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La pluralità resistenziale e le vittime civili nello Stradario di un quartiere: il Favaro (La Spezia)

di Patrizia Gallotti e Maria Cristina Mirabello

Immagini di Mauro Martone

Premessa

L’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea dedica da molti anni particolare attenzione allo Stradario della Resistenza provinciale, facendo di quest’ultimo una materia viva, da trattare quindi anche nelle Scuole1.

La vitalità2 dell’operazione, decisa a suo tempo proprio con l’impostazione dello Stradario, è denotata dai numerosi accessi a tale potente strumento, il quale ha sicuramente esplicato le sue iniziali finalità su più livelli: conservazione della memoria collettiva, conoscenza storica e aggiornamento critico, perché, pur risalendo lo Stradario fondamentalmente al 2014-15, le sue oltre 250 Schede sono in progress, sia riguardo alle nuove intitolazioni che riguardo all’aggiornamento dei contenuti già pubblicati.

Quartiere del Favaro, uno scorcio. Foto M.Martone

Ed è proprio da un esempio concreto, e quindi da un’area particolare dello Stradario, quella del Favaro (Comune della Spezia), che vogliamo partire per “fare storia”, documentando attraverso tale strumento la pluralità delle vicende e delle aderenze ideologiche3 resistenziali, compresi cenni alle circostanze della morte, perché le intitolazioni di tutte le vie/piazze del Favaro sono a morti per cause legate alla Resistenza e/o alla Deportazione.

Va anche detto che il quartiere, diramandosi dall’arteria principale, denominata, non a caso, via della Libertà, può essere visto quale raffigurazione concreta e territorialmente compatta di un movimento storico molto variegato: dietro ai nomi stanno infatti tante storie, cui accenneremo solo per sommi capi, tentando di arrivare a qualche utile e provvisoria sintesi.

Quartiere del Favaro, via della Libertà. Foto di M. Martone

Distribuzione delle classi di età

Se analizziamo le classi di età riguardanti le intitolazioni, vediamo che la Resistenza è costituita soprattutto da giovani e giovanissimi, ma che ad essa partecipano anche persone decisamente più mature.

I più anziani dello Stradario del Favaro4 sono sicuramente Renato Grifoglio (1889), Giulio Bottari (1891) e Renato Perini (1899). Con un notevole salto temporale in avanti, troviamo poi Giuliano Maccione (1915), Ruggero Maneschi (1916), Astorre Tanca (1918), Ermanno Gindoli (1919). A seguire, un po’ come grani di una collana, Giovanni Pagani, Nino Siligato, Luigi Vega (1920), Piero Borrotzu (1921), Ubaldo Cheirasco, Alfredo Oldoini, Ezio Grandis (1923), Sandro Cabassi, Merio Scopsi, Giulio Spella, Gerolamo Spezia, Marcello Toracca (1925), Angelo Galligani, i gemelli Emilio Perini e Giocondo Perini (1926). L’anno maggiormente rappresentato, come si può constatare, è il 1925, seguito per frequenza, alla pari, dal 1920, 1923,1926. Meno rappresentati gli altri anni5.

Varietà di esistenze e di formazioni resistenziali di appartenenza

Seguendo solo tendenzialmente6 la sequenza di nomi già impostata per classi di età, sintetizziamo così, molto schematicamente, i vari casi.

Renato Grifoglio ha un passato antifascista, fa il mezzadro nella zona della Pieve, è collegato al CLN e al PCI, ospita una stamperia clandestina;
Giulio Bottari è un colonnello dell’Esercito ed è ascrivibile, dopo l’8 settembre, ai primi fermenti resistenziali di impronta lealista (v., in seguito, Brigata d’assalto “Lunigiana”);
Giuliano Maccione, macellaio, presta la sua opera come vigile del fuoco ed opera attivamente nelle rete sappistica;
Amleto Ruggero Maneschi, in stretto contatto con Renato Grifoglio, è sottufficiale della Marina Militare, collabora da subito dopo l’8 settembre 1943 con il CLN e il PCI;
Astorre Tanca, maestro, giocatore nei giovani della Sarzanese e dello Spezia Calcio, allievo ufficiale di complemento, è Comandante del Battaglione garibaldino “M. Vanni”;
Ermanno Gindoli, maestro, sottotenente di complemento, è Comandante del Battaglione “Zignago” (Colonna “Giustizia e Libertà”);
Giovanni Pagani, studente universitario, allievo ufficiale di Fanteria, è Comandante di una Compagnia del Battaglione “Zignago” (Colonna “Giustizia e Libertà”);
Nino Siligato, proveniente dalla Marina Militare, entra nella Brigata “Cento Croci”, svolgendo in essa compiti specialmente di sabotaggio;
Luigi Vega fa parte del Battaglione “Val di Vara” (“Giustizia e Libertà”);
Piero Borrotzu, ufficiale dell’Esercito, opera attivamente dopo l’8 settembre ed è attore di varie imprese nella lealista Brigata d’assalto “Lunigiana”;
Ubaldo Cheirasco, studente universitario di Chimica, sale ai monti, in Lunigiana, già nel marzo 1944;
Alfredo Oldoini, studente universitario, fa parte del Battaglione “Zignago” (Colonna “Giustizia e Libertà”);
Ezio Grandis, studente dell’Accademia di Arte drammatica (Roma), fa parte del Battaglione “Zignago” (“Giustizia e Libertà”);
Merio Scopsi milita nel Battaglione garibaldino “M. Vanni”;
Giulio Spella fa parte del Battaglione “Val di Vara” (Colonna “Giustizia e Libertà); Gerolamo Spezia, apprendista motorista all’Arsenale MM della Spezia, fa parte del Battaglione “Val di Vara” (Colonna “Giustizia e Libertà”);
Marcello Toracca, volontario in Marina, già allievo della scuola militare di Pola, entra nel Battaglione garibaldino “M. Vanni”;
Angelo Galligani, operaio dell’OTO Melara, con passioni sportive per la bicicletta, entra nella Brigata “Cento Croci”;
la famiglia Perini (il padre Renato e i figli Emilio e Giocondo), tutti originari di Vernazza, appartengono al Battaglione “Zignago” (“Giustizia e Libertà”).

Le schematiche notizie fanno intravedere esistenze completamente diverse tra loro, retroterra socioculturali differenti, interessi non necessariamente coincidenti, e, tuttavia, la scelta resistenziale è per tutti questi casi un fatto inoppugnabile, una sorta di denominatore comune, che li equipara, comunque, nella morte.

Quella scelta implicò, quando venne fatta, un rischio altissimo7, perché, se è pur vero che i bandi della Repubblica di Salò imponevano la leva obbligatoria, per cui intraprendere la via dei monti poteva sembrare quasi una necessità, al fine di sottrarsi alla coscrizione, è altrettanto vero che ognuno poteva decidere di non presentarsi, tentando di evadere in qualche modo quell’obbligo, senza schierarsi, ad esempio nascondendosi. Non solo, analizzando le classi di età, si evince che qualcuno poteva anche non essere proprio richiamato. Invece, scelsero: ci fu chi rimase in città e fu molto attivo nella rete clandestina, cadendo in genere per delazioni e falle nei collegamenti, mentre la maggior parte si avviò coscientemente alla lotta armata, militando in formazioni con diverse coloriture politiche. Infatti, la Colonna “Giustizia e Libertà” è riconducibile, nel territorio spezzino, sia al Partito d’Azione, sia ad una matrice di ispirazione cattolica; la Brigata “Cento Croci” ha una fisionomia mista: in parte lealistico-autonomistica e in parte garibaldina; il Battaglione “Vanni” è garibaldino, ed è inquadrato nella Brigata “Gramsci”.

