della feroce strage del 19 settembre 1943.

A Borgo San Dalmazzo visiterò il Memoriale della Deportazione.

Borgo San Dalmazzo, dove il binario alla stazione ferroviaria è richiamo quotidiano alla tragedia della Shoah.

Cuneo, dopo Roma e Trieste, è la terza provincia italiana per numero di deportati nei campi di sterminio in ragione dell’origine ebraica.

Accanto agli ebrei cuneesi che non riuscirono a sfuggire alla cattura, la più parte di loro era di nazionalità polacca, francese, ungherese e tedesca. Si trattava di ebrei che, dopo l’8 settembre, avevano cercato rifugio dalla Francia in Italia ma dovettero fare i conti con la Repubblica di Salò.

Profughi alla ricerca di salvezza, della vita per sé e le proprie famiglie, in fuga dalla persecuzione, dalla guerra, consegnati alla morte per il servilismo della collaborazione assicurata ai nazisti.

Dura fu la lotta per garantire la sopravvivenza dell’Italia nella catastrofe cui l’aveva condotta il fascismo. Ci aiutarono soldati di altri Paesi, divenuti amici e solidi alleati: tanti di essi sono sepolti in Italia.

A questa lotta si aggiunse una consapevolezza: la crisi suprema del Paese esigeva un momento risolutivo, per una nuova idea di comunità, dopo il fallimento della precedente.

Si trattava di trasfondere nello Stato l’anima autentica della Nazione.

Di dare vita a una nuova Italia.

Impegno e promessa realizzate in questi 75 anni di Costituzione repubblicana. Una Repubblica fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista.

Le Costituzioni nascono in momenti straordinari della vita di una comunità, sulla base dei valori che questi momenti esprimono e che ne ispirano i principi.

Le “Repubbliche” partigiane, le zone libere, nelle loro determinazioni e nel loro operare furono anticipatrici della nostra Costituzione.

È dalla Resistenza che viene la spinta a compiere scelte definitive per la stabilità delle libertà del popolo italiano e del sistema democratico, rigettando le ambiguità che avevano consentito lo stravolgimento dello Statuto albertino operato con il fascismo.

Se il decreto luogotenenziale del 2 agosto 1943 – poco dopo la svolta del 25 luglio – prevedeva, non appena ve ne fossero le condizioni, l’elezione di una nuova Camera dei Deputati, per un ripristino delle istituzioni e della legalità statutaria, fu il decreto del 25 giugno 1944 – pochi giorni dopo la costituzione del primo Governo del CLN – a indicare che dopo la liberazione del territorio nazionale sarebbe stata eletta dal popolo, a suffragio universale, un’Assemblea costituente, con il compito di redigere la nuova Costituzione. Per questo quel decreto viene definito la prima “Costituzione provvisoria”.

Seguirà poi il referendum, il 2 giugno 1946, con la Costituente e la scelta per la Repubblica.

La rottura del patto tra Nazione e monarchia, corresponsabile, quest’ultima, di avere consegnato l’Italia al fascismo, sottolineava l’approdo a un ordinamento nuovo.

La Costituzione sarebbe stata la risposta alla crisi di civiltà prodotta dal nazifascismo, stabilendo il principio della prevalenza sullo Stato della persona e delle comunità, guardando alle autonomie locali e sociali dell’Italia come a un patrimonio prezioso da preservare e sviluppare.

Una risposta fondata sulla sconfitta dei totalitarismi europei di impronta fascista e nazista per riaffermare il principio della sovranità e della dignità di ogni essere umano, sulla pretesa di collettivizzazione in una massa forzata al servizio di uno Stato in cui l’uomo appare soltanto un ingranaggio.

Il frutto del 25 aprile è la Costituzione.

Il 25 aprile è la Festa della identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo.

È nata così una democrazia forte e matura nelle sue istituzioni e nella sua società civile, che ha permesso agli italiani di raggiungere risultati prima inimmaginabili.

E qui a Cuneo, mentre la guerra infuriava, veniva sviluppata un’idea di Costituzione che guardava avanti.

Pionieri Duccio Galimberti e Antonino Rèpaci.

Guardava a come scongiurare per il futuro i conflitti che hanno opposto gli Stati europei gli uni agli altri, per dar vita, insieme, a una Costituzione per l’Europa e a una per l’Italia. Dall’ossessione del nemico alla ricerca dell’amico, della cooperazione.

La Costituzione confederale europea si accompagnava alla proposta di una “Costituzione interna”.

Obiettivo: “liberare l’Europa dall’incubo della guerra”.

Sentiamo riecheggiare in quello che appariva allora un sogno, il testo del preambolo del Trattato sull’Unione Europea: “promuovere pace, sicurezza, progresso in Europa e nel mondo”.

Un sogno che ha saputo realizzarsi per molti aspetti in questi settant’anni. Anche se ancora manca quello di una “Costituzione per l’Europa”, nonostante i tentativi lodevoli di conseguirla.

Chiediamoci dove e come saremmo se fascismo e nazismo fossero prevalsi allora!

Nel lavoro di Galimberti e Rèpaci troviamo temi, affermazioni, che sono oggi realtà della Carta costituzionale italiana, come all’art. 46: “le differenze di razza, di nazionalità e di religione non sono di ostacolo al godimento dei diritti pubblici e privati”.

Possiamo quindi dire, a buon titolo: Cuneo, città della Costituzione!

Galimberti era stato a Torino allievo di Francesco Ruffini, uno dei docenti universitari che, rifiutando il giuramento di fedeltà al fascismo, fu costretto ad abbandonare l’insegnamento.

Accanto a Galimberti e Rèpaci, altri si misurarono con la sfida di progettare il futuro.

Silvio Trentin, in esilio dal 1926, nel suo “Abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell’Italia”, dettato al figlio Bruno nel 1944, era sostenitore, anch’egli, dell’anteriorità dei diritti della persona rispetto allo Stato.

E Mario Alberto Rollier, con il suo “Schema di costituzione dell’unione federale europea”. Testi, entrambi, di forte ispirazione federalista.

Si tratta, nei tre casi, di esponenti di quel Partito d’Azione di cui incisiva sarà l’influenza nel corso della Resistenza e dell’avvio della vita della Repubblica.

La crisi della monarchia e quella del fascismo apparivano ormai irreversibili, tanto da indurre un gruppo di intellettuali cattolici a riunirsi a Camaldoli, a pochi giorni dal 25 luglio 1943, con l’intento di riflettere sul futuro, dando vita a una Carta di principi, nota come “Codice di Camaldoli”, che lascerà il segno nella Costituzione. Con la proposta di uno Stato che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini.

Per tornare alla “Costituzione di Duccio”, apparivano allora utopie alcune sue previsioni come quella di una “unica moneta europea”. Oggi realtà.

O quella di “un unico esercito confederale”. E il tema della difesa comune è, oggi, al centro delle preoccupazioni dell’Unione Europea, in un continente ferito dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina.

Sulla scia di quei “visionari” che, nel pieno della tragedia della guerra e tra le macerie, disegnavano la nuova Italia di diritti e di solidarietà, desidero sottolineare che onorano la Resistenza, e l’Italia che da essa è nata, quanti compiono il loro dovere favorendo la coesione sociale su cui si regge la nostra comunità nazionale.

Rendono onore alla Resistenza i medici e gli operatori sanitari che ogni giorno non si risparmiano per difendere la salute di tutti. Le rendono onore le donne e gli uomini che con il loro lavoro e il loro spirito di iniziativa rendono competitiva e solida l’economia italiana.

