Archivi categoria: Lessico della Resistenza

Un mese particolare: Luglio 1944-luglio 2024, uno sguardo d’insieme

La rubrica “Una giornata particolare” cambia, il titolo, ma solo per questo mese, perché, in effetti, tutto il luglio 1944 fu un periodo particolare.

Nel corso di quel mese venne infatti strutturato il Comando Unico, anteprima di quella che sarebbe poi stata la IV Zona Operativa. Questo significò, tuttavia non senza varie e notevoli difficoltà correlate alla transizione da una organizzazione a maglie larghissime, praticamente senza maglie, a una forma decisamente più verticistica, il superamento della guerra per bande, fondata sul carisma di singoli capi-banda, anche coraggiosi e talvolta perfino temerari, che avevano compiuto importanti azioni, e risultavano, però, scollegati tra loro. La data di origine del Comando Unico, oggetto di interpretazioni diverse, è comunque collocabile nell’ultima decade del luglio 1944, nello Zerasco, probabilmente ad Adelano.

Si aggregavano in esso:

  • la Brigata Cento Croci”;
  • la Brigata “Signanini”, rapidamente denominatasi “Vanni”;
  • quel che restava del già Battaglione “Picelli”, il quale, dopo le drammatiche traversie intrecciate al processo del suo Comandante, Dante Castellucci “Facio” (v. poche righe sotto), assumeva il nome di Brigata “Gramsci”;
  • la formazione che si sarebbe denominata Colonna “Giustizia e Libertà: quantitativamente la più numerosa, aveva avuto i suoi primi nuclei, fin dall’inverno 1943, nelle zone spezzine dello Zignago (Torpiana) e, dall’autunno 1943, nel Calicese, comprese le afferenze con la Brigata d’assalto “Lunigiana”, che aveva fatto parlare di sé nella primavera 1944;
  • il piccolo, ma significativo gruppo internazionale, che ruotava intorno al Maggiore inglese Gordon Lett.

La resistenza armata sembrava, con la nuova organizzazione, acquistare una fisionomia più organica, anche se il drammatico rastrellamento del 3 agosto 1944 avrebbe evidenziato numerosi problemi e messo a repentaglio la tenuta stessa delle formazioni, tanto che il Comando Unico, con modalità in parte diverse, sarebbe stato ricostituito, molto faticosamente, solo nel tardo settembre 1944, grazie a un’abile opera di tessitura, messa in atto da Pietro Mario Beghi “Mario”, Segretario del CLN spezzino e Giovanni Rosso “Luigi”, referente del PCI per le questioni militari e i rapporti tra monti e pianura.

Va anche detto, riguardo alle zone finitime, che sempre nel luglio 1944 si concludevano importanti esperienze di libertà, quali quelle delle zone della Val Taro e della Val Ceno: diventate nel giugno 1944 liberi territori, venivano sopraffatte dalla reazione nemica, per cui il 15 luglio 1944 i tedeschi occupavano di nuovo Borgotaro. Derivava da ciò una crisi profonda della Brigata “Cento Croci”, rapidamente però rientrata, grazie all’assunzione del comando di essa da parte di Federico Salvestri “Richetto”, tanto che la “Cento Croci” aderì appunto al Comando Unico.

Negli stessi giorni dell’avvio verso quest’ultimo (o della fondazione di quest’ultimo), dipendendo ciò dalla data che i diversi storici scelgono, si consumava, il 21 e 22 luglio 1944, la vicenda terrena di Dante Castellucci “Facio”, Comandante garibaldino del Battaglione “Picelli, dipendente da Parma, condannato ingiustamente a morte da un tribunale composto da garibaldini, e fucilato.

Non solo, sempre nel luglio 1944, il CLN spezzino, che aveva sostenuto, in coerenza con l’indirizzo del CLNAI, del CVL, del CLN ligure, del Comitato militare di quest’ultimo, l’avvio del Comando Unico, veniva praticamente distrutto, a causa, probabilmente, sia di una debolezza precauzionale nella trama clandestina, sia di delazioni, cui seguirono numerosi arresti, la prigione e la deportazione per molti membri di esso, o l’allontanamento per chi non era stato arrestato.

Il CLN non si sarebbe ricostituito più, in città, nella sua pienezza, cioè con riunioni regolari e alla presenza fisica di tutti i membri dei partiti antifascisti, ma, ormai praticamente ridotto al solo Segretario, il socialista Pietro Mario Beghi, e al rappresentante del PCI, Antonio Borgatti “Silvio”, nel dicembre 1944, sarebbe stato avviato ai monti, tenendo lì la sua prima riunione, nel gennaio 1945, e rimanendovi fino alla vigilia della Liberazione.

Per un impianto cronologico generale di quei mesi v. anche “Breve cronologia della IV Zona Operativa“.

Archeologia della Brigata “Signanini”, poi “Vanni”

A cura di Maria Cristina Mirabello

Per arrivare al giugno 1944, c’è, alle spalle, un difficile cammino, durato svariati mesi. In attesa di pubblicare il libro sul Battaglione “Vanni”, facciamo il punto su come si arrivi alla fondazione, nel giugno 1944, della Brigata “Signanini”, che, nel quadro del Comando Unico, sarà rapidamente denominata “Vanni” (dal dicembre 1944, con la formalizzazione della IV Zona Operativa, infine, Battaglione “Vanni”, inquadrato nella Brigata “Gramsci”).

NB: il primo Comandante della Brigata è Primo Battistini “Tullio” (Commissario politico: Giovanni Albertini “Luciano”).

Avvertenze per il lettore

L’“Archeologia” è una vera e propria raccolta di testi, già editi e conosciuti, che io ho collegato tramite opportuni raccordi e qualche Nota a margine.

Indicato il testo-base, da cui sono trascritte le citazioni (segnalate da T, con numero progressivo), o cui ci si è ispirati per i raccordi (segnalati da R, con numero progressivo), non si ripete il riferimento cui rimandano, qualora facciano capo al solito testo-base, ma si danno le pagine di riferimento.

I titoli dei Paragrafi, scelti autonomamente da me, e tutti evidenziati da una sottolineatura, hanno come finalità quella di far orientare il lettore sul dipanarsi della storia.

Le citazioni sono scritte con carattere normale e riportano l’indicazione delle pagine di riferimento.

I miei raccordi-sintesi sono in corsivo: per essi non si indicano le pagine, ma solo la fonte generale.

Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978

pp. 39-42

Santo Stefano, antifascismo, movimento operaio e contadino, impegno resistenziale

T1 “[NdA= Nel Novecento a Santo Stefano] il movimento socialista andò rafforzandosi, come a Sarzana, ma sopravviveva anche una tendenza anarchica e protestataria. Tra 1915 e 1922… il movimento operaio e contadino si organizzò e affrontò lotte e scontri con lo squadrismo fascista. Ora [NdA=si riferisce ai giorni immediatamente dopo l’8 settembre 1943], pur nella confusione delle idee e nel prevalente atteggiamento di attesa, mancando peraltro a Santo Stefano, diversamente che non a Sarzana, elementi ben preparati e qualificati, esisteva un terreno fertile e non refrattario. Su questo terreno nacque, di questo humus [sic! di questa humus] si alimentò il movimento antifascista e partigiano santo stefanese, che diede, quantitativamente, un apporto non secondo a quello di alcun altro Comune della provincia della Spezia.

Un movimento sorto d’un subito, di modo che si può correttamente parlare di pionieri e d’iniziatori, sviluppatosi ben presto che alcuni santostefanesi saranno sul Monte Grosso non dopo i sarzanesi, e con questi, con gli arcolani e gli altri, si porteranno in Comune di Tresana, e poi nel parmense e, poi, come fenomeno di massa, tra Zeri e Podenzana, nell’esperienza della Brigata d’Assalto ‘Melchiorre Vanni’ e poi ancora, attraverso il travaglio del Battaglione Adalberto Signanini, nella Brigata ‘Muccini’; ma anche nella ‘37B’ e nella Brigata d’Assalto ‘Leone Borrini’ nella Lunigiana interna, e in altre formazioni di varia tendenza diversamente stanziate…”.

Santo Stefano, 8 settembre 1943, caratteristiche di Primo Battistini “Tullio” e suo impegno precoce nella Resistenza, primo incontro tra “Tullio” e Ottorino Schiasselloni.

T2 “Anche nel territorio del Comune di Santo Stefano, specie fra la statale della Cisa e il Magra, erano di stanza, all’8 settembre, numerosi contingenti di alpini della Divisione ‘Alpi Graie’: alcuni elementi antifascisti del luogo avvicinarono quei soldati, ebbero con loro rapporti. Tra questi elementi fu Primo Battistini, che sarà poi soprattutto conosciuto col nome di battaglia di “Tullio” ed il cui padre, Amedeo, era stato ‘ardito del popolo’ ed uno degli esponenti anarchici della vallata all’avvento del fascismo. Cresciuto in una famiglia e in un ambiente di antifascisti, Primo Battistini fin dalla prima giovinezza dimostrò insofferenza verso le istituzioni e sentì accendersi in lui un sentimento anarcoide di avversione alla società così come il fascismo andava plasmandola. Militarizzato nella Marina Mercantile, alla fine dell’agosto 1943, trentatreenne, venne congedato come indesiderabile.

L’8 settembre lo colse, così, nella sua casa di Ponzano Magra. Lì vicino, a Villa Pratola, si erano accampati i tedeschi… Collaborò con un noto antifascista ponzanese, Ugo Gianardi, nel recuperare le armi e nell’asportarne dal magazzino degli alpini, ed un giorno, sorpreso dai tedeschi e da essi inseguito, decise di darsi alla macchia insieme col Gianardi medesimo, col tenente Sabatini e con una quindicina di alpini che si erano nascosti, sottraendosi al tedesco.

Si portarono sulle pendici del Monte Grosso, che con i suoi 665 metri d’altezza è la principale elevazione sul confine tra i Comuni di Aulla e di Santo Stefano di Magra. Lì dopo alcuni giorni, esattamente la sera del 19 settembre, vennero raggiunti da Ottorino Schiasselloni di Caprigliola, la frazione del Comune di Aulla (Apuania) che è limitrofa al territorio santostefanese.

Lo Schiasselloni, che sarà poi meglio conosciuto con i nomi di battaglia di ‘Maggiore’, di ‘Remo’, di ‘Pinzo’ ed altri, proprio quel giorno, aveva avuto uno scontro a fuoco lungo la ‘via vecchia’ di Caprigliola con i carabinieri di Albiano Magra, che lo ricercavano per aver con altri saccheggiato la sede locale del PNF ed essersi impadronito di alcuni cavalli appartenenti al disciolto esercito.

Lo Schiasselloni aveva con la legge anche altri precedenti ed un suo senso elementare di giustizia andava di pari passo con una visione personale e individualistica della vita e della lotta, dalla quale sarà portato ad operare ai margini, e fuori dei margini del movimento ufficiale della Resistenza…

In quel primissimo periodo il gruppo non ebbe contatto con i sarzanesi saliti sulle colline tra Falcinello e Fosdinovo…

Intanto quasi tutti gli alpini avevano abbandonato la zona…

Successivamente, facendosi il problema del pernottamento e dell’alimentazione sempre più acuto, gli ultimi alpini partirono, lo stesso Schiasselloni e quasi tutti gli altri tornarono a casa o si nascosero altrove. Rimasero sui monti, per qualche tempo, solo Eugenio Casale, Bruno Belloni e Primo Battistini, tutti di Ponzano Magra”.