Quartiere del Favaro. Foto di M.Martone

Le circostanze della morte

Scorriamo ora, rapidamente, raggruppando i casi, dove possibile, in ordine cronologico progressivo di cattura e/o di morte8.

Il primo a morire, tra coloro cui sono state dedicate le vie del Favaro, è Ubaldo Cheirasco, Medaglia d’argento al VM9. Recatosi con altri compagni sul Monte Barca in Lunigiana, per essere successivamente inquadrato in gruppi armati, allora in formazione, viene catturato durante un rastrellamento, e fucilato a Valmozzola (PR), insieme ad altri10, il 17 marzo 1944.

C’è poi Piero Borrotzu, Medaglia d’oro al VM, protagonista di notevoli attacchi contro i nazifascisti in Val di Vara. Trovandosi a Chiusola (Sesta Godano) ed essendo il paese circondato, si consegna per evitare conseguenze ai civili, e viene fucilato il 5 aprile 1944.

Angelo Galligani, Medaglia d’argento al VM, combatte nella “Cento Croci” e, pur rimanendo ferito, vuole tornare in battaglia, perendo11 in uno scontro alla Pelosa (Varese Ligure) l’11 luglio 1944.

I destini di Amleto Maneschi e Renato Grifoglio si intrecciano drammaticamente. Legati tra loro nella rete cospirativa, particolarmente forte nella zona di Migliarina, quando il primo CLN spezzino viene praticamente azzerato nel luglio-agosto 1944, è dapprima catturato Maneschi e, poiché Grifoglio si reca città per avere notizie di lui (ed è casualmente riconosciuto), viene a sua volta fatto prigioniero. Maneschi è deportato e muore a Mauthausen il 16 gennaio 1945, Grifoglio è sul momento imprigionato e poi fucilato ad Arcola, per rappresaglia, insieme ad altri12, il 27 settembre 1944.

Giuliano Maccione, Medaglia d’argento al VM, esponente delle SAP, individuato nella drammatica estate del 1944, è catturato e imprigionato nel carcere dell’ex XXI alla Spezia, dove si uccide, per non parlare, il 22 agosto 1944.

Giulio Spella cade in un conflitto a fuoco sul Monte Picchiara, il 28 agosto 1944. Giulio Bottari, costretto, nel giugno 1944, ad allontanarsi dalla Spezia perché a rischio di cattura, si reca a Genova, dove viene catturato nel settembre. Deportato a Mauthausen, vi muore nell’aprile 194513.

Gerolamo Spezia, Medaglia d’oro al VM, nel corso di un massiccio rastrellamento nazi-fascista contro il Calicese, non accetta di ripiegare, lasciando da solo il suo Comandante, e cade l’8 ottobre 1944.

Luigi Vega, in previsione del rastrellamento del 20 gennaio 1945, incaricato con altri di compiere azioni preventive, trova in esse la morte, il 18 gennaio 1945.

Muore a Codolo di Pontremoli il 20 gennaio 1945 Nino Siligato14: Medaglia d’oro al VM, viene ucciso in conflitto a fuoco, dopo che ha svolto, secondo le richieste degli Alleati, importanti incarichi di sabotaggio.

È catturata nel corso del drammatico rastrellamento del 20 gennaio 1945 l’intera famiglia Perini (Renato, insieme ai figli Emilio e Giocondo): fatti prigionieri sul Monte Picchiara, sono fucilati, con altri giovanissimi15, il 21 gennaio 1945.

Dopo avere combattuto nella giornata del 20 gennaio 1945 ed essersi poi rifugiati sul Monte Dragnone (Zignago), sono catturati, insieme ad altri partigiani e civili, Giovanni Pagani, Medaglia d’oro al VM, ed Ezio Grandis. Imprigionati, sono successivamente fucilati in una piazzetta della Chiappa (La Spezia), come monito per la popolazione civile, il 3 febbraio 1945.

Il 4 marzo 1945, muoiono in combattimento, a seguito di una improvvisa puntata tedesca su Pieve di Zignago, Astorre Tanca, Medaglia d’argento al VM, e Merio Scopsi16.

Il 9 aprile 1945, muore Marcello Toracca, Medaglia di bronzo al VM: impegnato in un sabotaggio al ponte del Graveglia, è ferito mortalmente17 da una pattuglia tedesca.

Ermanno Gindoli, Medaglia d’argento al VM, e Alfredo Oldoini, Medaglia d’argento al VM, cadono18 infine il 12 aprile 1945, colpiti dal fuoco di un’autoblindo tedesca sopraggiunta mentre stanno sabotando il ponte sull’Aurelia (alla Rocchetta, poco dopo Borghetto Vara).

La “strage degli innocenti”: che cosa successe in Favaro il 10 aprile 1945

Tuttavia, e non vuole essere una divagazione, a conclusione di questa rassegna, è opportuno ricordare come la II Guerra Mondiale e gli avvenimenti ad essa connessi (per l’Italia le rovinose sconfitte militari, la caduta del fascismo, l’8 settembre e la Resistenza contro nazisti e fascisti19) abbiano significato tantissimi morti, nonché feriti, mutilati e invalidi, limitandoci a citare gli aspetti più propriamente fisici, senza entrare in quelli più latamente, e meno difficilmente rilevabili, delle conseguenze psichiche, non solo per chi partecipò alla Resistenza ma anche per la popolazione civile.

Prova drammatica di tale documentata realtà20 è, nel quartiere del Favaro, una targa21 ben visibile sul muro di quella che fu villa Pegazzano, nelle adiacenze della Scuola Media22. La targa, posta a cura del Comitato Unitario della Resistenza di Migliarina e della IV Circoscrizione del Comune della Spezia nel 1986, ricorda undici ragazzi, lì morti il 10 aprile 1945. In quei giorni i tedeschi avevano ormai lasciato villa Pegazzano, da loro precedentemente sequestrata. L’edificio era diventato perciò luogo di incursioni da parte di giovani e giovanissimi che andavano alla ricerca di ciò che i soldati potevano avere abbandonato. Alcuni erano lì anche casualmente o solo perché volevano stare in compagnia di coetanei. Secondo le testimonianze dei superstiti ci fu chi si mise intorno ad una cassa rossa, tentando, con grande fatica, di aprirla. E quel contenitore scoppiò, dilaniando corpi e seminando morte.

Erano, in ordine alfabetico: Agresti Wilma di 15 anni, Allegria Franco di 14 anni, Becherucci Pietro di 13 anni, Carassale Sergio di 12 anni, Garibbo Giorgio di 13 anni, Iannelli Giorgio di 18 anni, Menotti Vinicio di 19 anni, Neri Luigia di 19 anni, Novelli Paola di 15 anni, Olivieri Franco di 12 anni, Vecchioli Angelo di 15 anni.


NOTE

1 Il 15 aprile 2025 si svolgerà, a cura di ISR-La Spezia, un incontro con le Terze Medie della Scuola “A. Cervi” (Favaro-La Spezia). Alla lezione teorica sulla Resistenza in IV Zona Operativa, seguirà un trekking sul territorio, con visita guidata alle vie del quartiere.

2 La vitalità è ulteriormente dimostrata dal fatto che lo Stradario è la base su cui poggiano i due volumetti dei “Sentieri della libertà”, i quali, recuperando la trama essenziale dello Stradario stesso, la arricchiscono con targhe, pietre d’inciampo, monumenti, per far riflettere coloro che decidono di intraprendere escursioni su temi resistenziali. V. “Sentieri della libertà. Dalla città della Spezia a San Benedetto, il paese dell’ultima battaglia. Percorsi per riflettere” di Sandro Centi e Maria Cristina Mirabello, Edizioni Giacché, 2022; “Sentieri della libertà 2. Dai Giardini Pubblici al quartiere del Favaro di Migliarina Percorsi per riflettere” di Sandro Centi, Doriana Ferrato, Patrizia Gallotti, Edizioni Giacché, 2024.

