Apporto internazionale alla Resistenza spezzina: il caso della Brigata, poi Battaglione “Vanni”1
A cura di Maria Cristina Mirabello
L’apporto di stranieri alla Resistenza italiana e spezzina è cosa ormai nota2, fatto più particolare è che nel Battaglione “Vanni” ci fosse un Distaccamento composto tutto da elementi russi3. Già nell’organico della Brigata Vanni4, datato settembre 1944, possiamo individuare, in fondo all’elenco, quattro nominativi di chiara origine russa. Ad essi dovettero aggiungersene altri5: a riprova di ciò abbiamo alcune pagine del partigiano Saverio Sampietro “Falchetto”, che ne parla diffusamente, aggiungendo particolari interessanti, sia sul numero, accresciutosi in cammino, sia sulle caratteristiche umane e di combattimento che li denotavano.
I russi vengono introdotti nella testimonianza di “Falchetto”6 in occasione di uno dei rari lanci effettuati dagli inglesi per la “Vanni”7, perché i componenti della missione inglese si erano impossessati di molti bidoni8 e, in tale frangente, i russi spararono loro addosso dicendo che erano capitalisti. Proseguendo, “Falchetto” afferma che venne deciso di formare una squadra con i russi che erano nella Brigata, e scrive9:
“Mi pare che avessero raggiunto il numero di 1310. Io dovevo essere il Comandante, ma rifiutai accettando l’incarico di Commissario, mentre il comando venne assunto da ‘Sergei’11, un ufficiale dell’Armata rossa… Un ragazzo veramente in gamba (nativo di Tiflis sul Mar Nero) ed usava il mortaio in una maniera spettacolare… Nella squadra dei russi, ricordo vi era oltre che a Sergei, ‘Tacibaio’12 originario dell’Afganistan che a suo dire era addetto ai trattori di un kolchoz, ‘Iasibaio’13 pure di origine mongoloide [Sic!], ‘Mirzaief’14 di origine caucasica il quale aveva sul corpo almeno dieci ferite e con un passato degno di un romanzo, un ragazzo che poteva essere alto m.1, 40, di una sveltezza, intelligenza e tenacia non comuni. Sembrava una volpe, era stato fatto prigionieri dai tedeschi in Ucraina e portato in Polonia, da dove era scappato con i partigiani polacchi. Ferito e ripreso prigioniero in qualità di addetto ai quadrupedi era stato portato in Francia, da dove scappato era andato con i partigiani francesi. Ferito e rifatto prigioniero, sempre quale addetto ai quadrupedi, era stato portato in Italia, da dove era scappato con gli altri suoi compagni ed era venuto con noi. Ricordo che vi era poi il caro e compianto ‘Ivan’, caduto poi durante il rastrellamento del 20 gennaio 45… Era un ragazzo di 19 anni, alto almeno m.1,85 di origine caucasica con i capelli neri e lineamenti mediterranei, tanto che sembrava un meridionale, molto intelligente, serio ed affettuoso. Non mi lasciava mai e sembrava la mia guardia del corpo. Vi erano, poi che ricordo, ‘Sultan’15 e un altro compagno russo anziani originari di Mosca, due maestri elementari, i quali mi parlavano sempre della loro casa lontana, dei figli della famiglia e delle loro tradizioni ed usanze. Non ricordo i nomi degli altri cari compagni, ma mi rimase impresso il fatto che io credevo che questi russi fossero tutti comunisti, rimanendo meravigliato quando seppi che di questi 13 russi solo uno era iscritto al Partito Comunista ed era Tacibaio, mentre Sergei, che era oltre che un ufficiale anche un ingegnere, i due maestri di Mosca e gli altri, non erano iscritti e mi dicevano che in Russia per poter essere iscritti al Partito Comunista, bisogna esserne veramente degni, essere dei cittadini modello e che era un alto onore.”
A proposito dei rapporti umani “Falchetto” dice che la sera, intorno al fuoco, era particolarmente colpito dalle canzoni nostalgiche che cantavano e dalla loro tristezza per essere lontani da casa.
Tutti insieme inoltre, i russi nella loro lingua e gli italiani nella loro, cantavano la canzone “Mamma” e da tutto ciò si poteva trarre la riflessione che, nonostante l’abbrutimento derivante dalla guerra, albergassero in tutti i combattenti sentimenti di affetto verso i parenti, la casa ed i luoghi natii.
Passando alle caratteristiche più propriamente inerenti al modo di combattere, “Falchetto”, dice, a proposito dei russi inseriti nella Brigata “Vanni”:
“Inoltre vi era l’apporto dell’esperienza militare della mia squadra di russi, tutti combattenti incalliti e militari perfetti che si trovavano a completo loro agio nella Brigata. Ricordo le postazioni fatte da questi compagni russi sul Monte Zignago a ferro di cavallo che avevano riscosso dopo il 20 gennaio 1945, l’ammirazione degli stessi tedeschi quando sono riusciti a raggiungere la quota.”
Quanto ai comportamento e alla disciplina del Distaccamento russo, “Falchetto” ricorda il caso di ‘Mirzaief’. Quest’ultimo, nel corso di un pattugliamento notturno, aveva bevuto più di un bicchiere di grappa offerto dal fornaio di Serò e, probabilmente anche perché il suo stomaco era abbastanza vuoto a causa del vitto assai scarso, si era ubriacato, per cui Sampietro lo aveva redarguito.
Al Comando, “Ivan” e “Tacibaio”, che avevano sentito, informarono il Comandante Sergei, il quale voleva punirlo duramente, ma “Falchetto” aveva interceduto a suo favore, facendo presente che l’ubriacatura era probabilmente dovuta allo stomaco vuoto.
Tuttavia, sempre “Mirzaief”, rientrato qualche giorno dopo alle quattro del mattino da una guardia, insieme a “Falchetto” e ad altri, intirizziti per il freddo e con i crampi allo stomaco per la fame, aveva allungato nel buio la mano per impossessarsi di una manata di castagne secche16.
Essendo stato visto, a fronte di tale atto, i russi decisero che, poiché tale sottrazione privava gli altri di qualcosa che era comune, Mirzaief doveva essere fucilato. “Falchetto” chiese però di aspettare fino a quando non si fosse riunito il Comando della Brigata.
Dalla riunione emerse che i russi erano irremovibili sulla fucilazione. Si disse loro che il gesto di Mirzaief era deprecabile ma che la Brigata non poteva essere privata di un buon combattente. Alla fine, come scrive “Falchetto”:
“’Mirzaief’ venne condannato al palo mi pare per uno o due giorni e non ricordo bene se gli vennero inflitte 12 o 13 frustate quante erano le castagne secche rubate o una frustata per ogni russo, data dagli stessi.”
Sappiamo, sempre grazie alla testimonianza di “Falchetto”, ma anche grazie a uno scritto di Franco Mocchi “Paolo”, che il russo “Ivan” era presente durante l’attacco alla caserma di Borghetto Vara17 e che, rimasto ferito, venne portato via con il trucco del boscaiolo18. Ed ancora “Falchetto”, nella sua testimonianza, parlando del rastrellamento del 20 gennaio 1945, ricorda che “Ivan” morì nel corso di esso19.
Il Distaccamento russo, sempre basandoci sulla testimonianza di Saverio Sampietro, esiste dunque durante il rastrellamento del 20 gennaio 1945 e, con riferimento a documenti di Archivio che possediamo, è considerato in forza ancora al 7 febbraio 1945.
C’è infatti un organico del Battaglione20 che ne riporta i nomi. Li elenco qui, per come li leggo, sottolineando nuovamente il fatto che ci sono forti dubbi riguardo alla correttezza grafica, ma che, non avendo fonti sicure di confronto, mi attengo a quanto recita il documento. La lista, da me trascritta, segue fedelmente il documento originale; esso non ha un ordine alfabetico, e mette al primo posto il soprannome, poi il cognome e il nome: “Ararat” Uganescia Ararat, “Sultano” Sultan Papba, “Mirzaief” Umar Mirzaief, “Tacibaio” Giamel Tacibaio, “Zachirof” Charin Zachirof, “Iacibaio” Alicul Iacibaio, “Ivan” Rasolo Ivan21, “Daulato” Macmadale Daulato, “Alessandro” Illic Alessandro, “Nicolai” Covaliescki Nicolaio, “Radion” Cerniscio Radion, “Mamedof” Mamedof Alì, “Sergio” Ghevorchian Serghe, “Vassilli” Ghemeciuk Vassilli.
I russi vivono con il Battaglione “Vanni” il rastrellamento del 20 gennaio 1945, ma, in realtà, non ritornano a Pieve di Zignago dopo di esso22. Lo sappiamo da una serie di documenti di Archivio23: i russi, secondo l’elenco in tutto 14, a un certo punto non ci sono più.
Abbiamo notizia certa di ciò in carte successive. Giuseppe Grandis “Gisdippe”24, Ispettore della I Divisione “Liguria-Picchiara” va a ispezionare il Battaglione “Vanni” il 1 marzo 1945 e, nella sua articolata Relazione25, scrive:
“Non ritenni opportuno ispezionare i 16 26uomini dislocati al Chiaro di Mangia perché il reparto si trova disorganizzato in seguito all’improvviso ordine che porta via i russi dal Distaccamento, per far loro attraversare le linee27.”
In un documento immediatamente successivo28, il Comandante del Battaglione “Vanni”, Astorre Tanca, riferendosi alla visita di “Gisdippe”, per quanto riguarda il Distaccamento dei russi, osserva:
“L’Ispettore dichiara di non ritenere opportuno ispezionare gli uomini dislocati nel fondo Valle del Mangia poiché, dice, si trova disorganizzato in quanto non ci sono più i 1329 russi. La partenza dei 13 russi ha soltanto diminuito la forza effettiva del reparto, non l’ha affatto disorganizzato.”
Il documento non ha data ma, siccome la morte di Astorre Tanca (che firma il documento stesso) avviene il 4 marzo 1945, è presumibile ascrivere all’arco di tempo 2-3 marzo 1944 la risposta del Comandante.
Per capire se tutto il Distaccamento sia partito30, la mia ricerca si è estesa all’intero Registro Storico dei Partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa: grazie ad essa, ho individuato alcuni nomi dei russi, già appartenenti al Battaglione “Vanni”, scritti in modo ancora diverso, ma riconoscibili grazie alla data di nascita coincidente, in altre formazioni partigiane (“Giustizia e Libertà” e Battaglione “Pontremolese”), in cui hanno avuto il riconoscimento ufficiale a fine guerra31.
Note
1 La documentazione completa della vicenda sarà nel libro sul Battaglione “Vanni”, che sto attualmente scrivendo. L’articolo è dunque una sintesi di quanto al momento accertato. Riconosciuti nel Battaglione “Vanni” e presenti nel Registro “Partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa” sono anche due polacchi, sui quali tornerò in un altro articolo, per altre vicende.
2 Per l’apporto di stranieri alla Resistenza spezzina, v. l’elenco in https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2022/08/Partigiani-o-Patrioti-stranieri.pdf (NB: l’elenco comprende solo i vivi, che hanno chiesto il riconoscimento di partigiano o patriota, dopo la Liberazione). Per narrazioni sulle vicende inerenti a stranieri che hanno partecipato alla Resistenza spezzina, in alcuni casi sacrificando la vita, v.: Greppi, Carlo, Il buon tedesco, Laterza, 2021 (focalizzato fondamentalmente sulla figura di Rudolf Jacobs, tedesco e partigiano della Brigata “Muccini”, Medaglia d’argento al VM alla memoria); Pagano, Giorgio, Raccontatela per bene la nostra Resistenza (https://www.patriaindipendente.it/finestre/raccontare-per-bene-la-nostra-resistenza/), 26 aprile 2022.
3 Cioè sovietici, visto che appartenevano all’esercito dell’URSS. Adottiamo il termine “russi” perché viene usato comunemente da chi li ricorda. In realtà il termine non è onnicomprensivo delle varie nazionalità dell’URSS, cui essi appartenevano.