Le rendono onore quanti non si sottraggono a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva.

Il popolo del volontariato che spende parte del proprio tempo per aiutare chi ne ha bisogno.

I giovani che, nel rispetto degli altri, si impegnano per la difesa dell’ambiente.

Tutti coloro che adempiono, con coscienza, al proprio dovere pensando al futuro delle nuove generazioni rendono onore alla liberazione della Resistenza.

Signor Presidente della Regione, lei ha definito queste colline, queste montagne “geneticamente antifasciste”.

Sappiamo quanto dobbiamo al Piemonte, Regione decorata, a sua volta, con la Medaglia d’oro al merito civile

Ed è alle donne e agli uomini che hanno animato qui la battaglia per la conquista della libertà della Patria che rivolgo il mio pensiero rispettoso.

Nuto Revelli ha parlato della sua esperienza di comandante partigiano e della lotta svolta in montagna come di un vissuto di libertà: di un luogo dove era possibile assaporare il gusto della libertà prima che venisse restituita a tutto il popolo italiano.

Una terra allora non prospera, tanto da ispirargli i racconti del “mondo dei vinti”.

Una terra ricca però di valori morali.

Non c’è una famiglia che non abbia memoria di un bisnonno, di un nonno, di un congiunto, di un alpino caduto in Russia, nella sciagurata avventura voluta dal fascismo.

Non c’è famiglia che non ricordi il sacrificio della Divisione alpina “Cuneense” nella drammatica ritirata, con la Julia. Un altro esempio. Un altro monito alla dissennatezza della guerra.

Rendiamo onore alla memoria di quei caduti.

Grazie da tutta la Repubblica a Cuneo e al Cuneese, con le sue Medaglie al valore!

Come recita la lapide apposta al Municipio di questa città, nell’ottavo anniversario dell’uccisione di Galimberti, se mai avversari della libertà dovessero riaffacciarsi su queste strade troverebbero patrioti.

Come vi è scritto: “morti e vivi collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza”.

Viva la Festa della Liberazione!

Viva l’Italia!

Qui il collegamento al discorso

Il 25 aprile è una gran festa, per la LIBERTÀ ritrovata, ma quanti sono morti per arrivare ad essa!

Il rastrellamento dell’8 ottobre 1944

A cura di Sandro Centi, membro del Consiglio di Amministrazione dell’ISR-ETS

Una premessa

Per comprendere meglio l’argomento trattato, può essere utile fare una breve ricostruzione storica degli avvenimenti che precedono l’8 ottobre 1944: mi soffermerò, per brevità, solo sugli antecedenti della Brigata Vanni, coinvolta, insieme ad altre forze partigiane, in esso. Il motivo di ciò è dato dal fatto che di tale Brigata non è stata ancora scritta una storia, e che quindi può essere utile delinearne alcuni caratteri.1

Il nucleo originario della futura Brigata Vanni nasce, nei primi giorni di giugno 1944, ad Adelano di Zeri, intorno a Primo Battistini (“Tullio”), al rientro di quest’ultimo, con pochi uomini, dalla Val di Taro e dalla Val di Ceno.

Questo gruppo, che si rafforza come quantità progressivamente, ha come Comandante Primo Battistini “Tullio” e come Commissario politico Giovanni Albertini “Luciano”. Denominato dapprima Brigata “Signanini”, verso la fine di luglio 1944, nell’ambito della nascita del Comando Unico affidato al Colonnello Mario Fontana “Turchi”, assume il nome di Brigata d’Assalto “Melchiorre Vanni”, con all’attivo più di duecento uomini.

I suoi Distaccamenti trovano posto in tale periodo nelle località di Adelano, Coloretta, Noce, Monte Favà, Patigno e Monte Malone, sul quale si svolgeranno i primi lanci.

Questa striscia di territorio offriva, oltre a un discreto isolamento, dato dal fatto che c’era una sola strada carrozzabile proveniente da Pontremoli, anche il vantaggio della posizione predominante per affrontare un eventuale combattimento in condizioni favorevoli. Da tali postazioni, gli uomini della Vanni, dovevano sostenere lunghe marce notturne per giungere in territorio nemico, a svolgere azioni di sabotaggio oppure di recupero di armi e materiale alimentare o prelevamenti di militari nemici, da utilizzare per scambio di prigionieri. “I più attivi erano sempre i vecchi ragazzi della Vanni”, ricorda il partigiano Saverio Sampietro (“Falchetto”), “che ormai si erano abituati a resistere ai sacrifici, alle fatiche, nell’affrontare tedeschi e fascisti”.

Basti ricordare, tra le altre, l’azione, che passerà alla storia come “La beffa di Ceparana” (24 luglio 1944), quando la squadra di Eugenio Lenzi “Primula Rossa”, composta di 15 partigiani, tra cui Giuseppe Mirabello “Apollo”, Francesconi Fausto (“Furia”) e Giovanni Cozzani (“Ciccio”), scende al piano ed effettua un clamoroso colpo di mano contro i magazzini generali tedeschi a Ceparana, catturando militari tedeschi e repubblichini, impossessandosi anche di grandi quantitativi di generi alimentari. 

Purtroppo il 3 agosto 1944 ha inizio il primo rastrellamento in grande stile delle forze nazifasciste. Viene investita l’intera zona compresa tra il Vara, il Magra, il Taro. Partecipano all’azione reparti della X^ Mas, della G.N.R., delle Brigate nere, alpini della Monte Rosa e alpini tedeschi, in tutto 10.000 uomini.

Tutta la struttura organizzativa della Resistenza del territorio, che poi diventerà 4^ Zona Operativa, non ancora efficiente e solida, è messa a dura prova.

La scarsità di armi, l’impreparazione militare, politica, psicologica dei singoli partigiani (molti uomini erano arrivati da poco ai monti), la mancata organizzazione di una ordinata difesa da parte del Comando di Divisione, furono i principali fattori che determinarono lo sbandamento di interi reparti partigiani. Solo una efficace resistenza della Brigata “Cento Croci” e reparti di Giustizia e Libertà di Bucchioni, permise ai resti delle altre Brigate di ripiegare, seppur con gravi perdite. Si distinse, per spirito combattivo e coraggio, però, anche il distaccamento della Vanni dislocato al Ponte dei Rumori di Noce, guidato da Duilio Lanaro (“Sceriffo”), che seppe tener testa all’impeto delle colonne nazifasciste che risalivano da Pontremoli per entrare nello Zerasco. 

Dopo lo sbandamento, e la destituzione del Comandante Primo Battistini “Tullio”, al momento del rastrellamento non presente (unico sottoposto poi ad inchiesta, e la cui posizione è però variamente interpretata ed interpretabile), per la Vanni l’opera di ricomposizione risultò molto laboriosa. L’opera di riorganizzazione fu affidata al Commissario politico Giovanni Albertini “Luciano” che, già pochi giorni dopo, era fiducioso di riuscire presto nell’impresa e scriveva “In questo momento la Brigata si sta organizzando alacremente “. Albertini fidava altresì nel rientro di alcune forze rimaste alle dipendenze del destituito “Tullio”, ma questa speranza andò delusa, perché diversi ex effettivi della Vanni non si staccarono da lui, e questo dimostra come egli esercitasse ancora un forte ascendente su tanti partigiani, specialmente i più giovani. 

La Vanni, comunque, si ricostituì in fretta e, seppur ridotta numericamente, ritornò presto operativa.