3 Va osservato però che non sempre entrare in una formazione che si richiamava ad una certa componente ideologica significava aderire consapevolmente ad essa. Spesso l’entrata era determinata da opportunità geografiche, da amicizie, da parentele, ecc.

4 Fuori dall’area del quartiere, ma contiguo ad essa, è il piazzale intitolato a Sandro Cabassi: Medaglia d’argento al VM, agisce e muore nel Fronte della Gioventù a Carpi, in Emilia. Decisamente spostata rispetto al Favaro, in quanto posta trasversalmente tra via del Canaletto e via Buonviaggio, risulta invece via Amleto Ruggero Maneschi.

5 Nello Stradario del quartiere esiste anche una intitolazione collettiva: Largo Deportati Ebrei. Si tratta, come ci dicono le carte ANED-La Spezia, di 13 persone, non nominate individualmente nella targa: Alberto Del Cittadino, Rodolfo Diena, Guglielmo Fano, Ferruccio Ferro, Elvira Finzi, Ernesto Funaro, Adua Nunes, Clotilde Fano, Lea Mueller, Margherita Servi Nunes, e l’intera famiglia Revere, composta dal padre, Enrico Revere, dalla moglie Emilia De Benedetti e dalla figlioletta Adriana. Tutti gli ebrei spezzini muoiono ad Auschwitz o a Flossenburg. Adriana Revere, quando muore, deve ancora compiere dieci anni.

6 In alcuni casi, infatti, raggruppiamo, per linearità espositiva, in modo diverso.

7 Evidentemente la scelta prioritaria era quella di schierarsi/non schierarsi con la RSI.

8 Dove possibile, ricordiamo anche i nomi di altri che, caduti insieme a coloro che citiamo, non hanno avuto l’intitolazione di una via/piazza.

9 Tutte le medaglie citate nel corso dell’articolo sono, chiaramente, alla memoria.

10 Parenti Gino della Spezia, Trogu Angelo di S.Terenzo-Lerici-SP, Gerini Nino di Lerici-SP, Mosti Domenico della Spezia, Tendola Giuseppe di Sarzana-SP e due militari sovietici, Tartufian Michail e Belacoski Vassili.

11 Muoiono con lui Sante Barbagallo e Francesco Ghiorzi.

12 Perroni Fausto, De Biasi Ferdinando, Spezia Giovanni, Azzarotti Paride, Silvini Bruno, Dallara Luigi, Del Vecchio Giuseppe, Orlandi Calisto, Caldarella Francesco.

13 In taluni documenti c’è 13, in altri c’è 20 aprile 1945.

14 Per esteso, Antonino Siligato.

15 Castrucci Giovanni, Colombo Agostino, Galleno Francesco, Pallano Lorenzo, Palomba Francesco, Sbolci Marco.

16 Perisce in tale episodio anche la staffetta Battista Marini.

17 Muore in tale circostanza anche Nino Ricciardi, Medaglia d’oro al VM, cui è dedicata una via in altra parte della città della Spezia. Lo scontro avviene l’8 aprile 1945. Ricciardi muore quasi subito, Toracca poco dopo.

18 Muore anche Oronzo Chimenti. Mentre Chimenti e Gindoli muoiono immediatamente, Oldoini rimane ferito e si suicida, per non cadere in mano nemica.

19 Non va mai dimenticato, sulla scorta di Claudio Pavone, che la Resistenza è stata guerra patriottica, civile, di classe, tre guerre in una, quindi assai complessa per tutte le sue sfaccettature conflittuali.

20 Le notizie sono tratte da “Favaro, ieri, oggi e domani. Ritratto di un quartiere” (a cura di Vinicio Ceccarini e Gianni Valdettaro), La Poligrafica, La Spezia, 2014.

21 Lo Stradario non comprende in genere le lapidi, targhe, ma solo le intitolazioni di vie, piazze, scalinate, ecc. Nel caso del Favaro, tuttavia, non si potevano ignorare le vittime civili del 10 aprile 1945.

22 Si noti come la Scuola Media, inserita in un quartiere con Stradario ad altissima “densità” resistenziale, sia intitolata ad Alcide Cervi, padre dei sette fratelli Cervi, tutti fucilati, per attività partigiane, il 28 dicembre 1943, a Reggio Emilia. Dentro la Scuola è inoltre presente una targa dedicata a Irma Marchiani, Medaglia d’oro al VM, di Santo Stefano Magra (SP), che, diventata partigiana in Emilia con funzioni di grande responsabilità, fu catturata due volte, ed infine fucilata, a Pavullo nel Frignano (Modena), il 26 novembre 1944.

Quando infuriava la bufera…

Ambiente, oggetti e materiali dei combattenti per la libertà

Centro Studi Memoria in rete , Via G.B. Valle 6, La Spezia

Giovedì 20 Marzo 2025 – ore 17

Francesco Marchetti

Cultura materiale della Resistenza. Storia della Resistenza italiana attraverso gli oggetti e i materiali utilizzati dai partigiani.

Dialoga con la giornalista Annalisa Coviello

Alle ore 10.50 il relatore incontrerà gli studenti dell’Istituto superiore “Capellini-Sauro”.

Mercoledì 26 Marzo 2025 – ore 17

Marco Cerri

Con i partigiani tra le foglie e la neve

Dialoga con la giornalista Annalisa Coviello

Alle ore 10,30 il relatore incontrerà gli studenti dell’Istituto comprensivo statale “Rita Levi Montalcini”

Giovedì 10 Aprile – ore 17

Mirco Carrattieri

Scarpe rotte, eppur bisogna andar. Una storia della Resistenza in 30 oggetti.

Dialoga con la giornalista Annalisa Coviello

Alle ore 11.00 il relatore incontrerà gli studenti del Liceo “U. Mazzini”.

Cambiare il mondo con una matita: i ricordi delle prime elettrici spezzine

di Annalisa Coviello

Contro paura, povertà e pregiudizi. Per una vita migliore, sia dal punto di vista materiale sia, che non è meno importante, morale. Nella giornata dell’8 marzo, una “festa” che non dovrebbe limitarsi mai a un effimero ramo di mimosa, l’ISR spezzino vuole ricordare le donne, eccezionali e normalissime, che hanno vissuto gli anni, veramente, più bui. Quelli della dittatura fascista, della lotta di liberazione, della conquista di un “nuovo mondo”, che all’epoca sembrava addirittura più lontano dell’America.

Staffette, combattenti, filandine, borghesi, perfino possidenti; ragazzine, madri di famiglia, maestre, stenografe e universitarie, cosa che, a quei tempi, non era troppo comune. Sono state moltissime le rappresentanti del cosiddetto “sesso debole” che, magari, non hanno impugnato le armi in prima persona, ma hanno combattuto lo stesso. E anche contro un nemico forse peggiore e non ancora pienamente battuto: il (pre) concetto che una donna deve stare in silenzio, senza opinioni, schiava, perché non ha diritto alle voce, alle idee, alla libertà.

Qualche anno fa, è uscito per le Edizioni Giacché un libro intitolato “Anch’io ho votato Repubblica. Le donne spezzine e la conquista del voto. Storia, immagini e testimonianze di un’epoca”, scritto da Anna Valle e da Annalisa Coviello. In esso, dopo un’accurata disamina dell’evoluzione del suffragio universale (che includeva, appunto, anche le donne) all’estero e in Italia, sono presentate le interviste alle donne spezzine che, per la prima volta, hanno votato alle elezioni del 2 giugno 1946 nel referendum tra monarchia e repubblica.