R1 Riguardo al congedo di Primo Battistini “Tullio” dalla Marina Mercantile, Giorgio Pagano, che ha avuto modo di leggere un manoscritto di Battistini1, scrive:

Giorgio Pagano, Tullio, eroe e fuorilegge, 21 giugno 2015

T3 “Fin da ragazzo rifiutò di aderire al fascismo, fu ferito a una gamba da un colpo di pistola, e dovette, impossibilitato a trovare lavoro per l’ostilità dei fascisti, imbarcarsi come mozzo, e poi come cuoco, nella marina mercantile. Per il suo senso di giustizia e la sua indisponibilità ai compromessi, fu congedato come elemento pericoloso e indesiderabile”.

Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978

R2 Tra le imprese di Battistini in questo periodo va annoverata quella di Fornola in cui, vestito da contadino, riuscì ad ingannare i tedeschi che non si accorsero di un carico di armi nascosto in mezzo a fasci di stipa su un mulo e quella di Caprigliola in cui, avendo saputo che un abitante di Caprigliola aveva promesso al maresciallo di Albiano la consegna di un “ribelle”, riuscì, nonostante il numero assai inferiore dei suoi uomini, a convincere i nemici di essere molto più numerosi, trascinando con sé una presunta spia e un’altra persona sospetta.

R3 Il Partito Comunista, che, nel territorio sarzanese, poteva contare su un gruppo fortemente determinato, formatosi in clandestinità nel Ventennio fascista, con a capo Anelito Barontini, già a ridosso dell’8 settembre 1943, aveva uomini sulle colline retrostanti ed aveva cercato di tessere le fila organizzative nella bassa Val di Magra, tra Lerici, Vezzano, Arcola, Santo Stefano e Sarzana, dove, non a caso, avvengono attentati gappistici, fermo restando che l’attività dei GAP altro non è se non un’emanazione dei gruppi dimoranti sulle colline.

pp. 49-50

Rapporti iniziali tra Primo Battistini “Tullio” e il gruppo comunista sarzanese. Prime peripezie geografiche

T4 “Dalla zona di Caprigliola, intanto, Primo Battistini, che a queste operazioni gappistiche diede un suo contributo insieme con Emilio Baccinelli2, si era spostato sotto la Casa Bianca, alle Prade di Falcinello, in casa di un Musetti. Lì i sarzanesi, e soprattutto Dario Montarese (‘Briché’) e Paolino Ranieri (‘Andrea’), lo avvicinarono e, da quel momento, i rapporti, nonostante una certa autonomia dei due gruppi saranno mantenuti; dovendosi fin da ora sottolineare che quanto l’antifascismo e la professione di fede comunista dei vecchi carcerati e confinati politici erano provati, meditati e volti a considerare globalmente i problemi dell’ora, tanto l’antifascismo di ‘Tullio’ era istintivo, alieno da ogni preoccupazione politica e partitica, venato di sentimenti anarchici e piuttosto insofferente dei freni che i primi avrebbero voluto a buon diritto imporre”.

Nota 21, p. 54

T5 “’Tullio’ era poi tornato per qualche tempo verso Caprigliola e Santo Stefano, perché era stato avvertito che alcuni giovani intendevano unirsi ai ‘ribelli’: questi erano, tra gli altri, Adalberto Signanini3, il cui padre, in contatto con il CLN, era addetto alla mensa dello Stabilimento ‘Muggiano’…”

R4 A seguito dei colpi di mano gappistici e per eventuali azioni di antiguerriglia fasciste, alcuni esponenti del gruppo sarzanese si mettono alla ricerca di un luogo dove potersi trasferire in sicurezza, individuandolo, dopo avere a lungo girovagato, nella località Trambacco, nel Comune di Tresana (MS) non lontana da Bolano (SP) e da Podenzana (MS). Al Trambacco va anche Primo Battistini “Tullio”.

pp. 56-57

Le vicende di Primo Battistini “Tullio” e dei comunisti sarzanesi e spezzini al Trambacco

T6 “Un primo gruppo nel quale si trovavano, tra gli altri, ‘Briché’, Pilade Perugi, ‘Tullio’, Luciano Magnolia, Emilio Baccinelli, Guglielmo Vesco ed Ernesto Parducci, partì il 27 dicembre4… Qualche giorno dopo arrivarono gli altri, da venti a trenta uomini in tutto: Paolino Ranieri, Ercole Madrignani, Flavio Bertone, Goliardo Luciani, Giuseppe Podestà, Angelo Tasso, Amedeo Luigi Giannetti, Lino e Ottorino Schiasselloni, i fratelli Forcieri e il figlio del vicesindaco socialista di Sarzana, Lanfranco Sabbadini (‘Cesare’); insomma i componenti dei nuclei già costituiti fra i Succisi di Caprigliola, Ponzano e Falcinello.

Al Trambacco si portavano anche Anelito Barontini, Giovanni Albertini del Canaletto, che era stato uno dei primi dirigenti giovanili comunisti clandestini ed aveva patito il confino di polizia nel 1933, e Anselmo Corsini che, con l’Albertini e Barontini, dopo l’8 settembre 1943 faceva parte del Comitato Federale del PCI”…E al Trambacco, secondo autorevoli testimonianze, da altri non accolte, si sarebbe costituito ufficialmente per la prima volta un distaccamento garibaldino nel nome di ‘Ugo Muccini’”.

R5 Svariate furono le azioni compiute avendo come base di partenza il Trambacco, da cui talvolta si allontanavano, anche per incombenze varie, alcuni uomini; lo stesso Anelito Barontini dovette rientrare, insieme ad Anselmo Corsini, alla Spezia, perché Barontini era stato nominato segretario del PCI al posto di Terzo Ballani, che aveva retto di fatto la Segreteria fino ad allora.

pp. 59-60

La permanenza al Trambacco si rivela impossibile per motivi logistici. Il gruppo, costituito in prevalenza da sarzanesi, unica banda afferente al PCI spezzino, va a Zerla (Albareto), varca il Monte Gottero, arriva a Popetto (Tresana) e si porta infine indietro, tra Forte Bastione e Vallecchia (Fosdinovo).

T7 “Anche nella guerra per bande occorreva [NdA= secondo il PCI] fare di più: quella di Ranieri, di Montarese, di ‘Tullio’ ‘sganciatisi’ al Trambacco, era in effetti l’unica banda che il PCI spezzino fosse riuscito a conservare, ma ora essa si trovava a malpartito, proprio mentre altre forze politiche antifasciste, antinaziste e socialiste, tra Vezzano e la Val di Vara, usufruendo dell’apporto di ex-ufficiali dell’esercito italiano come Franco Coni, Pietro Borrotzu e il colonnello Bottari, stavano attivamente cospirando e tessendo la tela di un’organizzazione guerrigliera di stampo ‘badogliano’, ma politicamente influenzata o influenzabile dal Partito Socialista e dal Partito d’Azion…Le condizioni di vita al Trambacco apparvero, dopo poco tempo, tali da non consentire una permanenza…Sta di fatto che la comunanza si sciolse, profilandosi l’esigenza della ricerca della possibilità di sopravvivere in attesa che si ricreassero le condizioni per la ripresa della lotta.

Un gruppo costituito in prevalenza da vecchi antifascisti sarzanesi, poco dopo oltre la metà di gennaio decise di rifugiarsi a Zerla, villaggio in Comune di Albareto…”.

Il gruppo dei sarzanesi e spezzini girovaga in molti luoghi

R6 Di tale gruppo sarzanese fanno parte Paolino Ranieri, Podestà, Vesco, Montarese, Goliardo Luciani, Ercole Madrignani e alcuni giovani. Essi però vengono rapidamente individuati, devono varcare il Monte Gottero, recarsi a Popetto nel Comune di Tresana e, infine, tra Forte Bastione e Vallecchia, tra il Comune di Fosdinovo e quello di Castelnuovo Magra. Verso la fine della permanenza a Vallecchia si aggrega a essi Flavio Bertone “Walter”.

pp. 63-64

Primo Battistini “Tullio” e un gruppo composito, in cui è anche il comunista Giovanni Albertini “Luciano”, si porta dal Trambacco alle Prede Bianche (Calice al Cornoviglio) dove, avvenuta, su probabile delazione, una irruzione nazi-fascista (30 gennaio 1944), si verifica la fortunosa salvezza per alcuni componenti del gruppo. Vicenda di Ottorino Schiasselloni e Cesare Signanini “Adalberto”. Contatti con il Gruppo vezzanese del Colonnello Bottari, decimato da un’altra delazione.

T8 “Degli altri ‘ribelli’ che avevano fatto parte del gruppo del Trambacco, alcuni, raccoltisi intorno a Primo Battistini (‘Tullio’) che allora si faceva chiamate ‘Tenente’ o ‘Tenente Medico’ per confondere le idee a chi avesse voluto individuarlo, e a Giovanni Albertini (‘Luciano’), di fatto rispettivamente comandante e commissario della piccola formazione, si portarono più in alto, alle Prede Bianche, valico tra la Val di Magra e la Val di Vara, sul confine tra i Comuni di Tresana e di Calice al Cornoviglio, a metri 829 sul livello del mare.

Accanto a Battistini e ad Albertini si trovavano, oltre ad altri, Angelo Tasso, Luigi Amedeo Giannetti, Ottorino Schiasselloni, che si faceva chiamare il ‘Maggiore’, Adalberto Signanini, Angelo di Arcola, Ivo Baldassini, Augusto Calzolari di Pitelli, Ambrosini detto Beppe, Giuseppe il polacco e l’altro suo connazionale.

Alcuni altri, fra i quali Luciano Magnolia e Nino Gerini, si aggirarono per qualche giorno nei casolari della frazione di Novegigola… fino a che, sfiduciati, si dispersero. Il Magnolia e il Gerini, imbattutisi in Battistini, si aggregarono al distaccamento delle Prede Bianche”.

R7 Giovanni Albertini, legato a CLN e al PCI, si reca ogni tanto alla Spezia, vengono presi contatti con Gordon Lett che sta costituendo il futuro Battaglione Internazionale e che manda alle Prede Bianche un ufficiale e un soldato inglesi che avrebbero dovuto essere accompagnati verso il Sud, incarico assegnato a Schiasselloni e Signanini. Domenica 30 gennaio 1944, Schiasselloni e Signanini erano in missione; Albertini non c’era; era atteso, per immetterlo nel gruppo, un tale Paternò, che, rifugiato in un altro villaggio del Tresanese, avrebbe già dovuto far funzionare un apparecchio ricetrasmittente, operazione in cui non era però mai riuscito. Il Paternò, che avrebbe dovuto arrivare in compagnia di un alpino, non si vide, e ciò insospettì i partigiani che, dandosi i turni tra quelli che stavano fuori e dentro una baita, fecero una guardia più intensificata. Nonostante essa, verso le tre e mezzo del mattino, mentre la nebbia era fittissima, ci fu un’irruzione di una cinquantina di tedeschi e fascisti. I partigiani vennero tutti catturati, interrogati e lasciati all’aperto, in piedi e al freddo, ma la loro esecuzione fu rimandata all’alba. Una parte di tedeschi e fascisti tornò a Calice, un piccolo numero rimase, di cui alcuni si rifugiarono davanti al fuoco nella baita, e solo cinque fecero la guardia ai prigionieri semiassiderati. Venne allora un’idea a Primo Battistini (secondo altra versione, ad Angelo Tasso): fu chiesto al comandante tedesco di fumare l’ultima sigaretta ed essa passò tra gli uomini con la parola d’ordine che, all’ultima tirata, chi aveva più vicino i tedeschi li avrebbe colpiti, facendoli ruzzolare per darsi alla fuga. L’espediente riuscì, ma uno dei polacchi, che forse non aveva ben capito il da farsi, rimase ucciso, mentre Angelo Castellini, Ivo Baldassini e Augusto Calzolari, ripresi dai tedeschi e portati a Marassi (Genova), moriranno nel maggio 1944, al Turchino, per rappresaglia. Tutti gli altri riuscirono, rotolando per balze scoscese e canaloni, a giungere a Fontanedo, in Comune di Tresana (Battistini rimase ferito lievemente).

