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Bianca Mori Paganini, deportata nel campo femminile di Ravensbrück, a dieci anni dalla scomparsa.

Giovedì 18 maggio alle ore 17, presso l’auditorium della Biblioteca P.M. Beghi, via del Canaletto 100 alla Spezia.

Saluti istituzionali
Saluto dell’Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea – Fondazione ETS.

La figura di Bianca Paganini Mori nel ricordo delle figlie Anna Maria e Paola e di Doriana Ferrato, presidente ANED della Spezia

Il Campo femminile di Ravensbrück e la deportazione femminile attraverso le testimonianze raccolte nel libro “A volte sogniamo di essere libere” a cura di Raul Calzoni e Ambra Laurenzi.

Interviene Ambra Laurenzi, presidente del Comitato Internazionale di Ravensbrück.

Bianca Mori Paganini

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia per il 78° anniversario della Liberazione

Cuneo, 25/04/2023

“Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano, per riscattare la libertà e la dignità: andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.

È Piero Calamandrei che rivolge queste parole a un gruppo di giovani studenti, a Milano, nel 1955.

Ed è qui allora, a Cuneo, nella terra delle 34 Medaglie d’oro al Valor militare e dei 174 insigniti di Medaglia d’argento, delle 228 Medaglie di bronzo per la Resistenza.

La terra dei dodicimila partigiani, dei duemila caduti in combattimento e delle duemilaseicento vittime delle stragi nazifasciste.

È qui che la Repubblica oggi celebra le sue radici, celebra la Festa della Liberazione.

Su queste montagne, in queste valli, ricche di virtù di patriottismo sin dal Risorgimento.

In questa terra che espresse, con Luigi Einaudi, il primo Presidente dell’Italia rinnovata nella Repubblica.

Rivolgo un saluto a tutti i presenti, ai Vice Presidenti del Senato e della Camera, ai Ministri della Difesa, del Turismo e degli Affari regionali. Al Capo di Stato Maggiore della Difesa. Ai parlamentari presenti.

Saluto, e ringrazio per i loro interventi, il Presidente della Regione, la Sindaca di Cuneo, il Presidente della Provincia. Un saluto ai Sindaci presenti, pregandoli di trasmetterlo a tutti i loro concittadini. Un saluto e un ringraziamento al Presidente dell’Istituto Storico della Resistenza.

Stamane, con le altre autorità costituzionali, ho deposto all’Altare della Patria una corona in memoria di quanti hanno perso la vita per ridare indipendenza, unità nazionale, libertà, dignità, a un Paese dilaniato dalle guerre del fascismo, diviso e occupato dal regime sanguinario del nazismo, per ricostruire sulle macerie materiali e morali della dittatura una nuova comunità.

“La guerra continua” affermò, nella piazza di Cuneo che oggi reca il suo nome, Duccio Galimberti, il 26 luglio del 1943.

Una dichiarazione di senso ben diverso da quella del governo Badoglio.

Continua – proseguiva Galimberti – “fino alla cacciata dell’ultimo tedesco, fino alla scomparsa delle ultime vestigia del regime fascista, fino alla vittoria del popolo italiano che si ribella contro la tirannia mussoliniana…non possiamo accodarci ad una oligarchia che cerca, buttando a mare Mussolini, di salvare se stessa a spese degli italiani”.

Un giudizio netto e rigoroso. Uno discorso straordinario per lucidità e visione del momento. Che fa comprendere appieno valore e significato della Resistenza.

E fu coerente, salendo in montagna.

Assassinato l’anno seguente dai fascisti, è una delle prime Medaglie d’oro della nuova Italia; una medaglia assegnata alla memoria.

Il “motu proprio” del decreto luogotenenziale recita: “Arrestato, fieramente riaffermava la sua fede nella vittoria del popolo italiano contro la nefanda oppressione tedesca e fascista”; ed è datato, con grande significato, “Italia occupata, 2 dicembre 1944”.

Dopo l’8 settembre il tema fu quello della riconquista della Patria e della conferma dei valori della sua gente, dopo le ingannevoli parole d’ordine del fascismo: il mito del capo; un patriottismo contrapposto al patriottismo degli altri in spregio ai valori universali che animavano, invece, il Risorgimento dei moti europei dell’800; il mito della violenza e della guerra; il mito dell’Italia dominatrice e delle avventure imperiali nel Corno d’Africa e nei Balcani. Combattere non per difendere la propria gente ma per aggredire. Non per la causa della libertà ma per togliere libertà ad altri.

La Resistenza fu anzitutto rivolta morale di patrioti contro il fascismo per affermare il riscatto nazionale.

Un moto di popolo che coinvolse la vecchia generazione degli antifascisti.

Convocò i soldati mandati a combattere al fronte e che rifiutarono di porsi sotto il comando della potenza occupante tedesca, pagando questa scelta a caro prezzo, con l’internamento in Germania e oltre 50.000 morti nei lager.

Chiamò a raccolta i giovani della generazione del viaggio attraverso il fascismo, che ne scoprivano la natura e maturavano la scelta di opporvisi. La generazione, “sbagliata” perché tradita. Giovani ai quali Concetto Marchesi, rettore dell’Ateneo di Padova si rivolse per esortarli, dopo essere stati appunto “traditi”, a “rifare la storia dell’Italia e costituire il popolo italiano”.

Fu un moto che mobilitò gli operai delle fabbriche.

Coinvolse i contadini e i montanari che, per la loro solidarietà con i partigiani combattenti, subirono le più dure rappresaglie (nel Cuneese quasi 5.000 i patrioti e oltre 4.000 i benemeriti della Resistenza riconosciuti).

Quali colpe potevano avere le popolazioni civili?

Di voler difendere le proprie vite, i propri beni? Di essere solidali con i perseguitati?

Quali quelle dei soldati? Rifiutarsi di aggiungersi ai soldati nazisti per fare violenza alla propria gente?

L’elenco delle località colpite nel Cuneese compone una dolorosa litania e suona come preghiera.

Voglio ricordarle.

Furono decorate con Medaglie d’oro, d’argento o di bronzo, o con Croci di guerra: Cuneo, l’intera Provincia, Alba, Boves, Borgo San Dalmazzo, Dronero; Clavesana, Peveragno, Cherasco, Busca, Costigliole Saluzzo, Genòla, Trinità, Venasca, Ceva, Pamparato; Mondovì, Priola, Castellino Tanaro, Garessio, Roburent, Paesana, Narzòle, Rossana, Savigliano; Barge, San Damiano Macra, Villanova Mondovì.

Alla memoria delle vittime e alle sofferenze degli abitanti la Repubblica oggi si inchina.

Questo pomeriggio mi recherò a Boves, prima città martire della Resistenza, Medaglia d’oro al Valor militare e Medaglia d’oro al Valor Civile.

Lì si scatenò quella che fu la prima strage operata dai nazisti in Italia.

Una strage che colpì la popolazione inerme e coloro che avevano tentato di evitarla: Antonio Vassallo, don Giuseppe Bernardi, ai quali è stata tributata dalla Repubblica la Medaglia d’oro al Valor civile; don Mario Ghibaudo. I due sacerdoti, recentemente proclamati beati dalla Chiesa cattolica, testimoni di fede che non vollero abbandonare il popolo loro affidato, restarono accanto alla loro gente in pericolo.

E da Boves vengono segni di un futuro ricco di speranza: la Scuola di pace fortissimamente voluta dall’Amministrazione comunale quasi quarant’anni or sono e il gemellaggio con la cittadina bavarese di Schondorf am Ammersee, luogo dove giacciono i resti del comandante del battaglione SS responsabile della feroce strage del 19 settembre 1943.

A Borgo San Dalmazzo visiterò il Memoriale della Deportazione.

Borgo San Dalmazzo, dove il binario alla stazione ferroviaria è richiamo quotidiano alla tragedia della Shoah.

Cuneo, dopo Roma e Trieste, è la terza provincia italiana per numero di deportati nei campi di sterminio in ragione dell’origine ebraica.

Accanto agli ebrei cuneesi che non riuscirono a sfuggire alla cattura, la più parte di loro era di nazionalità polacca, francese, ungherese e tedesca. Si trattava di ebrei che, dopo l’8 settembre, avevano cercato rifugio dalla Francia in Italia ma dovettero fare i conti con la Repubblica di Salò.

Profughi alla ricerca di salvezza, della vita per sé e le proprie famiglie, in fuga dalla persecuzione, dalla guerra, consegnati alla morte per il servilismo della collaborazione assicurata ai nazisti.

Dura fu la lotta per garantire la sopravvivenza dell’Italia nella catastrofe cui l’aveva condotta il fascismo. Ci aiutarono soldati di altri Paesi, divenuti amici e solidi alleati: tanti di essi sono sepolti in Italia.

A questa lotta si aggiunse una consapevolezza: la crisi suprema del Paese esigeva un momento risolutivo, per una nuova idea di comunità, dopo il fallimento della precedente.

Si trattava di trasfondere nello Stato l’anima autentica della Nazione.

Di dare vita a una nuova Italia.

Impegno e promessa realizzate in questi 75 anni di Costituzione repubblicana. Una Repubblica fondata sulla Costituzione, figlia della lotta antifascista.

Le Costituzioni nascono in momenti straordinari della vita di una comunità, sulla base dei valori che questi momenti esprimono e che ne ispirano i principi.

Le “Repubbliche” partigiane, le zone libere, nelle loro determinazioni e nel loro operare furono anticipatrici della nostra Costituzione.

È dalla Resistenza che viene la spinta a compiere scelte definitive per la stabilità delle libertà del popolo italiano e del sistema democratico, rigettando le ambiguità che avevano consentito lo stravolgimento dello Statuto albertino operato con il fascismo.

Se il decreto luogotenenziale del 2 agosto 1943 – poco dopo la svolta del 25 luglio – prevedeva, non appena ve ne fossero le condizioni, l’elezione di una nuova Camera dei Deputati, per un ripristino delle istituzioni e della legalità statutaria, fu il decreto del 25 giugno 1944 – pochi giorni dopo la costituzione del primo Governo del CLN – a indicare che dopo la liberazione del territorio nazionale sarebbe stata eletta dal popolo, a suffragio universale, un’Assemblea costituente, con il compito di redigere la nuova Costituzione. Per questo quel decreto viene definito la prima “Costituzione provvisoria”.