Comandante venne nominato Duilio Lanaro (“Sceriffo”) e Commissario politico rimase Giovanni Albertini “Luciano”.  Essi, insieme a un centinaio di uomini, si spostarono prima su Fontana Gilente e poi in località “Boschetto”, zona compresa tra il passo dei Due Santi e Albareto di Borgotaro. Si sistemarono, ad eccezione del distaccamento comandato da “Primula Rossa”, che si trovava a Montedivalli, in alcune capanne di montagna con un po’ di fieno per le bestie.     

Anche in quel periodo tuttavia furono frequenti le partenze di squadre di sabotatori che andavano a compiere azioni militari verso Bolano, Piana Battolla, Follo, Ceparana e periferia della Spezia. Vale la pena ricordare la distruzione del famoso ponte parabolico ferroviario di Ostia Parmense attuata da una squadra di sabotatori della Vanni, in collaborazione con un distaccamento della Brigata Julia operante nella zona, che interruppe la linea La Spezia-Parma fino alla fine della guerra.

A metà settembre il Comando di Divisione decide lo spostamento della Vanni nella zona del Calicese. Dapprima la Brigata prende posto a Santa Maria, poi il Comando di essa si sposta, secondo la testimonianza di Saverio Sampietro (“Falchetto”) presso le Case Carzachi, tra Monte Alpicella e Monte Ciliegia. Inoltre Duilio Lanaro, (“Sceriffo”), Comandante della Vanni, in un rapporto al Comando di Divisione specifica che “Tre compagnie di circa 70 uomini ciascuna, sono sistemate sul crinale che corre dal Monte Pietrebianche fin sopra Montebello, con un ulteriore distaccamento a Tranci di Montedivalli”. 

Arriva così l’8 OTTOBRE 1944

Per capire meglio il dipanarsi del rastrellamento, occorre conoscere bene le forze in campo, la loro consistenza e la loro dislocazione.

La Brigata Vanni contava su una forza di circa 230 uomini,

La Colonna Giustizia e Libertà è coinvolta nel rastrellamento solo con uno dei due Battaglioni che la compongono e cioè il Battaglione Val di Vara, formato da tre compagnie per un numero complessivo di quasi 300 uomini. Per ultimo c’è il Battaglione Picelli di Nello Quartieri con circa 60-80 uomini.

Vediamo nella cartina seguente la loro dislocazione. 

Anche in questa circostanza, come nel rastrellamento del 3 agosto, siamo di fronte ad una forte disparità, sia nel numero di combattenti impiegati, sia nelle armi in dotazione. Tremila e più nazifascisti, armati di tutto punto, contro poche centinaia di partigiani molti dei quali privi di armamento personale.

La zona interessata al rastrellamento è quella delimitata dal perimetro costruito sulle località di Rocchetta Vara, Suvero, Casoni, Montereggio, Mulazzo, Parana, Tresana, Bolano, Piana Battolla, Madrignano, Castiglione Vara, con al centro la vallata di Calice.

Come si può intuire dalle località coinvolte, il rastrellamento interessa la metà circa del territorio che costituirà la 4^ Zona Operativa. 

La manovra a tenaglia, visibile nella cartina seguente, prevedeva di far convergere le truppe nazifasciste, dalle ali esterne di partenza, verso un solo punto centrale, che, in questo caso, era rappresentato dalla conca di Calice. 

L’attacco nazifascista fu sferrato con reparti di alpini della Monterosa, della X^ Mas, di Brigate nere, di tedeschi e truppe mongole. La Brigata Vanni e il Battaglione Val di Vara di Giustizia e Libertà, come vedremo, risentirono il maggior peso del combattimento. Certamente, nel suo complesso, l’operazione antiguerriglia si risolse in un insuccesso dei nazifascisti che, non riuscendo, come invece era avvenuto il 3 agosto, a scompaginare il dispositivo partigiano, abbandonarono dopo tre lunghe giornate l’impresa, consolandosi con il comunicare, attraverso la stampa e la radio, la falsa notizia di centinaia di morti e di feriti partigiani e di mezzo migliaio di prigionieri. 

In realtà il bilancio degli scontri è di 47 perdite partigiane, tra morti, feriti e catturati e un centinaio di perdite nazifasciste.

Pietro Beghi, Segretario del C.L.N. provinciale, annoterà: “L’8 ottobre ‘44 un nuovo rastrellamento compiuto da ingenti forze nazifasciste ha posto a dura prova le nostre formazioni, le quali, forti di una migliore organizzazione, si comportarono brillantemente mantenendo integro il loro inquadramento.” E ancora, la relazione del Comandante di Divisione Colonnello Mario Fontana: “Nei recenti rastrellamenti si sono particolarmente distinti i reparti della Brigata Vanni e il Distaccamento Bucchioni della Colonna Giustizia e Libertà. Detti reparti, che non hanno potuto, come da ordine del Comando, effettuare per tempo lo sganciamento previsto, hanno accettato e ricercato il combattimento, infliggendo al nemico gravi perdite”.

Come si svolsero i fatti

Alle prime ore del mattino del giorno 8 pattuglie della Vanni e di Giustizia e Libertà segnalano la presenza di forti contingenti tedeschi autocarrati nelle località di Piana Battolla, Rocchetta Vara, Mulazzo.

A quel punto in tutta la vallata di Calice risuona l’allarme generale, che indica un pericolo grave ed imminente. 

Da Rocchetta, dove le truppe tedesche si sono concentrate durante la notte, al mattino presto si muovono due colonne, una diretta a Veppo e l’altra verso Suvero. Alle ore 8 si segnala l’arrivo a Suvero di 12 autocarri carichi di SS tedesche. Messa in allarme, la 1^ Compagnia della Colonna Giustizia e Libertà, comandata da Daniele Bucchioni “Dany”, viene schierata a difesa nella zona compresa tra il monte Bastia e Foce di Borseda, a sbarramento delle provenienze da Rocchetta Vara.

Alle 8 circa le prime pattuglie tedesche, percorrendo la mulattiera che sale dall’abitato di Veppo, protette da violento fuoco di accompagnamento, giungono a poca distanza dalle file partigiane. Al segnale convenuto il fuoco di arresto dei partigiani si scatena all’improvviso facendo cadere numerosi nazifascisti. 

Dopo i primi sbandamenti, i tedeschi si riorganizzano e, con l’ausilio di nuovi reparti sopraggiunti e del fuoco di alcuni pezzi di artiglieria piazzati sulla rotabile sotto Veppo, tentano un nuovo attacco, ma anche questo viene respinto.

A metà mattinata giunge la notizia che reparti tedeschi sopraggiunti a Prati di Forno, provenienti da Beverone, tentano un aggiramento delle forze partigiane. Un’altra brutta notizia arriva dal versante opposto, dove una forte colonna tedesca, che da Suvero ha raggiunto i Casoni, scende da Monte Bastia per colpire al fianco la linea di difesa partigiana alla Foce di Borseda. Ai Casoni i tedeschi sono passati indisturbati: qualcosa non ha funzionato. Sulla mancata resistenza ai Casoni da parte della Compagnia lì dislocata i Comandi della GL espressero severe critiche, anche perché non si era provveduto ad avvertire i reparti impegnati alla Foce di Borseda del pericolo che incombeva dall’alto.