Testimonianze preziose, e irripetibili, purtroppo, per ragioni anagrafiche, che ci offrono uno spaccato importante della loro vita, difficile e pericolosa, tra una fila per il cibo e una fuga dai bombardamenti, tra una riunione clandestina e un viaggio, miracolosamente con ritorno, per un campo di concentramento, tra la scelta della pistola, piccola e leggera, da portare nella borsetta e quella del vestito più adatto per il primo appuntamento con il voto.

“Ci voleva anche che non ci concedessero il voto, dopo tutto quello che abbiamo passato…”. Rina Gennaro Bruzzone, che è stata la prima segretaria dell’UDI in città, la guerra l’ha vissuta in prima linea, dato che ha svolto, con estremo rischio, il ruolo di staffetta partigiana. Iniziando così, quasi per caso.

“Nella mia famiglia, eravamo sempre stati antifascisti, ma non avrei mai pensato di fare la partigiana. Lavoravo come commessa da Melley e un mio collega, che già portava i documenti per i ragazzi che erano scappati in montagna e si erano uniti alle brigate, mi ha detto: “Perché non provi anche tu?” E io l’ho fatto”. Ma quello che prima era stato un caso, ben presto si trasforma in una missione.

Con il nome di battaglia di “Anna”, lo stesso che poi darà alla sua unica figlia, la signora Rina si occupava di tenere i collegamenti tra le formazioni della Spezia e la sede centrale di Genova, spingendosi, a volte, fino a Savona.

“Un giorno, ricordo che ero salita sul treno a Sarzana e dovevo andare a Genova portandomi in borsa i nomi di tutti coloro che appartenevano alla IV zona operativa. A Vezzano, il treno si ferma e salgono i tedeschi, che hanno incominciato a perquisire tutti i passeggeri”. Un momento di puro panico, ma la giovanissima staffetta non si perde d’animo.

“C’erano tutti i nomi dei ragazzi che erano in montagna, ma anche di quelli che tenevano i collegamenti con la città, dei capi, insomma, si trattava di documenti molto importanti. Che cosa dovevo fare? Per fortuna i fogli, dato che a quel tempo la carta non abbondava, erano molto sottili, così me li sono mangiati…”

“Papà era socialista, di quelli all’antica”, ricorda Maria Magnanini Bruni. “Non era facile, durante il fascismo. Spesso veniva picchiato e anch’io ho dovuto subire la mia dose di umiliazioni. Ricordo che, a scuola, il maestro mi metteva all’ultimo banco, da sola, e mi interrogava sempre. Per poi dover ammettere, a bassa voce: “Però, questa stupida figlia di un bolscevico è brava”. Io piangevo e chiedevo a mio padre cosa volesse dire essere socialista.

“Io sono sufficientemente anziana da ricordare le elezioni del 1924, le ultime prima della dittatura. Allora ero una bambina, mi ero arrampicata sulla finestra della scuola del mio paese dove era stato allestito il seggio. Vedevo che entravano a votare solo gli uomini e non mi sembrava giusto.

Così, quando il diritto di voto è stato dato anche alle donne, eravamo felici. Ricordo che, in coda davanti ai seggi, ridevamo, ci abbracciavamo, anche se non ci conoscevamo nemmeno. E’ stato un momento di gioia, di soddisfazione, meritata dopo così tante sofferenze. Non me lo scorderò mai”.

“Nella Resistenza, nella guerra, noi siamo state una parte veramente attiva”, sostiene Anna Maria Vignolini Peruggi, la partigiana “Valeria”. “E ne eravamo consapevoli. Io ricordo benissimo il giorno del referendum, qui a Sarzana c’era una frotta di donne, vecchie, giovani, che si recavano con gioia ai seggi, sembrava una festa”. E, probabilmente, la era: la festa della parità con l’uomo, già ottenuta sui campi di battaglia e ora sancita anche dalla legge.

“Una mia conoscente era rammaricata del fatto di poter votare solo una volta. E anch’io, sarei andata a dir di no alla monarchia almeno cento volte. Era quello che cercavo di spiegare nelle riunioni preparatorie: che il re ci aveva tradito, che ci aveva abbandonato in mano ai tedeschi. Ma non ce ne era nemmeno bisogno: le donne, pur essendo di solito affezionate ai Savoia, lo sapevano benissimo”.

“Ho fatto parte dei gruppi preparatori, per insegnare alle donne a votare. E a farlo bene”, aggiunge, doverosamente, la signora Mimma. “All’epoca i giornali, la carta, erano rari e ben poche sapevano leggere, così ci preparavamo noi, su dei fogli così, alla buona, dei facsimili di schede elettorali che portavamo in giro dappertutto”.

“Andavo casa per casa, per convincere le donne a votare”, racconta Carolina Masini Colombo. Una ha commentato: “Le donne stanno bene a lavare per terra”. E io le ho risposto: “La donna può fare di tutto, da lavare per terra ad andare al Parlamento”. Francamente, soprattutto in tempo di guerra, tutte abbiamo fatto di tutto, come, meglio, più degli uomini”, nota, giustamente, con combattività, la signora Carolina.

“Io non ero istruita, però mio fratello, mio marito mi avevano insegnato molto. E devo riconoscere che non era facile, convincere le donne ad andare a votare. C’era molta ignoranza e anche un po’ di paura. Una signora, una volta, mi ha detto: “Sai, si perde l’onore ad andare a votare”. Io sono rimasta stupita, ma le parole, per fortuna, non mi sono mai mancate e, allora, le ho ribattuto: “E a te chi te l’ha detto?” “Mio marito”. Ecco, questo in molte case era il clima”.

Per fortuna, non ovunque. “No, devo riconoscere che ne ho convinte tante. E tante non ne avevano nemmeno bisogno, di essere convinte. La guerra aveva aperto gli occhi un po’ a tutte, ci aveva fatto capire come stavano le cose, soprattutto, ci ha dato la certezza di essere uguale agli uomini. Una certezza, peraltro, che io ho sempre avuto”.

“Mio padre aveva in casa quattro donne: io, le mie due sorelle e la mia matrigna. La mattina del 2 giugno del 1946, che era, lo ricordo benissimo, una domenica, eravamo sveglie, di buon’ora. Abitavamo in campagna e papà, già dall’alba, girava, vestito di tutto punto, per la casa. Anche noi avevamo l’”abito della domenica”, a quei tempi si usava così, indossare indumenti nuovi per ogni appuntamento importante. Come era quello con il “primo voto”. Papà continuava a mettersi e togliersi il cappello e, prima di uscire, quando eravamo finalmente pronte, ci ha detto, tutto serio: “Donne, state bene attente a non sbagliare il voto. Altrimenti, vi taglio la testa con il pennato. Non so se l’avrebbe fatto davvero, ma c’era poco da scherzare. E noi non abbiamo sbagliato”. Questo il divertente racconto di Carla Malaspina Buscemi.

Non ha potuto votare, perché era troppo giovane, Vega Gori Mirabello, la staffetta “Ivana”. E, in base ai suoi ricordi, raccolti nel libro “Ivana” racconta la sua Resistenza”, scritto insieme con la figlia, Maria Cristina Mirabello, Edizioni Giacché, ne era veramente addolorata. A tal punto che suo padre, anarchico da sempre, è andato a votare, nonostante le sue ideologie glielo proibissero, proprio per esprimere la preferenza della famiglia per la Repubblica. Anzi, lui era veramente perplesso sul non presentarsi ai seggi, visto che un anarchico aveva dovuto eliminare un re a colpi di rivoltella (in riferimento all’attentato perpetrato da Gaetano Bresci contro Umberto I nel 1900), mentre ora si poteva mandare via con una matita….

Le testimonianze delle prime elettrici del 1946 sono state tante, e tutte particolari. Accomunate, però, da un fil rouge che dovrebbe essere tenuto sempre in mano, non solo l’8 marzo: sancire l’uguaglianza con gli uomini che loro sentivano come acquisita, anche se la lotta per una reale parità, lo sappiamo bene tutte, non è ancora pienamente conclusa e, forse, non lo sarà mai.