Il gruppo doveva riprendere i contatti con il PCI e il CLN spezzini, e fu stabilito un incontro in Viaria, nella parte alta del Comune di Bolano, dove andarono Tasso e Battistini, i quali appresero che era stato ritrovato morto, sotto un mucchio di foglie, un giovane, con scarponi da marinaio, un soprabito bianco e due bombe in tasca. Il giovane, crivellato da tredici pallottole, era Cesare Signanini che, andato in missione con Schiasselloni, avrebbe dovuto essere in sua compagnia. Schiasselloni suscitò molti sospetti riguardo alla morte di Signanini perché diede due spiegazioni diverse del motivo per cui non erano insieme, ma la questione non trovò mai una soluzione definitiva (v. successivamente).

Il 12 febbraio 1944 gli uomini di Fontanedo, cui si era unito un tale Gino Paita, di Calice, vennero raggiunti da due ufficiali e un civile che, dicendosi portatori di una proposta del gruppo antifascista migliarinese, proposero loro di far saltare il ponte ferroviario di Fornola. Temendo che potessero essere spie, fu mandato a Migliarina Luigi Amedeo Giannetti, il quale, tuttavia, appurò la veridicità della cosa. Si trattava infatti di Piero Borrotzu e del maresciallo Luigi Dallara, appartenenti al gruppo vezzanese del Colonnello Bottari, che erano stati accompagnati fin lassù da una guida aullese. Purtroppo, il Paita era una spia che, udito il piano, corse a denunciare quanto si preparava, travolgendo con la sua delazione il gruppo vezzanese.

A seguito dell’episodio delle Prede Bianche e di quello di Fontanedo vennero fucilate tre persone ritenute responsabili di essi: il Paternò, già citato, un carabiniere di Nasso, la cui moglie si era presentata ai partigiani con pretesti, nonché un abitante di Ortigaro di Tresana.

Pagano, Giorgio, “Tullio, eroe e fuorilegge”, 21 giugno 2015, così cita dal manoscritto di “Tullio”.

T9 “Quasi tre ore rimanemmo con le mani in alto, fermi, in mezzo alla nebbia e al freddo pungente. Nella mia mente cercavo una via di scampo. Ad un tratto mi ricordai che mi era rimasta in tasca una sigaretta. Chiesi all’ufficiale più vicino se ci permetteva di fumarla: egli acconsentì e me la accese. Avevo vicino Angelo Tasso, che avvertii del mio piano: mentre ci si passava la sigaretta veniva contemporaneamente trasmesso il piano d’azione. Quando mi ripassano la sigaretta per l’ultima tirata, secondo quanto stabilito, colpisco con tutte le mie forze, col capo, il tedesco che mi sta di fronte e lo faccio ruzzolare a terra… Mentre tutti cercavamo di scappare, i tedeschi si riebbero e lanciarono le bombe a mano”.

R8

Fiorillo, Maurizio, Uomini alla macchia: partigiani, sbandati, renitenti, banditi e popolazione nella Lunigiana storica, 1943-1945, Tesi di dottorato di ricerca in Storia, Università degli Studi di Pisa, anno 2001-2003, (2 voll.)

Sulla vicenda complessiva di Ottorino Schiasselloni, compresi i suoi rapporti con Primo Battistini “Tullio” dopo la morte di Cesare Signanini “Adalberto”, si sofferma Maurizio Fiorillo alle pp. 324-331 del testo citato. Tale vicenda, senza arrivare alle questioni inerenti al processo di Schiasselloni e condanna, da lui scontata, nel Dopoguerra, viene esposta sinteticamente in questa “Archeologia”, perché il nome di Schiasselloni, legato da rapporti alterni di amicizia-odio con “Tullio” (e viceversa), ricorrerà, con riferimento allo stesso “Tullio”, su più fasi. Schiasselloni, per come emerge in una relazione documentata e che Fiorillo cita, dichiara che Signanini, deluso dalla vita partigiana, durante la missione di cui erano stati ambedue incaricati, e che consisteva nel portare due ex prigionieri inglesi oltre il fiume Magra, gli avrebbe confidato di voler lasciare i compagni e arruolarsi nella milizia fascista, ragion per cui Schiasselloni l’avrebbe ucciso. Solo che, quando si era risaputo della morte di Signanini, e ne era stato rinvenuto il corpo, lo stesso Schiasselloni aveva sostenuto che Signanini non era rientrato con lui dalla missione, perché si era allontanato per andare a trovare dei parenti. La sua versione, come già detto, non aveva convinto “Tullio” che, infatti, non lo aveva portato con sé quando, successivamente, nel marzo 1944, era andato in Val di Taro. Da qui la autonomizzazione ulteriore di Schiasselloni rispetto a ogni istanza organizzativo-politica e il suo agire, con un piccolissimo gruppo da lui comandato, nella zona di Tresana (MS), in modo del tutto sommario, uccidendo una serie di elementi ritenuti spie. Dapprima in contatto con il gruppo azionista di Torpiana di Zignago, e poi in rottura con esso, Schiasselloni si rifugiò a Rossano di Zeri, presso il Maggiore inglese Gordon Lett. Lo Schiasselloni, probabilmente oggetto di attentati da parte di un partigiano azionista accordatosi con alcuni partigiani di “Tullio”, ma scampato a essi, dopo l’8 maggio 1944 lasciò Rossano per tornare a Tresana, persistendo nelle stesse modalità che avevano contraddistinto le sue azioni. Ma, già dal 5 giugno 1944, Primo Battistini “Tullio” aveva fatto affiggere manifesti con la comunicazione alla gente di Santo Stefano di una taglia da lui posta sul capo di Schiasselloni, il quale rispose con una contro taglia (questi episodi sono suffragati da una serie documentale esemplificata da Fiorillo). Rimasto indipendente rispetto a qualsiasi coordinamento organizzativo, che pure nel luglio 1944 prendeva forma nel mondo partigiano, Schiasselloni, il cui gruppo era composto di 15-20 persone al massimo, eliminò un suo ex partigiano, sospettato di voler intascare la taglia, presso il castello di Villa di Tresana (uccidendo però, secondo quanto disse, “per disgrazia”, anche un avvocato milanese che lì si trovava sfollato). Pressato dalla possibilità di essere eliminato da “Tullio” che poteva contare su molti uomini nella stessa zona di Tresana, sciolse il suo gruppetto, solvendo debiti e distribuendo risorse alla popolazione, con la quale aveva mantenuto un buon rapporto. Entrato di nuovo in contatto con “Giustizia e Libertà”, tollerato da quest’ultima in qualche modo come alleato, perché agiva in aree contigue ad essa, ruppe nuovamente i rapporti dopo il ritrovamento sulle pendici del Monte Cornoviglio di Dino Batti, responsabile militare azionista per l’area di Madrignano, fatto di cui fu seriamente sospettato, uccidendo anche un altro partigiano che riteneva lo minacciasse. Schiasselloni, vera e propria mina vagante, venne di fatto diplomaticamente allontanato, inducendolo a passare le linee e a rimanervi, ai primi di dicembre 1944, mentre i componenti residuali del suo gruppetto furono assorbiti da “G.L.”. Schiasselloni, corredato di denaro (ben 10 mila lire dell’epoca) e investito del ruolo di guida per due ex compagni siciliani, si ritrovò così di nuovo proprio con l’ormai inviso Primo Battistini “Tullio” che, dopo il drammatico rastrellamento del 29 novembre 1944 contro la Brigata “Muccini”, si era a sua volta portato presso gli Alleati. Tuttavia, ai primi di gennaio 1945, quando “Tullio” ritornò in IV Zona, per incarico della “Special Force” britannica, ebbe al suo fianco proprio Schiasselloni (che venne poi riconosciuto nel Dopoguerra come partigiano della IV Zona Operativa, con ascrizione alla “Special Force”5). Schiasselloni, però, persistendo nella sua solita condotta, si autonomizzò subito, aggregando una piccola banda formata da elementi esclusi dalle altre formazioni partigiane.

Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978

pp.66-67

Come e perché il PCI spezzino avvicina Primo Battistini “Tullio”, il cui gruppo sta sgretolandosi. “Tullio” viene avviato a Valmozzola (PR), a rafforzare la Banda “Betti”, lì già operante. Contemporaneamente a “Tullio” si reca a Valmozzola il comunista migliarinese Mario Portonato “Claudio”.

T10 “I fatti delle Prede Bianche e il tradimento del Paita, con le gravi conseguenze che ne erano derivate, spinsero il CLN e il PCI, che ne erano rimasti male impressionati e supponevano la mancanza di ogni opportuna forma di vigilanza, di disciplina e di capacità direttive, a cercare un colloquio con Primo Battistini, che continuava ad essere considerato il capo del piccolo gruppo…

Il compito di avvicinare ‘Tullio’ fu affidato a Mario Portonato (Claudio), uno degli esponenti dell’antifascismo migliarinese…

L’incontro avvenne alla Macchia di Vezzano, lungo il fiume Magra, in località Cerlasca…’Tullio’, che era accompagnato da Luigi Amedeo Giannetti, fece una relazione sui casi occorsigli ed in particolare su quelli che apparivano più controversi, e cioè sulla cattura alle Prede Bianche, sulla morte di Adalberto Signanini, sull’uccisione delle tre spie, che si diceva, a torto o a ragione, eseguita con qualche crudeltà.

Il gruppo, per molti motivi, andava sgretolandosi.

‘Tullio’ con Giannetti fu una seconda volta alla Macchia… Lì giunsero gli ordini del CLN e del PCI. Luigi Amedeo Giannetti, richiamato da Dario Montarese (‘Briché’), d’intesa con il gruppo migliarinese, tornerà ad Aulla e, negli ultimi giorni di febbraio, si avvierà verso il Merizzo di Villafranca Lunigiana.

A ‘Tullio’ e ad Enrico Valerio di Santo Stefano, fuggito dalle file dell’esercito fascista repubblicano e rimasto per quaranta giorni nascosto in casa, Albernide Mola, emissario del CLN, portò l’ordine di abbandonare la zona e di recarsi a Valmozzola sull’Appennino parmense, ove già erano stati o stavano per essere pressoché contemporaneamente avviati altri patrioti arcolani e spezzini, a rafforzare la formazione di Mario Betti.

Il giorno medesimo6, senza sapere l’uno dell’altro, partivano con lo stesso treno, sulla linea ferroviaria la Spezia-Parma, Primo Battistini e Mario Portonato, incontro ad altre avventure, in una fase nuova della lotta armata”.