A quel punto Bucchioni, per evitare l’accerchiamento, ordina il disimpegno delle squadre più minacciate e via via delle altre, un ripiegamento verso i boschi di Debeduse e Borseda, occultando le armi pesanti. Rimangono a coprire la ritirata soltanto il Comandante Bucchioni e il giovanissimo Gerolamo Spezia “Piero” che dalla loro postazione sparano rabbiosamente in tutte le direzioni. Ormai il cerchio di fuoco si stringe inesorabilmente su di loro. Una raffica di traccianti colpisce il povero Spezia alla testa e in pieno petto, e muore all’istante. A quel punto Bucchioni, sparando all’impazzata, approfittando di una bomba fumogena lanciata dai tedeschi, in mezzo a un inferno di fuoco, si lancia giù per il pendio, riuscendo a ricongiungersi con i propri uomini. I tedeschi dilagano su Borseda, sfogando tutta la furia su poveri civili e, dopo aver razziato il bestiame, temendo un contrattacco partigiano si avviano verso valle. Il bilancio di questa epica battaglia indica è di cinquanta morti nazifascisti, tre morti partigiani e oltre dieci uomini dichiarati dispersi. Furono quattro i civili barbaramente uccisi. 

Un’altra direttrice dell’attacco concentrico messo in atto dalle forze nazifasciste è quella proveniente da est, dalla vallata del Magra, partendo dai paesi di Mulazzo e Tresana.

Un tratto di questo versante della catena divisoria tra il Vara e il Magra è occupato dal Battaglione Picelli di Nello Quartieri (“Italiano”), con il grosso della formazione schierato alla Crocetta di Mulazzo e un distaccamento posizionato leggermente più a sud, in un casone sopra la frazione di Parana, dove, nell’abitato, si trova anche un distaccamento di Giustizia e Libertà comandato da Ferruccio Bardotti.

Il mattino presto dell’8 ottobre viene dato l’allarme su un movimento di truppe nella strada tra Mulazzo e il bivio Parana-Montereggio, poiché lì, allora, terminava la strada rotabile. Tutto il Battaglione Picelli si mobilita, ma il rastrellamento arriva su di esso all’improvviso. Dopo gli scontri a fuoco alla Madonna del Monte, a Montereggio e a Crocetta, che si protraggono fino alle due del pomeriggio, tutte le forze del Battaglione ripiegano sui crinali e decidono lo sganciamento alla Formentara di Zeri.

Nei combattimenti rimane ucciso un partigiano del vicino Battaglione Internazionale, un altro è ferito, e un altro ancora viene catturato e poi fucilato.  Il rastrellamento ha duramente scosso gli uomini del Picelli, che si sentono abbandonati dal Comando di Divisione, lasciati senza lanci e ridotti in miserevoli condizioni di armamento e vestiario. Seguirà, per fortuna, un chiarimento risolutore che porterà successivamente alla costituzione di un nuovo Battaglione, denominato Matteotti-Picelli, comandato sempre da Nello Quartieri, che entrerà a far parte della futura Brigata Gramsci.

Ritorniamo allo svolgimento del rastrellamento per vedere cosa è successo al distaccamento della GL stanziato a Parana. Alle prime luci del giorno, il tenente Ferruccio Bardotti, messo al corrente dell’arrivo di ingenti forze nemiche, lascia l’abitato di Parana e, risalendo la costa, prova a costituire una linea di difesa sul crinale del monte. Vista però la enorme superiorità dell’attaccante, ripiega e raggiunge il Comando della GL a Fresoni. Insieme al “Boia” (Vero Del Carpio, Comandante della Colonna) e altri addetti del Comado riuscirà ad occultarsi negli anfratti del torrente Mangiola. Lo stesso “Boia”, è bene ricordarlo, aveva impartito disposizioni che prevedevano di difendere le posizioni, se si era in presenza di truppe della R.S.I., e di sganciarsi, se si trattava di forti contingenti tedeschi. 

Il Colonnello Fontana, col suo Comando di Divisione si trova al Cerro, ma riesce ad allontanarsi, puntando su Fontanafredda, prima che la località venga raggiunta dalle truppe che salgono da Mulazzo. Queste truppe, in perfetto assetto di guerra, sono formate da tedeschi, mongoli e Brigate nere con reparti di SS italiane, guidate dal criminale torturatore, tristemente noto alla Spezia, Aurelio Gallo, che, appena arrivato a Parana, ordina di incendiare la casa che aveva ospitato il Distaccamento GL.

Durante la notte, tra otto e nove ottobre, era caduta abbondante pioggia, che aveva limitato le operazioni militari e le attività di pattuglia. Comunque i tedeschi e i fascisti, provenienti da più direzioni, si attestarono nei paesi del versante orientale (Castello, Santa Maria e Nasso). Ritennero pericolosa la permanenza a Borseda e a Debeduse, che pertanto tornarono sotto il controllo partigiano. 

Rimangono da spiegare gli avvenimenti del terzo fronte di attacco, quello portato da sud, che, nelle intenzioni del Comando germanico, avrebbe dovuto chiudere il cerchio intorno alle formazioni partigiane, per poi distruggerle.

In questo caso viene investita maggiormente la Brigata Vanni che, subendo vari scontri a fuoco, perde 13 combattenti.  

Come abbiamo visto, fin dalle prime ore dell’8 ottobre, forti contingenti tedeschi si stanno ammassando nei pressi di Piana Battolla.  Si crea un collegamento tra il Distaccamento comandato da “Primula Rossa” della Brigata Vanni, collocato a Tranci, e partigiani di Giustizia e Libertà della 2^ Compagnia stanziati poco sopra Piana Battolla. Intanto le truppe nazifasciste, prima di superare il ponte sul Vara, hanno effettuato un rastrellamento nell’abitato di Piana Battolla, in cui muore un operaio e un partigiano, gravemente ferito, perde la vita nei giorni successivi. 

I tedeschi, dopo aver razziato capi di bestiame a Castiglione e Beverino, formano uno schieramento che si estende da Padivarma alle pendici di Montebello, vicino a Bolano, con una colonna, che fa da caposaldo, dislocata nella frazione di Usurana, per bloccare ogni uscita a valle della conca di Calice. Sempre nella mattinata si aggiunge un altro forte contingente tedesco, che si mette in movimento da Tivegna, irradiandosi in tutte le direzioni. 

Il rastrellamento parte fulmineo e non dà tempo ai Comandi partigiani di organizzare una difesa efficace, perciò viene deciso di desistere alle prime puntate tedesche per mettere in salvo il materiale pesante e sganciarsi in un secondo tempo. Infatti, il gruppo di “Primula Rossa” si allontanerà da Tranci, dirigendosi verso i boschi di monte Falò, perché, dato l’esiguo numero di combattenti, non è in grado di contenere la forte spinta nemica. 

Le cose non vanno bene nemmeno nella zona di Madrignano dove, in uno scontro a fuoco, perdono la vita tre partigiani della Vanni: Ferri Lindo, Allegria Mario e Rabez Ivan, un partigiano russo.

Intanto verso le 13 del pomeriggio, più a monte, una parte del distaccamento di Case Carzachi della “Vanni” si è disposto a bloccare la strada di Calice e, sempre d’intesa con reparti di Giustizia e Libertà, l’altra parte di distaccamento si schiera su altre posizioni per respingere eventuali attacchi da Madrignano. 

Proprio mentre questi uomini si apprestano a sostenere l’urto del nemico, nella zona tenuta dalla Vanni, cominciano a circolare diversi elementi sbandati di altre formazioni, privi anche delle armi personali, che contribuiscono a determinare un clima di confusione e scompiglio nelle file dei combattenti.  Questo fatto, molto destabilizzante, viene riportato nel rapporto finale del Comando di Brigata firmato dal Comandante Duilio Lanaro (“Sceriffo”) Comandante e dal commissario Politico Giovanni Albertini (“Luciano”). 