Per le donne che hanno votato quella prima volta, c’è stato ancora domani. E per tutte noi?

Febbraio 1945: ancora freddo sulle montagne, trame delatorie in città, e tanti morti

A cura di ISR La Spezia

Il mese di febbraio 1945 vede il ritorno delle formazioni partigiane sulle posizioni occupate prima del grande rastrellamento del 20 gennaio 1945, ultimo grande (e fallito) tentativo nazifascista di sconfiggere la Resistenza in IV Zona Operativa.

Va osservato che, insieme ai morti nel rastrellamento, e sulla scia di quest’ultimo, registriamo altri caduti. Avvenendo inoltre a febbraio nuovi episodi di scontri armati e imperversando la repressione in città, ad opera specialmente del questore Emilio Battisti e della banda di Aurelio Gallo, si registrano ulteriori vittime.

Eccone alcune: sulla scia del rastrellamento, in quanto presi prigionieri sul Monte Dragnone (Zignago), vengono fucilati, il 3 febbraio 1945, alla Chiappa, Ezio Grandis e Giovanni Pagani.

A metà mese drammatica è la rappresaglia messa in atto dai tedeschi a Follo, dove, a seguito di un casuale scontro avvenuto il 14 febbraio 1945, in cui sono coinvolti due tedeschi (uno rimane ucciso e uno è gravemente ferito), il 15 febbraio 1945, quattro partigiani, Sante Gattoronchieri, Alcide Paita, Vasco Pieracci, Albino Pietrapiana, prelevati dal carcere spezzino sito nella caserma dell’ex XXI° Reggimento, vengono impiccati con filo di ferro, per ordine del comandante tedesco di Ceparana. Appesi agli alberi del viale attualmente denominato via Brigate Partigiane davanti agli occhi terrorizzati della popolazione, la quale è stata appositamente radunata e costretta ad assistere all’esecuzione sotto la minaccia di tre mitragliatrici, i corpi sono lì lasciati fino al 17 Febbraio. La rabbia tedesca si sfoga bruciando anche alcune case e sparando da Ceparana su Follo Alto (rimane così ucciso un anziano, Simonelli Attilio).

foto tratta da www.resistenzatoscana.it/kmz/

Sull’episodio di Follo e antefatti di esso.

A Migliarina, il 5 febbraio 1945, viene ucciso in un agguato Gino Camaiora, vicecomandante del Battaglione “Matteotti-Picelli”.

Si suicida infine il 24 febbraio 1945, nel già nominato e tristemente noto carcere dell’ex XXI° Reggimento, il capitano della Marina Militare Renato Mazzolani: capo delle SAP cittadine per conto di GL, catturato nel dicembre 1944, sottoposto a torture e a ricatti riguardo alla sua famiglia, si toglie la vita per non mettere in pericolo chi agisce nella rete clandestina.

Targa posta in via Mazzolani in occasione del 70° anniversario della Liberazione (2015)

10 Febbraio – Giorno del Ricordo

A cura di ISR

Ventun anni fa veniva approvata la legge 92/2004 che istituiva il Giorno del Ricordo il 10 febbraio di ogni anno, al fine di non dimenticare tutte le vittime delle foibe, nonché l’esodo degli istriani, fiumani e dalmati dalle loro terre.

Riportiamo dalla legge istitutiva uno stralcio per illustrare la questione.

Legge 30 marzo 2004, n. 92 “Istituzione del «Giorno del ricordo» in memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale e concessione di un riconoscimento ai congiunti degli infoibati” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 13 aprile 2004

Art. 1.

1. La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale «Giorno del ricordo» al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.

2. Nella giornata di cui al comma 1 sono previste iniziative per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado. È altresì favorita, da parte di istituzioni ed enti, la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende. Tali iniziative sono, inoltre, volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario e artistico degli italiani dell’Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all’estero.

il 10 febbraio è quindi il giorno del ricordo di una pagina drammatica, complessa e cruenta della storia contemporanea, da contestualizzarsi nell’ambito degli avvenimenti del Novecento, dei totalitarismi, delle due guerre mondiali, dei rapporti di forza e dei trattati di pace internazionali.

L’ISR spezzino, per l’occasione, nell’ambito della rassegna “Memoria Visibile”, il 18 febbraio, presso la Mediateca regionale “Sergio Fregoso”, propone agli studenti la visione del documentario “Oltre il filo” di Dorino Minigutti.

27 Gennaio: Giorno della Memoria

Bianca Paganini

La Fondazione ETS-ISR La Spezia, per ricordare la terribile vicenda dei campi di sterminio nazisti sparsi in tutta Europa, dà la parola alla spezzina Bianca Paganini, deportata politica a Ravensbrück.

L’intervista è stata realizzata il 6 dicembre 2006 dal Gruppo Giovani dell’ISR nell’ambito del progetto Voci della Memoria.

parte 1
parte 2

Qui la trascrizione dell’intervista, sempre a cura del Gruppo Giovani dell’ISR.

Le vicende di Bianca e di altre deportate politiche italiane sono state pubblicate nel libro “Le donne di Ravensbrück. Testimonianze di deportate politiche italiane” di Anna Maria Bruzzone e Lidia Beccaria Rolfi (Einaudi).

ISR La Spezia, ANED La Spezia e IRK-CIR hanno ricordato solennemente la figura di Bianca Paganini nel 2023, in occasione del decimo anniversario della morte.

Una giornata particolare: 80° del rastrellamento del 20 gennaio (1945-2025)

A cura di ISR La Spezia

L’ultimo grande tentativo militare di sconfiggere la Resistenza spezzina avvenne con il massiccio rastrellamento nazifascista del 20 gennaio 1945: 20.000 nazifascisti, bene armati, vestiti in modo adeguato, ben nutriti, cercarono di stringere in una morsa circa duemila partigiani, dotati di armi non ottimali, di abiti non adatti a ripararli dal freddo intenso, praticamente affamati.

Il rastrellamento fu assai pericoloso per ampiezza geografica e impiego di uomini e mezzi (cfr. mappa del rastrellamento). Tale operazione militare, ampiamente sottovalutata dalla storiografia sulla Linea Gotica, fu assai rilevante dal punto di vista strategico, perché non ebbe successo sperato dai nemici.

Infatti, dopo pochissimi giorni, le formazioni partigiane, le quali, secondo gli ordini del Comando IV Zona, avevano innanzitutto combattuto per impedire che il nemico dilagasse, e poi si erano sganciate, per salvarsi, oltre il Monte Gottero, nonostante i morti, i catturati, i feriti, i congelati, rientrarono sulle posizioni precedenti, e le mantennero, scendendo vittoriose in città il 25 aprile 1945.