Seguirà poi il referendum, il 2 giugno 1946, con la Costituente e la scelta per la Repubblica.

La rottura del patto tra Nazione e monarchia, corresponsabile, quest’ultima, di avere consegnato l’Italia al fascismo, sottolineava l’approdo a un ordinamento nuovo.

La Costituzione sarebbe stata la risposta alla crisi di civiltà prodotta dal nazifascismo, stabilendo il principio della prevalenza sullo Stato della persona e delle comunità, guardando alle autonomie locali e sociali dell’Italia come a un patrimonio prezioso da preservare e sviluppare.

Una risposta fondata sulla sconfitta dei totalitarismi europei di impronta fascista e nazista per riaffermare il principio della sovranità e della dignità di ogni essere umano, sulla pretesa di collettivizzazione in una massa forzata al servizio di uno Stato in cui l’uomo appare soltanto un ingranaggio.

Il frutto del 25 aprile è la Costituzione.

Il 25 aprile è la Festa della identità italiana, ritrovata e rifondata dopo il fascismo.

È nata così una democrazia forte e matura nelle sue istituzioni e nella sua società civile, che ha permesso agli italiani di raggiungere risultati prima inimmaginabili.

E qui a Cuneo, mentre la guerra infuriava, veniva sviluppata un’idea di Costituzione che guardava avanti.

Pionieri Duccio Galimberti e Antonino Rèpaci.

Guardava a come scongiurare per il futuro i conflitti che hanno opposto gli Stati europei gli uni agli altri, per dar vita, insieme, a una Costituzione per l’Europa e a una per l’Italia. Dall’ossessione del nemico alla ricerca dell’amico, della cooperazione.

La Costituzione confederale europea si accompagnava alla proposta di una “Costituzione interna”.

Obiettivo: “liberare l’Europa dall’incubo della guerra”.

Sentiamo riecheggiare in quello che appariva allora un sogno, il testo del preambolo del Trattato sull’Unione Europea: “promuovere pace, sicurezza, progresso in Europa e nel mondo”.

Un sogno che ha saputo realizzarsi per molti aspetti in questi settant’anni. Anche se ancora manca quello di una “Costituzione per l’Europa”, nonostante i tentativi lodevoli di conseguirla.

Chiediamoci dove e come saremmo se fascismo e nazismo fossero prevalsi allora!

Nel lavoro di Galimberti e Rèpaci troviamo temi, affermazioni, che sono oggi realtà della Carta costituzionale italiana, come all’art. 46: “le differenze di razza, di nazionalità e di religione non sono di ostacolo al godimento dei diritti pubblici e privati”.

Possiamo quindi dire, a buon titolo: Cuneo, città della Costituzione!

Galimberti era stato a Torino allievo di Francesco Ruffini, uno dei docenti universitari che, rifiutando il giuramento di fedeltà al fascismo, fu costretto ad abbandonare l’insegnamento.

Accanto a Galimberti e Rèpaci, altri si misurarono con la sfida di progettare il futuro.

Silvio Trentin, in esilio dal 1926, nel suo “Abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell’Italia”, dettato al figlio Bruno nel 1944, era sostenitore, anch’egli, dell’anteriorità dei diritti della persona rispetto allo Stato.

E Mario Alberto Rollier, con il suo “Schema di costituzione dell’unione federale europea”. Testi, entrambi, di forte ispirazione federalista.

Si tratta, nei tre casi, di esponenti di quel Partito d’Azione di cui incisiva sarà l’influenza nel corso della Resistenza e dell’avvio della vita della Repubblica.

La crisi della monarchia e quella del fascismo apparivano ormai irreversibili, tanto da indurre un gruppo di intellettuali cattolici a riunirsi a Camaldoli, a pochi giorni dal 25 luglio 1943, con l’intento di riflettere sul futuro, dando vita a una Carta di principi, nota come “Codice di Camaldoli”, che lascerà il segno nella Costituzione. Con la proposta di uno Stato che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini.

Per tornare alla “Costituzione di Duccio”, apparivano allora utopie alcune sue previsioni come quella di una “unica moneta europea”. Oggi realtà.

O quella di “un unico esercito confederale”. E il tema della difesa comune è, oggi, al centro delle preoccupazioni dell’Unione Europea, in un continente ferito dall’aggressione della Federazione Russa all’Ucraina.

Sulla scia di quei “visionari” che, nel pieno della tragedia della guerra e tra le macerie, disegnavano la nuova Italia di diritti e di solidarietà, desidero sottolineare che onorano la Resistenza, e l’Italia che da essa è nata, quanti compiono il loro dovere favorendo la coesione sociale su cui si regge la nostra comunità nazionale.

Rendono onore alla Resistenza i medici e gli operatori sanitari che ogni giorno non si risparmiano per difendere la salute di tutti. Le rendono onore le donne e gli uomini che con il loro lavoro e il loro spirito di iniziativa rendono competitiva e solida l’economia italiana.

Le rendono onore quanti non si sottraggono a concorrere alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva.

Il popolo del volontariato che spende parte del proprio tempo per aiutare chi ne ha bisogno.

I giovani che, nel rispetto degli altri, si impegnano per la difesa dell’ambiente.

Tutti coloro che adempiono, con coscienza, al proprio dovere pensando al futuro delle nuove generazioni rendono onore alla liberazione della Resistenza.

Signor Presidente della Regione, lei ha definito queste colline, queste montagne “geneticamente antifasciste”.

Sappiamo quanto dobbiamo al Piemonte, Regione decorata, a sua volta, con la Medaglia d’oro al merito civile

Ed è alle donne e agli uomini che hanno animato qui la battaglia per la conquista della libertà della Patria che rivolgo il mio pensiero rispettoso.

Nuto Revelli ha parlato della sua esperienza di comandante partigiano e della lotta svolta in montagna come di un vissuto di libertà: di un luogo dove era possibile assaporare il gusto della libertà prima che venisse restituita a tutto il popolo italiano.

Una terra allora non prospera, tanto da ispirargli i racconti del “mondo dei vinti”.

Una terra ricca però di valori morali.

Non c’è una famiglia che non abbia memoria di un bisnonno, di un nonno, di un congiunto, di un alpino caduto in Russia, nella sciagurata avventura voluta dal fascismo.

Non c’è famiglia che non ricordi il sacrificio della Divisione alpina “Cuneense” nella drammatica ritirata, con la Julia. Un altro esempio. Un altro monito alla dissennatezza della guerra.

Rendiamo onore alla memoria di quei caduti.

Grazie da tutta la Repubblica a Cuneo e al Cuneese, con le sue Medaglie al valore!

Come recita la lapide apposta al Municipio di questa città, nell’ottavo anniversario dell’uccisione di Galimberti, se mai avversari della libertà dovessero riaffacciarsi su queste strade troverebbero patrioti.

Come vi è scritto: “morti e vivi collo stesso impegno, popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza”.

Viva la Festa della Liberazione!

Viva l’Italia!

Qui il collegamento al discorso

Il 25 aprile è una gran festa, per la LIBERTÀ ritrovata, ma quanti sono morti per arrivare ad essa!

Il rastrellamento dell’8 ottobre 1944

A cura di Sandro Centi, membro del Consiglio di Amministrazione dell’ISR-ETS

Una premessa

Per comprendere meglio l’argomento trattato, può essere utile fare una breve ricostruzione storica degli avvenimenti che precedono l’8 ottobre 1944: mi soffermerò, per brevità, solo sugli antecedenti della Brigata Vanni, coinvolta, insieme ad altre forze partigiane, in esso. Il motivo di ciò è dato dal fatto che di tale Brigata non è stata ancora scritta una storia, e che quindi può essere utile delinearne alcuni caratteri.1

Il nucleo originario della futura Brigata Vanni nasce, nei primi giorni di giugno 1944, ad Adelano di Zeri, intorno a Primo Battistini (“Tullio”), al rientro di quest’ultimo, con pochi uomini, dalla Val di Taro e dalla Val di Ceno.

Questo gruppo, che si rafforza come quantità progressivamente, ha come Comandante Primo Battistini “Tullio” e come Commissario politico Giovanni Albertini “Luciano”. Denominato dapprima Brigata “Signanini”, verso la fine di luglio 1944, nell’ambito della nascita del Comando Unico affidato al Colonnello Mario Fontana “Turchi”, assume il nome di Brigata d’Assalto “Melchiorre Vanni”, con all’attivo più di duecento uomini.

I suoi Distaccamenti trovano posto in tale periodo nelle località di Adelano, Coloretta, Noce, Monte Favà, Patigno e Monte Malone, sul quale si svolgeranno i primi lanci.

Questa striscia di territorio offriva, oltre a un discreto isolamento, dato dal fatto che c’era una sola strada carrozzabile proveniente da Pontremoli, anche il vantaggio della posizione predominante per affrontare un eventuale combattimento in condizioni favorevoli. Da tali postazioni, gli uomini della Vanni, dovevano sostenere lunghe marce notturne per giungere in territorio nemico, a svolgere azioni di sabotaggio oppure di recupero di armi e materiale alimentare o prelevamenti di militari nemici, da utilizzare per scambio di prigionieri. “I più attivi erano sempre i vecchi ragazzi della Vanni”, ricorda il partigiano Saverio Sampietro (“Falchetto”), “che ormai si erano abituati a resistere ai sacrifici, alle fatiche, nell’affrontare tedeschi e fascisti”.

Basti ricordare, tra le altre, l’azione, che passerà alla storia come “La beffa di Ceparana” (24 luglio 1944), quando la squadra di Eugenio Lenzi “Primula Rossa”, composta di 15 partigiani, tra cui Giuseppe Mirabello “Apollo”, Francesconi Fausto (“Furia”) e Giovanni Cozzani (“Ciccio”), scende al piano ed effettua un clamoroso colpo di mano contro i magazzini generali tedeschi a Ceparana, catturando militari tedeschi e repubblichini, impossessandosi anche di grandi quantitativi di generi alimentari. 