Il primo reparto tedesco, giunto a tiro, viene preso sotto il fuoco di un mitragliatore e perde 7 uomini, ma gli attacchi successivi e l’intensificarsi del fuoco nemico spezzano ogni velleità di resistenza, quindi lo sganciamento ordinato dal Comando viene effettuato molto disordinatamente. 

Nel tardo pomeriggio “Sceriffo” e “Luciano” si portano con due plotoni nei pressi di Martinello, verso il piano, per effettuare un attacco contro i rincalzi tedeschi che stanno affluendo in zona. Appostato un plotone a sud di Martinello e uno fra Martinello e Novegina, con l’ausilio di elementi di Giustizia e Libertà, attaccano una compagnia nemica di circa 60 effettivi, che sta transitando, e provocano 47 perdite, tra morti e feriti. Il contingente della Vanni è però quasi subito esposto al fuoco di un’altra Compagnia nemica, piazzata più ad ovest del fiume: lo sganciamento si può effettuare solo al calar della notte. Alla sera del giorno 8 ottobre quasi tutte la frazioni, con le eccezioni di Borseda e Debeduse, sono occupate dai nazifascisti. I partigiani sono tutti intorno, nascosti nei boschi e nei canali. Durante la notte, comincia la pioggia, a tratti torrenziale, che continuerà a cadere fino alla fine del rastrellamento. Il giorno 9 un forte distaccamento della Vanni si trova nel canalone dei Carzachi e decide di affrontare e attaccare i rastrellatori che pattugliano vari punti della montagna.

Sotto l’acquazzone partono a gruppi gli uomini, i quali, prese direzioni diverse, scelgono condizioni favorevoli per portare attacchi e imboscate. Purtroppo, nella Pineta di Calice, una squadra della Vanni, dislocata sul Monte Alpicella, si scontra con un forte contingente nazifascista salito dal madrignanese e, nella rabbiosa sparatoria che si scatena, perdono la vita 7 partigiani. Un cippo li ricorda. Sono: Ferrari Mario, Montefiori Giorgio, Marchini Armando, Montefiori Giulio, Ruggeri Luigi, Cioli Ovidio, e un Patriota non identificato. Altri tre perdono la vita nei pressi di Ferdana di Calice, mentre si spostano su Forno. Sono i partigiani Botto Giuseppe, Ferrari Attilio e Moretti Giovanni.

Il rastrellamento prosegue per tutto il giorno 9 ma, verso sera, le truppe tedesche cominciano a defluire verso valle, lasciando alla retroguardia reparti delle Brigate nere. Il giorno 10 il rastrellamento perde ulteriormente di intensità e il giorno 11 reparti della Brigata nera giunti alle ore 2 a Piana Battolla occupano e controllano tutto il paese, procedendo alle 6 di mattino ad un rastrellamento nell’abitato, con l’arresto di tutti gli uomini trovati. Durante il periodo di permanenza in paese la Brigata nera si dà al saccheggio più sfrenato in tutte le case. 

Finiva così il secondo rastrellamento in grande stile attuato dalle forze nazifasciste in quella che da dicembre avrebbe assunto la denominazione di IV Zona Operativa. 

Considerazioni finali

Come già visto anche in altre occasioni, la collaborazione fra uomini delle diverse formazioni avveniva, sul campo, senza problemi. L’attacco di Martinello, che causò notevoli perdite al nemico (47 tra morti e feriti), perché diversi automezzi furono centrati con bombe al plastico, fu condotto secondo i canoni classici della guerriglia: una colonna nemica fu sorpresa durante un trasferimento e colpita dall’alto della scarpata stradale (non vi furono perdite tra gli attaccanti).

L’11 ottobre i reparti nazifascisti si erano ritirati dalla zona colpita dal rastrellamento ed in pochi giorni ci fu la completa riorganizzazione delle forze partigiane. 

Ma non mancarono le polemiche. Di fronte ad un episodio militare come questo rastrellamento, che può essere ritenuto una sconfitta per gli attaccanti, i quali fallirono i loro obiettivi, stupisce, a mio parere, che nei primi rapporti dei Comandi, i quali in seguito modificheranno però il loro giudizio, siano state espresse critiche pesanti sull’operato del movimento partigiano. Certamente ciò è da attribuire alla pretesa di una perfezione organizzativa ed operativa dei reparti partigiani che non c’era e non poteva esserci. Non va inoltre dimenticato il concetto che finalmente era prevalso, malgrado la riluttanza dei militari di carriera, che il vero senso dell’attività delle formazioni consistesse nel conservare la propria capacità offensiva, usandola dove e quando l’autonoma iniziativa lo decidesse, e, al contrario, nel non accettare il combattimento secondo le condizioni e il momento scelto dal nemico, come appunto avveniva nei rastrellamenti. 

Certo, in questa occasione, il limite tra il combattimento attivo e il disimpegno, non fu uniformemente interpretato e applicato. Fu evidente che i Comandi avrebbero dovuto essere più chiari, e proprio di tale riflessione fu fatto tesoro in occasione del grande rastrellamento del gennaio 1945.

Infatti, il concetto di “sganciamento” sarebbe stato correttamente inteso, a gennaio, come un’operazione normale, da effettuare ogni volta che fosse possibile evitare il combattimento in condizioni sfavorevoli, mantenendo nel contempo, se non la compattezza, almeno l’integrità dei reparti. 

Da questo punto di vista salta agli occhi il progresso compiuto dell’agosto all’ottobre 1944. Molte testimonianze riferiscono che, spostandosi all’interno della zona rastrellata, si incontravano gruppi sparsi di partigiani, ma non si aveva l’impressione del panico, non erano state gettate le armi e, soprattutto, prevaleva la coscienza di riprendere subito dopo l’attività di reparto. 

Un ricordo personale

Con una certa emozione, chiudo questo articolo facendo un omaggio alla memoria di mio padre, Sergio Centi, partigiano della Brigata Vanni, e con lui, non potendoli nominare uno ad uno, vorrei dire grazie a tutti gli altri combattenti dell’8 ottobre 1944: a quelli della Vanni, di Giustizia e Libertà e del Picelli, ma vorrei anche ricordare la popolazione civile delle zone investite dal rastrellamento, colpita da uccisioni, violenze e ruberie. E, insieme a loro, occorre dire, e ribadire, con i dati numerici alla mano, specie in tempi di smemoratezza storica come quelli che viviamo, che tanti furono i morti lungo il cammino resistenziale: da quelli degli organismi politici, come il CLN, a quelli della Cento Croci, della Muccini, della Costiera, del Pontremolese, del Matteotti-Picelli, del Maccione, della Compagnia Arditi, dei V.A.L., della Leone Borrini, delle S.A.P. e dei G.A.P., insomma degli appartenenti a tutte le ramificazioni della rete clandestina.

Tantissimi furono i deportati nei campi di concentramento: La Spezia ha, nell’ambito della deportazione, un tragico primato, registrando, percentualmente, rispetto alle altre città italiane, più deportati, e annoverando il maggior numero di vittime a Mauthausen.

Acute furono le sofferenze e numerose le perdite nella popolazione civile.

Tornando al rastrellamento dell’8 ottobre, mio padre ha sempre raccontato che per due giorni si era trascinato, al pari dei suoi compagni, bagnato fradicio, nei boschi e nei canali, conducendo una sorta di guerriglia “mordi e fuggi” e trascorrendo le notti dentro i canaloni, semisommerso dall’acqua. Mi diceva anche, però, che, in quelle drammatiche circostanze, aveva ottenuto il permesso del Comando per sconfinare nella zona “libera” di Borseda. Voleva infatti dare l’ultimo saluto all’amico d’infanzia e coetaneo, il diciannovenne vezzanese “Piero” Spezia, deceduto in combattimento con GL e decorato poi di Medaglia d’oro al V.M. alla memoria, la cui salma era stata pietosamente composta nella cappella del cimitero di Borseda. 