Alcuni Comuni della provincia della Spezia hanno dedicato vie/piazze a tale importante episodio. Richiamiamo di seguito alcune pagine tratte dallo Stradario presente nel sito ISR, sia relativamente ai Caduti in tale fase, o a seguito di essa, sia riguardanti i fatti accaduti e i luoghi:

La Spezia
Corradini Renato
Da Pozzo Giuseppe
Grandis Ezio
Monte Gottero
Pagani Giovanni
Perini (famiglia)
Siligato Antonino
Vega Luigi
XX gennaio (fatti)

Brugnato
Brosini Vittorio
Grandis Ezio, Pagani Giovanni

Lerici
Meneghetti Giuseppe
Petriccioli Oronte

Vezzano Ligure
Morini Giuseppe
Maggiani Silvio
Sani Nello
26 gennaio 1945

Zignago
XX gennaio 1945

Fondo V Mario Fontana (V.1 Comando Unico IV Zona Operativa – dal fascicolo 691 al fascicolo 696)

Video della presentazione del libro: Storia del Battaglione Garibaldino “Melchiorre Vanni”. IV Zona operativa

Lunedì 20 Gennaio 2025 alle ore 16,30, presso l’Auditorium Biblioteca Civica “P.M.Beghi”, via del Canaletto 100 alla Spezia

Presentazione del libro a cura della Fondazione ETS Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Spezia:

Storia del Battaglione Garibaldino “Melchiorre Vanni”
IV Zona Operativa

di Maria Cristina Mirabello
(Edizioni Giacché, 2025)

Introduce
Patrizia Gallotti, Presidente ISR La Spezia

Lectio Magistralis di Carlo Greppi, Storico
“Nelle giunture della Storia”

Interviene
Maria Cristina Mirabello, autrice del libro

Il video della presentazione
la locandina dell’evento

Un mese e una fine anno tra ombre e luci per la Resistenza in IV Zona Operativa: dicembre 1944

A cura di Maria Cristina Mirabello

Svanita ormai la speranza di una rapida avanzata degli Alleati, l’anno 1944, in cui, a luglio, era avvenuta l’importante fondazione del Comando Unico e della I Divisione Liguria, premessa della IV Zona Operativa, quest’ultima formalizzata proprio a dicembre, moriva tra ombre e luci.

Nell’autunno-inverno 1944, pur nella consapevolezza dei rischi e delle enormi difficoltà, i responsabili politici e militari al vertice della Resistenza spezzina, non scelsero una decisa “pianurizzazione” degli uomini, non misero in atto la cosiddetta “politica delle tregue”, e, conseguentemente, si delineò una fasedifficilissima, quando l’avanzata alleata, deludendo le speranze ancora vive nel primo autunno, si fermò per lunghi mesi (arresto che risultò del tutto chiaro, se ancora ce ne fosse stato bisogno, con il proclama Alexander del 13 novembre 1944).

La situazione divenne, per motivi diversi, molto grave, tanto che la rischiosità degli incontri in città per programmare la lotta clandestina causò, come vedremo, lo spostamento del CLNp in montagna.

I reparti partigiani stanziati sui monti soffrirono, oltre che per le sempre incombenti, e talvolta attuate, numerose puntate nemiche (con perdite partigiane e nella popolazione civile), anche per i feriti, i morti, i catturati nell’ambito dalle necessarie azioni di guerriglia programmate. Non solo, le azioni urbane a carattere gappistico, in genere positivamente condotte da elementi provenienti dalla montagna, determinavano rappresaglie successive, sia nei confronti di chi era già imprigionato, sia verso la popolazione civile, sottoposta a rastrellamenti. Dolori e perdite, insomma, sia in difesa che in offesa. A tutto ciò si aggiunsero una serie di condizioni di fondo, difficilmente superabili: nonostante il rapporto tendenzialmente positivo con la gente, diverso cioè da quello determinatosi nello Zerasco e ben chiaro dopo il rastrellamento del 3 agosto 1944, occorre ricordare che le aree di stanziamento in montagna erano povere o estremamente povere, quindi mancava il cibo, era del tutto carente il vestiario adatto ad affrontare il clima rigido, frequenti e gravi erano le malattie, acutizzate dalle condizioni ambientali relative all’abitare, al dormire e all’igiene.  L’unica nota positiva poteva essere che la fine estate e l’autunno avevano portato, come dicono molte testimonianze, un raccolto abbastanza consistente di farina di castagne e grano turco. Il cibo, parola ricorrente, insieme al termine fame, nelle memorie della/sull’epoca, consisteva in pattona, polentina dolce o salata (anche il sale era poco), castagne secche, se andava bene. Mancava praticamente tutto il resto.

La cattura – di Giada Perricone

Nonostante che una notevole parte della provincia fosse passata nel tempo sotto il controllo partigiano, la reazione nemica si mostrava ampia, dura e variegata. A essa si rapportarono, in un certo senso a viso aperto, i partigiani in montagna, mentre la repressione, con imprigionamenti, torture, deportazioni, si scatenò, grazie specialmente a trame delatorie, in città, dove, coordinata da Emilio Battisti, facente funzione di Questore, e dalla banda che si raccoglieva intorno ad Aurelio Gallo, si intensificò, se possibile, dal novembre 1944 in poi.  Se a tutto ciò aggiungiamo i bombardamenti, abbiamo un quadro, sebbene solo approssimato per difetto, di quello che successe, sia ai partigiani, sia alla popolazione civile.

Va inoltre detto che drammatica era la situazione del CLNp, organismo politico al vertice della lotta resistenziale, visto che, dall’estate 1944, non poteva riunirsi nella pienezza dei partiti che lo componevano, e che ciò si protrasse fino al gennaio 1945, quando, per la prima volta, il così detto CLN di montagna tenne, in alta Va di Vara, la sua seduta plenaria. I membri arrestati nel luglio 1944 non erano stati infatti continuativamente rimpiazzati ad opera delle rispettive componenti partitiche, tanto che, ad un certo punto, i membri organici furono solo due: Pietro Mario Beghi “Mario”, socialista, Segretario del CLNp, e Antonio Borgatti “Silvio”, Segretario della Federazione provinciale del PCI spezzino.

Non a caso, Beghi e Borgatti presero la decisione, non facile, e più volte duramente rimproverata allo stesso Borgatti dal Triumvirato insurrezionale genovese del suo partito, di chiedere il trasferimento del CLNp ai monti, in zona partigiana, dove andò e rimase, in accordo con Borgatti, lo stesso Beghi, mentre il comunista Giovanni Rosso “Luigi” continuò a far da tramite soprattutto nel territorio spezzino, tra monte e piano, ma, se possibile, anche verso l’esterno, sebbene i contatti, mediante staffette, con Genova, fossero del tutto saltuari.

La lettura dei documenti consente, escludendo il vero e proprio tonfo del luglio 1944, di individuare il momento di massima crisi dellarete clandestina, a livello di pianura, tra novembre e dicembre 1944. Le date che scandiscono tale fase sono sicuramente il grande rastrellamento di Migliarina iniziato il 21 novembre e quello scatenato contro la “Muccini” il 29 novembre. Quest’ultimo, avvenuto ai margini della IV Zona, verso i confini della provincia, a Est, sfasciò la Brigata garibaldina “Muccini” che, nata formalmente il 19 settembre 1944, ma derivante da una lunga storia resistenziale vissuta, nella primavera-estate, fuori provincia, aveva dato brillanti prove di sé e che, pur dipendente dal Comando IV Zona, risultava geograficamente separata da esso. Per decisione comune dei responsabili, la maggior parte della “Muccini”, al comando di Piero Galantini “Federico”, passò le linee, portandosi nella zona occupata dagli Alleati; tuttavia, un piccolo gruppo, incrementato nel tempo, al comando di Flavio Bertone “Walter”, Commissario politico Paolino Ranieri “Andrea”, che fu poi catturato a dicembre, rimase, tra varie e difficili vicissitudini, a presidiare il territorio. La decisione di non smobilitare la “Muccini” fu netta da parte del PCI: tale partito manteneva perciò uno stanziamento sia a Est (anche in vista del futuro avanzamento alleato che non sarebbe così avvenuto nel deserto, cioè in un territorio passivo), sia nell’ambito della Val di Vara, dove poteva contare soprattutto sulla Brigata “Gramsci”, esito quest’ultima, del Raggruppamento Brigate Garibaldi, profilatosi nell’ottobre 1944, e comprendente i Battaglioni “Vanni”1, “Matteotti- Picelli” – “Gramsci”. Occorre precisare che il Battaglione “Gramsci” sarebbe stato ribattezzato, tuttavia mesi dopo, “Maccione”, per evitare confusione di nome con la Brigata omonima, ad esso sovraordinata.