Purtroppo il 3 agosto 1944 ha inizio il primo rastrellamento in grande stile delle forze nazifasciste. Viene investita l’intera zona compresa tra il Vara, il Magra, il Taro. Partecipano all’azione reparti della X^ Mas, della G.N.R., delle Brigate nere, alpini della Monte Rosa e alpini tedeschi, in tutto 10.000 uomini.

Tutta la struttura organizzativa della Resistenza del territorio, che poi diventerà 4^ Zona Operativa, non ancora efficiente e solida, è messa a dura prova.

La scarsità di armi, l’impreparazione militare, politica, psicologica dei singoli partigiani (molti uomini erano arrivati da poco ai monti), la mancata organizzazione di una ordinata difesa da parte del Comando di Divisione, furono i principali fattori che determinarono lo sbandamento di interi reparti partigiani. Solo una efficace resistenza della Brigata “Cento Croci” e reparti di Giustizia e Libertà di Bucchioni, permise ai resti delle altre Brigate di ripiegare, seppur con gravi perdite. Si distinse, per spirito combattivo e coraggio, però, anche il distaccamento della Vanni dislocato al Ponte dei Rumori di Noce, guidato da Duilio Lanaro (“Sceriffo”), che seppe tener testa all’impeto delle colonne nazifasciste che risalivano da Pontremoli per entrare nello Zerasco. 

Dopo lo sbandamento, e la destituzione del Comandante Primo Battistini “Tullio”, al momento del rastrellamento non presente (unico sottoposto poi ad inchiesta, e la cui posizione è però variamente interpretata ed interpretabile), per la Vanni l’opera di ricomposizione risultò molto laboriosa. L’opera di riorganizzazione fu affidata al Commissario politico Giovanni Albertini “Luciano” che, già pochi giorni dopo, era fiducioso di riuscire presto nell’impresa e scriveva “In questo momento la Brigata si sta organizzando alacremente “. Albertini fidava altresì nel rientro di alcune forze rimaste alle dipendenze del destituito “Tullio”, ma questa speranza andò delusa, perché diversi ex effettivi della Vanni non si staccarono da lui, e questo dimostra come egli esercitasse ancora un forte ascendente su tanti partigiani, specialmente i più giovani. 

La Vanni, comunque, si ricostituì in fretta e, seppur ridotta numericamente, ritornò presto operativa.

Comandante venne nominato Duilio Lanaro (“Sceriffo”) e Commissario politico rimase Giovanni Albertini “Luciano”.  Essi, insieme a un centinaio di uomini, si spostarono prima su Fontana Gilente e poi in località “Boschetto”, zona compresa tra il passo dei Due Santi e Albareto di Borgotaro. Si sistemarono, ad eccezione del distaccamento comandato da “Primula Rossa”, che si trovava a Montedivalli, in alcune capanne di montagna con un po’ di fieno per le bestie.     

Anche in quel periodo tuttavia furono frequenti le partenze di squadre di sabotatori che andavano a compiere azioni militari verso Bolano, Piana Battolla, Follo, Ceparana e periferia della Spezia. Vale la pena ricordare la distruzione del famoso ponte parabolico ferroviario di Ostia Parmense attuata da una squadra di sabotatori della Vanni, in collaborazione con un distaccamento della Brigata Julia operante nella zona, che interruppe la linea La Spezia-Parma fino alla fine della guerra.

A metà settembre il Comando di Divisione decide lo spostamento della Vanni nella zona del Calicese. Dapprima la Brigata prende posto a Santa Maria, poi il Comando di essa si sposta, secondo la testimonianza di Saverio Sampietro (“Falchetto”) presso le Case Carzachi, tra Monte Alpicella e Monte Ciliegia. Inoltre Duilio Lanaro, (“Sceriffo”), Comandante della Vanni, in un rapporto al Comando di Divisione specifica che “Tre compagnie di circa 70 uomini ciascuna, sono sistemate sul crinale che corre dal Monte Pietrebianche fin sopra Montebello, con un ulteriore distaccamento a Tranci di Montedivalli”. 

Arriva così l’8 OTTOBRE 1944

Per capire meglio il dipanarsi del rastrellamento, occorre conoscere bene le forze in campo, la loro consistenza e la loro dislocazione.

La Brigata Vanni contava su una forza di circa 230 uomini,

La Colonna Giustizia e Libertà è coinvolta nel rastrellamento solo con uno dei due Battaglioni che la compongono e cioè il Battaglione Val di Vara, formato da tre compagnie per un numero complessivo di quasi 300 uomini. Per ultimo c’è il Battaglione Picelli di Nello Quartieri con circa 60-80 uomini.

Vediamo nella cartina seguente la loro dislocazione. 

Anche in questa circostanza, come nel rastrellamento del 3 agosto, siamo di fronte ad una forte disparità, sia nel numero di combattenti impiegati, sia nelle armi in dotazione. Tremila e più nazifascisti, armati di tutto punto, contro poche centinaia di partigiani molti dei quali privi di armamento personale.

La zona interessata al rastrellamento è quella delimitata dal perimetro costruito sulle località di Rocchetta Vara, Suvero, Casoni, Montereggio, Mulazzo, Parana, Tresana, Bolano, Piana Battolla, Madrignano, Castiglione Vara, con al centro la vallata di Calice.

Come si può intuire dalle località coinvolte, il rastrellamento interessa la metà circa del territorio che costituirà la 4^ Zona Operativa. 

La manovra a tenaglia, visibile nella cartina seguente, prevedeva di far convergere le truppe nazifasciste, dalle ali esterne di partenza, verso un solo punto centrale, che, in questo caso, era rappresentato dalla conca di Calice. 

L’attacco nazifascista fu sferrato con reparti di alpini della Monterosa, della X^ Mas, di Brigate nere, di tedeschi e truppe mongole. La Brigata Vanni e il Battaglione Val di Vara di Giustizia e Libertà, come vedremo, risentirono il maggior peso del combattimento. Certamente, nel suo complesso, l’operazione antiguerriglia si risolse in un insuccesso dei nazifascisti che, non riuscendo, come invece era avvenuto il 3 agosto, a scompaginare il dispositivo partigiano, abbandonarono dopo tre lunghe giornate l’impresa, consolandosi con il comunicare, attraverso la stampa e la radio, la falsa notizia di centinaia di morti e di feriti partigiani e di mezzo migliaio di prigionieri. 

In realtà il bilancio degli scontri è di 47 perdite partigiane, tra morti, feriti e catturati e un centinaio di perdite nazifasciste.

Pietro Beghi, Segretario del C.L.N. provinciale, annoterà: “L’8 ottobre ‘44 un nuovo rastrellamento compiuto da ingenti forze nazifasciste ha posto a dura prova le nostre formazioni, le quali, forti di una migliore organizzazione, si comportarono brillantemente mantenendo integro il loro inquadramento.” E ancora, la relazione del Comandante di Divisione Colonnello Mario Fontana: “Nei recenti rastrellamenti si sono particolarmente distinti i reparti della Brigata Vanni e il Distaccamento Bucchioni della Colonna Giustizia e Libertà. Detti reparti, che non hanno potuto, come da ordine del Comando, effettuare per tempo lo sganciamento previsto, hanno accettato e ricercato il combattimento, infliggendo al nemico gravi perdite”.

Come si svolsero i fatti

Alle prime ore del mattino del giorno 8 pattuglie della Vanni e di Giustizia e Libertà segnalano la presenza di forti contingenti tedeschi autocarrati nelle località di Piana Battolla, Rocchetta Vara, Mulazzo.

A quel punto in tutta la vallata di Calice risuona l’allarme generale, che indica un pericolo grave ed imminente. 

Da Rocchetta, dove le truppe tedesche si sono concentrate durante la notte, al mattino presto si muovono due colonne, una diretta a Veppo e l’altra verso Suvero. Alle ore 8 si segnala l’arrivo a Suvero di 12 autocarri carichi di SS tedesche. Messa in allarme, la 1^ Compagnia della Colonna Giustizia e Libertà, comandata da Daniele Bucchioni “Dany”, viene schierata a difesa nella zona compresa tra il monte Bastia e Foce di Borseda, a sbarramento delle provenienze da Rocchetta Vara.

Alle 8 circa le prime pattuglie tedesche, percorrendo la mulattiera che sale dall’abitato di Veppo, protette da violento fuoco di accompagnamento, giungono a poca distanza dalle file partigiane. Al segnale convenuto il fuoco di arresto dei partigiani si scatena all’improvviso facendo cadere numerosi nazifascisti. 

Dopo i primi sbandamenti, i tedeschi si riorganizzano e, con l’ausilio di nuovi reparti sopraggiunti e del fuoco di alcuni pezzi di artiglieria piazzati sulla rotabile sotto Veppo, tentano un nuovo attacco, ma anche questo viene respinto.

A metà mattinata giunge la notizia che reparti tedeschi sopraggiunti a Prati di Forno, provenienti da Beverone, tentano un aggiramento delle forze partigiane. Un’altra brutta notizia arriva dal versante opposto, dove una forte colonna tedesca, che da Suvero ha raggiunto i Casoni, scende da Monte Bastia per colpire al fianco la linea di difesa partigiana alla Foce di Borseda. Ai Casoni i tedeschi sono passati indisturbati: qualcosa non ha funzionato. Sulla mancata resistenza ai Casoni da parte della Compagnia lì dislocata i Comandi della GL espressero severe critiche, anche perché non si era provveduto ad avvertire i reparti impegnati alla Foce di Borseda del pericolo che incombeva dall’alto.