Le peripezie del gruppo sarzanese, l’importanza del Merizzo ai piedi dell’Appennino tosco-emiliano, Emilio Baccinelli e la sua uccisione, l’azione del gruppo sarzanese, con Flavio Bertone, contro un treno alle Ghiaie di Falcinello.

R9 Mentre succedevano queste cose, il gruppo sarzanese delle Cento Croci era ritornato sulle alture di Sarzana, una parte di quelli andati al Trambacco, con alcuni altri nuovi, erano rimasti a Popetto (Tresana), in attesa di ordini dal CLN e dal PCI, che, da tempo, stavano valutando l’opportunità, di fronte alle difficoltà di organizzare forze in campo provinciale, di provvedere a ciò spostando, però, uomini in luoghi più lontani. A tale proposito venne individuata Valmozzola, nell’Appennino parmense, dove operava “Betti”. Goliardo Luciani pensò invece a Merizzo, ai piedi dell’Appennino tosco-emiliano, dove viveva Edoardo Bassignani, fervente antifascista già durante il fascismo, e lì si recò con Emilio Baccinelli. Bassignani ospitava tre prigionieri russi fuggiti dal campo di prigionia di Fontanellato a Parma: Victor Ivanov, Mikhail Tartufian e Vassili Belakoski. E, al Merizzo, arrivò un carro carico di armi e rifornimenti da Sarzana e, sempre lì, il gruppo comunista migliarinese inviò giovani. La predisposizione di tutto ciò avveniva nell’ultima settimana di febbraio. Si noti che di lì a poco sarebbe stato ucciso dai fascisti, a Sarzana, esattamente il 18 marzo 1944, Emilio Baccinelli, ma ciò non avrebbe fermato le azioni dei sarzanesi, visto che il 20 marzo, alle Ghiaie di Falcinello, un commando, composto da Flavio Bertone, Nunzio Badiale, Artibano Ambrosini, Turiddo Perugi, Guglielmo Vesco e Libero Bertacchi, attaccò un treno carico di armi, esplosivi e rifornimenti per il fronte, provocando anche morti e feriti nella scorta.

p. 105

La Banda “Betti” a Valmozzola, la sua funzione centripeta per gli spezzini, l’episodio di Roccamurata, l’assalto al treno di Valmozzola il 12 marzo 1944 e la morte di “Betti”

T11 “Un gruppo era venuto polarizzandosi tra la Val Noveglia (Bardi), Varsi e Mariano (Valmozzola), nel dicembre 1943, non direttamente legato ad alcun partito politico né al CLN, quello di Mario Betti, che lo guiderà nel gennaio e ancora alla fine di febbraio, quando cominceranno ad arrivare a Valmozzola i primi elementi, avviati dal CLN e dal PCI, spezzini, sarzanesi e arcolani. Il Betti aveva trovato, peraltro, un embrionale movimento locale già sulla via dell’organizzazione… i legami con i partiti e con CLN erano saltuari ed episodici…”.

R10 Il “Betti”, in realtà Mario Devoti (anche se in alcuni autori troviamo la denominazione Mario Betti), personaggio abbastanza enigmatico, che probabilmente proveniva da Fiorenzuola d’Arda ed era stato sottotenente, e sulla cui figura non si è mai fatta luce completa, nel mentre va costituendo il suo gruppo, dà luogo a contrasti che lo rendono oggetto di un misterioso attentato. Comunque sia, il “Betti” diventa capobanda, entra in contatto con il CLN spezzino tramite Riccardo Galazzo, impiegato dell’Arsenale Marittimo Militare, cacciatore e frequentatore di quei luoghi. Aldo Galazzo è, a sua volta, tramite con elementi arcolani: tra essi, suo fratello, Aldo Galazzo, già condannato al confino e Flavio Maggiani, esponente di punta dell’antifascismo non solo arcolano. Essi sono a loro volta intermediari con Anelito Barontini, che era stato sollecitato dal comunista Raffaele Pieragostini (CLN genovese) a prendere contatto con il “Betti”, su cui il CLN parmense aveva dimostrato di avere poca presa.

Fu così che il gruppo di “Betti” diventò un punto di catalizzazione per gli spezzini che, man mano, si aggregarono ad esso, portandosi nel Parmense, a piccoli scaglioni. Portonato e Battistini, partiti lo stesso giorno sullo stesso treno, l’uno da Migliarina e l’altro da Santo Stefano, arrivarono così a Mariano, quartiere generale di “Betti”, che propose loro di assumere rispettivamente l’incarico di vice Comandante e Comandante del Gruppo Arditi. In tale ambito “Betti” incarica Battistini di una serie di azioni che riescono pienamente. Arriva nel gruppo anche il sarzanese Paolino Ranieri “Andrea”, il quale assume la funzione di Commissario politico fino a quel momento non prevista nella banda, e cui “Betti” non si oppone. Il 10 marzo arrivano anche altri: arcolani, ad esempio Ezio Bassano (‘Romualdo’) e santostefanesi, ad esempio Arrigo Franceschini (‘Tito’), Mario Tavilla (‘Crasna’) e Adriano Casale (‘Maranghin’). Arrivano anche armi e munizioni da Migliarina grazie a Renato Grifoglio, e da Sarzana, grazie a Gino Guastini. L’11 marzo 1944 avviene uno scontro con il presidio di Roccamurata, intorno alla cui organizzazione e predisposizione, così come intorno a quello di Valmozzola, il giorno seguente, esistono varie versioni (la questione dell’11 e del 12, in quanto date, è abbastanza confusa, nel senso che per Valmozzola è stata tramandata la data del 13, anche se la maggior parte dei protagonisti ricorda che era di domenica, quindi il 12, ma allora Roccamurata, essendo un giorno prima, è l’11)7.

Secondo una versione, lo scontro di Roccamurata sarebbe avvenuto casualmente e senza connessione con l’episodio di Valmozzola. Secondo altre fonti, tra cui Primo Battistini, invece, proprio lui, che era in servizio di pattuglia non lontano dal Taro, sarebbe stato avvertito che il presidio fascista di Roccamurata teneva in custodia tre giovani destinati alla fucilazione, per cui, con i suoi uomini, assalì il presidio ma non trovò i ragazzi, trasportati nel frattempo a Borgotaro. Sarebbe nata da qui in Battistini l’idea (cui persuase “Betti”) di assalire a Valmozzola, l’indomani, il treno che, proveniente dalla Spezia, avrebbe raccolto i giovani. Gli uomini non sarebbero stati informati dello scopo della missione, per evitare sia una fuga di notizie, sia che elementi più politicizzati, quali Paolino Ranieri e Portonato, la sconsigliassero, giudicandola rischiosa. Ranieri ricorda che “Betti” parlava di un assalto all’ammasso del Comune per requisire viveri e che “Betti” non volle farlo partecipare all’impresa che, comunque, sempre secondo Ranieri, prevedeva la requisizione dei viveri, il sequestro del capostazione, e null’altro. Secondo altri, avvenuta la requisizione, “Betti” decise invece, improvvisamente, di sequestrare il capostazione, considerato membro del quadrumvirato fascista della zona, e, qualora avessero trovato un treno fermo, di assalirlo. Il nodo è capire se l’assalto al treno, che costituì per la Resistenza delle province di Parma e della Spezia un punto di svolta, data la notorietà dell’impresa e l’effetto galvanizzatore che ebbe, era stato programmato in funzione della liberazione dei giovani. Sta di fatto che, quali che siano le versioni, l’assalto ci fu alle 8,30 del mattino contro un treno pieno di militari, tedeschi e fascisti, i quali, dopo una prima fitta sparatoria, si arresero. Nel corso della battaglia “Betti” rimase ucciso, anche se gli uomini se ne resero conto solo una volta tornati a Mariano. I tre prigionieri dei fascisti, che si trovavano in effetti sul treno, furono liberati, le perdite dei “ribelli” consistettero in un ferito grave. Secondo alcuni, venti furono i catturati tra fascisti e tedeschi, secondo altri, quaranta. La maggior parte fu lasciata libera quasi subito. Vennero trattenuti solo sette elementi, ritenuti non meritevoli di clemenza, che vennero messi a morte da un gruppo di partigiani comandato da Primo Battistini.

Il giorno 14 marzo, a seguito di un’operazione di rastrellamento, non necessariamente da mettere in collegamento con quanto avvenuto a Valmozzola, ma probabile effetto anche di decisioni precedenti, sebbene le autorità fasciste cercassero di creare un legame stretto tra lo smacco di Valmozzola e la “punizione” da esse attuata, avveniva il tragico episodio di Monte Barca, a seguito del quale, sopresi forse a seguito di una delazione, morirono o sul momento o fucilati successivamente Victor Ivanov, Luigi Giannetti, Luciano Righi, Angelo Trogu, Domenico Mosti, Gino Parenti, Giuseppe Tendola, Mikhail Tartufian, Nino Gerini, Ubaldo Cheirasco, Vassili Belakoski.

Comunque sia, sul fatto di Valmozzola, come dice anche Maurizio Fiorillo8 nel suo libro, esistono almeno “Quattro versioni, tramandate dalla memorialistica, in parte inconciliabili”.

Giorgio Pagano è tornato, nel marzo 2024, sulla questione, e, basandosi su un manoscritto di Battistini, ha avvalorato la versione di quest’ultimo9.

Si noti che, quasi contemporaneamente, avvenivano altri due importanti episodi: il 15 marzo 1944, la morte in combattimento, a Succisa di Pontremoli, di Fermo Ognibene, Comandante del “Picelli”; il 18 e il 19 marzo 1944, la resistenza, diventata leggendaria, a forze nemiche ben superiori, da parte di un altro gruppo del “Picelli”, comandato da Dante Castellucci Facio (Lago Santo). Fiorillo, nel testo citato, in Nota collega i due episodi con la necessità del “Picelli” di sfuggire al rastrellamento punitivo della X MAS (p. 71).

Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “Ugo Muccini”, Istituto Storico della Resistenza “Pietro Mario Beghi”, La Spezia, 1978

p. 125

La Banda “Betti” dopo Valmozzola si scinde tra elementi locali e spezzini. Di questi ultimi, stabilitisi a Boccolo dei Tassi, diventa Comandante Primo Battistini “Tullio” e svolge la funzione di Commissario Paolino Ranieri “Andrea”, coadiuvato da Mario Portonato. Arriva a Boccolo dei Tassi anche Ezio Saccani “Renzo”, inviato dal CLN parmense. L’azione di Groppallo.

T12 “Riunitisi la sera in Mariano, stanchissimi, coloro che avevano partecipato all’assalto al convoglio, preoccupati tutti e la medesima popolazione per le voci che cominciavano a circolare di concentramenti di soldatesche tedesche e fasciste intenzionate a scatenare un forte rastrellamento, dopo ampia discussione, nella quale non riuscirono a raggiungere un’intesa sulle modalità e la direzione dello ‘sganciamento’ a causa di divergenze sorte tra gli spezzini e una parte degli elementi locali e non superate, i partigiani già costituenti la ‘banda’ di Mario Betti ruppero l’unità fino ad allora mantenuta e consolidata e si divisero. Precedentemente dopo opportuno interrogatorio, era stata decisa la condanna a morte di sette dei prigionieri…”.