4 AISRSP, Fondo II, Attività Militare bis, Comando Brigata Garibaldi Melchiorre Vanni, B 496, 7673 A.
5 Si aggiungono, ma anche se ne vanno, o muoiono. Un russo, di nome Ivan (Rabez), presente a settembre, muore nel rastrellamento dell’8 ottobre 1944, avvenuto nel Calicese. V. anche nota 28.
6 Saverio Sampietro “Falchetto”, testimonianza in AISRSP (Miscellanea), 1974.
8 Secondo “Falchetto” i partigiani della “Vanni” lasciarono agli inglese i bidoni contenenti generi di conforto e vestiario, non rinunciando però a quelli contenenti armi e munizioni.
9 Nei brani citati non sono state apportate correzioni grafiche di alcun tipo, se non per la parola “kolchoz” ed “Armata”. Problematica è la questione dei nomi: li citiamo per come Sampietro li scrive, in forma sicuramente errata o parzialmente errata nella trascrizione dal russo all’italiano. Non è possibile fare un raffronto completo tra come egli li riporta e per come essi si trovano in documenti ufficiali, quali ad esempio il Registro storico dei partigiani e patrioti della IV Zona Operativa, o nel sito https://partigianiditalia.cultura.gov.it/, essendo la maggior parte di tali nomi non rintracciabile in queste fonti. C’è, d’altra parte, fondato dubbio che anche l’ortografia del Registro, così come quella delle schede riportate in https://partigianiditalia.cultura.gov.it/, sia errata o parzialmente errata.
10 Paola e Sandra Mocchi, figlie di Franco Mocchi “Paolo”, Commissario Politico del Battaglione “Vanni”, mi hanno consegnato due fotografie dei russi: in una si contano 11 uomini, nell’altra 15. Ho scelto di pubblicare quella con il gruppo più numeroso, fidando che lì ci fossero tutti i russi (con la probabile presenza di un italiano).
11 “Falchetto” lo scrive così; nell’elenco che diamo successivamente è “Sergio” Ghevorchian Serghe. In modo ancora diverso appare nel Registro storico dei Partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa, dove risulta Gevorchian.
12 “Tacibaio” Giamel Tacibaio, secondo l’elenco che diamo successivamente.
13 “Iacibaio” Alicul Iacibaio, secondo l’elenco che diamo successivamente.
14 “Mirzaief” Umar Mirzaief, secondo l’elenco che diamo successivamente.
15 “Sultano” Sultan Papba, secondo l’elenco che diamo successivamente.
16 Per capire la gravità del gesto, si tenga conto di quello che sempre “Falchetto” dice nello stesso scritto, a proposito della dieta dei partigiani: “Da parecchio tempo, la razione giornaliera era di una coppetta di farina di castagne bollita senza sale (la così chiamata ‘patona’ [NdA: pattona] o ‘papetta’) e alla sera una manata di castagne secche, che potevano essere 10-15 a seconda della grossezza. Ricordo che la mia squadra di russi ne aveva una certa quantità che doveva bastare per un certo periodo.”
18 AISRSP, Fondo II, Attività Militare bis, Serie 9, Comando Brigata Garibaldi “Melchiorre Vanni”, B 492, 7606.
19 Sulle circostanze della sua morte esistono versioni differenti, che riporterò nel libro sulla Brigata.
20 AISRSP, Fondo II, Attività Militare bis, Serie 9, Comando Brigata Garibaldi “Melchiorre Vanni”, B 496, 7675. Come già detto, nomi russi erano comparsi in un organico della Brigata “Vanni” del settembre 1944 (AISRSP, Fondo II, Attività Militare bis, Comando Brigata Garibaldi Melchiorre Vanni, B 496, 7673). Essi non coincidono però con quelli indicati da Saverio Sampietro e presenti nell’organico del 7-2-1945. Nell’organico del settembre 1944, ammesso che i nomi siano corretti come trascrizione, abbiamo infatti Solar Ivan, Poridnoi Fredor, Roglj Dimitro, Rabez Ivan. In una nota, ho già osservato che Ivan Rabez muore durante il rastrellamento nel Calicese dell’8 ottobre 1944. Sempre a proposito di russi, c’è un episodio per cui alcuni di loro sarebbero stati con la “Vanni” già in precedenza. Viene infatti narrato da Renato Jacopini (e ripreso in un libro di Mauro Galleni) un episodio clamoroso, risalente al luglio 1944, quando un gruppo della Brigata “Vanni”, capeggiato da Eugenio Lenzi “Primula Rossa”, assaltò il magazzino di Ceparana. In quell’occasione vennero messi a guardia dei tedeschi catturati due partigiani russi (di cui uno, per come si legge nel testo, ucraino) che, fatti prigionieri dai tedeschi, erano fuggiti dopo l’8 settembre 1943 (v. “Canta il gallo”, di Renato Jacopini, pp.77-78, cit., e “Ciao, russi. Partigiani sovietici in Italia, 1943-1945” di Mauro Galleni, Marsilio Editore, 2001).
22 L’organico citato, del 7 febbraio 1945 è, in un certo senso, in ritardo, sul divenire delle cose. Il ritardo dipende dal fatto che, pur essendo tornata la formazione sulle sue postazioni nello Zignago, non era ancora chiara la situazione definitiva.
25 Fondo ANPI provinciale-La Spezia (consultato grazie a Oretta Jacopini).
26 Il numero 16 comprende, come si può facilmente capire, dai numeri dati in precedenza, non solo russi.
27 Qualcuno era andato in altre formazioni (v. dopo) e qualcuno, come dice Giuseppe Grandis, era andato oltre il fronte.
28 AISRSP, Fondo II, Attività Militare bis, Serie 9, Comando Brigata Garibaldi “Melchiorre Vanni”, B 489, 7594.
29 L’elenco, erroneamente, comprende ancora il nome di “Ivan” (Ivan Rasolo) morto, come già detto, durante il rastrellamento del 20 gennaio 1945. Ecco il motivo della differenza tra 13 e 14.
30 Si può osservare come gli organici in generale, e quindi, in particolare, quelli relativi ai combattenti stranieri, siano piuttosto mobili, sebbene una parte di essi permanga fino all’ultimo presso le varie formazioni della IV Zona Operativa. Tra quelli rimasti, sicuramente non tutti chiesero tuttavia nel Dopoguerra il riconoscimento della qualifica di “Partigiano” o “Patriota”.
31 Va aggiunto che alcuni compaiono come nome, ma senza riconoscimento, altri proprio non compaiono.
32 Da comparazione con altre fotografie dell’Archivio ISRSP, in cui è sicuramente presente Saverio Sampietro “Falchetto”, il primo, in piedi a sinistra, potrebbe essere proprio lui.
La Commissione giudicatrice per l’assegnazione della borsa di studio intitolata a Rachele Farina non ha assegnato a nessun lavoro di ricerca la borsa di studio stessa.
Il bando originale:
La Prof.ssa Nicoletta Gruppi, figlia di Rachele Farina, che fu insegnante, scrittrice, storica di storia delle donne, e la Fondazione ETS Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, bandiscono un concorso per l’assegnazione di una borsa di studio per onorare la memoria della prof.ssa Rachele Farina, dell’importo di euro2.500,00 al lordo delle ritenute di legge e di eventuali oneri previdenziali per una ricerca originale e non pubblicata che si muova nell’ambito del seguente argomento “Movimenti e figure di donne tra inizio ‘900 e ricostruzione del secondo Dopoguerra (nel territorio spezzino)“
Chi può partecipare
Al bando possono partecipare soggetti di età compresa tra i 20 e i 60 anni in possesso di Laurea o di Diploma di Scuola Secondaria di II Grado
Per l’anno 2023 potranno presentare la ricerca (entro il 30.9.2023) coloro che intendono svolgere l’argomento assegnato
Criteri di valutazione
La borsa di studio sarà assegnata, se ritenuto idoneo il lavoro ricevuto, al primo candidato della graduatoria di merito formulata dalla Commissione giudicatrice. In caso di parità di merito sarà la Commissione giudicatrice a stabilire diverse modalità per l’attribuzione della borsa. Il giudizio della Commissione giudicatrice è insindacabile.
La Commissione giudicatrice
La Commissione sarà composta dalla figlia di Rachele Farina, prof.ssa Nicoletta Gruppi, dalla Presidente ISR La Spezia dott.ssa Patrizia Gallotti e dalla Vice Presidente ISR La Spezia prof.ssa Maria Cristina Mirabello.
Come partecipare
Gli interessati dovranno far pervenire la ricerca all’Ufficio Segreteria ISR (in un unico file PDF) all’indirizzo mail: info@isrlaspezia.it entro e non oltre il 30.09.2023
L’interessato/a dovrà indicare anche il proprio domicilio, il numero di telefono, l’indirizzo e-mail e il recapito al quale desidera vengano effettuate eventuali comunicazioni. Dovrà inoltre essere allegata fotocopia del documento d’identità. I documenti, che il candidato ritiene utili allegare ai fini della valutazione, potranno essere prodotti in originale o in fotocopia semplice.
La Commissione si riserva la facoltà di procedere a idonei controlli sulla veridicità del contenuto delle attestazioni allegate e/o autodichiarate da chi risulterà assegnatario della borsa di studio. La borsa verrà ritirata in caso di false dichiarazioni accertate anche dopo la sua consegna.
Trattamento dei dati personali
I dati personali forniti dai candidati saranno trattati, esclusivamente, per le finalità di gestione della procedura in oggetto.
Consegna della borsa di studio
La borsa di studio in memoria di Rachele Farina verrà consegnata nel mese di dicembre 2023.
L’8 settembre 1943 alla Spezia, considerato che molte famiglie erano sfollate nei dintorni di campagna, c’erano forse più militari che civili, soprattutto marinai, con la maggior parte della flotta ancorata in rada. Nella tarda serata di quel giorno l’EIAR (l’attuale RAI) diramò un famoso comunicato “straordinario” che includeva un passaggio ambiguo: […] Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza […] A nessuno fu chiaro che cosa si dovesse fare: il proclama era, volutamente, poco esplicito.
I primi a pagarne le spese furono i soldati. Ordinando alle forze armate italiane di reagire solo se attaccate, il proclama sottintendeva la speranza – dimostratasi illusoria – che gli americani avrebbero guidato loro un attacco contro i tedeschi nei punti nevralgici del Paese. Ma questo non avvenne. Quindi, uscivamo dalla guerra, sì, pronti a reagire però contro chiunque ce lo avesse impedito1.
Ai primi chiarori del giorno dopo cominciò lo sbandamento: la flotta salpò al completo «per destinazione ignota», mentre tutti sapevano che la Marina era attesa a Malta, in ossequio alla resa pattuita2. La reazione dei tedeschi fu immediata, l’occupazione delle zone militari della Spezia, affidata a poche pattuglie che marciavano cantando al centro delle strade, fulminea.
Gli spezzini, già evacuati al principio della guerra, non potevano più tornare nelle loro abitazioni urbane distrutte o pericolanti per i pesantissimi bombardamenti dell’aprile e del giugno 1943. La Spezia era una città fortemente devastata nelle sue strutture sociali e produttive, tanto che al termine della guerra risulterà terza per distruzioni subite, dopo Cassino e Rimini.
Ma bisogna riconoscere che la partenza della Squadra Navale agli ordini dell’Ammiraglio Carlo Bergamini è un fatto inciso “per sempre”, e nelle vicende della Spezia e nella storia italiana di quel periodo.
Ripercorriamo gli avvenimenti
Nella notte tra l’8 e il 9 settembre 1943 la flotta italiana lasciava La Spezia dov’era ormeggiata per raggiungere La Maddalena, destinazione concordata dalle clausole armistiziali. Presero il mare 23 navi tra cui la corazzata “Roma” su cui era imbarcato l’ammiraglio Carlo Bergamini, comandante in capo della flotta italiana composta dalla 9ª Divisione (corazzate Roma, Vittorio Veneto e Italia) agli ordini dell’ammiraglio Enrico Accoretti; la 7ª Divisione (incrociatori Eugenio di Savoia, Duca d’Aosta e Montecuccoli), comandata dall’ammiraglio Romeo Oliva; l’8ª Divisione (incrociatori Duca degli Abruzzi, Garibaldi e Attilio Regolo) comandata dall’ammiraglio Luigi Biancheri; la 12ª Squadra cacciatorpediniere (le navi Mitragliere, Fuciliere, Carabiniere e Velite) comandata dal capitano di vascello Giuseppe Marini; la 14ª Squadra cacciatorpediniere (le navi Legionario, Oriani, Artigliere, Grecale, e la torpediniera Libra), comandata dal capitano di fregata Amleto Balbo; in ultimo, le unità della Squadriglia torpediniere «Pegaso» (Pegaso, Orsa, Orione, Impetuoso e Ardimentoso).