A quel punto Bucchioni, per evitare l’accerchiamento, ordina il disimpegno delle squadre più minacciate e via via delle altre, un ripiegamento verso i boschi di Debeduse e Borseda, occultando le armi pesanti. Rimangono a coprire la ritirata soltanto il Comandante Bucchioni e il giovanissimo Gerolamo Spezia “Piero” che dalla loro postazione sparano rabbiosamente in tutte le direzioni. Ormai il cerchio di fuoco si stringe inesorabilmente su di loro. Una raffica di traccianti colpisce il povero Spezia alla testa e in pieno petto, e muore all’istante. A quel punto Bucchioni, sparando all’impazzata, approfittando di una bomba fumogena lanciata dai tedeschi, in mezzo a un inferno di fuoco, si lancia giù per il pendio, riuscendo a ricongiungersi con i propri uomini. I tedeschi dilagano su Borseda, sfogando tutta la furia su poveri civili e, dopo aver razziato il bestiame, temendo un contrattacco partigiano si avviano verso valle. Il bilancio di questa epica battaglia indica è di cinquanta morti nazifascisti, tre morti partigiani e oltre dieci uomini dichiarati dispersi. Furono quattro i civili barbaramente uccisi. 

Un’altra direttrice dell’attacco concentrico messo in atto dalle forze nazifasciste è quella proveniente da est, dalla vallata del Magra, partendo dai paesi di Mulazzo e Tresana.

Un tratto di questo versante della catena divisoria tra il Vara e il Magra è occupato dal Battaglione Picelli di Nello Quartieri (“Italiano”), con il grosso della formazione schierato alla Crocetta di Mulazzo e un distaccamento posizionato leggermente più a sud, in un casone sopra la frazione di Parana, dove, nell’abitato, si trova anche un distaccamento di Giustizia e Libertà comandato da Ferruccio Bardotti.

Il mattino presto dell’8 ottobre viene dato l’allarme su un movimento di truppe nella strada tra Mulazzo e il bivio Parana-Montereggio, poiché lì, allora, terminava la strada rotabile. Tutto il Battaglione Picelli si mobilita, ma il rastrellamento arriva su di esso all’improvviso. Dopo gli scontri a fuoco alla Madonna del Monte, a Montereggio e a Crocetta, che si protraggono fino alle due del pomeriggio, tutte le forze del Battaglione ripiegano sui crinali e decidono lo sganciamento alla Formentara di Zeri.

Nei combattimenti rimane ucciso un partigiano del vicino Battaglione Internazionale, un altro è ferito, e un altro ancora viene catturato e poi fucilato.  Il rastrellamento ha duramente scosso gli uomini del Picelli, che si sentono abbandonati dal Comando di Divisione, lasciati senza lanci e ridotti in miserevoli condizioni di armamento e vestiario. Seguirà, per fortuna, un chiarimento risolutore che porterà successivamente alla costituzione di un nuovo Battaglione, denominato Matteotti-Picelli, comandato sempre da Nello Quartieri, che entrerà a far parte della futura Brigata Gramsci.

Ritorniamo allo svolgimento del rastrellamento per vedere cosa è successo al distaccamento della GL stanziato a Parana. Alle prime luci del giorno, il tenente Ferruccio Bardotti, messo al corrente dell’arrivo di ingenti forze nemiche, lascia l’abitato di Parana e, risalendo la costa, prova a costituire una linea di difesa sul crinale del monte. Vista però la enorme superiorità dell’attaccante, ripiega e raggiunge il Comando della GL a Fresoni. Insieme al “Boia” (Vero Del Carpio, Comandante della Colonna) e altri addetti del Comado riuscirà ad occultarsi negli anfratti del torrente Mangiola. Lo stesso “Boia”, è bene ricordarlo, aveva impartito disposizioni che prevedevano di difendere le posizioni, se si era in presenza di truppe della R.S.I., e di sganciarsi, se si trattava di forti contingenti tedeschi. 

Il Colonnello Fontana, col suo Comando di Divisione si trova al Cerro, ma riesce ad allontanarsi, puntando su Fontanafredda, prima che la località venga raggiunta dalle truppe che salgono da Mulazzo. Queste truppe, in perfetto assetto di guerra, sono formate da tedeschi, mongoli e Brigate nere con reparti di SS italiane, guidate dal criminale torturatore, tristemente noto alla Spezia, Aurelio Gallo, che, appena arrivato a Parana, ordina di incendiare la casa che aveva ospitato il Distaccamento GL.

Durante la notte, tra otto e nove ottobre, era caduta abbondante pioggia, che aveva limitato le operazioni militari e le attività di pattuglia. Comunque i tedeschi e i fascisti, provenienti da più direzioni, si attestarono nei paesi del versante orientale (Castello, Santa Maria e Nasso). Ritennero pericolosa la permanenza a Borseda e a Debeduse, che pertanto tornarono sotto il controllo partigiano. 

Rimangono da spiegare gli avvenimenti del terzo fronte di attacco, quello portato da sud, che, nelle intenzioni del Comando germanico, avrebbe dovuto chiudere il cerchio intorno alle formazioni partigiane, per poi distruggerle.

In questo caso viene investita maggiormente la Brigata Vanni che, subendo vari scontri a fuoco, perde 13 combattenti.  

Come abbiamo visto, fin dalle prime ore dell’8 ottobre, forti contingenti tedeschi si stanno ammassando nei pressi di Piana Battolla.  Si crea un collegamento tra il Distaccamento comandato da “Primula Rossa” della Brigata Vanni, collocato a Tranci, e partigiani di Giustizia e Libertà della 2^ Compagnia stanziati poco sopra Piana Battolla. Intanto le truppe nazifasciste, prima di superare il ponte sul Vara, hanno effettuato un rastrellamento nell’abitato di Piana Battolla, in cui muore un operaio e un partigiano, gravemente ferito, perde la vita nei giorni successivi. 

I tedeschi, dopo aver razziato capi di bestiame a Castiglione e Beverino, formano uno schieramento che si estende da Padivarma alle pendici di Montebello, vicino a Bolano, con una colonna, che fa da caposaldo, dislocata nella frazione di Usurana, per bloccare ogni uscita a valle della conca di Calice. Sempre nella mattinata si aggiunge un altro forte contingente tedesco, che si mette in movimento da Tivegna, irradiandosi in tutte le direzioni. 

Il rastrellamento parte fulmineo e non dà tempo ai Comandi partigiani di organizzare una difesa efficace, perciò viene deciso di desistere alle prime puntate tedesche per mettere in salvo il materiale pesante e sganciarsi in un secondo tempo. Infatti, il gruppo di “Primula Rossa” si allontanerà da Tranci, dirigendosi verso i boschi di monte Falò, perché, dato l’esiguo numero di combattenti, non è in grado di contenere la forte spinta nemica. 

Le cose non vanno bene nemmeno nella zona di Madrignano dove, in uno scontro a fuoco, perdono la vita tre partigiani della Vanni: Ferri Lindo, Allegria Mario e Rabez Ivan, un partigiano russo.

Intanto verso le 13 del pomeriggio, più a monte, una parte del distaccamento di Case Carzachi della “Vanni” si è disposto a bloccare la strada di Calice e, sempre d’intesa con reparti di Giustizia e Libertà, l’altra parte di distaccamento si schiera su altre posizioni per respingere eventuali attacchi da Madrignano. 

Proprio mentre questi uomini si apprestano a sostenere l’urto del nemico, nella zona tenuta dalla Vanni, cominciano a circolare diversi elementi sbandati di altre formazioni, privi anche delle armi personali, che contribuiscono a determinare un clima di confusione e scompiglio nelle file dei combattenti.  Questo fatto, molto destabilizzante, viene riportato nel rapporto finale del Comando di Brigata firmato dal Comandante Duilio Lanaro (“Sceriffo”) Comandante e dal commissario Politico Giovanni Albertini (“Luciano”). 

Il primo reparto tedesco, giunto a tiro, viene preso sotto il fuoco di un mitragliatore e perde 7 uomini, ma gli attacchi successivi e l’intensificarsi del fuoco nemico spezzano ogni velleità di resistenza, quindi lo sganciamento ordinato dal Comando viene effettuato molto disordinatamente. 

Nel tardo pomeriggio “Sceriffo” e “Luciano” si portano con due plotoni nei pressi di Martinello, verso il piano, per effettuare un attacco contro i rincalzi tedeschi che stanno affluendo in zona. Appostato un plotone a sud di Martinello e uno fra Martinello e Novegina, con l’ausilio di elementi di Giustizia e Libertà, attaccano una compagnia nemica di circa 60 effettivi, che sta transitando, e provocano 47 perdite, tra morti e feriti. Il contingente della Vanni è però quasi subito esposto al fuoco di un’altra Compagnia nemica, piazzata più ad ovest del fiume: lo sganciamento si può effettuare solo al calar della notte. Alla sera del giorno 8 ottobre quasi tutte la frazioni, con le eccezioni di Borseda e Debeduse, sono occupate dai nazifascisti. I partigiani sono tutti intorno, nascosti nei boschi e nei canali. Durante la notte, comincia la pioggia, a tratti torrenziale, che continuerà a cadere fino alla fine del rastrellamento. Il giorno 9 un forte distaccamento della Vanni si trova nel canalone dei Carzachi e decide di affrontare e attaccare i rastrellatori che pattugliano vari punti della montagna.

Sotto l’acquazzone partono a gruppi gli uomini, i quali, prese direzioni diverse, scelgono condizioni favorevoli per portare attacchi e imboscate. Purtroppo, nella Pineta di Calice, una squadra della Vanni, dislocata sul Monte Alpicella, si scontra con un forte contingente nazifascista salito dal madrignanese e, nella rabbiosa sparatoria che si scatena, perdono la vita 7 partigiani. Un cippo li ricorda. Sono: Ferrari Mario, Montefiori Giorgio, Marchini Armando, Montefiori Giulio, Ruggeri Luigi, Cioli Ovidio, e un Patriota non identificato. Altri tre perdono la vita nei pressi di Ferdana di Calice, mentre si spostano su Forno. Sono i partigiani Botto Giuseppe, Ferrari Attilio e Moretti Giovanni.