R11 Il gruppo spezzino, in cui Primo Battistini aveva di fatto assunto la funzione di Comandante, mentre Paolino Ranieri continuava a fare, coadiuvato da Mario Portonato, il Commissario politico, allacciarono, nel loro peregrinare, legami con la Resistenza parmense e, dopo sette giorni, arrivarono, su indicazione del CLN di Parma, a Boccolo dei Tassi, dove acquistò una posizione di rilievo, tanto che qualcuno parla di lui come Comandante (mentre era sicuramente vice Comandante) Ezio Saccani “Renzo”, lì inviato dallo stesso CLN parmense: egli, giunto forse il 23 marzo 1944, prese contatto con gli elementi locali che non avevano accettato di unirsi agli spezzini).

Le peripezie e gli incontri, in un’area dove prendevano forma, qua e là, gruppi resistenziali, furono vari, così come le azioni. Tra esse, quella di Groppallo, dove si recò una parte del gruppo, recuperando ingenti viveri, e dove fu catturato un ufficiale postale, su cui pesavano accuse di avere fatto catturare renitenti alla leva, ex prigionieri inglesi e disertori dai corpi fascisti. Egli fu messo a morte da Primo Battistini, il quale ha sostenuto come già in precedenza fosse stata assodata pienamente la veridicità degli indizi sull’uomo, mentre altri hanno affermato che le informazioni raccolte non erano ancora sufficienti.

pp. 131-132

Primo Battistini “Tullio”, il suo ascendente sugli uomini, il suo coraggio e la sua istintività. Si fanno però strada alcune perplessità sul suo comportamento.

T13 “L’avvenimento parve ridestare tra gli spezzini o, almeno, in una parte di essi, una certa perplessità di fronte al comportamento del comandante ‘Tullio’, senz’altro uomo di coraggio, dotato d’intuito e d’astuzia, ma incline –così almeno sembrava- per la sua formazione e il suo temperamento, a prendere decisioni personali, ad assentarsi dal gruppo senza darne conto agli uomini, ad assumere atteggiamenti talora altezzosi, ad indossare indumenti e calzature più vistosi di quelli degli altri compagni… Come abbiamo più addietro accennato, quello di ‘Tullio’ era un temperamento istintivo, così come istintivo era il suo antifascismo…”.

T14 “La sua figura appariva, così, piena di ascendente a chi riteneva che dovesse essere privilegiati il momento militare puro, quasi un’avventura pericolosa e meravigliosa ad un tempo; e questo spiega il fascino e l’ascendente indubbiamente esercitati da ‘Tullio’, almeno fino al 3 agosto 1944 o, anche, al 29 novembre 1944, sui giovani, specie su quelli, pure generosi e schietti, che non possedevano, come i più, preparazione politica né erano inclini a perseguirla… Il problema però a Boccolo non assumerà un preciso rilievo e rimarrà allo stato di sensazione”.

Primi sintomi di malessere tra gli uomini di Primo Battistini “Tullio”; lo spostamento da Boccolo a Lezzara. Paolino Ranieri “Andrea” torna nello Spezzino per riallacciare i rapporti con PCI e CLN

R12 Mentre una parte degli uomini si era recata a Groppallo, l’altra, con Ezio Saccani, che aveva a fianco Ezio Bassano “Romualdo”, era andata a Ferriere, per fare una requisizione in casa di un facoltoso abitante, il quale cedette, senza problemi, viveri ed altri generi ai partigiani.

Prima ancora delle azioni di Groppallo e di Ferriere, Paolino Ranieri si era recato alla Spezia, per riallacciare i rapporti con il PCI ed il CLN. Poco prima della partenza egli, avvertendo l’atmosfera non armonica che cominciava a serpeggiare tra gli uomini, aveva cercato, in più sere, e nonostante una iniziale riottosità degli ascoltatori, di fare opera di istruzione e informazione educativa. Parlò quindi dei termini generali della lotta patriottica, della necessità di una visione unitaria della lotta, dell’importanza che l’esercito dei “ribelli” fosse un vero esercito popolare, in cui le funzioni di comando dovevano essere esercitate democraticamente, in cui non dovevano esistere privilegi o separatezze di sorta, ed in cui ci fosse il rispetto assoluto delle cose di proprietà collettiva. Audacia, prudenza, coraggio, umiltà, disciplina e libertà dovevano stare insieme. Insistette sul fatto che occorreva avere con le popolazioni un rapporto amichevole e collaborativo, improntato alla persuasione e non alla coercizione, ad esempio quando venisse a mancare il cibo, spiegando anche quale, dentro quel contesto, dovesse essere il ruolo del PCI, cui si ispirava la formazione, dentro le direttive unitarie del CLN.

p. 136
Da Boccolo dei Tassi e località limitrofe a Lezzara

T15 “Il soggiorno a Boccolo e in altre località limitrofe durò ancora qualche tempo, poi fu presa la decisione di trasferirsi altrove per motivi di sicurezza… Il gruppo cominciò così un nuovo spostamento, riattraversò il Ceno e si riportò sopra Lezzara, più o meno negli stessi luoghi dai quali era partito per recarsi a Boccolo dei Tassi…”.

p. 139
A Lezzara, i sintomi di malessere del gruppo si accentuano, tanto che esso si scinde. Primo Battistini “Tullio” va con la maggioranza degli uomini a Tiedoli. Un gruppo di spezzini, tra cui Ezio Bassano e Mario Portonato, insieme ad Ezio Saccani, rimangono a Lezzara, definendosi “Distaccamento Betti” e prendendo contatti con il CLN parmense e con la XII Brigata Garibaldi).

T16 “Durante il soggiorno a Lezzara di Campitello, località in Comune di Bardi a metri 673 d’altezza, fra i torrenti Noveglia e Toncina, i sintomi già manifestatisi in forme imprecise a Boccolo dei Tassi si accentuarono”.

R13 Erano insoddisfatti Ezio Saccani, poco incline a essere soggetto a Primo Battistini “Tullio”, ma anche Mario Portonato “Claudio”, nonché alcuni giovani arcolani, i quali ritenevano che la formazione dovesse essere governata in modo diverso. Nacque così una discussione il giorno 10 aprile 1944 che durò molte ore, vedendo da una parte Battistini, dall’altra Saccani, al quale ultimo si avvicinarono Bassano e Portonato. Questi accentuavano il concetto di governo democratico e rilevavano che Battistini era succeduto, senza una elezione, a Betti, dopo l’episodio di Valmozzola, in circostanze eccezionali, mentre era ormai necessario procedere valutando l’esperienza fatta, e sulla quale non c’era un giudizio univoco. Dapprima prevalse l’idea di eleggere Comandante il Saccani ma poi, comunicando Battistini che, nel corso del trasferimento da Boccoli a Lezzara, aveva avuto notizia che il CLN spezzino lo voleva a Bolano (SP), dove avrebbe dovuto dar vita ad una formazione da tale CLN dipendente e operante in territorio lunense, la grande maggioranza degli spezzini, forse perché convinta della superiorità di Tullio, o perché preferiva avvicinarsi a casa, si schierò con lui, risalendo la Val Noveglia e scendendo su Tiedoli. Ma, in tale circostanza, si staccò dal gruppo degli spezzini, rimanendo a Lezzara, un piccolo nucleo, definitosi distaccamento “Betti”, di cui facevano parte, tra gli altri, Mario Portonato ed Ezio Bassano. Questo gruppo prese contatto con il CLN parmense e con la XII Brigata Garibaldi, in via di riorganizzazione a seguito della morte del comandante del “Picelli” Fermo Ognibene e della resa di fronte a preponderanti forze nemiche del Battaglione “Griffith”, a Montagnana, il 15 aprile 1944. In tale contesto, in cui il 22 aprile 1944 diventa Comandante della XII Brigata Garibaldi il bardigiano Luigi Marchini (Dario), cominciarono ad affluire presso il gruppo di Lezzara numerosi elementi sbandati. Al Distaccamento “Betti” fu affidato il compito di catturare, a Bardi, una spia e un sergente della GNR, tal Gabotto, accusato di avere fatto arrestare ex militari, attuando requisizioni illegali di bestiame. L’azione, finalizzata a catturare la spia, in realtà non riuscì in ciò, ma, casualmente, fu catturato il Gabotto, insieme ad elementi della GNR di Bardi, che, portati al Passo di Pelizzone, alla presenza di due Maggiori inglesi, vennero processati, e di cui si decise, con titubanza nei riguardi di un giovanissimo, la fucilazione. Partono da qui una serie di azioni partigiane e di rappresaglie nemiche.

p. 147
Primo Battistini “Tullio” è a Tiedoli, dove si reca Ezio Bassano, per ristabilire un contatto

T17 “Intanto si sparse la voce che altri spezzini erano affluiti a Rocca di Tiedoli (Borgo Val di Taro) dov’era ‘Tullio’. Nacque il desiderio di riavere un contatto. Ezio Bassano (Romualdo), insieme con un elemento locale, pratico della montagna, risalita l’alta Val Noveglia scese poi a Tiedoli. Quasi come un messaggero, trattò con ‘Tullio’, con ‘Andrea’, con ‘Walter’, alla ricerca di una soluzione che ripristinasse l’unità del gruppo spezzino…”

R 14 Dopo una serie di trattative si addivenne ad una soluzione.

p. 147
Gli spezzini lasciano il Distaccamento “Betti”, separandosi da Ezio Saccani, e ritornano con Primo Battistini “Tullio” a Tiedoli.

T18 “… gli spezzini si divisero da ‘Renzo’ -che con gli elementi locali continuò a mantenere in vita il distaccamento ‘Mario Betti’ e restò a Lezzara- e si riunirono ai compagni dislocati alla Rocca dei Tiedoli, ancora sotto il comando di ‘Tullio’. La discussione non era stata serena. Paolino Ranieri aveva rivolto agli spezzini del Gruppo ‘Betti’ l’invito pressante a ricongiungersi con i conterranei a Tiedoli: ‘Claudio’ aveva risposto che l’unificazione sarebbe avvenuta alla condizione che ‘Tullio’ avesse lasciato il comando, poiché le ragioni che avevano determinato la rottura e la preferenza per ‘Renzo’ non erano venute meno. Alla fine, questa richiesta era stata accolta”.

p. 162
Primi segni di insofferenza nel gruppo di Tiedoli (circa verso il 20 aprile 1944).

T19 “Durante il soggiorno a Tiedoli e, nell’imminenza dell’arrivo di ‘Andrea’, di ‘Gino’, di “Walter” con altri spezzini, e subito dopo l’arrivo di questi, furono compiute due missioni in Val di Magra… Alcuni degli uomini che meno subivano il forte ascendente di ‘Tullio’, intorno al venti aprile cominciarono a dare segni di impazienza e a manifestare sommessamente qualche giudizio non positivo…”

R15 Quando arriva il gruppo sarzanese con Paolino Ranieri e Flavio Bertone, si verificano molte discussioni e, alla fine, Primo Battistini lascia il comando del gruppo.

p. 164
Quando a Tiedoli ritorna dallo Spezzino Paolino Ranieri “Andrea” con Flavio Bertone “Walter”, dopo una discussione durata molte ore, diventa Comandante del gruppo Flavio Bertone “Walter”

T20 “Infine, nonostante l’ascendente di cui sopra un gruppo di giovani ancora godeva, ‘Tullio’ si convinse di dover abbandonare il comando e la zona. Il comando fu assunto, su proposta, accolta all’unanimità, di ‘Andrea’ e di ‘Brichè’, che ne avevano ammirato le qualità morali e militari e stimavano i parenti di lui, dal giovane Flavio Bertone (‘Walter’), mentre l’incarico di Commissario politico era ripreso, col generale consenso, dallo stesso Paolino Ranieri (‘Andrea’).