La flotta partì dalla Spezia alle ore 03,40 del 9 settembre per una breve sosta a La Maddalena, come ordinato da Supermarina, e dove Bergamini avrebbe trovato i documenti armistiziali e gli ordini per il porto di destinazione finale che, comunque, sarebbe stato in una zona controllata dagli anglo-americani.
Alle ore 14.37, in prossimità delle Bocche di Bonifacio, Bergamini riceve la notizia che l’isola era stata occupata dai tedeschi e gli viene ordinato di invertire la rotta e di dirigersi su Bona (in Algeria).
L’Ammiraglio, alle 14,41, effettua l’inversione per sottrarre le navi alla cattura, assume la rotta 284°, che era quella di sicurezza, per uscire dal golfo dell’Asinara e proseguire per Bona. La manovra era stata compiuta da pochi minuti, quando la formazione navale viene attaccata da bombardieri tedeschi.
La storiografia ufficiale e, in buona parte, le “Memorie dell’Ammiraglio de Courten”3, Capo di Stato Maggiore, Ministro della Difesa dal luglio 1943 al 1946, pubblicate dall’Ufficio storico della Marina4, non mettono in discussione la fedeltà di Bergamini agli ordini impartiti dal Ministero della Marina.
Lo stesso Ammiraglio Raffaele de Courten, nelle sue Memorie, afferma infatti di avere trovato nelle ore dell’armistizio “grande conforto nel colloquio telefonico avuto con l’Amm. Bergamini, il quale dalla Spezia mi assicurò che la flotta intera era pronta ad eseguire qualunque ordine venisse impartito…”
Certamente, però, ci fu, da parte di Bergamini, come si legge nel testo di Francesco Mattesini La Marina e l’8 settembre, una reazione alla notizia dell’armistizio (dicendo lo stesso Bergamini di non voler andare a fare il guardiano di navi in consegna al nemico), ma, secondo gli storici, fu la reazione del marinaio, dell’ufficiale, del Comandante in Capo delle Forze Navali da battaglia, tenuto ingiustamente all’oscuro del tragico evolversi della situazione.
Bergamini fu insomma profondamente e umanamente colpito dal fatto che la Marina non fosse stata messa al corrente di tutte le fasi e di tutte le condizioni delle trattative: “la Marina che ha conquistato con il suo sangue e con il suo valore il diritto di essere la prima fra i primi nell’albo d’oro dei benemeriti della Patria” (dal discorso di Bergamini il 1° agosto 1943 all’equipaggio della corazzata “Italia” (già “Littorio”). Come responsabile delle Forze Navali si sentì mortificato, ma non mise in discussione gli ordini superiori.
Nessuna unità della flotta doveva cadere nelle mani del nemico. L’autoaffondamento in alti fondali, a cui Bergamini pensava, era nella tradizione militare. Ma tale gesto, se aveva uno spiccato valore ed era doveroso in pieno stato di guerra, ad armistizio concluso e a condizioni, pur assai gravose, accettate, voleva dire ribellarsi agli ordini e distruggere, consegnandolo ai tedeschi, un patrimonio vero che ancora esisteva per il popolo italiano.
L’Ammiraglio, posto di fronte alla necessità di salvaguardare, anche nell’umiliazione della sconfitta, il bene di tutti (“le navi ti sono state affidate dalla Patria”, gli disse de Courten) non esitò a rivedere le sue idee, a smorzare la sua reazione e ad eseguire gli ordini con fedeltà e lealtà.
Con quale stato d’animo abbia comunque affrontato quei momenti e abbia preso quelle decisioni, si può immaginare, soltanto immaginare. Non si conoscono altri ordini e atteggiamenti documentati da parte del Comandante in quelle ore caotiche e drammatiche. Basti pensare che la tragica cronologia dell’8 e 9 settembre 1943, segna un seguirsi spasmodico di ordini e contrordini, di tensioni e di reazioni, di vita e di morte.
Ci sono comunque autori controcorrente come Giovanni Ansaldo (Dizionario degli italiani illustri e meschini, Milano, 1980, p.65) che scrive, riferito a Bergamini: “Nessuno sa quali fossero le sue intenzioni” nel momento di partire dalla Spezia. Anche nello scritto diramato il 7 gennaio 1944 dall’Agenzia “Corrispondenza repubblicana” si legge: “Se Bergamini fosse rimasto in vita, non avrebbe mai consegnato le navi al nemico…”. Uno scritto di Antonio Mascello (“Il Resto del Carlino”, edizione di Modena, 27.8.1986) afferma: “No, l’Ammiraglio non si è arreso e non ha eseguito gli ordini”.
Certamente l’Ammiraglio era molto deluso dell’armistizio, tanto da avere ripetuto ai suoi collaboratori “Non era questa la via immaginata”, ma resta comunque il fatto che partì, fu bombardato dai tedeschi e morì. Un sacrificio che contò 1393 marinai tra ufficiali, sottufficiali, sottocapi e comuni, con loro anche l’ammiraglio Carlo Bergamini e il comandante della “Roma”, capitano di vascello Adone Del Cima.
A titolo informativo, pare che la corazzata “Roma” sia stata colpita da una bomba a razzo radiocomandata, usata per la prima volta dai tedeschi, e il fatto che secondo il figlio di Bergamini, Pier Paolo, “quella bomba a razzo deriverebbe da studi e da prove fatte da nostro padre presso il balipedio di Nettuno”.
È giusto ricordare la Medaglia d’oro Carlo Bergamini, i suoi ufficiali, ma anche, e soprattutto, i marinai caduti. Penso inoltre che sia importante, nel citare Bergamini, mantenere vivo il ricordo di altre figure delle forze armate, tutte perite in quei giorni o a causa di avvenimenti successi proprio in quei giorni, per mano tedesca e/o fascista. Tra esse, solo pochi esempi5, tratti da una lista lunghissima di caduti per un’idea di patria che, progressivamente priva di ogni retorica fascista e nazionalista, si sarebbe faticosamente avviata ad assumere le caratteristiche insite ad un concetto di patria democratica.
E proprio la Resistenza, con il suo sacrificio di sangue, in cui si annoverano moltissimi esponenti della Marina, avrebbe reso infatti possibile tale passaggio.
1 L’armistizio, firmato a Cassabile (Sicilia) con gli anglo-americani, prevedeva che l’Italia cessasse di collaborare con i tedeschi, interrompesse le ostilità contro le truppe alleate, liberasse tutti i prigionieri di guerra e desse la disponibilità agli Alleati di utilizzare il suo territorio per le operazioni di guerra.
2 Al punto 4) delle clausole dell’armistizio si legge: Le Forze italiane di terra mare ed aria, entro il termine che verrà stabilito dalle Nazioni Unite, si ritireranno da tutti i territori fuori dell’Italia che saranno notificati al Governo italiano dalle Nazioni Unite e si trasferiranno in quelle zone che verranno indicate dalle Nazioni Unite. Questi movimenti delle Forze di terra, mare e aria verranno eseguiti secondo le istruzioni che verranno impartite dalle Nazioni Unite e in conformità degli ordini che verranno da esse emanati […]
3 Raffaele de Courten, conte (1888-1978). E’ stato ammiraglio e politico italiano. Ministro della Marina, fu l’ultimo Capo di Stato Maggiore della Regia Marina e primo della Marina Militare.
4 Solo nel 1988 la famiglia de Courten ha consegnato l’intero archivio dell’ammiraglio all’Ufficio storico della Marina con la clausola che le Memorie fossero pubblicate integralmente.
5 In occasione dell’8 (e 9 settembre), oltre a Carlo Bergamini, possiamo anche ricordare: l’Ammiraglio Federico Martinengo, Medaglia d’oro al VM (alla memoria), morto combattendo, il 9 settembre 1943, sulla sua vedetta antisommergibili, all’altezza dell’isola di Gorgona; l’Ammiraglio Inigo Campioni, Medaglia d’oro al VM e il Contrammiraglio Luigi Mascherpa, Medaglia d’oro al VM (ambedue catturati e poi processati dal Tribunale speciale per avere resistito ai tedeschi nel mare Egeo, fucilati a Parma, nel maggio 1944), il Capitano Mario Mastrangelo, Medaglia d’oro al VM (alla memoria), il Capitano Francesco Cacace, Medaglia d’argento al VM (alla memoria), il Generale Antonio Gandin, Medaglia d’oro al VM (alla memoria), tutti fucilati per la resistenza opposta dai militari italiani ai tedeschi a Cefalonia. Nel Comune della Spezia esistono via Mario Mastrangelo, via Francesco Cacace e un piccolo viale dentro il Parco XXV Aprile (Canaletto) dedicato ai caduti di Cefalonia e delle isole del mare Egeo.
Nota Bene:le fotografie “Marina Militare italiana durante la II Guerra Mondiale”, che accompagnano l’articolo, vengono pubblicate per la prima volta e appartengono all’Archivio privato di Mauro Martone, che ringrazio sentitamente a nome di tutto l’ISR.
CORSO DI FORMAZIONE PER DOCENTI SCUOLE SECONDARIE DI 1° E 2° GRADO – a.s.2023-24
Lo sport in tutte le sue forme, praticato a livello agonistico e dilettantistico, rappresenta un importante strumento formativo d’integrazione sociale e di dialogo culturale per la diffusione di valori fondamentali quali la lealtà, l’impegno, lo spirito di squadra e il sacrificio.
La scelta della tematica del corso nasce dalla concomitanza nel 2024 di due importanti eventi riguardanti lo sport: 1) è in dirittura d’arrivo l’iter legis costituzionale che modifica l’art.33 Cost. introducendo il diritto allo sport come diritto costituzionale, 2) si svolgeranno i Giochi della XXXIII Olimpiade che, come già accaduto in passato specialmente durante il Novecento, fanno emergere lo sport a fenomeno complesso e pervasivo che caratterizza, secondo forme e modalità differenti, l’intera storia dell’umanità, rappresentando una chiave di lettura fondamentale per comprenderne gli aspetti più profondi.
Attraverso le manifestazioni sportive più rilevanti, come le Olimpiadi, i Mondiali delle varie discipline, il Giro ciclistico di uno Stato ecc. si possono comprendere le trasformazioni culturali, politiche, economiche, sociali, di mentalità e costume avvenute nella storia.
Il corso, che intende fornire utili informazioni su alcuni passaggi significativi della storia del Novecento, analizzati attraverso la lente dello sport, trova fondamento normativo nell’art.6 (Formazione docenti) della legge 92/2019 che ha introdotto l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole e si propone di fornire ai docenti utili proposte operative.
Obiettivi
Far cogliere la valenza dello sport come strumento formativo d’integrazione sociale e di dialogo culturale per la diffusione di valori fondamentali quali la lealtà, il rispetto delle regole e dell’ambiente di gioco, l’impegno, lo spirito di squadra, il sacrificio, la collaborazione;
Trasferire i valori dello sport nella vita di tutti i giorni e consolidare una capacità di comunicazione efficace;
Avere occasioni e spunti innovativi per avvicinare gli studenti alla narrazione storica;
Ricostruire le vicende della storia del Novecento del nostro Paese attraverso la lente dello sport;
Stimolare l’interesse di studenti e studentesse alla conoscenza della storia mediante la riflessione su vicende di sportivi generalmente tenuti ai margini della rievocazione storica;
Affrontare un metodo didattico trasversale.
Il corso prevede 5 incontri, tre di carattere informativo e gli altri due di carattere laboratoriale, con testimonianze e ipotesi di una UDA trasversale di educazione civica e svilupperà le pratiche della didattica per competenze e dell’e-learning.
Destinatari: Docenti Scuola secondaria I e II grado
Max iscrizioni: n. 40 (30 in presenza + 10 online).