Ora, “Piero” e mio padre, riposano, tutti e due a pochi metri di distanza, nel cimitero di Vezzano Ligure.

Mio padre, come altri, è stato tuttavia fortunato perché ha potuto vivere la sua vita, il povero Spezia, e moltissimi come lui, sono morti, spesso nel fiore degli anni.

1 L’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea sta provvedendo a colmare tale lacuna.

Hai presente il 25 aprile?

Un podcast con
Mario Calabresi, Chiara Colombini, Paolo Pezzino

Dal 21 aprile su tutte le piattaforme gratuite di podcast

In occasione dell’Anniversario della Liberazione, Chora Media, in collaborazione con l’Istituto nazionale Ferruccio Parri, ha realizzato un nuovo podcast: Hai presente il 25 aprile? disponibile dal 21 aprile su tutte le piattaforme gratuite.

Dopo il successo del podcast “Hai presente la Marcia su Roma?”, Chora Media torna a parlare del passato recente del nostro paese, con un nuovo podcast in una puntata dedicato alla Liberazione.

In un dialogo composto da domande e risposte in rapida sequenza fra il giornalista e scrittore Mario Calabresi e gli storici Chiara Colombini e Paolo Pezzino, il podcast “Hai presente il 25 aprile?” racconta in 45 minuti una pagina del passato italiano che spesso è data per scontata o riassunta sbrigativamente in poche righe.

Attraverso un format agile e efficace, “Hai presente il 25 aprile?” fornisce una panoramica esaustiva e sintetica sul tema della Liberazione, affidandosi alla voce esperta degli storici dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri.

Perché l’Italia aveva bisogno di essere liberata? Chi sono i protagonisti della Liberazione? Che cosa ha determinato l’avvenuta Liberazione? Perché celebriamo proprio il 25 aprile e perché qualcuno oggi mette in discussione questa celebrazione? Queste sono solo alcune delle domande che Mario Calabresi farà agli storici Chiara Colombini e Paolo Pezzino.

Attraverso le loro risposte sarà possibile avere un quadro più completo ed esplicativo del movimento antifascista, della prigionia e della clandestinità, della Resistenza, dello sbarco degli Alleati, della fine della Seconda guerra mondiale in Italia e delle sue conseguenze politiche e storiche.

EPISODI
Puntata unica (45 min)

I PROTAGONISTI

MARIO CALABRESI
Mario Calabresi, giornalista e scrittore, dirige la podcast company Chora Media, di cui è uno dei fondatori, ed è autore della newsletter settimanale Altre/Storie. È stato direttore de “La Stampa” e “la Repubblica”. Per Mondadori ha pubblicato: Spingendo la notte più in là (2007), La fortuna non esiste (2009), Cosa tiene accese le stelle (2011), Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa (2015), La mattina dopo (2019), Quello che non ti dicono (2020) e Una volta sola (2022). Sarò la tua memoria è il suo primo libro per ragazzi.

PAOLO PEZZINO
Paolo Pezzino ha insegnato Storia contemporanea all’Università di Pisa ed è stato consulente tecnico della Procura militare di La Spezia nelle indagini sulle stragi nazifasciste in Italia. Coordina il Comitato scientifico del progetto per un Atlante delle stragi nazifasciste in Italia, promosso dall’Associazione nazionale dei partigiani d’Italia e dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia.

CHIARA COLOMBINI
Chiara Colombini è storica e ricercatrice presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea. Ha curato, tra gli altri, Resistenza e autobiografia della nazione. Uso pubblico, rappresentazione, memoria (con Aldo Agosti, Edizioni SEB27, 2012) e gli Scritti politici.
Tra giellismo e azionismo (1932-1947) di Vittorio Foa (con Andrea Ricciardi, Bollati Boringhieri, 2010) ed è autrice di Giustizia e Libertà in Langa. La Resistenza della III e della X Divisione GL (Eataly Editore 2015) e di Anche i partigiani però… (Laterza, 2021).

L’ISTITUTO NAZIONALE FERRUCCIO PARRI – RETE DEGLI ISTITUTI PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELL’ETÀ CONTEMPORANEA (già Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia), è stato fondato il 19 aprile 1949 con il compito di raccogliere, conservare e studiare le carte della Resistenza, è un’associazione no profit riconosciuta, con natura giuridica di diritto privato. L’Istituto nazionale è un sistema federativo paritario di 67 Istituti ed Enti associati presenti su tutto il territorio nazionale, che fonda la propria attività sui valori ispiratori della Resistenza e sugli ideali di antifascismo, democrazia, libertà e pluralismo culturale espressi nella Costituzione della Repubblica italiana e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

CREDITI

HAI PRESENTE IL 25 APRILE?” è una produzione CHORA MEDIA in collaborazione con l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri.
La cura editoriale è di Davide Savelli con la collaborazione di Anna Iacovino.
La produzione esecutiva è di Lia Chiòvari.
La supervisione del suono e della musica è di Luca Micheli.
La post-produzione e montaggio è di Luca Micheli e Emanuele Moscatelli.
Il fonico di studio sono Lucrezia Marcelli e Luca Possi

La Storia siamo noi. Due indici di nomi per capire la storia degli anni Sessanta del Novecento

L’Istituto comunica la pubblicazione, nella sezione Strumenti, dell’indice generale dei nomi del libro: “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” nei suoi due volumi: “Dai moti del 1960 al Maggio 1968”, e “Dalla Primavera di Praga all’Autunno caldo”, scritti da Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello, editi da Edizioni Cinque Terre.

Gli autori mettono a disposizione on line, e quindi a tutti, il corposo Indice dei nomi, nel tentativo di rappresentare, storicamente e storiograficamente, una fase ritenuta fondamentale del secondo Novecento.

Le idee, le speranze, i progetti, le conquiste, le illusioni e le delusioni di quell’epoca, in modo specifico il biennio 1968 e 1969, le cui radici sono però precedenti, costituiscono infatti una materia complessa, da sbrogliare con attenzione, degna soprattutto di una riflessione capace di compiere ricognizioni sul passato per interpretare il presente e pensare al futuro.

QUI la pagina con introduzione agli indici e avvertenze

QUI l’Indice dei testimoni

QUI l’Indice dei nomi

Cronologia 1921-1922: un Approfondimento

Ad integrazione dello strumento Cronologia 1921-1922. Politica e società locale, con qualche cenno regionale o nazionale, segnaliamo per il 1923 un breve saggio di Giorgio Pagano pubblicato su Patria Indipendente in cui vengono storiograficamente approfonditi fatti spezzini di quell’anno, quando l’uccisione dello squadrista Giovanni Lubrani, avvenuta nella notte del 21 gennaio 1923 e maturata presumibilmente in ambiente fascista, diventò pretesto per l’uccisione di oltre dieci antifascisti.

Foto di copertina: San Terenzo negli anni Venti (archivio Riccardo Bonvicini)

Al via la terza edizione di “Memoria Visibile”

La Fondazione Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, con la collaborazione del Comune della Spezia che ha messo a disposizione la sala della Mediateca regionale ligure “Sergio Fregoso” per le proiezioni, promuove anche quest’anno Memoria Visibile, rassegna cinematografica dedicata ai momenti storici fondamentali della nostra contemporaneità.