I fatti di novembre e dicembre, tra cui va ricordato anche il drammatico rastrellamento avvenuto a Vezzano Ligure il 7 dicembre, causarono il necessitato portarsi oltre le linee di militanti comunisti, ormai “bruciati”: la sarzanese Anna Maria Vignolini, responsabile dei GDD, Filippo Borrini, responsabile del FdG, e, infine, Rina Gennaro “Anna”, instancabile staffetta e dattilografa. Tutto ciò determinò delle vere e proprie voragini nella complessiva rete clandestina, per cui quest’ultima risultò al momento dissestata, compresi i vari ciclostili, fondamentali per la produzione di materiale di propaganda e comunicazione.

Va inoltre ricordato che nell’ organizzazione operavano, con incarichi ragguardevoli, spesso quali Comandanti delle squadre SAP, esponenti del Partito d’Azione: uno di essi, Renato Mazzolani, Medaglia d’oro al VM, venne, in tale fase, arrestato e morì poi suicida, torturato nel carcere dell’ex XXI, nel febbraio 1945. Anche il mondo cattolico risultò falcidiato, a causa della cattura di numerosi sacerdoti nel corso dei rastrellamenti autunnali: tra essi, basti citare l’instancabile Don Mario Scarpato, e il forte aggregatore di forze giovanili Don Antonio Mori. Molte parrocchie risultavano quindi vacanti, proprio per la repressione contro il clero.

Antonio Borgatti “Silvio” si ritrovò, in una città di retrovia, solo, come egli dice, con la sua dattilografa, sebbene riuscisse poi, faticosamente, ai primi di gennaio, a riannodare le fila della cospirazione, che coincidevano con quelle della resistenza urbana2.

Il coraggio della fede di Anna Airaghi

La situazione in pianura assumeva dunque tinte fosche, ma, nello stesso dicembre 1944, le formazioni partigiane della montagna, con la formalizzazione della IV Zona Operativa (Comandante: Mario Fontana “Turchi” o “Cossu”), tendenzialmente ormai stabilizzate sui territori loro assegnati, acquistavano una fisionomia più funzionale, adatta, insomma, a superare le dure prove future, che ci furono, di lì a poco, con il rastrellamento del 20 gennaio 1945, e che, però, nonostante l’imponenza e la sproporzione di forze e mezzi (20 mila nazifascisti circa contro due mila partigiani circa), non furono tali da scompaginare le forze resistenziali in campo, segnando, anzi, un irreversibile declino, nel nostro territorio, delle forze nemiche e un punto importante a favore degli Alleati. Non solo, arrivò anche, sempre a fine dicembre, grazie al Maggiore inglese Gordon Lett, incaricato, dopo la fondazione del Comando Unico, di tenere i rapporti con gli Alleati, una trentina di paracadutisti dello Special Air Service, inviato dagli Alleati con funzione di supporto riguardo ai sabotaggi.

Luci ed ombre, dunque, nel dicembre 1944, come recita il titolo di questo articolo.

Sentieri di Libertà - Il nemico risparmiato-Connor Aquilano
Il nemico risparmiato di Connor Aquilano

Disegni tratti da: Sentieri di Libertà. Storie a fumetti, a cura di Fondazione ETS ISRSP; I.I.S.S. “L.Einaudi-D.Chiodo” – Indirizzo grafica; I.T.C.T. “A.Fossati-M.Da Passano” – Indirizzo grafica e comuncazione, I.S.S. “V.Cardarelli” – Liceo Artistico, La Spezia, 2024.

NOTE

1 Nel mese di gennaio 2025, uscirà, scritto da Maria Cristina Mirabello, anche un libro, voluto da ISR/ETS La Spezia, sulla storia del Battaglione “Vanni”

2 Borgatti, Antonio, Anni clandestini. Memorie dal 1904 al 1945, Edizioni Giacché, La Spezia, 2022, p. 95 (dove è citata, con il nome di battaglia di “Ivana”, la dattilografa). V. anche come la stessa “Ivana” descrive, per cenni, la situazione determinatasi (Gori, Vega “Ivana”, Mirabello, Maria Cristina , “Ivana” racconta la sua Resistenza. Una ragazza nel cuore della rete clandestina, Edizioni Giacché, 2013, p. 70).

Una giornata particolare: 21 novembre 1944. Il “grande” rastrellamento

A cura di Doriana Ferrato, Presidente ANED La Spezia

Premessa

La Spezia con la sua provincia è una delle città italiane più dolorosamente colpita dalla deportazione nazifascista.

Nel gennaio 1944 l’arresto, il trasferimento al campo di Fossoli e la deportazione ad Auschwitz segnano la sorte tragica degli spezzini ebrei… come dimenticare la piccola Adriana Revere di nove anni!

Nel marzo, al successo dello sciopero preinsurrezionale nelle fabbriche, seguono arresti e deportazione a Mauthausen di sindacalisti e organizzatori.

Nell’estate 1944 proseguono catture che si intensificano in settembre, molte dietro delazione in particolare nel quartiere di Migliarina, e raggiungono l’apice nel novembre 1944 con il “grande” rastrellamento.

Lapide in via Michele Rossi a Migliarina (anno 1988) a ricordo del rastrellamento del 21 novembre 2024

“Nel ricordo che alla Spezia
il 21 novembre 1944
centinaia e centinaia di inermi
furono rastrellati e avviati
nei campi di sterminio nazisti
i giovani democratici
testimoniano
la loro consapevolezza
che la Libertà e la Pace
in cui vive il Popolo italiano
affondano le radici
nel sacrificio dei Martiri
e nella Lotta di Liberazione
1948-1988
XL Anniversario della Costituzione”

Lapide in via Michele Rossi a Migliarina (anno 1988)
a ricordo del rastrellamento del 21 novembre 2024

Migliarina antifascista

La situazione alla Spezia nell’autunno 1944 è drammatica: i nazisti con la complicità dei fascisti hanno operato contro le formazioni partigiane numerosi ed estesi rastrellamenti; nonostante ciò i gruppi partigiani resistono e l’organizzazione antifascista in armi continua il suo fitto lavoro.

La Spezia, come le altre città occupate dai nazisti dopo l’8 settembre 1943, viveva nel terrore, ma esisteva una buona organizzazione clandestina che lavorava per la liberazione. I nazifascisti ne erano a conoscenza e non risparmiavano uomini e mezzi per scoprirne piani, membri e direzione.

Molti cadevano nella loro perversa rete: chi veniva torturato, chi ucciso, chi mandato in carcere e deportato nei campi di concentramento come oppositore politico, quindi con la sorte segnata.

“L’ambiente antifascista più omogeneo e numeroso era il quartiere di Migliarina – Canaletto, zona prevalentemente operaia e di piccoli e medi operatori economici, in maggioranza antifascisti. Era in questa zona ove si lavorava più alacremente, ed era questo territorio che aveva dato buona parte dei giovani per le formazioni partigiane” (Tommaso Lupi, 1966)

Migliarina era quindi la zona più controllata dai nazifascisti; ed è proprio in quel quartiere che avvennero i più grandi rastrellamenti, con arresti, interrogatori, confessioni estorte e deportazione nei campi di concentramento nazisti.

Nella piana di Migliarina i partigiani si spingevano dai monti per colpire le forze nazifasciste che avevano nella zona posti di casermaggio e di comando e dove abitavano feroci “repubblichini” e noti torturatori fascisti, collaborazionisti italiani, fedeli e feroci, conosciuti comunemente come “Banda Gallo”, dal cognome del capo.

Quando nel maggio 1946 si celebrò il processo alla Banda Gallo, la Corte con Pubblico Ministero Gaetano Squadroni, decretò per tre della Banda la condanna alla pena capitale per fucilazione. Aurelio Gallo fu l’ultimo condannato a morte in Italia. L’esecuzione avvenne in Vezzano Ligure a Forte Bastia il 5 marzo 1947.