’Tullio’ partì un mattino con soli tre fidi santostefanesi, Mario Tavilla (‘Crasna’), Arrigo Franceschini (‘Tito’) e Ferruccio Spadaccini (‘Stalin’)”.

R16 In sintesi, Paolino Ranieri, tornato a Sarzana, come detto precedentemente, aveva maturato la decisione di portare la maggior parte degli uomini, dislocati tra Vallecchia e Castelnuovo Magra, nel Parmense. Il grosso si mise in movimento il 22 aprile 1944 e, dopo varie peripezie, passarono dal Lago Bon e arrivarono sulla linea di displuvio cercando di capire con i binocoli dove fossero i compagni, individuandoli alla Rocca di Tiedoli. Lì andati seppero della divisione avvenuta e che aveva dato luogo al Distaccamento “Betti”, divisione recuperata da Ranieri il quale ingiunse, appunto agli spezzini, di riunirsi a Tiedoli, dove, dopo molte discussioni, non venne trovato un punto di sintesi, per cui il comando del gruppo fu assunto da Flavio Bertone “Walter”, arrivato con Ranieri dallo Spezzino e già noto per varie imprese, mentre Ranieri assumeva nuovamente la funzione di Commissario politico. Molti vedono in tale episodio l’inizio di quella che sarà la futura Brigata d’Assalto “Ugo Muccini”, la cui fondazione va meglio ascritta, dopo molte altre vicende, al 19 settembre 1944 (Bosco di Faeta)10

R17 Sull’episodio della discussione alla Rocca di Tiedoli e sulla sostituzione di Primo Battistini “Tullio”, Flavio Bertone, nell’“Intervista all’on. Flavio Bertone ‘Walter’”, effettuata il 5 gennaio 1999, a cura di Remo Sensoni, nella sede di “Spedia”, Società di cui Bertone era Presidente, si sofferma ampiamente.

Intervista a Flavio Bertone “Walter”11

T21 “…Ranieri Paolino era già stato inviato in quel periodo, nel Parmense dove c’era un distaccamento partigiano molto forte comandato da un certo Betti, che poi morì a Valmozzola, c’era Battistini ‘Tullio’, in un distaccamento dove c’era un gruppo di spezzini soprattutto. Sono quelli che poi hanno fatto l’attacco a Valmozzola; c’era Bassano Ezio, quello di Arcola, e un gruppo di arcolani, che erano andati a finire in montagna li. Eravamo quasi tutti giovani, 21 anni; la massa eravamo noi di 21 anni. Fortunatamente abbiamo trovato nella nostra strada ‘sta gente, perché non so senza questa gente cosa avremmo avuto in testa. Ranieri, per esempio, nonostante 10 anni di differenza, riuscì a comandare tutti, era molto bravo. Se non avessimo trovato loro, come sarebbero andate le cose non lo so, perché i giovani sono irruenti. La formazione politica è cominciata in montagna; prima c’era un’adesione umana, sentimentale, di schieramento, di stare dall’altra parte, ecc. Venivo da una famiglia di miseria, di povertà; quindi, il concetto è semplice: fascismo uguale miseria, ribellarsi al fascismo… Paolino va in montagna con questo distaccamento. Sennonché torna giù e dice: ‘O mi venite ad aiutare o da solo non ce la faccio’; e partimmo dalla zona di Canepari. Partimmo una decina di quelli che erano ancora lì, vecchi compagni, Bottieri, Gugliemo, Turiddo, non ricordo tutti, e andammo nella zona dove era il distaccamento, nel parmense, a Rocca di Tiedoli, una zona sopra Ostia Parmense. Allora questi gruppi partigiani erano ancora braccati, eravamo in una fase non delle formazioni vere e proprie, e dei comandi unici, ma molto prima. Siamo partiti il mercoledì sera e siamo arrivati il sabato pomeriggio. A piedi, naturalmente; ma non solo: bisognava attraversare le zone di montagna ed evitare di andare a finire nelle trappole. Mi ricordo che quella mattina presso il Lago Santo, in una località detta Proda Bianca12, trovammo i vestiti di alcuni che avevano fucilato in quella zona. Era una mattina di nebbia terribile, arrivammo in quella zona lì e trovammo il distaccamento spaccato, brutalmente spaccato, perché una parte chiedeva di mandare via Battistini Tullio e un’altra parte lo difendeva. C’era un magazzino con pochi viveri e un po’ di roba, con delle armi. Avevamo piazzato una mitragliatrice a difesa di questa roba per tenerla, e l’altra parte voleva averla. Quindi era una situazione drammatica. Quella notte si fece l’assemblea per nominare il nuovo comandante; e fu un incontro dentro una stalla con Tullio a fianco con due partigiani che si erano schierati con lui armati e con il mitra senza sicurezza ed a fianco a Paolino c’eravamo io e questo Perugi anche noi con il mitra senza sicurezza. Questa fu l’assemblea quella sera, per dire la verità. In quella situazione Paolino pose la questione che Tullio doveva andare via e propose me come comandante, senza nemmeno dirmelo. Per dire la verità, s’era riunita la cellula del partito, perché non tutti erano iscritti al partito fra i partigiani; la cellula del partito aveva deciso di proporre me come comandante anche se il mio più alto livello nella vita militare era stato ‘marinaio servizi vari’. Tullio andò via, ma accettò la mia nomina, perché io e lui ci eravamo già trovati in una certa azione prima ed insomma sapeva che avrei potuto dire delle cose… Ho imparato una cosa nella vita, chi è cinico non è coraggioso. Il cinico è pronto ad ammazzare, a sparare, ma, se sparano anche dall’altra parte, è più facile che scappi che no. In quella notte rientrò al distaccamento Ezio Bassano che comandava un gruppo che se n’erano andati con un distaccamento del parmense. La cosa mi rimase impressa perché rientrò lui con alcuni partigiani di cui non ricordo il nome, e quando vidi arrivare questo Bassano con la divisa inglese, con lo stemma, un giovanotto meraviglioso, grande: ‘Non perdiamo più ragazzi; a questo punto non ci pensiamo nemmeno ad affrontare l’esercito tedesco’. Quindi io divenni comandante in quella situazione non certamente entusiasmante.”

R18 Dopo questo fatto, Primo Battistini “Tullio” si porta verso lo Zerasco, dove dà vita alla Brigata “Signanini”, in ricordo del giovane partigiano che, andato in missione con Ottorino Schiasselloni, era stato ritrovato, subito dopo l’episodio delle Prede Bianche (30 gennaio 1944,) ucciso, e riguardo alla cui morte erano sorti dubbi mai chiariti, tanto che in essa, come già detto, lo stesso Schiasselloni, con le varie e poco convincenti versioni fornite, sembrava implicato.

Fiorillo, Maurizio, “Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010.

pp.92-93 e Note 29 e 30.
Primo Battistini “Tullio” forma nello Zerasco la Brigata “Signanini”, poi Brigata “Melchiorre Vanni”13

T22 “Dopo essere stato esautorato, Battistini aveva lasciato la banda, con l’intenzione, scrive il commissario Ranieri ‘di venire a contatto col Comitato militare [del PCI] de La Spezia e reclutare tutti gli elementi disposti a seguirlo per formare un Gruppo’. Ranieri, che riteneva Battistini indisciplinato e a volte irresponsabile, sebbene abile nella guerriglia e nello sfuggire ai rastrellamenti, avrebbe preferito evitare che ‘Tullio’ assumesse il comando di uomini, ma i comunisti spezzini, a corto di comandanti esperti, gli concessero di formare una nuova banda, inviandogli molti volontari… Alla fine di giugno ‘Tullio’ aveva ormai creato una banda che prese il nome di distaccamento ‘Signanini’ e poi di Brigata ‘Vanni’”.

Qui finisce l’”Archeologia” e inizia la storia vera e propria della Brigata, poi Battaglione ,“Vanni”.


Note

1 Giorgio Pagano sta curando, come ha dichiarato in “Patria Indipendente” (marzo 2024), la pubblicazione del manoscritto di Battistini, il cui titolo ( v. Nota 5 del testo citato) è “Tullio. Memorie. Cronache resistenziali”.

2 Talvolta si trova scritto anche Bacinelli.

3 in realtà Cesare Signanini “Adalberto”.

4 1944.

5 V. la scheda in questo sito

6 Cioè, il 2 marzo 1944.

7 NdA: da indagine condotta sulle fonti dell’epoca, e precisamente sui giornali, la data di Valmozzola è senza dubbio il 12 marzo 1944 (domenica). La “Gazzetta di Parma” del 14 marzo 1944 parla dell’episodio in questo modo: “Domenica mattina [quindi domenica 12 marzo] verso le ore 8,30, un gruppo di banditi armati, composto di una cinquantina di individui, dopo avere circondato il treno proveniente da La Spezia e diretto a Parma che si era fermato nella stazione di Valmozzola, apriva un violento fuoco di fucileria e di bombe a mano verso il convoglio… E’ morto altresì ucciso uno dei banditi, non ancora identificato ma che si ha ragione di credere fosse il capo o uno dei capi della banda, addosso al quale è stata rinvenuta una forte somma in valuta italiana”. V. anche, a tale proposito l’articolo a cura di Maria Cristina Mirabello.

8 Fiorillo, Maurizio, “Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945”, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010, p.69.

9 Giorgio Pagano è tornato, nel marzo 2024, sulla questione, e, basandosi su un manoscritto di Battistini, ha avvalorato la versione di quest’ultimo riguardo alla programmazione dell’assalto al treno.

10 V. la scheda a cura di Maria Cristina Mirabello.

11 Riguardo al testo, si tenga conto che si tratta di un orale, cui corrisponde una trascrizione che non segue le regole, specie sintattiche, dello scritto.

12 Così nel testo.

13 Il passaggio, da una denominazione all’altra, ha una marcatura politica. L’intitolazione della “banda” a Cesare Signanini, chiamato “Adalberto” da Primo Battistini, e perito, come già detto, in circostanze misteriose, quando il gruppo di “Tullio” era alle Prede Bianche, ha una marcatura dettata dall’amicizia, mentre ben diverso è il significato che la denominazione “Melchiorre Vanni” implica, e, soprattutto, implicherà.

In breve, Melchiorre Vanni, dapprima anarchico, poi comunista, aveva rivestito funzioni dirigenti nel PCd’I, in Italia e all’estero. Andato in Spagna durante la guerra civile, aveva riportato ferite durante un bombardamento a Madrid. Trasportato in Francia, era morto a seguito di esse, nel marzo 1939.

Una giornata particolare: 8 marzo. “La Resistenza la fanno le donne”, come affermò Arrigo Boldrini (Bulow)

Premessa a cura di Patrizia Gallotti e Maria Cristina Mirabello

Abbiamo più volte ricordato come la Resistenza sia il momento in cui le donne italiane rivelano un protagonismo prima sconosciuto, sebbene luminosi esempi femminili siano ravvisabili anche anteriormente, a livello di lotta per l’emancipazione, per la giustizia, per la libertà.

Senza soffermarci sulla storia generale delle donne italiane, basti ricordare che, nel corso del Ventennio fascista, non tutte le donne chinarono il capo, anzi, molte conobbero la persecuzione politica, la vigilanza continua, l’esilio, il confino, la prigione, incorrendo anche nelle condanne del Tribunale Speciale, e/o furono oggetto di vessazioni, semplicemente perché amiche o familiari di antifascisti.