Durata del corso: 12 ore
Frequenza necessaria: 9 ore (almeno il 75% della durata del corso)
Costo corso: € 70,00 È possibile il pagamento con Carta del docente, codice SOFIA n 84709.
Data apertura iscrizioni: 12 settembre 2023
Data chiusura iscrizioni: 18 novembre 2023
Direttore responsabile: Prof.ssa Marcella D’Imporzano Responsabile Area didattica Fondazione ETS Istituto Spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea.
Metodologia di lavoro: Aula – lezioni frontali; Laboratori; e-learning
Materiali e tecnologie usati: Slide, videoproiettore, dispense
Sede di svolgimento: La Spezia, MIR Centro Studi Memoria in rete, via Gio Batta Valle, 6
I partecipanti al corso a distanza potranno seguire le lezioni attraverso il programma di videoconferenze ZOOM meetings
Contatti:
Fondazione ETS – Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea c/o Biblioteca Civica P.M Beghi, via del Canaletto, 100 19126 – La Spezia cell. 353 452 3633 – tel. 0187 727886 – email: info@isrlaspezia.it
Calendario del corso:
Mercoledì 6 dicembre 2023, orario 16.00-18.00 Campi e temi della storia dello sport Alberto Molinari Collaboratore dell’Istituto storico di Modena e della Rete degli Istituti storici dell’Emilia Romagna, membro della Società italiana di Storia dello Sport (SISS), membro del Laboratorio di storia delle migrazioni dell’Università di Modena e Reggio Emilia, autore di numerosi saggi, vincitore del premio Manacorda 2022 per il volume “Major Taylor il negro volante. La storia del primo ciclista di colore, tra sport e razzismo” Ediciclo 2022.
Lunedì 22 gennaio 2024, orario 16.00-18.00 Giochi di potere. Olimpiadi e politica nella storia del Novecento Nicola Sbetti Docente presso l’Università Alma Mater Studiorum, Bologna, Scuola di Scienze Politiche, membro della Società Italiana Storia dello Sport, di cui è delegato regionale per l’Emilia Romagna, presso la biblioteca provinciale del CONI.
Mercoledì 21 febbraio 2024, orario 16.00-18.00 “Biciclette partigiane” e altre storie di sport in guerra Sergio Giuntini Presidente della Società italiana di Storia dello Sport (SISS) tra i maggiori storici dello sport italiani, ha insegnato Storia dello Sport all’Università Statale di Milano e attualmente svolge attività di ricerca presso la Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Roma Tor Vergata, autore di decine di volumi e saggi. Dialogherà con i corsisti partendo da un suo recente libro “Biciclette partigiane”. 20 storie di ciclismo e Resistenza (Bolis Edizioni).
Giovedì 14 marzo 2024, orario15.30-18.30 Testimonianze dallo/sullo sport: parlano i protagonisti e interrogano i corsisti Stefano Mei Presidente FIDAL Campione europeo a Stoccarda 1986 nei 10.000 metri, 42 presenze in Nazionale assoluta
Alessandra Borio Docente scuola superiore, partecipante alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 per il canottaggio
Sauro Baldiotti Maestro benemerito cintura nera 7° dan di Karate e componente Commissione Nazionale Insegnanti Tecnici Karate della Federazione Sportiva Nazionale FIJLKAM
Armando Napoletano Giornalista del quotidiano genovese Il Secolo XIX e corrispondente di Tuttosport; autore di numerosi libri tra i quali “Due piedi sulle nuvole. Stefano Mei, una storia di atletica leggera” (2019) e “Lo scudetto dello Spezia. Storia della vittoria dei Vigili del Fuoco del 1944 e del presidente che diede vita al sogno” (2020) Edizioni Giacché
Mercoledì 10 aprile 2024, orario 15.30-18.30 Unità di apprendimento trasversale di educazione civica: confronto e discussione Daniel Degli Esposti Storico del mondo contemporaneo, è autore di saggi, mostre e contenuti multimediali sulle vicende del Novecento in Emilia-Romagna. Si occupa di storia dello sport nel XX secolo, realizzando progetti didattici e iniziative di Public History. È attivo nel progetto culturale “Allacciati le storie”, in sodalizio professionale con Paola Gemelli. Costruisce percorsi di ricerca e divulgazione storica con associazioni e amministrazioni comunali, applicando i metodi della Public History alle ricerche di storia locale. Realizza attività didattiche e laboratori per gli studenti e cicli di incontri formativi per gli adulti.
La Fondazione ETS Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea è parte della Rete degli istituti associati all’Istituto Nazionale Ferruccio Parri (ex Insmli) riconosciuto agenzia di formazione accreditata presso il Miur (L’Istituto Nazionale Ferruccio Parri con la rete degli Istituti associati ha ottenuto il riconoscimento di agenzia formativa, con DM 25.05.2001, prot. n. 802 del 19.06.2001, rinnovato con decreto prot. 10962 del 08.06.2005, accreditamento portato a conformità della Direttiva 170/2016 con approvazione del 01.12.2016 della richiesta n. 872 ed è incluso nell’elenco degli Enti accreditati).
La Società Italiana di Storia dello Sport (SISS) è un’associazione culturale senza fini di lucro, nata nel 2004 su iniziativa del Centro di Studi per l’Educazione Fisica e l’Attività Sportiva di Firenze e del Gruppo italiano del European Committee for Sports History (CESH). SISS conta su un nutrito gruppo di storici di altissimo profilo scientifico dediti a vari ambiti disciplinari nel quadro della storia dello sport. Dalla sua fondazione la Società Italiana di Storia dello Sport si è distinta nel suo impegno per l’organizzazione di congressi sul territorio nazionale coinvolgendo storici di fama internazionale, per la realizzazione di pubblicazioni inerenti la storia dello sport e delle federazioni sportive e per la promozione della partecipazione degli storici italiani alle manifestazioni italiane e internazionali aventi come oggetto la storia dello sport.
Ricorre oggi il centenario della nascita di Ferruccio Battolini, nacque appunto il 1 settembre 1923 alla Spezia dove morì nel febbraio 2007.
Siamo abituati a pensare a Battolini come critico d’arte o studioso d’arte contemporanea, senza fissarlo nella veste di “bibliotecario” al servizio della comunità. La sua attività nel mondo delle biblioteche risale agli anni Cinquanta, quando laureato, dopo i tragici eventi della Guerra e della Resistenza, a cui partecipò con il nome di “Poeta” -e la scelta di questo nome di battaglia lascia già presagire il suo profondo interesse per le arti e la cultura-, nonostante le spiccate capacità professionali, occupa un posto, a contratto, chiamato come collaboratore da Ubaldo Formentini.
Il suo impegno verso la Biblioteca Mazzini, prestigiosa istituzione culturale della nostra città –e non solo- ma di tutto il comprensorio spezzino, è costante e coerente nell’affermare con forza quale deve essere il ruolo di una biblioteca pubblica, cenacolo di intellettuali ma, e soprattutto, luogo di incontro e di conoscenza per persone comuni.
Molti meriti gli vanno attribuiti soprattutto nella ristrutturazione del servizio bibliotecario. Il suo pensiero e la sua azione erano spesso rivolti alle più giovani generazioni verso le quali ha sempre avuto un occhio attento, rigoroso e aggiornato: l’arricchimento della dotazione libraria, l’ampliamento della disponibilità dei locali, l’aumento di personale specializzato (e qui si è sempre reso conto che senza operatori qualificati le biblioteche sono costrette a una vita precaria e marginale), la preparazione di un catalogo aggiornato e di un’efficace impostazione bibliografica.
Con impressionante lungimiranza, sosteneva che la Biblioteca intesa come accumulatore di raccolte documentarie, punto fisico obbligato di accesso al documento, concentrata sulla custodia più che sulla comunicazione del suo patrimonio culturale, era destinata ad essere superata.
È proprio da questo modello tradizionale, proprio dall’intento di valorizzare e di utilizzare quella parte del patrimonio presente all’interno del territorio comunale, che Battolini sollecita l’Amministrazione Comunale a istituire un Sistema Bibliotecario urbano, articolato su biblioteche comunali, scolastiche e di altri enti.
Siamo nel 1986, l’anno in cui viene inaugurato un nuovo polo bibliotecario, appunto la Civica Beghi, dove trova spazio l’Istituto storico della Resistenza, sorto nel 1972 grazie ai preziosi consigli e alla collaborazione di Ferruccio Battolini, anch’egli tra i fondatori e primo Direttore dell’Istituto spezzino (lo resterà fino agli anni Novanta).
Affermato critico d’arte e giornalista, il professor Ferruccio Battolini nell’anno 2000 ha donato al Comune della Spezia circa 500 opere d’arte che hanno arricchito in maniera decisiva l’offerta culturale cittadina.
Vorrei però evidenziare che la sua visione di “bibliotecario” è sempre rimasta viva; si pensi alla bibliografia dei suoi scritti, bibliografia nutritissima, lungo un arco di tempo comprendente più di mezzo secolo; una raccolta di volumi e saggi monografici, introduzioni, prefazioni, saggi, letteratura e storia.
È racchiuso in essa tutto il suo lavoro culturale, lavoro che ha seguito un rigoroso discorso logico: comunicare senza riserve, senza preconcetti, con il più alto spirito di tolleranza, prospettando ogni aspetto dibattuto o controverso. Un autore di primo piano, un protagonista culturale sono le migliori definizioni per ricordarlo!
Autore: Dino Grassi “Io son un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista” a cura di Giorgio Pagano Edizioni ETS, Pisa, 2023
Una premessa
Le pagine del libro, in tutto 194, dense per il significato che rivestono, corrono assai veloci se il lettore le affronta con atteggiamento curioso verso un mondo, quello del lavoro, del sindacato, dei partiti, in special modo del PCI, dalla metà circa degli anni Quaranta del Novecento fino alla fine degli anni Settanta, compresa un’incursione nella contemporaneità, grazie all’intervista suddivisa in due fasi che il curatore Giorgio Pagano, nel gennaio e nel febbraio 2023, ha fatto a Dino Grassi, nato nel 1926 e scomparso poi nel giugno 2023.
Il contenuto in breve
Un’autobiografia operaia, ma non solo
Il cuore del libro, attorno al quale ruota la recente intervista di Giorgio Pagano a Dino Grassi, la postfazione, “Un’idea compiuta di moralità”, costituita da un piccolo saggio storico sempre di Giorgio Pagano, il ricco corredo fotografico, nonché le sintetiche biografie di numerosi uomini della comunità operaia del cantiere Muggiano, è costituito da quella che potrebbe essere definita, in termini letterari, un’autobiografia di Dino Grassi. È lui il vero protagonista, quindi, ma, attorno a lui, prende vita un’intera comunità di fabbrica, tramite una sintesi personale, e tuttavia, mai individualistica.
Uno sguardo che, dalla fabbrica, si sposta sul mondo
Si viene a comporre nella narrazione una sorta di filo rosso che attraversa epoche differenti, oggi trascurate e quasi dimenticate, in una dimensione territoriale, nazionale ed internazionale, epoche che vale la pena “sfogliare” insieme alle pagine del libro, per non smarrire il senso di una epopea collettiva, senza la cui conoscenza il nostro presente sarebbe -ed è- desolatamente privo di strumenti interpretativi.
Non tutti gli operai hanno scritto o scrivono: Dino Grassi, che aveva amato da sempre i libri, tanto da provarne nostalgia e ritornare, ormai adulto, sui banchi di scuola, ma che, da giovinetto, si era fermato, dopo la Scuola Elementare, alle prime classi dell’Avviamento, perché la povertà della sua famiglia non glielo consentiva, scrive, con efficacia, chiarezza e originalità, mescolando stili diversi e dando voce a quelli che non hanno potuto cimentarsi con tale complessa arte.
La sua autobiografia, sorretta da numerosi e puntuali riferimenti documentari dentro lo stesso testo (corredato da chiare note storiche curate da Giorgio Pagano), può essere integrata, per chi volesse approfondire l’argomento, con ulteriori carte tratte dall’archivio dello stesso Grassi, che trovano posto in un sito web appositamente predisposto.