21 novembre 1944Il “grande” rastrellamento di Migliarina

Il “grande” rastrellamento del 21 novembre 1944 avviene per “rappresaglia a seguito dell’uccisione di un feroce repubblichino di Migliarina da parte di partigiani” (Tommaso Lupi, 1966). Il capo della Provincia Franz Turchi e i comandi locali pretendono dai camerati nazisti l’appoggio per operare il massiccio rastrellamento nel quartiere, così da mostrare agli stessi fascisti locali e alle SS come il controllo della città fosse ancora saldamente in mano alle forze di Mussolini e i complotti, imbastiti dai relativi responsabili contro l’ordine costituito, fossero facilmente neutralizzabili.

Al mattino presto di quel tragico 21 novembre le strade di accesso del quartiere vengono bloccate e presidiate da nazifascisti in armi.

Sono centinaia e centinaia gli uomini inermi fermati, portati nella vicina Flage, silurificio divenuto caserma migliarinese delle Brigate Nere, poi rinchiusi nella caserma “XXI reggimento Fanteria”, trasformata in carcere e luogo di tortura, dove i rastrellati e gli arrestati sono sottoposti a spietati interrogatori e sevizie “medievali” indicibili (unghie strappate, lesioni, bruciature e peggio…)

I familiari, all’oscuro della sorte dei propri cari, sono privati di qualsiasi contatto con i congiunti; solo pochi riusciranno a far pervenire all’esterno, in modo fortuito, qualche scarna notizia in un bigliettino clandestino.

La caserma XXI Reggimento Fanteria

Dopo gli interrogatori e le torture al “Ventunesimo”, gli arrestati subiscono un trattamento disumano nel trasferimento via mare dal molo Pirelli (oggi molo Pagliari) con motozattere e bettoline: destinazione Genova, dove sono rinchiusi nel carcere di Marassi e subiscono altri interrogatori con “colpi di nerbo e di calcio di rivoltella”.

Il grande rastrellamento non risparmia alcuna classe o condizione sociale e nessuna età: nelle celle a Marassi si ritrovano insieme sacerdoti, professori, artigiani, operai, industriali, commercianti, agenti e funzionari di polizia, impiegati, guardie carcerarie, pensionati, vecchi, ragazzi, persino il becchino del cimitero, accusato di consegnare le chiavi del camposanto ai partigiani per il ricovero durante la notte.

Molti dei rastrellati non facevano politica attiva, ma erano cittadini di fede antifascista e alcuni collaboravano clandestinamente in diversi modi con il CLN e con le forze della Liberazione.

Le accuse

Per tutti loro le accuse dei facinorosi della banda Gallo è appartenere al Comitato di Liberazione, quindi di aver partecipato a sabotaggi e decine di azioni armate col fronte dei “ribelli”: nel carcere di Marassi uno degli accusatori è ben noto perché si trattava di un sacerdote divenuto complice della banda di Aurelio Gallo e passato dalla parte degli aguzzini.

In quella circostanza i fascisti spezzini, per giustificare nei confronti dei nazisti e del governo di Salò una così imponente azione di rastrellamento, mettono insieme una documentazione falsa nei confronti degli accusati e priva di fondamento. I nazisti sospettano la messa in scena degli interrogatori, delle confessioni estorte con terribili sevizie e dei risultati dei confronti, così convocano dalla città di Imperia alcuni detenuti da tempo in quel carcere, e ad uno ad uno li mettono a confronto con ciascuno degli arrestati della Spezia. Quei poveretti “confessano” di riconoscere quei detenuti come loro fiancheggiatori in azioni partigiane compiute alla Spezia, fatto del tutto inverosimile.

Nonostante l’acclarata verità, gli interrogatori proseguono con la medesima ferocia costringendo i malcapitati rastrellati a firmare false confessioni di decine di azioni armate e sabotaggi, in pratica sottoscrivono la loro condanna a morte, differita nel tempo e perpetrata in un Campo di concentramento. I più restii a firmare sono massacrati di botte e sottoposti ad altre torture; anche agli ecclesistici non sono risparmiate sevizie e oltraggi, valga l’esempio delle sevizie subite dal padre domenicano Pio Rosso, parroco di Mazzetta, e da don Mario Scarpato, allora parroco di San Terenzo di Lerici, che ne subirà le conseguenze tutta la vita.

Per molti dei reclusi a Marassi il destino è segnato dalla partenza da Genova, scaglionata in più turni in vari giorni, proseguita con l’arrivo al campo di concentramento di Bolzano, dove si compie la sorte dei rastrellati spezzini con la deportazione, principalmente nel campo di Mauthausen.

Tutti sono internati come “politici pericolosi”, in quanto tali è assegnato loro il Triangolo rosso, come categoria da sterminare.E i più non tornarono.

Ogni trasporto, una strage

Circa un centinaio di spezzini sono deportati da Bolzano con il trasporto del 14 dicembre 1944 giunto il 18 dicembre a Mauthausen, pochissimi sopravvissero.

Il 1° febbraio 1945 dal campo di Bolzano parte un altro trasporto con destinazione Mauthausen. Su quel treno, tra centinaia di altre vittime, ANED La Spezia ha accertato 75 deportati migliarinesi o arrestati a Migliarina nel rastrellamento del 21 novembre 1944. Di questi solo 8 sono i sopravvissuti.

Pochi giorni segnano il confine tra morte e vita

Da quel 1° febbraio al 25 febbraio 1945 trascorre meno di un mese, sono pochi giorni che segnano il confine tra la vita e la morte.Infattiil 25 febbraio 1945 al campo di Bolzano è organizzata la partenza di un altro convoglio con la consueta ritualità: appello degli internati selezionati, incolonnamento, caricamento nei vagoni merce piombati dall’esterno, niente sedili, niente servizi igienici, né cibo né acqua.

La destinazione è Mauthausen, ma l’interruzione della linea ferroviaria causata dai bombardamenti alleati impedisce la partenza. Rinchiusi nei vagoni, i prigionieri attendono per giorni di conoscere la loro sorte, infine sono fatti rientrare al campo di concentramento di Bolzano. Questo ha segnato la loro sopravvivenza.

In quel trasporto, mai giunto a destinazione, si trovavano oltre cinquanta spezzini e tra quei sopravvissuti il padre di chi scrive, catturato nel rastrellamento di Migliarina alle 7,30 del 21 novembre 1944 all’incrocio (allora) di via Bragarina con via della Pianta, oggi via del Canaletto.

Migliarina non dimentica


Veduta della Chiesa San Giovanni Battista in Migliarina
(anni quaranta)

Dipinto nella Chiesa di Migliarina in Memoria dei Caduti di Mauthausen. Sullo sfondo è rappresentato il muro di cinta di quel lager (anno 1982)

Stele nel sagrato della Chiesa San Giovanni Battista in Migliarina (2006)

Nell’iscrizione si legge:
“In memoria della deportazione migliarinese e spezzina del 1944 nei campi di sterminio nazisti”


Fonti

I deportati della Spezia nei campi di concentramento tedeschi durante l’occupazione nazista degli anni 1943-1945 –Monografia di Tommaso Lupi.

Terenzio del Chicca, I rastrellamenti a La Spezia del novembre 1944. Estratto da “La Spezia”-Rivista del Comune, 1955

Migliarina ricorda. testimonianze sulla resistenza e deportazione ’43-’45 / Scuola Media A. Cervi La Spezia, Daniela Piazza Editore, Torino 1996

Aldo Pantozzi, Sotto gli occhi della morte da Bolzano a Mauthausen- Museo storico in Trento, 2002

Dario Venegoni, Uomini,donne e bambini nel lager di Bolazano. Una tragedia italiana in 7809 storie individuali, 2004


Il video del convegno