Sicuramente è però il momento resistenziale a svelare, con più nettezza, il protagonismo femminile, sia a livello di lotta armata che di rete civile clandestina: portaordini, staffette, dattilografe, travestitrici di soldati sbandati nel dramma dell’8 settembre, coadiuvanti di una scelta che implicava, comunque, anche semplicemente proteggendo con il silenzio chi effettivamente cospirava, grossi rischi.

La loro funzione è riconosciuta chiaramente da Antonio Borgatti “Silvio”, membro comunista del CLNp, in molte delle sue Relazioni, nonché nel suo libro, postumo, pubblicato nel 2022, tanto che, tra febbraio e marzo 1945, essendo colpita la rete clandestina da vere e proprie ondate di arresti, egli dice chiaramente che, ormai, può fidare solo sulle donne, meno individuabili sicuramente degli uomini.

Non si può comunque dimenticare che proprio queste ultime furono, in un certo senso, le vere volontarie della libertà, non essendo colpite dai bandi forzati di chiamata alle armi della RSI, ma compiendo dunque una scelta che potevano risparmiarsi, e che, per il genere femminile, si rivelava, in quel contesto, inusuale, oltremodo difficile e pericolosa.

In occasione dell’8 marzo 2024, pensiamo, ripubblicando di seguito la scheda sui Gruppi Difesa della Donna, di rendere un argomentato omaggio a tante donne che hanno fatto la Resistenza spezzina, mettendo direttamente a disposizione del grande pubblico un importante contenuto degli Strumenti, il Lessico della Resistenza spezzina.

Vogliamo infine anche ricordare che, proprio negli scioperi del 1-3 marzo 1944, fu rilevante il protagonismo femminile, sia dei GDD, che di singole donne, ad esempio di Elvira Fidolfi, operaia dello Jutificio Montecatini: faceva parte del gruppo organizzatore della protesta, venne arrestata con la sorella Dora e deportata, non tornando più dal campo di concentramento.

Foto di copertina tratta dall’archivio della rivista Noi Donne.

G.D.D. Gruppi Difesa della Donna

A cura di Maria Cristina Mirabello

Nel novembre 1943 si incontrano a Milano le comuniste Rina Picolato, Giovanna Barcellona e Lina Fibbi, l’azionista Ada Gobetti e la socialista Lina Merlin per costituire un’Associazione di donne che assista i combattenti per la libertà e sia aperta a tutte le donne intenzionate a lottare per la loro emancipazione, indipendentemente dalla propria fede religiosa o politica. A questo primo nucleo si aggiungono poi anche donne democristiane e il 10 luglio 1944 i Gruppi Difesa della Donna sono riconosciuti ufficialmente dal CLNAI come proprio organo.

I Gruppi Difesa della Donna affiancano quindi la Resistenza su molteplici piani: organizzano infatti scioperi contri i nazifascisti; creano una rete di assistenza solidale alle famiglie dei deportati, incarcerati e caduti; organizzano le proteste contro il caro-vita; propagandano la resistenza ai nazi-fascisti contribuendo a ciò nella vita quotidiana e nelle fabbriche ( per il sabotaggio della produzione di guerra), nelle scuole, nelle campagne (per boicottare la consegna di viveri all’ammasso); si dedicano all’assistenza sanitaria, alla stampa (abbiamo in tale ambito i giornali “La compagna”, “La difesa della donna lavoratrice”, mentre di ispirazione cattolica è “La Fiamma”)[1].

IV Zona Operativa
Va detto innanzitutto che i Gruppi Difesa della Donna si presentano in genere in Liguria come un fenomeno fondamentalmente urbano ma che nel territorio spezzino[2] vedono un radicamento nelle campagne, specie arcolane e sarzanesi.

Per quanto si può capire e ricavare dai documenti di Archivio (scarsi) coevi e dalle testimonianze posteriori si ha un continuo interscambio fra S.A.P., Gruppi Difesa della Donna e Fronte della Gioventù. In un certo senso è come se chi agiva in quel momento avesse di sé l’idea di operare in qualità di appartenente ai Gruppi Difesa della Donna e/o al Fronte della Gioventù, essendo però inquadrato burocraticamente “a posteriori” nei Battaglioni S.A.P. Questa importante notazione esce fuori anche dalla lucidissima e organica testimonianza resa da Anna Maria Vignolini la quale parla, a proposito delle organizzazioni dell’epoca, di un lavoro “artigianale”, cioè poco formalizzato, in cui sicuramente c’erano alcuni elementi-snodo, a conoscenza della rete cospirativa nel suo complesso, ma la maggior parte dei componenti sapeva solo un “segmento” delle strutture, accadimenti e decisioni[3].

E’ indubbio che alcune zone della Provincia presentino nel corso della Resistenza gruppi di donne particolarmente attive, come si può dedurre e dalle testimonianze citate nelle Fonti e da documenti trasmessi. Alla fine di dicembre 1943 esce, ad esempio, in tutta la Val di Magra un lungo volantino in cui sono ripresi articoli de “l’Unità”.

Ad Arcola, da cui proviene Elvira Fidolfi, animatrice insieme alla sorella Dora dello sciopero del 1944 allo Jutificio Montecatini[4], esiste un gruppo particolarmente combattivo di donne, alcune delle quali molto giovani: fra esse si distinguono Laura De Fraia “Franca”, Mimma Rolla “Aura”, Iva Rolla (madre di Mimma), tutte riconosciute nel Battaglione S.A.P. II Zona. Con loro è Paola Toffi (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. II Zona) addetta alla stampa e propaganda (in contatto con Antonio Borgatti “Silvio”, segretario della Federazione Comunista, Maria Roffo (riconosciuta nel battaglione S.A.P. II Zona), Jone Nevia Ricco, incaricata di battere a macchina.

Sempre di questo gruppo fa parte Dina Gattoronchieri, che rimarrà poi uccisa. Con tale consistente nucleo entra per un certo periodo in contatto anche Vega Gori “Ivana” di Vezzano Stazione (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. III Zona), la quale lavora come dattilografa della stampa clandestina, dei documenti P.C.I. e C.L.N., a continuo contatto, per questa mansione e per quella di staffetta porta-materiale, con Antonio Borgatti “Silvio”.

Anna Maria Vignolini “Valeria” (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. Ia Zona) muove le fila delle donne di tutta la variegata area che va da Ortonovo, a Sarzana, a Santo Stefano, Lerici, S. Terenzo, Termo, Limone. Melara, fino alla zona del cimitero dei Boschetti alla Spezia.
La sua opera inizia subito dopo l’8 settembre 1943, quando è incaricata di organizzare gruppi femminili per raccogliere denaro e vestiario, onde dare supporto a nuclei partigiani ai monti, gruppi che solo successivamente si chiameranno Gruppi Difesa della Donna. E’ lei che, nel suo operare, incontra tutta una serie di donne: quelle arcolane citate più sopra, specie Laura De Fraia e Mimma Rolla, ma si reca anche molte volte a casa di Vega Gori a Vezzano Stazione per insegnarle, fra l’altro, a scrivere a macchina in grande, tramite l’uso ripetuto delle X, le testate della stampa clandestina.

I compiti svolti dalle donne, deducibili dalla testimonianza di “Valeria” e dalle testimonianze citate nelle Fonti, sono molteplici: da quelli, più legati al ruolo femminile, del lavoro a maglia e del ricamo e cucito per le uniformi partigiane e bandiere a quelli di supporto alla così detta “resistenza civile”, fino a quelli che traguardano livelli di rischio ben più elevati, e comunque più lontani dalla tradizionale immagine femminile: si va così dal fare le scritte sui muri, alla battitura a macchina di documenti delicatissimi del C.L.N. e del P.C.I., della stampa clandestina (specialmente “l’Unità” e “Noi Donne”), al trasporto e diffusione di materiale clandestino (talvolta anche armi), al mantenimento dei contatti fra le varie zone della città, della montagna e, in taluni casi, fuori La Spezia.

Ha compiti di questo tipo ad esempio Rina Gennaro “Anna”[5] (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. IV Zona, v. Fonti): “Anna”, membro per un certo periodo del Comitato federale del P.C.I., funge da staffetta in provincia ma si reca anche a Genova (con lei ha un fitto scambio di materiale alla stazione FF.SS. di Sarzana sempre Anna Maria Vignolini). Tutte le donne nominate ed in genere i Gruppi Difesa della Donna ruotano nell’area del Partito Comunista[6].

Particolarmente rimarchevole è il ruolo dei Gruppi Difesa della Donna nella preparazione e supporto dei grandi scioperi del marzo 1944 che, diretti e voluti dal C.L.N.A.I. si diffondono nel Nord Italia, interessando le industrie spezzine e segnando un punto di svolta notevole a livello di Resistenza (e di repressione di essa).

I Gruppi Difesa della Donna offrono un notevole supporto al grande sciopero delle fabbriche spezzine in generale, sostenendo e partecipando in modo attivo particolarmente alla dura e coraggiosa lotta condotta dalle operaie dello Jutificio “Montecatini”.

E tuttavia le donne dei G.D.D. non operano solo in appoggio ad azioni decise da altri, cioè da organismi esterni rispetto ai Gruppi, ma arrivano anche a promuovere azioni autonome, che le vedono protagoniste a tutti gli effetti della lotta.

Ad Arcola, ad esempio, esse pensano, vogliono e gestiscono in proprio una manifestazione per ottenere derrate alimentari. La protesta si articola in due fasi: la prima, meno partecipata, avviene il 12 febbraio 1945, la seconda, di fronte al Palazzo Comunale, il 15 febbraio 1945: in quest’ultima circa 300 donne, fra arcolane e sfollate, ottengono pieno successo, tanto che riescono pienamente nel loro intento di far distribuire pane e zucchero.

Dalla lettura delle testimonianze e dai documenti d’archivio (pochi) rimasti, si ricava comunque, cosa già detta alla nota 2, ma che è utile sottolineare, un continuo interscambio fra S.A.P., Gruppi Difesa della Donna e Fronte della Gioventù.

Sintesi della conversazione tra M. Cristina Mirabello e Anna Maria Vignolini “Valeria” nella sua casa sarzanese, il giorno 23 novembre 2015. Tale sintesi va vista come integrativa e non sostitutiva delle altre importanti testimonianze da lei rilasciate in passato e citate nelle Fonti.

Anna Maria Vignolini “Valeria”, nata nel 1923, è forse la donna il cui nome ricorre più frequentemente nei documenti di Archivio e nelle pubblicazioni sulla IV Zona Operativa, pur essendosi ella mantenuta piuttosto defilata rispetto alle occasioni pubbliche in cui negli ultimi anni si è parlato di Resistenza, tanto che, ad esempio, è decisamente poco ritrovabile nella Rete e quindi nella comunicazione on line.

La sua importante vicenda resistenziale parte prima del 25 luglio 1943 e matura definitivamente nel contesto dei drammatici fatti dell’8 settembre 1943.