Una possibile sintesi
Dalle pagine emergono innanzitutto la dignità e le abilità del mondo del lavoro, descritto da Grassi attraverso un linguaggio puntuale, e da cui traspare tutto l’orgoglio di farne parte, esercitando un mestiere che, come quello del “maestro d’ascia”, dà luogo a prodotti ben fatti.
L’essere operaio passa infatti, per Grassi, attraverso l’esercizio consapevole di una capacità che gli consente di esprimere, con fierezza, il suo essere innanzitutto lavoratore, vero e proprio fondamento del suo essere sindacalista e aderente al PCI. Questo non significa che il protagonista non metta in luce tutti gli aspetti faticosi, disumani, alienanti che possono caratterizzare la condizione dei lavoratori (le pagine dedicato a ciò sono numerose) ma che, proprio partendo dal prodotto che esce, letteralmente, dalle mani dell’operaio, si può intraprendere una faticosa via di riscatto personale e di classe.
Entrato giovanissimo in cantiere a 14 anni, nel 1940, Grassi fa a tempo a conoscere l’angoscia dei bombardamenti, la violenza della guerra e del connubio nazifascista, ascendendo i gradini lavorativi della fabbrica che vive come vera e propria “Università”. La sua maturazione sindacale e politica si intreccia all’aver vissuto a fondo il mondo del lavoro: proprio ciò gli consente di essere sindacalista e dirigente politico consapevole, arrivando a ricoprire la carica di Consigliere regionale della Liguria per il PCI dal 1970 al 1980.
E nell’autobiografia, una specie di romanzo di formazione, vivono le vicende di un’intera città (e provincia), dal difficilissimo secondo dopoguerra, alle sconfitte elettorali della sinistra, alla discriminazione contro i lavoratori inquadrabili in essa, alle lotte del lavoro, a quelle per la salvezza del Muggiano, che, per un perverso intreccio di decreti governativi italiani e direttive della Comunità europea, doveva, negli anni Sessanta, essere ridotto a cantiere di riparazione, il che equivaleva ad essere condannato a morte.
E insieme alle lotte mai sopite e ai momenti drammatici, ci sono le conquiste di quegli anni, le più importanti mai conseguite dalla classe operaia italiana e… c’è la salvezza del cantiere.
Lina Fratoni e Rino Cerretti Le fotografie, scattate e rielaborate da Mauro Martone, sono poste sulla pietra di marmo che chiude i loculi dei due caduti (Cimitero dei Boschetti-La Spezia)
La lente d’ingrandimento, per guardare al 25 luglio 1943, cioè alla caduta del regime fascista (e di Benito Mussolini), può essere variamente puntata: in questo breve intervento, non mi volgerò a fatti nazionali1 o regionali, o all’interpretazione storiografica di essi, ma focalizzerò alcuni episodi locali, più o meno rilevanti, e tuttavia significativi del clima dell’epoca, basandomi fondamentalmente su documenti riguardanti l’ordine pubblico. Accennerò così ad alcuni avvenimenti, compresa la ricostruzione della famosa manifestazione del 29 luglio 19432, che vide un imponente corteo spostarsi dalla zona sud della città della Spezia verso quella nord, con particolare attenzione al drammatico epilogo di esso, occupandomi infine di tre volantini, presaghi del futuro politico che si sarebbe determinato grazie alla costituzione dei CLN.
Tutti gli episodi, cui farò riferimento, sono documentati presso l’Archivio di Stato-La Spezia 3.
L’ordine dei fatti segue, in questo articolo, l’ordine dei documenti, cioè le date progressive che l’intestazione di questi ultimi riporta. N.B.: dentro ogni documento, però, possono essere elencati fatti avvenuti in giorni diversi4 o, se i documenti provengono da fonti diverse, ripetuti episodi.
28-7-1943
La Legione Carabinieri-Compagnia esterna La Spezia segnala che ad Arcola, in data 28 luglio 1943, giovani hanno forzato l’ingresso del fascio di combattimento distruggendo oggetti, schedari, ecc.
28-7-1943
La Tenenza dei Carabinieri-Sarzana segnala che il 28-7-1943, a Ponzano Magra, un gruppo di operai dell’Officina del Regio Arsenale, decentrata dalla Spezia a Ponzano, ha staccato lo stemma del fascio littorio dalla sede del fascio e quello collocato sulla locomotiva della Società Ceramica Ligure.
28-7-1943
La Tenenza dei Carabinieri-La Spezia segnala che in data 27 luglio, alle 21,30, 2 mila persone5 circa si sono portate, a Pitelli, sotto la sede del fascio, distruggendo tutto, compresi gli schedari, e che analoga manifestazione, composta da circa 100 elementi, è avvenuta davanti alla Casa del fascio a Muggiano.
28-7- 1943
La Tenenza dei Carabinieri-La Spezia denuncia quanto avvenuto a San Venerio, dove alcune decine di manifestanti si sono impadroniti di documenti vari nella sede locale del fascio, incendiandoli. In tale ambito sono intervenuti un agente di PS, un tenente della Regia Marina e alcuni marinai che hanno provveduto all’arresto di Domenico Colombo6.
28-7-1943
La Tenenza dei Carabinieri-La Spezia segnala che, alle 15, 30 di “oggi” (quindi 28-7-43), un “gruppo di facinorosi” è entrato nella sede del gruppo rionale “Bisagno” al Canaletto e nel Comando GIL La Spezia-Migliarina, buttando tutto all’aria e incendiando quanto trovato. Inoltre alle 17, a Fossamastra, presso lo stabilimento OTO-Termomeccanica, sono stati tratti in arresto: Frate Felice (abitante a Migliarina), Giuntini Mario (abitante a Fossamastra), Comiti Valentino (abitante a Fossamastra) e Cibei Luigi (abitante a Sarzana): sono accusati di avere ordinato a operai fascisti di abbandonare il lavoro e di avere sobillato le maestranze per indurle all’indisciplina.
Sempre in data 28-7, alle ore 13, “alcuni sediziosi” sono entrati nel gruppo rionale fascista “P. Montefiori” di Migliarina, raccogliendo carte, buttandole e incendiandole nel cortile.
Mattinale del giorno 28-7-1943, Regia Questura, La Spezia
Il Mattinale giudica la “giornata di ieri” (quindi 27 luglio 1943) “nel complesso normale”7, ma segnala svariati episodi.
Alcuni ufficiali degli Alpini, appartenenti a truppe di passaggio, hanno invitato alcuni fascisti a togliersi il distintivo8 dall’occhiello; verso le 12 c’è stata un’incursione nel circolo “Bisagno”, al Canaletto; è scoppiato un tafferuglio tra gli operai militarizzati alloggiati in piazza Verdi (a causa della presenza di appartenenti alla Milizia); a Sarzana un centinaio di persone, in gran parte studenti, ha fatto una dimostrazione al grido di W l’esercito, W Badoglio, Abbasso il fascismo9; ci sono stati anche lievi incidenti nelle frazioni; si sono inoltre verificati tafferugli, attribuiti dall’estensore del documento al fatto che alcuni avventori volevano giocare alla “morra”, nell’esercizio pubblico gestito in via Sarzana (La Spezia) da Portunato Ercole, con scoppio di bombe e colpi d’arma da fuoco10.
29-7-1943
La Tenenza Carabinieri- La Spezia segnala un assalto (avvenuto, secondo il documento, “ieri sera”), al gruppo rionale fascista “Alfredo Sensi”, al Limone, un assalto alla Chiappa contro la sede rionale del fascio “E. Ferro”, in occasione del quale erano stati ritrovati due volantini firmati “Partito Comunista- Sezione della Chiappa”, l’incendio del circolo “Majani” a Mazzetta, l’assalto alla sede delle Grazie (Portovenere), in occasione del quale sono stati arrestati dal “pattuglione” della Marina: Carassale Gino, Nardini Domenico, Sturlese Aldo, Bello Nicola, Speranza Giorgio, Fascetti Ajello, Valdettaro Giuseppe.
Viene inoltre segnalato che “stamane” (quindi 29 luglio) non si sono presentati al lavoro circa 100 operai delle Officine Motosi11 site in viale Costanzo Ciano, traversa di via della Pianta, che avrebbero partecipato alla manifestazione12 tenutasi alla Spezia, e così, verso le ore 10, 150 operai dell’OTO Termomeccanica hanno sospeso il lavoro, senza però abbandonare il loro posto, chiedendo la libertà per gli arrestati di Fossamastra. Tuttavia, nonostante i fatti “su esposti”, l’ordine pubblico “è rimasto normale”.
29-7-1943
La Tenenza di Sarzana segnala che a San Terenzo (Lerici) tre fascisti, con il benestare del Segretario, hanno trasportato dalla loro sede registri (che poi hanno incendiato), altri sono entrati nella sede di Pugliola.
Mattinale del giorno 29 luglio 1943- Regia Questura, La Spezia
Nel Mattinale c’è l’annotazione dei fatti di San Venerio, Pitelli, Migliarina, Canaletto, Arcola, Fossamastra, già riportati13, ma anche che 3 mila operai dell’OTO14 chiedono l’allontanamento dal lavoro degli operai squadristi e che “l’ingegner Rossi” ha istigato a ciò gli operai, compresa la descrizione, sommaria, della manifestazione, avvenuta alla Spezia lo stesso giorno.
Per la manifestazione tenutasi alla Spezia15, conviene esaminare un ulteriore documento.
29-7-1943, Carabinieri- Gruppo La Spezia
Secondo questo documento, firmato da Vincenzo Ragusa, Maggiore, Comandante del Gruppo, il corteo16 presenta momenti di arresto e di ramificazione, percorrendo corso Cavour, ma deviando anche verso via Colombo, dove viene preso d’assalto il circolo “Landini”, in viale Savoia17, dove è assaltata la caserma GIL18, ed ancora, nella zona nord, dove è assaltato il circolo fascista “Podestà”. In questa prima fase, con particolare riferimento al segmento che riguarda la Federazione dei fasci, in piazza del Municipio19, rimane ferito, con altri, Mario Ceretti20, operaio presso la ditta Puli in Arsenale21. Svariati sono gli arresti.
Il corteo, più volte disciolto (e ricomposto), si ritrova infine in viale Regina Margherita22, davanti alla caserma del XXI Reggimento, inneggiando a Badoglio e all’esercito.
E proprio qui si dipanano ulteriori fatti, drammatici, nell’ambito dei quali ci sono numerosi feriti e trova la morte una giovanissima donna.
“Una ventina di camicie nere della locale 35a legione MVSN23, al comando di un ufficiale, attraversava il ponticello che sovrasta il fossato circostante l’edificio della Direzione d’artiglieria e si schierava, trasversalmente, sulla strada di fronte, circa 200 m. dal gruppo dei dimostranti. I militi si inginocchiavano e spianavano i moschetti.”
A questo punto, nonostante l’intervento di un vice Brigadiere dell’Arma e di un altro carabiniere, che si portavano verso le camicie nere “gridando di non sparare”, i militi “Aprivano senz’altro il fuoco ed i due sottufficiali dell’Arma fecero appena in tempo a gettarsi sul lato della strada per non essere colpiti, mentre il crepitio dei moschetti continuava.” Succede così che “Qualcuno dei dimostranti si dava alla fuga, altri si rifugiavano all’interno della caserma del XXI Reggimento e alcuni cadevano a terra colpiti.” Inoltre, alcuni ufficiali del XXI Reggimento cercavano di far segno ai militi di desistere “Ma soltanto quando sulla strada non fu più alcun dimostrante, il fuoco cessava. Intanto una ragazza Frattoni24 Nicolina (1928), operaia Motosi (Canaletto) moriva”.
Numerosi risultavano i feriti: secondo il rapporto otto25.
Il Maggiore Ragusa puntualizza infine che “I dimostranti erano tutti disarmati e molti di essi furono perquisiti durante l’invasione del gruppo rionale fascista “Podestà”; alcuni di essi, avendo rinvenuto in una sala un moschetto, lo consegnavano al Comandante la stazione di La Spezia-settentrione.