Il progetto, rivolto agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, si pone l’obiettivo, tramite l’immediatezza del linguaggio cinematografico, di trasmettere alle nuove generazioni il valore della memoria storica.

Un nutrito pubblico di studenti e docenti dell’Istituto Capellini Sauro e del liceo classico Costa ha partecipato martedì 24 gennaio al primo appuntamento della rassegna cinematografica in occasione della ricorrenza del Giorno della Memoria, del film Jacob il bugiardo.

Hanno partecipato all’incontro: per la Fondazione ISR Patrizia Gallotti, M.Cristina Mirabello, Marcella D’Imporzano e Giusy Marino; per l’ANED Doriana Ferrato.

Presente anche il critico cinematografico Giordano Giannini che, al termine della proiezione, ha discusso con gli studenti la tematica e la tecnica del film.

La proiezione di Jacob Il bugiardo presso la Mediateca ligure

La rassegna prevede una proiezione al mese, da gennaio ad aprile 2023, presso la Mediateca Regionale Ligure “Sergio Fregoso” (via Firenze, 37).
Ogni proiezione sarà seguita da una relazione da parte di un critico cinematografico.

Le prossime proiezioni saranno:

Martedì 14 febbraio, Il sorriso della patria: l’esodo giuliano-dalmata nei cinegiornali del tempo, in occasione della ricorrenza del Giorno del Ricordo;

Martedì 28 marzo, Achtung! Banditi! nel ricordo dei Grandi Scioperi del ‘44;

Martedì 18 aprile, Roma città aperta, per commemorare la Liberazione.

L’ingresso è gratuito.
Per info e prenotazioni: info@isrlaspezia.it – isr@comune.sp.it

Rassegna Memoria Visibile 2023

Il rastrellamento del 20 Gennaio 1945. Una data memorabile

Il 20 Gennaio 1945 avveniva il rastrellamento nazifascista che può essere correttamente definito come uno dei fatti d’arme più importanti per la Cronologia della IV Zona Operativa.

Il rastrellamento, che spesso le storiografia generale trascura, è in realtà, per molti versi, decisivo riguardo all’evoluzione della guerra in Italia, e quindi la sua rilevanza va ben oltre il territorio spezzino.

Riportiamo di seguito un brano tratto da quanto dice Mario Fontana, Comandante della IV Zona Operativa, nella sua “Relazione sull’attività operativa svolta dai reparti della IV Zona dal luglio 1944 al 25 aprile 1945” su tale episodio.

“Questa azione [NdR: cioè il rastrellamento] preparata lungamente ed accuratamente eseguita con enormi forze dotate di moderno materiale da guerra, condotta con decisa volontà di liquidare definitivamente le formazioni patriote della IV Zona, costituisce un definitivo ed inglorioso scacco di tutte le speranze fasciste. Sono 20.000 uomini stupendamente armati che vengono irreparabilmente gettati sulle posizioni di partenza da 2.000 patrioti che oltre al loro coraggio, alla loro fede, al loro spirito di sacrificio, al desiderio di immolarsi per i principi della libertà non avevano che armi portatili individuali, talune delle quali, come lo Sten, li obbligavano a buttarsi sotto per poterle usare.”

Insomma, la superiorità tecnica nazifascista non poté nulla contro un movimento partigiano che, attraverso tappe non facili e non sempre lineari, aveva però maturato una consapevolezza con la quale si era mostrato in grado di fronteggiare un nemico tanto più potente.

Note

  • Erroneamente il rastrellamento del 20 gennaio 1945 è anche conosciuto con la denominazione di “battaglia del Monte Gottero”, sebbene sul monte non si sia svolta una vera e propria battaglia, ma esso sia stato invece teatro di un epico ed estenuante “sganciamento” da parte dei reparti partigiani che, dopo avere retto il primo urto del nemico, riuscirono in questo modo a salvarsi.
  • Le pagine seguenti sono state scritte, rielaborando fondamentalmente le schede, curate da Valerio Martone, su Via XX gennaio 1945 e Via Monte Gottero

20 Gennaio 1945

La cartina riportata rende bene la manovra a tenaglia che le forze nazi-fasciste mettono in atto a partire dal 20 gennaio 1945 per sconfiggere in modo definitivo i partigiani della IV Zona Operativa. Il tentativo è quello di eliminare il secondo polmone della Resistenza alle spalle della Linea Gotica, dopo aver distrutto alla fine di novembre 1944 la Divisione Garibaldi Lunense e ridimensionato la Brigata d’assalto Garibaldi “U. Muccini” in val d’Aulella. Non a caso proprio il 25 gennaio 1945 c’è la visita di Mussolini a Pontremoli, Aulla e Mocrone.

In realtà quella che avrebbe potuto essere per i Resistenti una vera e propria catastrofe, si rivela, nonostante le numerose e dolorose perdite subite, l’occasione in cui essi dimostrano una capacità di organizzazione molto più alta rispetto a quella messa in campo nei rastrellamenti precedenti. Alla fine di gennaio saranno perciò i nazifascisti, molto superiori per numero ed armi, a ritirarsi, senza avere raggiunto gli obiettivi prefissati.

Antefatti

Già il 29 dicembre 1944 reparti fascisti della Monterosa occupano l’area di Varese Ligure, isolando le formazioni della IV Zona da Genova e il giorno dopo reparti nazi-fascisti si dirigono in Val di Taro, isolando da nord i partigiani. Ulteriori arrivi di truppe nemiche sono segnalati a Pontremoli e a Borghetto Vara dal 15 al 18 gennaio 1945.

Il meteo

Meteo: Il 20 gennaio 1945 il tempo è sereno, il 21 il tempo è sereno; il 22 cade nuovamente la neve, il 23 e 24 il cielo si fa variabile, mentre fra 25 e 27 il tempo ritorna sereno.

Brigate partigiane, rastrellamento e Monte Gottero

L’ormai atteso (il SIM partigiano -Servizio Informazione Militare- ha tempestivamente segnalato l’azione nemica) e temuto rastrellamento, che qualche Resistente ha definito come “i giorni dell’ira”, scatta fra 20 e 25 gennaio 1945.

Il piano del Comando tedesco si propone di accerchiare tutta la zona e rastrellarla completamente: prendono parte ad esso la IV Divisione di Fanteria della Wehrmacht, reparti di Alpenjaeger, di Gebirgjager, la divisione Turkestan composta da mercenari tatari, Alpini della Divisione Monterosa, Bersaglieri della Divisione Italia, Brigate Nere della Spezia, Carrara, Chiavari, la X Flottiglia Mas, i reparti ANTISOM, per un complesso di 25 mila uomini circa.

I partigiani della IV Zona sono circa 2500, dotati di armi leggere, ma impossibilitati a resistere per lungo tempo, anche perché del tutto deficitario è il loro equipaggiamento a livello di vestititi e scarpe: proprio perciò l’ordine è di resistere al primo assalto, per consentire al grosso delle forze di effettuare spostamenti, sganciamenti e occultamenti.

Per tutta la durata del 20 gennaio, con cielo sereno e neve altissima sui crinali appenninici, viene così opposta al nemico una forte resistenza: verso la via Aurelia, a Brugnato, mentre a Serò di Zignago la popolazione locale si mescola addirittura ai partigiani, combattendo con essi e infliggendo perdite serie ai nemici.

Nel settore est i nazifascisti raggiungono Monte Scassella e Varese Ligure, inoltre da Pontremoli giungono a Coloretta, salendo lungo la valle di Zeri, per sorprendere le postazioni a difesa dei contrafforti meridionali del Picchiara, dei Casoni e del Cornoviglio.