Il rastrellamento prosegue per tutto il giorno 9 ma, verso sera, le truppe tedesche cominciano a defluire verso valle, lasciando alla retroguardia reparti delle Brigate nere. Il giorno 10 il rastrellamento perde ulteriormente di intensità e il giorno 11 reparti della Brigata nera giunti alle ore 2 a Piana Battolla occupano e controllano tutto il paese, procedendo alle 6 di mattino ad un rastrellamento nell’abitato, con l’arresto di tutti gli uomini trovati. Durante il periodo di permanenza in paese la Brigata nera si dà al saccheggio più sfrenato in tutte le case. 

Finiva così il secondo rastrellamento in grande stile attuato dalle forze nazifasciste in quella che da dicembre avrebbe assunto la denominazione di IV Zona Operativa. 

Considerazioni finali

Come già visto anche in altre occasioni, la collaborazione fra uomini delle diverse formazioni avveniva, sul campo, senza problemi. L’attacco di Martinello, che causò notevoli perdite al nemico (47 tra morti e feriti), perché diversi automezzi furono centrati con bombe al plastico, fu condotto secondo i canoni classici della guerriglia: una colonna nemica fu sorpresa durante un trasferimento e colpita dall’alto della scarpata stradale (non vi furono perdite tra gli attaccanti).

L’11 ottobre i reparti nazifascisti si erano ritirati dalla zona colpita dal rastrellamento ed in pochi giorni ci fu la completa riorganizzazione delle forze partigiane. 

Ma non mancarono le polemiche. Di fronte ad un episodio militare come questo rastrellamento, che può essere ritenuto una sconfitta per gli attaccanti, i quali fallirono i loro obiettivi, stupisce, a mio parere, che nei primi rapporti dei Comandi, i quali in seguito modificheranno però il loro giudizio, siano state espresse critiche pesanti sull’operato del movimento partigiano. Certamente ciò è da attribuire alla pretesa di una perfezione organizzativa ed operativa dei reparti partigiani che non c’era e non poteva esserci. Non va inoltre dimenticato il concetto che finalmente era prevalso, malgrado la riluttanza dei militari di carriera, che il vero senso dell’attività delle formazioni consistesse nel conservare la propria capacità offensiva, usandola dove e quando l’autonoma iniziativa lo decidesse, e, al contrario, nel non accettare il combattimento secondo le condizioni e il momento scelto dal nemico, come appunto avveniva nei rastrellamenti. 

Certo, in questa occasione, il limite tra il combattimento attivo e il disimpegno, non fu uniformemente interpretato e applicato. Fu evidente che i Comandi avrebbero dovuto essere più chiari, e proprio di tale riflessione fu fatto tesoro in occasione del grande rastrellamento del gennaio 1945.

Infatti, il concetto di “sganciamento” sarebbe stato correttamente inteso, a gennaio, come un’operazione normale, da effettuare ogni volta che fosse possibile evitare il combattimento in condizioni sfavorevoli, mantenendo nel contempo, se non la compattezza, almeno l’integrità dei reparti. 

Da questo punto di vista salta agli occhi il progresso compiuto dell’agosto all’ottobre 1944. Molte testimonianze riferiscono che, spostandosi all’interno della zona rastrellata, si incontravano gruppi sparsi di partigiani, ma non si aveva l’impressione del panico, non erano state gettate le armi e, soprattutto, prevaleva la coscienza di riprendere subito dopo l’attività di reparto. 

Un ricordo personale

Con una certa emozione, chiudo questo articolo facendo un omaggio alla memoria di mio padre, Sergio Centi, partigiano della Brigata Vanni, e con lui, non potendoli nominare uno ad uno, vorrei dire grazie a tutti gli altri combattenti dell’8 ottobre 1944: a quelli della Vanni, di Giustizia e Libertà e del Picelli, ma vorrei anche ricordare la popolazione civile delle zone investite dal rastrellamento, colpita da uccisioni, violenze e ruberie. E, insieme a loro, occorre dire, e ribadire, con i dati numerici alla mano, specie in tempi di smemoratezza storica come quelli che viviamo, che tanti furono i morti lungo il cammino resistenziale: da quelli degli organismi politici, come il CLN, a quelli della Cento Croci, della Muccini, della Costiera, del Pontremolese, del Matteotti-Picelli, del Maccione, della Compagnia Arditi, dei V.A.L., della Leone Borrini, delle S.A.P. e dei G.A.P., insomma degli appartenenti a tutte le ramificazioni della rete clandestina.

Tantissimi furono i deportati nei campi di concentramento: La Spezia ha, nell’ambito della deportazione, un tragico primato, registrando, percentualmente, rispetto alle altre città italiane, più deportati, e annoverando il maggior numero di vittime a Mauthausen.

Acute furono le sofferenze e numerose le perdite nella popolazione civile.

Tornando al rastrellamento dell’8 ottobre, mio padre ha sempre raccontato che per due giorni si era trascinato, al pari dei suoi compagni, bagnato fradicio, nei boschi e nei canali, conducendo una sorta di guerriglia “mordi e fuggi” e trascorrendo le notti dentro i canaloni, semisommerso dall’acqua. Mi diceva anche, però, che, in quelle drammatiche circostanze, aveva ottenuto il permesso del Comando per sconfinare nella zona “libera” di Borseda. Voleva infatti dare l’ultimo saluto all’amico d’infanzia e coetaneo, il diciannovenne vezzanese “Piero” Spezia, deceduto in combattimento con GL e decorato poi di Medaglia d’oro al V.M. alla memoria, la cui salma era stata pietosamente composta nella cappella del cimitero di Borseda. 

Ora, “Piero” e mio padre, riposano, tutti e due a pochi metri di distanza, nel cimitero di Vezzano Ligure.

Mio padre, come altri, è stato tuttavia fortunato perché ha potuto vivere la sua vita, il povero Spezia, e moltissimi come lui, sono morti, spesso nel fiore degli anni.

1 L’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea sta provvedendo a colmare tale lacuna.

Hai presente il 25 aprile?

Un podcast con
Mario Calabresi, Chiara Colombini, Paolo Pezzino

Dal 21 aprile su tutte le piattaforme gratuite di podcast

In occasione dell’Anniversario della Liberazione, Chora Media, in collaborazione con l’Istituto nazionale Ferruccio Parri, ha realizzato un nuovo podcast: Hai presente il 25 aprile? disponibile dal 21 aprile su tutte le piattaforme gratuite.

Dopo il successo del podcast “Hai presente la Marcia su Roma?”, Chora Media torna a parlare del passato recente del nostro paese, con un nuovo podcast in una puntata dedicato alla Liberazione.

In un dialogo composto da domande e risposte in rapida sequenza fra il giornalista e scrittore Mario Calabresi e gli storici Chiara Colombini e Paolo Pezzino, il podcast “Hai presente il 25 aprile?” racconta in 45 minuti una pagina del passato italiano che spesso è data per scontata o riassunta sbrigativamente in poche righe.

Attraverso un format agile e efficace, “Hai presente il 25 aprile?” fornisce una panoramica esaustiva e sintetica sul tema della Liberazione, affidandosi alla voce esperta degli storici dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri.

Perché l’Italia aveva bisogno di essere liberata? Chi sono i protagonisti della Liberazione? Che cosa ha determinato l’avvenuta Liberazione? Perché celebriamo proprio il 25 aprile e perché qualcuno oggi mette in discussione questa celebrazione? Queste sono solo alcune delle domande che Mario Calabresi farà agli storici Chiara Colombini e Paolo Pezzino.

Attraverso le loro risposte sarà possibile avere un quadro più completo ed esplicativo del movimento antifascista, della prigionia e della clandestinità, della Resistenza, dello sbarco degli Alleati, della fine della Seconda guerra mondiale in Italia e delle sue conseguenze politiche e storiche.

EPISODI
Puntata unica (45 min)

I PROTAGONISTI

MARIO CALABRESI
Mario Calabresi, giornalista e scrittore, dirige la podcast company Chora Media, di cui è uno dei fondatori, ed è autore della newsletter settimanale Altre/Storie. È stato direttore de “La Stampa” e “la Repubblica”. Per Mondadori ha pubblicato: Spingendo la notte più in là (2007), La fortuna non esiste (2009), Cosa tiene accese le stelle (2011), Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa (2015), La mattina dopo (2019), Quello che non ti dicono (2020) e Una volta sola (2022). Sarò la tua memoria è il suo primo libro per ragazzi.

PAOLO PEZZINO
Paolo Pezzino ha insegnato Storia contemporanea all’Università di Pisa ed è stato consulente tecnico della Procura militare di La Spezia nelle indagini sulle stragi nazifasciste in Italia. Coordina il Comitato scientifico del progetto per un Atlante delle stragi nazifasciste in Italia, promosso dall’Associazione nazionale dei partigiani d’Italia e dall’Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia.

CHIARA COLOMBINI
Chiara Colombini è storica e ricercatrice presso l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea. Ha curato, tra gli altri, Resistenza e autobiografia della nazione. Uso pubblico, rappresentazione, memoria (con Aldo Agosti, Edizioni SEB27, 2012) e gli Scritti politici.
Tra giellismo e azionismo (1932-1947) di Vittorio Foa (con Andrea Ricciardi, Bollati Boringhieri, 2010) ed è autrice di Giustizia e Libertà in Langa. La Resistenza della III e della X Divisione GL (Eataly Editore 2015) e di Anche i partigiani però… (Laterza, 2021).

L’ISTITUTO NAZIONALE FERRUCCIO PARRI – RETE DEGLI ISTITUTI PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELL’ETÀ CONTEMPORANEA (già Istituto nazionale per la storia del movimento di Liberazione in Italia), è stato fondato il 19 aprile 1949 con il compito di raccogliere, conservare e studiare le carte della Resistenza, è un’associazione no profit riconosciuta, con natura giuridica di diritto privato. L’Istituto nazionale è un sistema federativo paritario di 67 Istituti ed Enti associati presenti su tutto il territorio nazionale, che fonda la propria attività sui valori ispiratori della Resistenza e sugli ideali di antifascismo, democrazia, libertà e pluralismo culturale espressi nella Costituzione della Repubblica italiana e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

CREDITI

HAI PRESENTE IL 25 APRILE?” è una produzione CHORA MEDIA in collaborazione con l’Istituto Nazionale Ferruccio Parri.
La cura editoriale è di Davide Savelli con la collaborazione di Anna Iacovino.
La produzione esecutiva è di Lia Chiòvari.
La supervisione del suono e della musica è di Luca Micheli.
La post-produzione e montaggio è di Luca Micheli e Emanuele Moscatelli.
Il fonico di studio sono Lucrezia Marcelli e Luca Possi

Festival Fact Checking in tour anche alla spezia

Quest’anno il “Festival Fact Checking“, nato lo scorso anno dalla libreria Lo Spazio Pistoia, diventa itinerante.