Non risulta che dai dimostranti sia partita qualche frase offensiva contro la Milizia e si esclude che dai dimostranti siano partiti colpi d’arma da fuoco.”26
Nei giorni successivi (30 luglio 1943) sono segnalati dai Carabinieri episodi che denotano l’insofferenza popolare: a Padivarma (Beverino), dove compaiono scritte con “Abbasso Hitler, W la Russia, Abbasso gli assassini di Matteotti”, per cui sono fermate due persone, nonché a Marola27, dove è assaltato il gruppo rionale fascista, asportate e bruciate le carte rinvenute in esso.
Ma la cosa più interessante, e che dimostra il sicuro avvio di un’importante fase propositiva antifascista, è il rinvenimento di alcuni volantini.
In data 1 agosto 1943, la Compagnia Carabinieri interna-La Spezia dice che, alle ore 8, un sottufficiale “rinveniva a La Spezia, via Prione”, un foglietto piegato in quattro28, intestato “Unione nazionale per la pace e la libertà” e firmato “Il Comitato regionale Partito d’Azione, PCI, DC, PLI, Partito Socialista, Movimento Unità proletaria”. Il foglietto, per il quale disponiamo dell’originale in ASSP, si rivolge ai cittadini, dicendo loro di andare in piazza “Oggi alle ore 17”, per chiedere l’armistizio immediato, la pace con onore, via i tedeschi, lo scioglimento immediato della MVSN e del PNF29, la punizione dei responsabili dei crimini durati 20 anni, la liberazione immediata degli antifascisti dal carcere e la restituzione immediata delle libertà costituzionali.
A proposito di volantini30, va aggiunto che esistono, sempre in ASSP, gli originali di altri due volantini, uno datato 27 luglio 194331, firmato Il “Comitato Popolare Italiano”, in cui si parla di “mostruosa dittatura” responsabile del “sangue, rovine e fame” che opprimono il popolo italiano, e che si chiude con “W l’Italia! W la pace! W la Costituente”; c’è infine un ulteriore volantino32, non datato, ma risalente alla medesima fase. In quest’ultimo, partendo dall’invocazione “Italiani!”, si compie un’analisi del presente, affermando che “Spunta sul nostro Paese in rovina l’aurora della libertà e della pace.” Dopo avere dichiarato che “I partiti antifascisti che da vent’anni hanno condannato e decisamente combattuto la funesta dittatura fascista” pongono alcuni obiettivi, si individuano ulteriori punti: la liquidazione totale del fascismo e dei suoi strumenti di oppressione33, il ristabilimento di una giustizia esemplare, l’abolizione delle leggi razziali e la costituzione di un governo formato dai rappresentanti di tutti i partiti che esprimono la volontà nazionale. Il documento esprime poi “L’irremovibile volontà” che la nuova situazione creatasi non venga sfruttata per salvare gli interessi di chi ha sostenuto il fascismo o da esso è stato sostenuto. Il volantino è firmato da34 “Il Gruppo di Ricostruzione Liberale – Il Partito Democratico Cristiano – Il Partito d’Azione – Il Partito Socialista – Il Movimento di Unità Proletaria per la repubblica socialista – Il Partito Comunista”.
Insomma, era precocemente e faticosamente avviata, se pensiamo a quanto succede alla Spezia dopo l’8 settembre 1943, una unità antifascista: essa sarebbe stata alla base dei CLN35 e avrebbe reso possibile, nonostante la non sempre facile intesa tra componenti politicamente assai diverse, la crescita e la vittoria del fenomeno resistenziale. Una specie di miracolo, tenuto conto del fatto che l’Italia usciva da venti anni di dittatura e che ognuno, a quel punto, fu posto di fronte ad una scelta, da compiere in libertà. E ogni scelta è un rischio, specie quando non si è abituati a scegliere. Ebbene, tale unità fu, in un certo senso, la rete di fondo che, in qualche modo, dopo il momento prioritario della scelta, rese possibile la concretizzazione fattiva di essa.
NOTE
1 Ricordiamo, brevemente, che, nella notte tra 24 e 25 luglio 1943, il Gran Consiglio del fascismo, riunito nel pomeriggio del 24 luglio (convocazione alle 17), vota, alle 2,30 del 25 luglio, l’odg proposto da Dino Grandi, in quel momento Presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni (19 a favore, 7 contrari e 1 astenuto).Tale odg, chiede il ripristino di tutte le funzioni statali, seguendo le leggi statutarie e costituzionali e demandando al Re l’effettivo comando delle Forze Armate (quindi la conduzione della guerra). In questa maniera viene di fatto sfiduciato Benito Mussolini, anche perché, nell’architettura statale italiana, il Gran Consiglio non è semplicemente un organo di partito, ma, per volontà dello stesso Mussolini, è organo di massima rilevanza costituzionale. Mussolini, presentatosi nel pomeriggio del 25 luglio 1943 a Villa Savoia (residenza di Vittorio Emanuele III), viene costretto a dare le dimissioni, e, all’uscita dal colloquio con il sovrano, è tratto in arresto dai carabinieri e portato via con un’ambulanza. La notizia della caduta del regime comincia a diffondersi in serata e la radio ne dà notizia dopo le 23. Si apre così la fase conosciuta come i “Quarantacinque giorni”, che si conclude con l’8 settembre 1943. Per sentire l’annuncio radio, v. sito https://www.bolognatoday.it/cronaca/25-luglio-1943-caduta-fascismo-mussolini.html.
2 Una manifestazione era avvenuta a Sarzana il 27 luglio, a partire dalle 18, ispirata fondamentalmente dal PCI. Anelito Barontini si era spostato sulla Spezia, per diffondere la notizia; Paolino Ranieri era rimasto a Sarzana per provvedere localmente all’organizzazione. La sera del 25 luglio Soresio Montaresi, operaio dell’Ansaldo, per come tramandato, era già riuscito a stampare i primi volantini da diffondere.
3 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7.
4 Le date, le quantità di manifestanti, gli orari, i danneggiamenti vengono riportati come tali.
6 Domenico Colombo, padre di Franco Colombo, partigiano durante la Resistenza del Battaglione “M. Vanni” e di Sauro Colombo, partigiano sempre del Battaglione “M. Vanni”, quest’ultimo catturato, deportato e morto in campo di sterminio, militerà, durante la Resistenza, nelle SAP spezzine, morendo a Montalbano il 24 aprile 1945 (v. la sua scheda in https://partigianiditalia.cultura.gov.it/persona/?id=5bf7bed34d235218049f147b).
7 Come si può notare, il tentativo è quello di ricondurre al termine “normale” uno stillicidio di fatti in realtà anormali.
8 Il distintivo del PNF portato abitualmente all’occhiello della giacca, specie dai funzionari pubblici, diede luogo, in quelle circostanze, ad atteggiamenti completamente diversi. Ci fu, infatti, tra le varie tipologie, chi l’aveva indossato pienamente convinto e che, quindi, avrebbe voluto tenerlo, chi scelse di buttarlo per paura, chi non l’aveva proprio mai indossato ed era stato perseguitato, ma anche chi lo tolse con sollievo. Quest’ultimo atteggiamento, che si potrebbe definire “nicodemitico”, è ben reso da Vega Gori “Ivana”, nel luglio 1943 impiegata presso l’Ufficio statale dell’ammasso del vino in viale Italia, a Migliarina. Dice “Ivana”: “Arrivò l’estate e una calda mattina di luglio, mentre ero in treno per recarmi al lavoro con la vice-capoufficio, Wilma, che mi aveva portato con sé a trovare la sua famiglia sfollata a Licciana Nardi, cominciò sommessamente a circolare la notizia incredibile della caduta del fascismo… In quella giornata non assistetti personalmente a manifestazioni di piazza ma, nel percorso che feci, dalla stazione di Migliarina all’ufficio, lessi sui volti di chi incontravo soprattutto stupore e ansia (temperata per taluni da un senso di liberazione) rispetto a quanto era successo e avrebbe potuto succedere. Arrivata al lavoro, accadde poi un episodio che mi è sempre rimasto chiaro nella mente. Si presentò un impiegato senza il distintivo fascista all’occhiello e il direttore lo apostrofò dicendo: ‘E’ bastato solo un giorno per buttare via il distintivo fascista?’, e quello, che si chiamava Marchesini, rispose: ’Sì, un giorno, che ho aspettato vent’anni!’” (Gori, Vega ‘ Ivana’, Mirabello Maria Cristina, “’Ivana racconta la sua Resistenza. Una ragazza nel cuore della rete clandestina”, Edizioni Giacché, 2013, p. 32).
9 Tali parole d’ordine erano state precedentemente concordate dal gruppo comunista di Sarzana. V. Mattinale del 28-7-1943 citato nel testo.
10 Sembra eccessivo che voler giocare alla “morra” implichi reazioni di questo tipo.
11 Le Officine Motosi erano, per come risulta da testimonianze e documenti, un centro cui afferivano, anche per motivi di lavoro, noti esponenti comunisti: ad esempio, cognato del titolare era Giovanni Albertini che, successivamente, avrebbe assunto il nome di “Luciano”, partecipando alla Resistenza ed assumendo in essa svariati incarichi, tra cui quello di Commissario politico della Brigata “ M. Vanni”, per un breve periodo anche Comandante di essa, ed infine Comandante della Brigata “Gramsci”(costituita dai Battaglioni “Maccione”, Matteotti-Picelli” e “Vanni”). Anche Duilio Lanaro “Sceriffo”, Comandante per alcuni mesi, dopo il 3 agosto 1944, della Brigata “Vanni”, vi aveva lavorato.
14 All’OTO lavorava come tecnico l’antifascista Michele Castagnaro il quale venne portato in trionfo. Per Michele Castagnaro, che, tra i più attivi organizzatori dello sciopero nelle fabbriche spezzine del marzo 1944, viene deportato a seguito di essi, morendo a Mauthausen-Gusen, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/SStefano-Castagnaro-Michele-via.pdf (a cura di Maria Cristina Mirabello).
15 Descrizione di tale manifestazione è leggibile in: Bianchi, Antonio, Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana, Editori Riuniti, Roma, 1975, pp.237-239; Pagano, Giorgio, L’arresto di Mussolini e i cortei alla Spezia e a Sarzana, (https://www.cittadellaspezia.com/2013/07/29/25-luglio-1943-larresto-di-mussolini-e-i-cortei-alla-spezia-e-sarzana-139083/); Pagano, Giorgio, 25 luglio, riscopriamo la speranza (https://www.cittadellaspezia.com/2018/07/29/25-luglio-riscopriamo-la-speranza-265314/). La manifestazione (e il tragico epilogo di essa) suscitò molta commozione, dando il segnale che niente poteva ritornare come prima. Pina Cogliolo “Fiamma”, in un breve scritto di sei pagine, autografato dalla stessa “Fiamma” e dedicato “Alla compagna Ricciardi”, cioè alla madre di Nino Ricciardi, Medaglia d’oro al VM e partigiano del Battaglione “M. Vanni” (AISRSP, non catalogato), dice: “Le prime ribellioni al fascismo le avvertii il 29 luglio 1943 quado Lina Fratoni, una mia coetanea, fu uccisa alla Spezia, dalla milizia fascista durante una manifestazione.”
16 Per il corteo, nei documenti, si parla di circa 2 mila persone.
26 L’episodio della manifestazione, in cui cade Lina Fratoni, e, ferito gravemente, muore poi Rino Cerretti, viene giustamente collocato nei prodromi della Resistenza. D’altra parte, se la Resistenza è guerra patriottica, civile, di classe, l’episodio narrato, in cui, nonostante il monito dei carabinieri, la Milizia spara contro i dimostranti, è esemplificativo della connotazione di “guerra civile”, con una parte, però, ancora disarmata. Di lì a poco, la “guerra civile” avrebbe visto due parti contrapposte, e in armi.
27 A seguito dell’episodio di Marola, i Carabinieri-Gruppo La Spezia, in data 3-8-1943, comunicano che sono stati effettuati svariati arresti.
28 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7, f 26.
29 Poiché lo scioglimento del PNF avviene già il 27 luglio 1943, è evidente che il volantino è precedente, e quindi collocabile a ridosso del 25 luglio.