Il ripiegamento programmato dei partigiani prevede l’abbandono ordinato di Cornice, Serò, Godano e Calabria e, sopraggiunta la notte, viene attuato il previsto piano di sganciamento, in condizioni climatiche proibitive, segnalate come tali negli annali di meteorologia, per la neve alta e la temperatura bassissima, essendo al contempo necessario lasciare il meno possibile tracce sul manto candido.

La maggior parte della I Divisione “Liguria-Picchiara”, formata dalla Colonna “Giustizia e Libertà” e dalla Brigata garibaldina “Gramsci” (in cui sono confluite le precedenti Brigate “Gramsci”, “Vanni” e “Matteotti-Picelli”, ormai con la denominazione di Battaglioni), compresa la Divisione “Cento Croci”, iniziano a ritirarsi verso il Monte Gottero, anche se nella zona di Cornice e Serò rimangono impegnati tutta la giornata reparti del Battaglione “Vanni”, del “Gramsci”, del “Matteotti Picelli” e una compagnia di “Giustizia e Libertà”.

La Brigata “Gramsci”, che ha sostenuto l’urto tedesco a Bozzolo con il Battaglione “Vanni” di Astorre Tanca, riallineatasi sulla direttrice che va da Serò a Scogna, lasciati due partigiani armati di Bren sul campanile di Scogna, a copertura dei reparti che si stanno avviando verso il Gottero, si concentra all’una di notte a Torpiana per raggiungere, secondo quanto stabilito dal Comando della IV Zona operativa, Fontana Gilente, nell’alto pontremolese.

Lo fa, divisa in due segmenti, l’uno costituito dal Battaglione “Gramsci” e dal Comando di Brigata e l’altro costituito soprattutto da uomini del “Vanni”, seguendo l’itinerario Pignona, Antessio, Chiusola. La marcia continua durante tutta la notte ma, nella giornata del 21, essendo sereno, la lunga linea nera di uomini che si muove verso il Gottero, è individuata dai tedeschi che, però, a causa della distanza, non riescono a far arrivare a segno le raffiche delle armi.

Nonostante il gelo e la neve, alta in alcuni punti anche due metri, i partigiani della Brigata “Gramsci” si portano entro il pomeriggio del 21, sul Gottero, alla cui sommità il termometro segna meno venti gradi (e dove trovano uomini della “Centocroci”, già lì): la Brigata, sempre divisa nei due segmenti sopra individuati, nonostante il manifestarsi di numerosi e gravi casi di congelamento, raggiunge infine Fontana Gilente, non senza ulteriori peripezie come lo scontro con i terribili Mongoli della divisione Turkestan e la cattura di un gruppo di partigiani, riusciti però per la maggior parte a fuggire.

Poiché tuttavia a Fontana Gilente non c’è cibo, viene ordinato ai due segmenti della Brigata “Gramsci” di recarsi alle così dette Cascine di Bassone, sopra Guinadi, alle quali arrivano in modo differito entro la giornata del 23. Le Cascine rappresentano la salvezza: qui i partigiani hanno infatti modo di riposare e mangiare almeno qualche patata che viene bollita nella neve fatta sciogliere. La marcia dei partigiani riprende poi per tutto lo Zerasco, dove la popolazione è terrorizzata dai Mongoli che hanno bruciato Adelano e massacrato dodici partigiani della colonna “Giustizia e Libertà”, fra cui la famiglia Perini, costituita dal padre e due fratelli gemelli. Il giorno dopo i partigiani superano il passo del Rastrello e rientrano su Torpiana.

Il Battaglione “Matteotti-Picelli”, comandato da Nello Quartieri “Italiano”, sempre appartenente alla “Gramsci” e che si è distinto soprattutto a Bergassana, a Godano e Calabria presso Scogna, segue all’incirca lo stesso percorso, rientrando nelle posizioni occupate prima del rastrellamento il 1 febbraio.

Più difficoltoso ed articolato risulta lo sganciamento della Colonna “Giustizia e Libertà”. Quest’ultima, che combatte duramente dalle sue posizioni, solo in parte valica il Gottero perché, nel caso del Battaglione “Val di Vara”, è dislocata troppo lontana da esso. Perciò tale Battaglione, dopo avere combattuto, ripiega, o disperdendosi nei boschi di Calice o oltrepassando di notte il Vara per uscire dalla zona rastrellata, o venendo sorpreso e scontrandosi con la Brigata Nera come succede a Valeriano.

Delle tre compagnie dell’altro Battaglione azionista, lo “Zignago”, solo una esce, non vista, dalla zona rastrellata, mentre le altre due, che il 20 gennaio a Brugnato si battono per oltre cinque ore, in un aspro combattimento portato avanti da Giovanni Pagani e dai suoi uomini, si trovano circondate dalle forze nemiche. Non potendo che ritirarsi, ma trovando ormai occupate dai nemici le vie in quota, i gruppi si disperdono per rifugiarsi in dirupi e anfratti, sul Monte Picchiara e sul Monte Dragnone, dove resistono ai limiti della sopravvivenza. In questo quadro vengono catturati sul Dragnone gli appartenenti alla Colonna “Giustizia e Libertà” Giovanni Pagani, Ezio Grandis e Giuseppe Da Pozzo, con 8 compagni.

Anche la Divisione “Cento Croci” tenta fra 20 e 21 lo sganciamento attraverso il Gottero, raggiunge, con parecchie perdite di uomini e materiali la cima del monte la sera del 21 gennaio, per poi ridiscendere verso la Val di Taro: la sera del 23 gennaio, 17 partigiani di essa, compresi il Comandante Richetto e il Commissario politico Benedetto, vengono catturati dai tedeschi, anche se, successivamente, il Commissario Benedetto, grazie ad uno scambio di prigionieri, tornerà libero insieme ad alcuni compagni, e Richetto riuscirà a scappare.

Il Maggiore inglese Gordon Lett e i paracadutisti della “Forza Speciale”, non avendo avuto collegamenti e notizie certe nell’ultimo periodo prima del rastrellamento, sono colti di sorpresa. Una parte dei paracadutisti, che si trovano a Coloretta, raggiungono le falde del Gottero passando a nord di Sesta Godano. Gordon Lett, con altri paracadutisti e una parte di uomini del Battaglione “Internazionale”, si trova nei pressi di Arzelato: da qui scende a Chiesa di Rossano, sale sul Picchiara e quindi sul Gottero. Rientrerà a Rossano attraverso Torpiana, Serò e Calice.

La “Brigata Costiera”, che ha come area di riferimento la fascia a mare, ma che, proprio nei giorni in cui inizia il rastrellamento, sta ristrutturandosi per integrarsi con il Battaglione Pontremolese nello Zerasco, è in parte a Sasseta di Zignago. Gli uomini che lì si trovano seguono perciò le sorti dei reparti garibaldini che vanno verso il Gottero.

I rastrellatori nazi-fascisti si ritirano fra 25 e 31 gennaio ed entro i primi giorni di febbraio 1945, dunque, i reparti partigiani, rientrano nelle rispettive posizioni. I morti partigiani sono stati circa 50 e circa 40 i prigionieri. Moltissimi uomini presentano congelamenti, più o meno gravi, agli arti inferiori, privi come sono delle calzature adatte. I reparti hanno subito colpi ma non si è verificato uno sbandamento generale, e questo grazie alla maggiore efficienza complessiva assunta dai partigiani, ma anche grazie alla popolazione civile che, quando e appena ha potuto, ha protetto, accolto e sfamato, con quel poco che c’è, i “ribelli”.