Festival Fact Checking in tour” porterà i libri della collana, diretta da Carlo Greppi, in giro per la Toscana e la Liguria di Levante.

La rete nasce dalla libreria Lo Spazio Pistoia, ideatrice del progetto con l’Istituto storico della Resistenza di Pistoia, e la collaborazione della libreria Nina di Pietrasanta e Archivi della Resistenza.

Ecco il calendario degli eventi nelle province di Massa Carrara e La Spezia del Festival Fact Checking tour.

Sabato 15 aprile

Tommaso Speccher
Pontremoli – Salone di Palazzo Dosi Magnavacca, ore 17
Indirizzo: Via Ricci Armani, 27
Dialogano con l’autore: Paolo Bissoli (ISRA Pontremoli), Lorenzo Gatti (Università la Sapienza di Roma)
Organizza: ISRA – Istituto Storico della Resistenza Apuana, ANPI Pontremoli “Laura Seghettini”, ANPI Massa Carrara, ARCI Massa Carrara, Museo Audiovisivo della Resistenza, Rete Musei Storia e Memoria del ’900, Archivi della Resistenza.
In collaborazione con Libreria L’Ecclesiastica di Pontremoli
Info: 3701605634 o resistenza.apuana@gmail.com

Alice Borgna
Sarzana – Sala della Repubblica, ore 17
Indirizzo: Via Falcinello, 1
Dialogano con l’autore: Marco Baruzzo (Circolo Pertini Sarzana) e Fabio Certosino (Circolo Pertini Sarzana)
Organizza: Circolo Pertini, ANPI Sarzana, ANPI La Spezia, ARCI La Spezia, Museo Audiovisivo della Resistenza, Archivi della Resistenza.
In collaborazione con Il Mulino dei Libri di Sarzana
Info: 3483362535 o presidente@circolopertinisarzana.eu

Domenica 16 aprile

• Tavola rotonda “Fascismo, Resistenza e fact checking: la storia alla prova dei fatti
con Carlo Greppi, Eric Gobetti, Chiara Colombini, Francesco Filippi, Giovanni Carletti
Fosdinovo – Museo Audiovisivo della Resistenza, ore 11
Indirizzo: Via Prate, 12
Organizza: Archivi della Resistenza, Museo Audiovisivo della Resistenza, Rete Musei Storia e Memoria del ’900,ISRA – Istituto Storico della Resistenza Apuana, Fondazione ETS ISR – Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, ANPI Massa Carrara, ANPI La Spezia, ANPI Fosdinovo, ARCI Massa Carrara, ARCI La Spezia.
A seguire pranzo sociale
Info: 3290099418 o info@archividellarestenza.it

Carlo Greppi
La Spezia – Circolo ARCI Favaro, ore 17.30
Indirizzo: Via Alfredo Oldoini, 8
Dialogano con l’autore: Maria Cristina Mirabello (ISR La Spezia), Emanuele De Luca (Archivi della Resistenza);
introduce Stefania Novelli (ARCI La Spezia)
Organizza: Circolo ARCI Favaro, ARCI La Spezia, ANPI La Spezia, Fondazione ETS ISR – Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, Archivi della Resistenza, Museo Audiovisivo della Resistenza.
In collaborazione con Libreria Liberi Tutti
Info: 3347153794 o arci.favaro@yahoo.com

Chiara Colombini
Carrara – Palco 38, ore 18
Indirizzo: Indirizzo: Via Carriona, 70
Dialogano con l’autrice: Caterina Rapetti (ANPI Pontremoli), Alessio Giannanti (Archivi della Resistenza).
Introduce Emiliano Ricciarelli (Blanca Teatro).
Organizza: ARCI Blanca Teatro, ARCI Massa Carrara, ANPI Carrara, ANPI Massa Carrara, Archivi della Resistenza, Museo Audiovisivo della Resistenza.
Info: 3334995033 o info@blancateatro.it

Francesco Filippi e Eric Gobetti
Massa – Teatro dei Fratelli Cristiani, ore 17:30
Indirizzo: presso Scuola S. Filippo Neri, Viale Eugenio Chiesa, 64
Moderano: Giancarlo Albori (Circolo ARCI 31 settembre), Massimo Michelucci (ISRA Pontremoli).
Organizza ARCI 31 settembre, ARCI Massa Carrara, ANPI Massa “Patrioti Apuani – Linea Gotica”, ANPI Massa Carrara, Archivi della Resistenza, Museo Audiovisivo della Resistenza.
In collaborazione con Libreria Ali di Carta di Massa
Info: 3274420625 o riccardobardoni@gmail.com

Lunedì 17 aprile

Eric Gobetti
Carrara – Palco 38, ore 18
Indirizzo: Via Carriona, 70
Dialogano con l’autore: Emanuele De Luca (Archivi della Resistenza), Lorenzo Gatti (Università La Sapienza di Roma).
Organizza: ARCI Blanca Teatro, ARCI Massa Carrara, ANPI Carrara, ANPI Massa Carrara, Archivi della Resistenza, Museo Audiovisivo della Resistenza.
Info: 3334995033 o info@blancateatro.it

Chiara Colombini
Lerici – Sala consigliare, ore 17:00
Indirizzo: Piazza Bacigalupi, 9
Dialogano con l’autrice: Simonetta Lupi (ANPI Lerici), Simona Mussini (Archivi della Resistenza).
Organizza: ANPI Lerici, ARCI La Spezia, ANPI La Spezia, Archivi della Resistenza, Museo Audiovisivo della Resistenza.
In collaborazione con L’Ape Libraria
Info: 3334995033 o info@blancateatro.it

Carlo Greppi e Francesco Filippi
Sarzana – Sala della Repubblica, ore 17:30
Indirizzo: Via Falcinello, 1
Intervengono con gli autori: Denise Murgia (ANPI Sarzana), Alessio Giannanti (Archivi della Resistenza)
Organizza: ANPI Sarzana, Circolo Pertini, ARCI La Spezia, ANPI La Spezia, Archivi della Resistenza, Museo Audiovisivo della Resistenza.
In collaborazione con Il Mulino dei Libri
Info: 3287823135 o anpisarzana@gmail.com

Giusto Traina
Massa – Auditorium Liceo Classico Pellegrino Rossi, ore 17:30
Indirizzo: Viale Democrazia, 26
Dialoga con l’autore Rosaria Bonotti (Dipartimento Lettere Liceo Rossi). Introduce Adriana Riccardi (Arci Massa Carrara).
Organizza ARCI Focus, ARCI Massa Carrara, ANPI Massa Carrara, Archivi della Resistenza, Museo Audiovisivo della Resistenza.
In collaborazione con Libreria Ali di Carta.
Info: 3893191313 o arcifocusmassa@gmail.com

Martedì 18 aprile

Francesco Filippi e Eric Gobetti
La Spezia – Circolo ARCI Canaletto, ore 17:30
Indirizzo: Via Giovanni Bosco, 2
Interviene Giorgio Pagano (Associazione Culturale Mediterraneo). Introduce Nicola Pedretti (Arci Canaletto).
Organizza: Circolo ARCI Canaletto, ARCI La Spezia, ANPI La Spezia, Fondazione ETS ISR – Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, Associazione Culturale Mediterraneo, Museo Audiovisivo della Resistenza, Archivi della Resistenza.
In collaborazione con Libreria Liberi Tutti
Info: 3534118722 o arci.circolocanaletto@gmail.com

Comunicato su via Rasella e le dichiarazioni del Presidente del Senato

In merito alle dichiarazioni del Presidente del Senato Ignazio La Russa l’Istituto nazionale Ferruccio Parri – Rete degli istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea -, per rispetto alla verità storica, dichiara:

  • L’ attacco partigiano di via Rasella fu un legittimo atto di guerra condotto contro una pattuglia di poliziotti altoatesini appartenenti al terzo battaglione Bozen.
  • Il Polizeiregiment Bozen comprendeva tre battaglioni, si era formato nel settembre 1943, subito dopo che i Tedeschi, a seguito dell’armistizio, avevano costituito l’Operationszone Alpenvorland, (Zona di Operazione delle Prealpi), che comprendeva le province di Belluno, Trento e Bolzano.
  • La maggior parte dei suoi membri, a seguito della opzione del 1939, avevano preso la cittadinanza tedesca.
  • Il battaglione Bozen non era una banda musicale ma un battaglione di polizia armato di pistole mitragliatrici e bombe a mano, che stava ultimando il suo addestramento.
  • L’età media dei componenti era sui 35 anni (avevano un’età dai 26 ai 42 anni), quindi certamente non delle giovani reclute ma neppure dei semi pensionati.
  • È bene ricordare che gli altri due battaglioni del reggimento Bozen erano stati subito impiegati in funzione anti-partigiana in Istria e nel Bellunese, dove si erano resi autori di stragi.
  • Il battaglione oggetto dell’attacco di via Rasella è stato successivamente impiegato in Italia in funzione anti-partigiana.
  • A seguito dell’attacco i Tedeschi fucilarono alle Fosse Ardeatine 335 fra antifascisti, partigiani, ebrei, detenuti comuni. Le liste furono compilate con l’aiuto della Questura di Roma. L’ordine di fucilazione fu eseguito prima della pubblicazione del comunicato emanato dal comando tedesco della città occupata di Roma alle 22,55 del 24 marzo 1944.
  • Per tale atto il Questore di Roma, Pietro Caruso, fu condannato a morte dall’Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il fascismo. La sentenza fu eseguita il 22/9/1944.