30 La Tenenza Carabinieri-La Spezia, in data 1 agosto 1943, comunica che al cantiere OTO del Muggiano sono stati rinvenuti due manifestini stampati e che è stato trovato, a Pitelli, un manifestino incollato sul muro di una scalinata, con firma “Il Comitato Popolare Italiano”. Quindi, o il Comitato Popolare Italiano aveva firmato più manifestini, o quello di Pitelli coincide con il manifestino di cui parliamo.
31 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7, f 30.
32 Archivio di Gabinetto della Prefettura di La Spezia, Atti riservati, Busta 100, ex 441, fascicolo 7, f 29.
33 Non si chiede più, quindi, lo scioglimento del PNF (già avvenuto in data 27 luglio 1943), ma, come si può vedere, la liquidazione, non solo formale, bensì sostanziale, del PNF, compresi tutti i suoi strumenti di dominio.
Lo studio del materiale alla base delle vicende della Brigata (poi Battaglione) “Melchiorre Vanni”2, o comunque riferito a fatti in qualche modo legati ad essa, ha dovuto necessariamente confrontarsi con un episodio drammatico, quello della fucilazione di Dante Castellucci “Facio”, Comandante del Battaglione “Picelli”. Infatti furono uomini della “Vanni”, comandata da Primo Battistini “Tullio”, ad essere usati come forza operante sul campo, ad Adelano di Zeri, e quindi ad essi fu poi demandata la fucilazione di “Facio”, all’alba del 22 luglio 1944.
Questo intervento non ha lo scopo di addentrarsi dentro al groviglio costituito, a mio parere ancora oggi3, dalla vicenda del processo (testi e contesti), cui sarà dedicato un Capitolo nel libro sulla4 “Vanni”, ma, semplicemente, di focalizzare un aspetto forse minore, e, tuttavia, a mio parere, storiograficamente importante.
In sintesi: chi era e che cosa faceva, nel luglio 1944, Nello Scotti, il cui nome ricorre nei libri sul processo? Ultimamente5 si è messa in dubbio addirittura l’esistenza di tale personaggio, avanzando ipotesi sull’uso del suo nome come copertura di una vera e propria eminenza grigia non spezzina, che agiva nello Zerasco: proprio perciò è bene indagare quale funzione Nello Scotti abbia realmente svolto in quella delicata fase.
Come si vede, le domande non pongono il quesito di quale sia stata la reazione, alla sentenza di condanna a morte di “Facio”, da parte dei vari membri del Tribunale (tra cui Nello Scotti), Tribunale peraltro criticato aspramente da Antonio Borgatti “Silvio”, all’epoca Segretario del PCI provinciale spezzino, per modalità di procedure, composizione e, quindi, esito finale6. Alla domanda sulla reazione, non posta in premessa, cercherò comunque di dare una qualche risposta.
Accingendomi alla ricerca, mi sono innanzitutto detta che, sebbene certe tematiche siano complesse e che, quindi, debbano essere trattate con molta cura, ciò non significa che occorra sempre formulare ipotesi complottistiche.
Ho deciso perciò di appurare, innanzitutto, l’esistenza fisica di Nello Scotti7, per capirne poi le vicende nel luglio 1944.
Devo onestamente dire che non sono riuscita a sbrogliare la faccenda fino a quando non ho potuto leggere il documento emerso, grazie a Oretta Jacopini, dall’Archivio privato, citato alla Nota 1: solo leggendolo ho infatti preso atto di che cosa facesse Nello Scotti in quei giorni del luglio 1944.
Ma, prima di passare al documento, vorrei rapidamente ricordare, e ce lo dice già Giulivo Ricci nei suoi scritti, specialmente nella “Storia della Brigata Matteotti-Picelli”, come non ci sia chiarezza sulla scena del processo svoltosi contro “Facio” ad Adelano, riguardo alle funzioni svolte dagli attori che vi compaiono, ad esempio su chi fece il Presidente8. In effetti le testimonianze in parte convergono e in parte divergono, non solo, non si capisce bene se “Alda”9 e Nello Scotti siano la stessa persona.
Contenuto del documento
Il documento è la richiesta10 (siglata dal numero 34) di iscrizione11 alla Federazione del PCI- La Spezia, Sezione Centro, avanzata, in data 10 giugno 1945, da Nello Scotti, nato il 12 luglio 1894 alla Spezia, ivi abitante, di professione impiegato in Municipio. Nello Scotti definisce la propria provenienza come “operaia”, la propria cultura “buona”, dichiara di avere frequentato la II Istituto Tecnico e di avere letto “Opere economiche, politiche, sociali dalla seconda metà dell’Ottocento alle attuali opere”. Afferma poi di essere stato iscritto al PSI fino al 1921 e, da tale data, al Partito Comunista, di non avere partecipato alla guerra di Spagna, né a quella di Abissinia, né ad Associazioni combattentistiche, d’arma e cooperativistiche.
Alla domanda se abbia appartenuto a formazioni patriottiche, risponde “Sì”, dal “1 luglio 1944 al 3 agosto 1944”, e poi alla domanda “In quale formazione?” indica “Comando I Divisione, quale Presidente Tribunale Rivoluzionario”, e, alla domanda “Al comando di chi’?” risponde “Colonnello Mario Fontana (Turchi)12.”
Quanto alla sua attività economica e politica dall’8 settembre 1943 fino alla data della Liberazione, afferma “Economiche disagiate; politica nella zona costiera; in collegamento Comando Divisione13”. E, infine, al quesito riguardo a quale attività intenda dedicarsi, se politica, sindacale, religiosa, giovanile, risponde “Politica-Sindacale”.
Segue poi, nel Paragrafo “Osservazioni”, una lunga precisazione dattiloscritta: “Patriotta dal 1 luglio al rastrellamento 3-8-44, rimanendo nella zona costiera in seguito a malattia. In detta zona ho costituito CLN a Borghetto Vara, Pignone, Beverino. Cellule di Partito in zona di Pignone, Beverino, Borghetto Vara.
In Adelano (Zeri) nominato presidente Tribunale Rivoluzionario e ufficiale di collegamento con gli alleati (Maggiore Gordon Lett)14.”
Fermo restando che tutto il documento è importante, è anche evidente che, per l’oggetto specifico della ricerca, risultano rilevanti specialmente alcune affermazioni di Nello Scotti. Da esse infatti ricaviamo che: Nello Scotti nel luglio 1944 è nello Zerasco, dove è nominato Presidente del “Tribunale Rivoluzionario”. Poiché non risultano altri Tribunali in tale fase, se non quello che ha condannato a morte “Facio”, Nello Scotti si riferisce ad esso. Cercando di lavorare di cesello, si può notare che Nello Scotti si autodefinisce “nominato” e lo fa con riferimento puntuale ad Adelano: insomma, la nomina è inerente all’episodio che ci interessa15.
Viene a questo punto spontanea una domanda: “Ma perché Laura Seghettini dice che la sentenza del processo è pronunciata da Antonio Cabrelli ‘Salvatore’? Forse sbaglia Laura?”. A mio parere, è molto difficile dimenticare chi condanna a morte il compagno (“Facio”) che ti sei scelta. E, in questo caso, Laura non sbaglia. La spiegazione è un’altra. Risulta anche in Giulivo Ricci che, al momento della sentenza, ci furono comportamenti diversi, di assenso, dubbio, perfino qualcuno che forse si ritirò dal giudizio. E’ plausibile che Nello Scotti non si sia identificato completamente nella sentenza, si sia ritirato (ma di ciò non c’è traccia nel documento da me esaminato, in cui, se mai, tale nomina diventa un titolo in positivo) e che perciò la situazione sia stata presa in mano da Antonio Cabrelli16, il quale, probabilmente, nel corso del processo, aveva rivestito il ruolo di Pubblico Ministero17.
Il cenno che, nelle “Osservazioni”, Nello Scotti fa ad una sua malattia per cui è rimasto nella zona costiera18 è inoltre molto utile per identificarlo con “Alda”. Infatti, in un documento successivo al 3 agosto 1944, relativo al drammatico rastrellamento avvenuto in tale data, Luciano, figlio di Nello Scotti, parla della malattia del padre, ma non lo nomina, probabilmente per le regole della clandestinità con il nome (e, tanto meno, con il cognome), bensì chiamandolo “Alda”19. La lettera20 è rivolta al PCI, e Scotti parla di “Alda”21 non solo come di persona prossima a se stesso, ma anche ben conosciuta dai destinatari.
In finale occorre osservare, per completezza, che la militanza di Nello Scotti, nonostante il suo riferirsi a opere successive al 3 agosto 1944, e questo lo fa nelle “Osservazioni”, non ha tuttavia un arco di tempo sostanziale per durata e/o opere, che gli consenta di avere la qualifica né di “Partigiano” né di “Patriota”. Infatti il suo nome non figura nel Registro Storico dei Partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa e nemmeno nell’archivio IPartigiani d’Italia (v. Rubrica “Cerca”).
Arrivata a queste conclusioni, che non vogliono essere definitive, sebbene le reputi abbastanza vicine a come potrebbero essere andate le cose, mi sono anche detta che Nello Scotti avrebbe potuto dichiarare il falso, insomma non essere stato Presidente del Tribunale ad Adelano, ecc., per cui cadrebbe tutto il ragionamento fatto. Credo, però, che mettere in atto un dubbio metodico, quando si fa ricerca storica, sia un bene, ma voler a tutti i costi ipotizzare “a posteriori” una costruzione fatta solo di sospetti, non faccia bene della storia…
1 Ho potuto scrivere questo intervento, che diventerà, nel libro sulla “Vanni”, un piccolo ma importante inserto, grazie all’impegno di Oretta Jacopini (ANPI-La Spezia) la quale mi ha consentito di leggere (e fotografare) un documento riguardante Nello Scotti. Oretta Jacopini ha infatti fotografato l’originale, giacente nell’Archivio privato di Lorenza Rocca, cognata di Luciano Scotti “Vittorio”, Comandante della I Divisione “Liguria-Picchiara”, IV Zona Operativa, nonché figlio di Nello Scotti.
2 L’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea /ETS mi ha incaricato di scriverla, individuando come data di uscita il 2024 (80° della Brigata “Vanni”), nell’ambito della ricorrenza del triennio 1943-1945, in corrispondenza all’arco 2023-2025.
3 Sebbene qualcuno parli di “verità” riguardo alla vicenda: la parola “verità” ricorre infatti, come si può notare, in almeno due titoli della bibliografia citata alla Nota 6.
4 Preposizione al femminile perché, nel luglio 1944, essa è Brigata, diventando Battaglione solo dopo qualche mese, a seguito della formalizzazione della IV Zona Operativa.
5 V. Salsi, Massimo, Il pezzo mancante. Una spy story nella Resistenza italiana, Albatros, 2022.
6 Il documento rinvenuto può infatti aiutarci a fare ipotesi plausibili anche a proposito della reazione di Nello Scotti.
7 Alcuni, in genere più anziani di me, mi dicevano di averlo sentito nominare, ma occorreva capire se l’arco di tempo in cui era vissuto fosse congruente al processo. Ricordo anche che la sua esistenza non era stata messa in dubbio dai seguenti Autori che si sono occupati del processo a “Facio”, e che sono, in ordine cronologico: Giulivo Ricci “La storia della Brigata Matteotti-Picelli”, ISRSP (1978), Spartaco Capogreco “Il piombo e l’argento. La vera storia del partigiano Facio”, Donzelli Editore (2007); Maurizio Fiorillo “Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945, Editori Laterza (2010), Luca Madrignani “Il caso Facio. Eroi e traditori della Resistenza”, il Mulino (2014), Pino Ippolito Armino “Indagine sulla morte di un partigiano. La verità sul comandante Facio”, Bollati Boringhieri (2023), né, tanto meno, da Laura Seghettini, compagna di “Facio”, quindi testimone coeva, in “Al vento del Nord. Una donna nella lotta di Liberazione” (a cura di Caterina Rapetti), Carocci, 2006. Tuttavia, quello che non risulta sempre chiaro dai libri è che cosa facesse Nello Scotti ad Adelano, se sia possibile identificarlo con “Alda” o se lui e “Alda” siano due personaggi diversi (v. dopo).