Milano, 1 aprile 2023

Il Presidente Paolo Pezzino
con tutti gli organi direttivi,
i collaboratori e le collaboratrici
dell’Istituto nazionale Ferruccio Parri
Rete degli istituti storici della Resistenza e dell’età contemporanea

Nell’immagine di copertina: Retata di fronte a Palazzo Barberini, da parte di truppe tedesche e della RSI. Foto tratta da Bundesarchiv, Bild 101I-312-0983-03 / Koch / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 de, Collegamento

La Storia siamo noi. Due indici di nomi per capire la storia degli anni Sessanta del Novecento

L’Istituto comunica la pubblicazione, nella sezione Strumenti, dell’indice generale dei nomi del libro: “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia” nei suoi due volumi: “Dai moti del 1960 al Maggio 1968”, e “Dalla Primavera di Praga all’Autunno caldo”, scritti da Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello, editi da Edizioni Cinque Terre.

Gli autori mettono a disposizione on line, e quindi a tutti, il corposo Indice dei nomi, nel tentativo di rappresentare, storicamente e storiograficamente, una fase ritenuta fondamentale del secondo Novecento.

Le idee, le speranze, i progetti, le conquiste, le illusioni e le delusioni di quell’epoca, in modo specifico il biennio 1968 e 1969, le cui radici sono però precedenti, costituiscono infatti una materia complessa, da sbrogliare con attenzione, degna soprattutto di una riflessione capace di compiere ricognizioni sul passato per interpretare il presente e pensare al futuro.

QUI la pagina con introduzione agli indici e avvertenze

QUI l’Indice dei testimoni

QUI l’Indice dei nomi

Il processo Spiotta. La Corte d’Assise straordinaria a Chiavari al Centro studi “Memoria in rete”

GIOVEDÌ 16 MARZO 2023 ore 16.30

Presso il Centro studi “Memoria in rete” in via Giò Batta Valle, 6, La Spezia, presentazione del libro:

Il processo Spiotta. La Corte d’Assise straordinaria a Chiavari
di Giorgio Viarengo
Internos Edizioni, aprile 2022

Dialoga con l’Autore Giorgio Pagano,
Copresidente Comitato provinciale unitario della Resistenza, La Spezia

Il volume, con prefazione del Dott. Francesco Cozzi (già Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Genova) affronta il tema dell’apertura in Chiavari della Corte d’Assise Straordinaria per i processi ai criminali fascisti.

Tra questi è istruito il processo al fascista Vito Spiotta e ai suoi più stretti collaboratori, Righi e Podestà che si tenne in Chiavari il 18 agosto del 1945.

Il lavoro di Viarengo, grazie alle documentazioni conservate presso l’Archivio di Stato in Genova e Roma, ricostruisce le diverse fasi del processo.

La ricerca si è spinta sino agli archivi romani dell’Istituto Luce, dove erano conservate le immagini originali del processo chiavarese; grazie a Cristina Pitruzella, autrice di un video, è disponibile un documentario che restituisce “La memoria di un Processo”.

Ricerca storica e riflessioni (Battaglione garibaldino “Melchiorre Vanni”) #2

Battaglione “Vanni” e soprannomi: tra realtà e fantasia, tra essere e voler essere

a cura di Maria Cristina Mirabello

Premessa

Se esaminiamo storicamente, perché questo è il nostro compito, e tuttavia con occhio curioso ed umanamente partecipe, il lungo elenco di soprannomi che incontriamo in AISRSP, B 496, 76751, possiamo in un certo senso rapportarci al clima di un’epoca, quella degli anni Trenta/metà anni Quaranta, che si rispecchia spesso (non sempre) nei così detti “nomi di battaglia”. Come ben sappiamo, i partecipanti alla Resistenza assumevano (e comunque venivano invitati ad assumere), per confondere le tracce che a loro portassero nel disgraziato caso di delazioni, rinvenimenti di carte, catture, un altro nome, insomma un’identità diversa, con la quale, e frequentemente solo con la quale2, erano conosciuti dai loro stessi compagni (a meno che la mutua frequentazione non fosse precedente). E proprio riguardo a tale assunzione possiamo provare, attingendo dalle tracce documentali arrivate fino a noi, ad “organizzare” questi pseudonimi ed a fare qualche riflessione su che cosa significassero, avanzando anche ipotesi sul perché i vari patrioti decidessero di sceglierli. È evidente che, mentre per taluni soprannomi le nostre sono ipotesi suffragate da prove, per altri seguiamo una norma prudenziale, non pensando di avere necessariamente ragione.

Una tentativo di classificare i soprannomi

Per fare un po’ d’ordine in un universo che definire variegato è un eufemismo, data l’incredibile ricchezza di “alias”, diciamo innanzitutto, per procedere con qualche ordine, che alcuni “nomi di battaglia” si limitano a ripetere il nome di chi li assume. Ad esempio, tra gli altri, Astorre si chiama “Astorre”3, Fulvio ed Alfonso4 si denominano “Fulvio” ed “Alfonso”, Rodolfo ed Emo rimangono tali5, e così Alessandro6, oppure si ricorre ad un diminutivo del nome per cui Giuseppe diventa “Beppe”7, Giuliano8 diventa “Giulio”, Lorenzo diventa “Renzo”9, o, con piccola metatesi, Orlando diventa “Rolando”10, così come un Olivieri11 si chiama “Oliva”, accorciando il nome ed aggiungendo la prima lettera del cognome, o un Torti12 si muta in “Toti”, ed un Argilio si trasforma in “Argìa”13.

Molti sono i casi in cui il partigiano assume invece un altro nome, di persona: Marcello14 diventa “Walter”, Edo15 diventa “Dino”, Egidio diventa “Dante”16, e così via: a mio parere per questa assunzione sarebbe utile fare un’indagine, specie in famiglia o tra gli amici degli interessati, perché spesso risulta che il “nome di battaglia” abbia proprio questa derivazione, ma ciò richiederebbe un’indagine accurata che percorra la cerchia familiare o amicale, sebbene in taluni casi il nome possa avere una causa ancora diversa, ad esempio sia stato semplicemente scelto perché piaceva.

In genere, però, si dà ampio spazio, verosimilmente, a proiezioni della serie “Vorrei essere”, o “Vi dico in realtà chi sono”, “Questo è il mio programma”, “Questo è il mio personaggio preferito perché rappresenta…”, “Io vi sfido”, e così via.

Alcuni nomi possono ingannarci, sembrando in effetti appellativi di uso comune, ma, in realtà, andando a scavare, scopriamo che si tratta di personaggi letterari, protagonisti di libri a forte marcatura sociale, che hanno particolarmente colpito i lettori. E’ il caso del nome “Paolo”17, uno dei personaggi del libro “La Madre” di Maksim Go’rkij, stesso discorso per “Andrea”. A tale proposito, legati ad un riferimento letterario-politico o puramente politico, ricordiamo “Gorki”, come riporta l’originale dell’elenco, e “Lenin”18.

In taluni casi il soprannome è legato a circostanze del tutto estemporanee: è quanto succede, e ce lo dice lo stesso partigiano, per “Tardi”, che deve assumere appunto uno pseudonimo e non sa quale prendere, essendo arrivato dopo altri, i quali hanno assunto tutti i nomi che verrebbero in mente a lui, per cui, su suggerimento del partigiano “Falchetto”, si chiama semplicemente “Tardi”.

Per taluni si può ragionevolmente presupporre il richiamo a qualità che caratterizzano i portatori di essi, avvicinandoli a tratti in positivo del mondo animale: ecco allora la voce dialettale “Foin” (ma anche “Fuin”), cioè scaltro, veloce, un furetto19; e così “Lepre”20, che senza dubbio è assimilabile appunto ad una lepre, la quale non solo corre rapidamente, ma i cui piccoli sanno già correre ad un’ora dalla nascita; ed infine vale la stessa regola per “Falchetto”21, che ha la vista acutissima, come quella del falco. Ricordiamo a tale proposito anche “Lupo”22, “Cavallo”23, “Mosca”24 e “Gaina”25: in quest’ultimo caso il nome dialettale, che corrisponde a “gallina”, forse è stato assunto con una buona dose di autoironia o è stato attribuito da altri.

Esiste anche una vasta gamma di denominazioni riportabili a fenomeni naturali, con “Uragano”26, “Nebbia”27, “Fulmineo”28, “Fulmine”29, “Burrasca”30, “Saetta”31; nomi in genere riconducibili alla sfera della rapidità o del fuoco, quali “Freccia”32, “Fiamma”33, “Fuoco”34; ad armi (“Breda”35, che è una mitraglia, e “Raffica”36, strettamente a quest’ultima connessa), ma anche tali da suggerire qualità, atteggiamenti, aspirazioni o piglio personale (“Red”37, “Scalabrino”38, “Premura”39, “Libero”40, “Fido”41, “Vendetta”42, “Vampiro”43 e “Vampiro II”44, “Furia”45, “Solo”46, “Sceriffo”47), professioni nella vita reale (“Pompiere”48), una riconosciuta anzianità (“Zio”49). Riflettendo, possiamo dire che molti (non tutti) questi nomi richiamino fortemente il momento e le sue necessità (agire, mimetizzarsi, essere veloci, fare la guerra, vendicarsi, abbondando metafore inerenti ad una meteorologia perturbata, al fuoco ed al sangue).

Esistono anche vezzeggiativi di probabile origine familiare come “Sissi”50, forse “Tuli”51, o comunque di natura prettamente amicale, come “Picci”52, nonché nomi “minimalisti”, quali “Cito”53 (probabile voce dialettale, quindi priva di doppia “t”, per la quale si potrebbe presupporre la traduzione con il termine italiano “soldino”) o “Scampolo”54.

Per altri, il soprannome richiama la probabile città o il luogo geografico da cui provengono gli interessati: “Napoli”55, “Etna”56, “Ravenna”57, ne sono un esempio.