8 Secondo Laura Seghettini, quando lei entrò nella stanza del processo, vide Antonio Cabrelli “Salvatore” che, quale Presidente, pronunciava la sentenza.
9 Secondo taluni è uno tra gli attori della scena.
10 La richiesta segue un preciso questionario, prestampato e articolato in 4 pagine. Il riempimento è per la maggior parte dattiloscritto.
11 L’iscrizione al PCI era piuttosto complessa e passava, come si può vedere dallo stampato, per una serie di gradi di giudizio.
12 Sulla data della fondazione del Comando Unico affidato al Colonnello Mario Fontana, sappiamo che le date non sono univoche. Insomma, probabilmente Nello Scotti era nello Zerasco dal 1 luglio 1944, ma questa data non è coincidente con la fondazione del Comando Unico stesso (e con la pluralità di date con cui ci dobbiamo confrontare). E’ anche evidente che Scotti debba legare il Tribunale a qualche organismo formale e che perciò lo “appoggi” al Comando I Divisione, non certo alle Brigate afferenti.
13 Il testo è riportato come tale: “Economiche” è ellittico: va completato, forse, esplicitando in “condizioni economiche”. Le citazioni, comprese doppie, maiuscole e minuscole, punteggiatura, sono riportate come tali.
14 La domanda di iscrizione è controfirmata da due presentatori: Adriano Vergassola, vecchio comunista spezzino, e Terzo Ballani “Benedetto”, già noto e stimato Commissario Politico della Brigata “Cento Croci”. Il parere del Comitato di Cellula, a firma Aldo Franceschini, è favorevole, così quello del Comitato di Sezione a firma, se interpreto bene la scrittura, Quiriconi; infine, il Comitato Direttivo del Partito, a firma, Bruno Caleo, approva (Bruno Caleo “Fiumi”, già appartenente alla Brigata “Ugo Muccini”, è stato, nel secondo Dopoguerra, per un lasso di tempo non lungo, funzionario della Federazione provinciale del PCI spezzino).
15 Per essere ancora più esplicita: Nello Scotti non è nominato ed inviato dal CLN spezzino o dal Partito Comunista spezzino. Si trova ad Adelano (forse -ipotesi- perché il figlio, Luciano Scotti, sta per assumere un importante incarico: infatti diventerà Capo di Stato Maggiore della ormai nascitura I Divisione “Liguria”). Nella situazione determinatasi riguardo a “Facio”, Nello Scotti, vecchio iscritto al PCI (se la dichiarazione da lui resa per chiedere l’iscrizione corrisponde, nel riferimento al 1921, al vero) diventa, per anzianità, una sorta di garanzia, e viene nominato Presidente del Tribunale (per la composizione del Tribunale v. Nota 17).
16 Antonio Cabrelli “Salvatore”, comunista, ma in realtà sospeso da tale Partito, personaggio del tutto controverso, su cui tornerà il libro sulla “Vanni”: nominato nel luglio 1944 Commissario Politico della I Divisione “Liguria”, verrà poi sostituito dal comunista Tommaso Lupi “Bruno”.
17 Dal punto di vista giuridico, insomma, un pasticcio colossale. Antonio Borgatti “Silvio” giudicò, non a caso, tale Tribunale, come del tutto approssimativo.
18 In realtà, a mio parere, al solito, lo scritto è ellittico e l’espressione “costiera” va intesa come “zona di competenza della Brigata ‘Costiera’”. E’ utile, a tale proposito, un articolo on line di Giorgio Pagano (“Città della Spezia” – 24 marzo 2019) intitolato “24 marzo 1945, storia di un eccidio mai raccontato”, dove, riferendosi ad un grave episodio accaduto a Villa (Pignone), cita, traendolo dalle testimonianze raccolte, Nello Scotti, che, fermatosi a dormire a Villa, viene avvisato dell’arrivo dei fascisti. E quella, come dice lo stesso Pagano, era zona della Brigata “Costiera”.
19 Non era infrequente che, in clandestinità, gli uomini assumessero nomi di donne.
20 Gli estremi del documento saranno pubblicati quando uscirà il libro sulla “Vanni”.
21 Tra le varie elucubrazioni su “Alda”, c’è perfino chi l’ha identificato con un partigiano sarzanese che ha militato nelle formazioni autonome parmensi.
L’assalto al treno, fondamentale episodio della Resistenza tra Parma e La Spezia, accadde sicuramente il 12 marzo 1944.
A cura di Maria Cristina Mirabello
Ricostruiamo i fatti, strettamente legati alla discussione sulle date, seguendo il libro di Giulivo Ricci “Storia della Brigata garibaldina ‘Ugo Muccini’”, ISR-La Spezia, 1978, p. 105 e segg. (passim), ma proponendo anche alcune variazioni, segnalate con NdA.
La Banda “Betti”, la sua funzione centripeta per gli spezzini, l’episodio di Roccamurata, l’assalto al treno di Valmozzola e la morte di “Betti”
“Un gruppo era venuto polarizzandosi tra la Val Noveglia (Bardi), Varsi e Mariano (Valmozzola), nel dicembre 1943, non direttamente legato ad alcun partito politico né al CLN, quello di Mario Betti [NdA: per il nome Betti, v. dopo], che lo guiderà nel gennaio e ancora alla fine di febbraio, quando cominceranno ad arrivare a Valmozzola i primi elementi, avviati dal CLN e dal PCI, spezzini, sarzanesi e arcolani. Il Betti aveva trovato, peraltro, un embrionale movimento locale già sulla via dell’organizzazione… i legami con i partiti e con CLN erano saltuari ed episodici…”.
Seguendo sempre Ricci, ma facendone una sintesi, con le variazioni segnalate da NdA, ecco il seguito:
“Betti” [NdA: in realtà, seguendo Maurizio Fiorillo “Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010, p.69, si trattava del caporalmaggiore Mario Devoti, anche se in alcuni autori troviamo la denominazione Mario Betti],viene descritto da Ricci come personaggio abbastanza enigmatico, e su cui non si è mai fatta luce completa. Tale figura, nel mentre si afferma, dà luogo anche a contrasti che lo rendono oggetto di un misterioso attentato. Comunque sia, il “Betti” diventa capobanda ed entra in contatto con il CLN spezzino mediante Riccardo Galazzo, impiegato dell’Arsenale Marittimo Militare, cacciatore e frequentatore di quei luoghi, tramite a sua volta con elementi arcolani, e cioè suo fratello Aldo Galazzo, già condannato al confino e Flavio Maggiani, esponente di punta dell’antifascismo non solo arcolano. Essi sono a loro volta intermediari con Anelito Barontini, che era stato sollecitato da Raffaele Pieragostini del CLN genovese a prendere contatto con il “Betti” su cui il CLN parmense aveva dimostrato di avere poca presa.
Fu così che il gruppi di “Betti” diventò un punto di catalizzazione per gli spezzini che man mano si aggregarono ad esso, partendo a piccoli scaglioni. Mario Portonato “Claudio” e Primo Battistini “Tullio”, partiti lo stesso giorno (2 marzo 1944), sullo stesso treno, l’uno da Migliarina e l’altro da Santo Stefano, e senza sapere l’uno dell’altro, arrivarono così a Mariano, quartiere generale di “Betti” che propose loro di assumere rispettivamente l’incarico di vice Comandante e Comandante del gruppo Arditi. In tale ambito “Betti” incarica così Battistini di una serie di azioni, che riescono pienamente. Arriva nel gruppo anche il sarzanese Paolino Ranieri “Andrea”, che assume la funzione di Commissario politico fino a quel momento non prevista nella banda, e cui “Betti” non si oppone. Il 10 marzo arrivano anche altri: arcolani, ad esempio Ezio Bassano (“Romualdo”) e santostefanesi (ad esempio Arrigo Franceschini (“Tito”), Mario Tavilla (“Crasna”) e Adriano Casale (“Maranghin”). Arrivano anche armi e munizioni da Migliarina, grazie a Renato Grifoglio, e da Sarzana, grazie a Gino Guastini. L’11 marzo 1944 [v. NdA più sotto] avviene uno scontro con il presidio di Roccamurata, intorno alla cui organizzazione e predisposizione, così come intorno a quello di Valmozzola il giorno seguente, esistono varie versioni.
[NdA:la questione dell’11, 12 (e 13 marzo), in quanto date, è abbastanza confusa, nel senso che, per Valmozzola, è stata tramandata da molti la data del 13, accolta dallo stesso Ricci che, però, in una Nota a fine Capitolo, rileva come, nella testa dei protagonisti, l’assalto fosse avvenuto di domenica, quindi il 12 marzo. Tuttavia, Ricci non nega il 13, ma pone, piuttosto, il quesito del perché la maggior parte di chi parla dell’episodio (commemorazioni, scritti) indichi sempre, appunto, il 13 marzo. È evidente inoltre che, se Roccamurata, accade un giorno prima di Valmozzola, essa vada collocata in data 11 marzo (e non il 12). Da mia indagine condotta sulle fonti dell’epoca, e precisamente sui giornali, la data di Valmozzola è senza dubbio il 12 marzo 1944 (domenica). La “Gazzetta di Parma” del 14 marzo 1944 parla dell’episodio in questo modo: “Domenica mattina (quindi domenica 12 marzo) verso le ore 8,30, un gruppo di banditi armati, composto di una cinquantina di individui, dopo avere circondato il treno proveniente da La Spezia e diretto a Parma che si era fermato nella stazione di Valmozzola, apriva un violento fuoco di fucileria e di bombe a mano verso il convoglio… È morto altresì, ucciso uno dei banditi, non ancora identificato ma che si ha ragione di credere fosse il capo o uno dei capi della banda, addosso al quale è stata rinvenuta una forte somma in valuta italiana”.]
Seguiamo ora di nuovo Ricci, che riporta alcune versioni dei fatti: secondo una versione lo scontro di Roccamurata sarebbe avvenuto casualmente e senza connessione con l’episodio di Valmozzola. Secondo altre fonti, tra cui Primo Battistini, invece, proprio lui, che era in servizio di pattuglia non lontano dal Taro, sarebbe stato avvertito che il presidio fascista di Roccamurata teneva in custodia tre giovani destinati alla fucilazione, per cui con i suoi uomini assalì il presidio ma non trovò i ragazzi, trasportati nel frattempo a Borgotaro. Sarebbe nata da qui in Battistini l’idea (cui persuase “Betti”) di assalire a Valmozzola, l’indomani, il treno che, proveniente dalla Spezia, avrebbe raccolto i giovani. Gli uomini non sarebbero stati informati dello scopo della missione per evitare sia una fuga di notizie sia che elementi più politicizzati, quali Paolino Ranieri e Portonato, la sconsigliassero giudicandola rischiosa. Ranieri ricorda che Betti parlava di un assalto all’ammasso del Comune per requisire viveri e che “Betti” non volle farlo partecipare all’impresa che comunque, sempre secondo Ranieri, prevedeva la requisizione dei viveri ed il sequestro del capostazione, e null’altro. Secondo altri, avvenuta la requisizione, Betti decise invece improvvisamente di sequestrare il capostazione, considerato membro del quadrumvirato fascista della zona, e, qualora avessero trovato un treno fermo, di assalirlo. Il nodo è capire se l’assalto al treno che costituì per la Resistenza delle province di Parma e della Spezia un punto di svolta, data la notorietà dell’impresa e l’effetto galvanizzatore che ebbe, era stato programmato in funzione della liberazione dei giovani. Sta di fatto che, quali che siano le versioni, l’assalto ci fu alle 8,30 del mattino ed avvenne contro un treno pieno di militari che, dopo una prima fitta sparatoria, si arresero, sia tedeschi che fascisti. Nel corso della battaglia “Betti” rimase ucciso, anche se sul momento nessuno se ne accorse, rendendosene conto solo al ritorno, a Mariano.
[NdA: osserviamo infine che, sul fatto d’arme di Valmozzola, come dice Maurizio Fiorillo, il quale riporta la data del 12 marzo, notando che molte fonti parlano del 13, (p. 69 del libro “Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile”, cit.), esistono almeno “quattro versioni, tramandate dalla memorialistica, in parte inconciliabili”].
Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea "Pietro M. Beghi" Fondazione ETS