Reminiscenze storico-letterarie, in genere però legate a caratteristiche di coraggio o richiamanti comunque un mondo “ribelle” o caratterizzato da forza, sono ravvisabili in “Primula Rossa”58, “Athos”59, “Porthos”60, “Sandokan”61, “Kim”62, “Musolino”63, “Passatore”64. Come si vede, vanno alla grande Dumas, Salgari, ed il brigantaggio.

In quest’area è collocabile anche “Fanfulla”65, condottiero italiano, il più coraggioso nella disfida di Barletta dopo Ettore Fieramosca (con il dubbio però che chi ha assunto il nome, in realtà si riferisse, ironicamente, alla famosa canzone goliardica intitolata appunto “Fanfulla da Lodi”).

Anche il mondo dei fumetti e dei film ricorre: con “Gordon” che, chiaramente, si ispira a Flash Gordon66, così “Tarzan”67, “Gringo68”, “Buffalo Bill”69, “Tom”70.

Arrivano dal mondo antico e dalla mitologia classica “Enea”71, “Bruto”, “Marte”, “Apollo”72. Unico esempio, molto chiaro, da quello della musica, risulta essere “Puccini”73.

Al momento non decifrabile l’origine del soprannome “Lira”74 e “Ceppa”75.

Discorso a parte va fatto per il nutrito gruppo caratterizzato da nomi di russi che militano nel Battaglione “Vanni” e che risultano da più testimonianze e foto: il nome di battaglia di questi partigiani ripete il nome vero e proprio, e, purtroppo, ripetendolo, lo fa nelle forme grafiche più diverse, variando da un elenco all’altro, e ciò a causa della oggettiva difficoltà di trascrizione che determina in chi legge una difficoltà a seguirne le oscillazioni.

Detto tutto questo, chiudiamo con una nota curiosa e che deve metterci in guardia dal cadere in facili entusiasmi o collegamenti quando parliamo dei nomi di battaglia: è il caso di “Mina”76.

Il partigiano che lo portava era, a detta di tutte le testimonianze, intemerato e decisamente “esplosivo”, ma guai a stabilire una fin troppo banale relazione tra la denominazione ed il personaggio: egli si chiamò “Mina” per un motivo ben più romantico, visto che “Mina” è il diminutivo di Palmina, la sua amatissima fidanzata77.

Note

1 È stato selezionato questo elenco perché, probabilmente, tra i più completi (e comunque chiaro) nell’ambito di quelli disponibili, ma non è detto che in esso siano presenti tutti i partigiani del Battaglione “Vanni” (sono possibili non solo dimenticanze materiali nello stesso documento di Archivio, ma anche casualità dovute al fatto che partigiani presenti in un certo momento non ci sono in un altro e che la composizione del Battaglione è fluida nel corso del tempo).

2 Il fatto che spesso i compagni venissero conosciuti solo con un nome convenzionale ha determinato, anche nel Dopoguerra, confusioni riguardo a didascalie relative ad immagini di Archivio, dove spesso i vari personaggi sono indicati non con il nome e cognome ma con il nome di battaglia, per cui oggi, passato il tempo ed essendo in genere anagraficamente impossibile la presenza dei protagonisti, ci sono notevoli difficoltà ad individuarli.

3 Astorre Tanca.

4 Fulvio Buonriposi ed Alfonso D’Andrea.

5 Rodolfo Frassi ed Emo Rigotti.

6 Alessandro Azzati.

7 Giuseppe Meneghetti.

8 Giuliano Secchi.

9 Lorenzo Faggioni.

10 Orlando Lambertucci.

11 Angelo Olivieri.

12 Renzo Torti.

13 È inutile riportare tutti i casi di nomi che si ripetono come tali, essendo ciò non particolarmente utile per capire il clima dell’epoca (e del conflitto che si stava svolgendo). Si noti inoltre che, essendo stata riscontrata nella letteratura resistenziale presso molti combattenti l’abitudine di mimetizzarsi sotto nomi femminili, ciò ha tre riscontri nel Battaglione “Vanni” (almeno, per come si leggono i nomi, visto che alcuni non sono del tutto decifrabili). Due casi potrebbero essere quello di “Argìa”, principessa di Argo, anche se, talvolta, e quindi c’è qualche oscillazione, invece di “Argìa” si trova “Argì” (ambedue derivanti da Argilio), e quello di “Stella”, non si capisce però se riportabile ai corpi celesti, a una donna, alla stella molto evidente che, per come si legge in più di una testimonianza, i partigiani del Battaglione “Vanni” portavano sul berretto. C’è infine un terzo caso che riferiamo in fondo a questo testo. Comunque, nel caso di “Argìa” o “Argì” il partigiano è Argilio Bertella. Nel caso di “Stella” il partigiano interessato è Enzo Toracca.

14 Marcello Toracca.

15 Edo Scattina.

16 Egidio Panighetti. Si può pensare in questo caso anche ad un’origine dal mondo dei poeti.

17 Franco Mocchi. In questo caso la derivazione dal libro è acclarata grazie alla testimonianza delle figlie Sandra e Paola Mocchi, resa all’Autrice in data 8 febbraio 2023, e che, a stesura ultimata del libro, sarà pubblica. Si chiama “Andrea” ad esempio Piero Fedi.

18 In una formazione a forte (anche se non unica) marcatura ideologica comunista si potrebbe presupporre la presenza di molti soprannomi ascrivibili a tale universo, ma, in definitiva, essi sono decisamente minoritari.

19 Mario Avesani.

20 Ottavio Chiappini.

21 Saverio Sampietro (si trova scritto sia “Falco” che, più frequentemente, “Falchetto”).

22 Vincenzo Malmusi.

23 Franco Mussi.

24 Giovanni Uras.

25 Paolino Lorenzini.

26 Giulio Vasoli.

27 Euclide Folloni.

28 Augusto delle Piane.

29 Fernando Arzà.

30 Fulvio Fratoni (nel documento base, erroneamente, è scritto Frattoni).

31 Ezio Gualdi.

32 Giovanni Bolognani.

33 Luciano Carozzo.

34 Carlo Tamburini.

35 Adriano Rapallini.

36 Mario Lanfranchi.

37 Scritto anche “Redd”: fa pensare ad un colore ideologico ma anche fisico, riguardante i capelli. Il partigiano è Salvatore Serra.

38 Un diavolo, furbo, accorto. Il partigiano è Adolfo Righi.

39 Aldo Tamburini.

40 Sergio Richerme.

41 Ugo Giorgi.

42 Secondo Godani.

43 Antonio Venturini.

44 Sergio Mazzi.

45 Fausto Francesconi.

46 Mauro Vesigna.

47 Per “Sceriffo” si può pensare anche al mondo dei film western. Il partigiano è Duilio Lanaro.

48 Tale era in effetti il mestiere di colui che così era chiamato. Si tratta del partigiano Paolo Grillo.

49 Tale motivazione è confermata dall’anno di nascita della persona, 1904, quindi decisamente più anziana (v. articolo precedente sulle classi di età presenti nella “Vanni”) rispetto ai compagni.

50 Salvatore Briata.

51 Luciano Toracca.

52 Silvano D’Imporzano.

53 Cesare Del Santo.

54 Agostino Poli.

55 Domenico D’Auria.

56 Giovanni Giangreco.

57 Giovanni Petrolici.

58 Eugenio Lenzi.

59 Primo Lucianetti.

60 Bononi Duilio.

61 Ciro Rossi.

62 Angelo Lanaro.

63 Lino Baldassini.

64 Alfredo Giuntoli.

65 Fulvio Cantono.

66 Serie di fumetti di fantascienza uscita nel 1934 che sarà pubblicata in America per quasi settant’anni. Il nome del partigiano è Aldo, il cognome illeggibile.

67 Ivo Roffo.

68 Francesco De Biasi.

69 Vittorio Brizzi.

70 Per “Tom” l’origine potrebbe essere l’attore Tom Mix, protagonista dei primi film “western” muti, assai noto agli occhi del pubblico, e morto nel 1940. Il nome del partigiano è Piero Lucchesi.

71 Enea è nome abbastanza in uso nel periodo, e per il quale si potrebbe anche presupporre l’assunzione in quanto derivante da ambito amicale o familiare. Il nome del partigiano è Aureliano Rovere.

72 Più chiara la motivazione di “Bruto”, visto come difensore della libertà repubblicana, e di “Marte”, dio della guerra, molto meno chiara quella di “Apollo”, e comunque riconducibile sia ad una metafora bellica e luminosa (le frecce di Apollo che viaggia sempre con la faretra e che si identifica con la luce) o estetica. “Bruto” è Bruno Ruggia, “Marte” è Amedeo Bruschi, “Apollo” è Giuseppe Mirabello.

73 Roberto Rollando.

74 Franco Colombo. La figlia, Saura Colombo, da me intervistata il 20 febbraio 2023, non ha indicato la motivazione del soprannome.

75 Per “Ceppa” si potrebbe pensare ad un’origine arborea (e quindi la parte della pianta da cui si dipartono le radici, insomma, il basamento).

76 Otello Binasco.

77 L’origine del soprannome è emersa nel corso del colloquio precedentemente citato tra l’Autrice e le sorelle Sandra e Paola Mocchi, figlie di Franco Mocchi, Commissario Politico del Battaglione “Vanni”, ed è stata confermata da Loredana Binasco, figlia di “Mina”, in data 22 febbraio 2023.

Cronologia 1921-1922: un Approfondimento

Ad integrazione dello strumento Cronologia 1921-1922. Politica e società locale, con qualche cenno regionale o nazionale, segnaliamo per il 1923 un breve saggio di Giorgio Pagano pubblicato su Patria Indipendente in cui vengono storiograficamente approfonditi fatti spezzini di quell’anno, quando l’uccisione dello squadrista Giovanni Lubrani, avvenuta nella notte del 21 gennaio 1923 e maturata presumibilmente in ambiente fascista, diventò pretesto per l’uccisione di oltre dieci antifascisti.

Foto di copertina: San Terenzo negli anni Venti (archivio Riccardo Bonvicini)