Nata e cresciuta in una famiglia di sentimenti antifascisti, dopo essersi diplomata maestra, lavora immediatamente dopo il diploma al Consorzio Agrario di Sarzana: qui sostituisce un impiegato richiamato al fronte e fratello del suo futuro fidanzato e marito, Turiddo Perugi, che Anna Maria conosce al Consorzio e che sarà, con il nome di battaglia “Rì”, fra i fondatori della Brigata “U. Muccini”. E’ proprio Turiddo che la segnala, come elemento potenzialmente disponibile alla lotta antifascista, ai comunisti sarzanesi, da cui viene progressivamente avvicinata.
Paolino Ranieri ed Anelito Barontini, dirigenti del P.C.I., che hanno già patito il carcere e il confino fascista e che tanta parte avranno nella Resistenza dopo l’8 settembre, tengono con lei illuminanti conversazioni a carattere politico-storico, ad esempio sulle recenti vicende della guerra di Spagna e di Etiopia.

Anna Maria comincia così a leggere “La madre” di Gorki e viene convinta a trascrivere a macchina l’intero testo del “Manifesto del Partito Comunista” di K.Marx e F.Engels, cosa che fa nella pausa pranzo dalle 13 alle 14 o dopo l’orario di lavoro, anche se viene poi scoperta e denunciata da un impiegato.

Quando arriva l’8 settembre 1943, il gruppo sarzanese del P.C.I. è quello più organizzato in provincia per affrontare le drammatiche vicende dell’epoca ed Anna Maria Vignolini, che rimane al Consorzio Agrario fino alla primavera 1944, quando sarà invitata dal Partito a dedicarsi completamente alla lotta resistenziale, è subito investita della responsabilità di coordinare ed organizzare le donne, le quali solo ad un certo punto prendono la denominazione di Gruppi Difesa della Donna.

A Sarzana, già dal dicembre ’43, Anna Maria, cui viene raccomandato di non far conoscere fra loro i gruppi resistenziali, costituiti al massimo da cinque elementi fra loro e di non dire i nomi dei capi partigiani, prende i contatti, presentandosi come comunista, con numerose donne.

Fra esse, innanzitutto, una collega di lavoro al Consorzio, Benita Marchini, quindi con Saura Bertolla, Anna Garbusi, Nella Giannazzi, Maria Guelfi, Iella Cargioli, Anna Merli, Adriana Galletto, Lucetta Posselt con l’obiettivo di svolgere importanti compiti giornalieri, quali la raccolta di materiale, vestiario, cibo, denari e collegamenti con il nucleo originario di quella che sarà poi la “Brigata Muccini”.

Nel corso del suo impegno incontra così, in alcuni casi per una volta sola, in altri casi più frequentemente o abitualmente, una serie di personaggi che hanno parte anche notevole nelle vicende resistenziali spezzine, ad esempio Franco Diodati “Renato” (v. nota 1, in “Fronte della Gioventù”) da lei visto una volta sola, all’inizio, ai Giardini pubblici della Spezia, dove si reca con titubanza, perché lontana dai luoghi conosciuti di Sarzana e dintorni, recando con sé un orologio datole da una zia per controllare i tempi e dove, probabilmente per l’agitazione del momento, lo smarrisce.

Ha invece contatti organici con i comunisti Eugenio Bellegoni “Marcello” di Sarzana, Luciano Goliardi “Wladimiro” capo del CLN sarzanese, incontra talvolta il comunista sarzanese Emilio Baccinelli, ha frequenti interscambi con il giovane Filippo Borrini di Vezzano che, dopo la partenza di Diodati fortemente sospettato a seguito degli scioperi del ’44, si occupa del Fronte della Gioventù, incontra il comunista Silvio Maggiani “Giuseppe” di Arcola.

La segretezza dell’organizzazione, divisa per compartimenti e strutturata in modo da far conoscere il minor numero possibile di militanti fra loro, onde evitare eventuali lunghe file di arresti in caso di cattura, è ben dimostrata dal fatto che Anna Maria Vignolini, nonostante l’incarico assai delicato ed importante che svolge, non incontra mai, nel corso del periodo resistenziale, Antonio Borgatti “Silvio”, segretario della Federazione Comunista spezzina, che conoscerà solo nel dopoguerra.

Quello della Resistenza è anche, per molti versi, un lavoro “artigianale”, cioè poco formalizzato, in cui sicuramente ci sono alcuni uomini raffigurabili quali elementi- snodo, a conoscenza della rete cospirativa nel suo complesso, ma la maggior parte dei componenti, e per motivi di segretezza e perché talune cose erano in continuo divenire, conosce solo un “segmento” degli accadimenti, decisioni, linee generali dell’organizzazione.

L’ampiezza della zona coordinata da “Valeria” è notevole, allargandosi geograficamente da Ortonovo, confine della provincia spezzina a oriente, a Sarzana, Santo Stefano, Vezzano, Arcola, Lerici, fino a comprendere la parte del Comune della Spezia che riguarda il Termo, Melara, Limone, per arrivare al cimitero dei Boschetti.

Anna Maria si muove a piedi, in bicicletta, in treno, per informare, coordinare, consegnare e smistare materiale che batte a macchina. E nella vasta zona cui sovrintende risultano i gruppi forse più attivi di donne: quello di Sarzana sopra citato e quello di Arcola, in cui “Valeria” ricorda particolarmente Laura De Fraia e Mimma Rolla, con le quali si incontra una prima volta per strada, avendo come segno convenzionale di riconoscimento un fiore, anche se poi ci saranno riunioni, specie nella casa di Mimma Rolla, dentro il paese, e in quella di Anna Bassano, sorella di Ezio Bassano, a Ressora).

Proprio il gruppo costituitosi ad Arcola diventa ben presto uno dei più preparati ed attivi. Della zona di Vezzano Ligure ricorda soprattutto Vega Gori “Ivana”: a quest’ultima, andando nella sua casa, a Vezzano Stazione, insegna come si batte a macchina la stampa clandestina e soprattutto come si dispongono i caratteri per le testate dei giornali.

A Sarzana ha anche contatti con Rina Gennaro “Anna”, lì sfollata, cui consegna pacchi di volantini e stampa clandestina alla Stazione FF.SS., quando Rina prende il treno per La Spezia, dove lavora nel negozio di scarpe di Melley.

Quanto alle riunioni, esse avvengono, specie all’inizio e approfittando della buona stagione, generalmente in luoghi poco sospettabili, quindi non tanto e solo nelle case, ma in campagna o in riva al fiume, per sembrare, nel caso di gruppi sia misti di ragazze e ragazzi che formati da elementi di un solo sesso, impegnate/i in una scampagnata o per dare la sensazione di essere innocue/i bagnanti.

C’è una foto di Anna Maria insieme ad altri tre giovani (due uomini -Werther Bianchini e Dante Savona- e una donna, Benita Marchini) risalente all’estate del 1944, scattata in campagna, in cui il gruppetto, in questo caso animatore del Fronte della Gioventù (esempio lampante dell’osmosi fra varie organizzazioni di cui abbiamo lungamente detto nella presente Scheda), sembra tutto fuori che un pericoloso nucleo sovversivo.

Fra le azioni promosse dai Gruppi Difesa della Donna che Anna Maria Vignolini ricorda forse con più commozione è senza dubbio il grande sciopero delle fabbriche spezzine ai primi del 1944, durante il quale le donne organizzate da lei fungono da sostegno e supporto per la lotta in generale, ma specialmente partecipano in modo attivo e circostanziato a quella condotta dalle operaie dello Jutificio: fra queste ultime i nazi-fascisti catturano poi le due sorelle Elvira e Dora Fidolfi, deportandole: solo Dora ritornerà a casa.

Nel corso della sua attività, ad un certo punto, Anna Maria Vignolini si sposta di casa, si allontana cioè dalla sua dimora sarzanese, per collocarsi più vicino alla Brigata “U. Muccini”, caposaldo della Resistenza in zona, Brigata cui ella ha già portato aiuti in vestiario quando un primo nucleo della formazione si trovava al lago Santo nel Parmense: alloggia così nella casa di “Venù” (Benvenuto Ambrosini), futuro suocero di Flavio Bertone “Walter” nella zona di Giucano, una casa considerata il vero avamposto della “Muccini” verso il piano.

Poiché però bisogna giustificare la sua assenza da casa, viene sparsa la voce che Anna Maria insegna in un paesetto sui monti. Nel frattempo, nella sua casa di Sarzana, è stata requisita una stanza per un ufficiale tedesco che, non essendo a conoscenza della vera attività della ragazza, si offre, quando lei torna a casa a salutare i genitori, di farla accompagnare qualche volta con una macchina per risparmiarle un tratto di strada.

E’ così che Anna Maria sfila davanti all’Albergo Laurina, dove ha sede il Comando delle Brigate Nere, con la sua borsa apparentemente innocua ma carica di materiale clandestino ad elevatissimo rischio. La guerra rende audaci i timidi ed Anna Maria, ragazza riservata e perfino, come lei stessa si autodefinisce, un po’ paurosa, osa cose inimmaginabili: e questo soprattutto in nome degli ideali da cui è animata e da cui –ella dice- è spinta e sono spinti i ragazzi e le ragazze che operano con lei.

La vicenda sarzanese del suo impegno si chiude il 29 novembre 1944, quando i nazi-fascisti scatenano contro la “Muccini” il drammatico rastrellamento a seguito del quale buona parte della Brigata è costretta a passare il fronte guidata da Piero Galantini “Federico”, rimanendo nella zona sarzanese un nucleo ristretto con Flavio Bertone e Paolino Ranieri.

Proprio nella mattinata del 29 novembre Anna Maria si sta recando alla postazione avanzata della “Muccini”, e cioè alla casa di “Venù”, di cui si è detto, e sta facendo un tratto di via accompagnata dal padre. Ad un certo punto essi incontrano però un amico di famiglia il quale comunica loro che sta succedendo un vero inferno, che c’è un rastrellamento, insomma che non devono assolutamente andare verso quella direzione.

Allora Anna Maria rapidamente decide, ed è la sua fortuna, che è meglio ritornare alla Stazione di Sarzana per tentare di prendere un treno che va a Carrara, dove la sua mamma sta assistendo un’altra figlia, ricoverata per un intervento.

Riesce a prendere il treno, nessuno la cerca o riconosce, scende all’Avenza e arriva da lì a Carrara, dove si riunisce alla mamma e alla sorella, alloggiando presso una zia. E’ quindi a Carrara che vive, fino alla Liberazione, la seconda, importante fase della sua esperienza resistenziale, dirigendo i Gruppi Difesa della Donna del luogo, in continuo contatto con la dirigenza politica del P.C.I. e con la formazione partigiana “Menconi”, partecipando alle riunioni, accogliendo, nell’abitazione in cui è ospitata o in case amiche, i partigiani della “Muccini” quando, stremati e bisognosi di cure mediche ed ospedaliere, sconfinano oltre la IV Zona.

Anna Maria presta inoltre assistenza, con le altre donne ai numerosissimi feriti che, in condizioni precarie e drammatiche, affollano l’ospedale della città. Questi ultimi sono in massima parte vittime civili delle cannonate provenienti dalla Linea Gotica, dove gli anglo-americani le tirano, avendo l’obiettivo giornaliero di difendere i confini fra la provincia di Massa Carrara e La Spezia da incursioni tedesche e fasciste.

In questo drammatico e devastante contesto, quasi incredibilmente, dati i tempi, Anna Maria riesce anche a dedicarsi alla promozione e allestimento di spettacoli di varietà in teatro.

A guerra finita ritorna a Sarzana ed è chiamata per svariati anni ad importanti incarichi politici e istituzionali per conto del P.C.I.: eletta nelle prime votazioni per l’Amministrazione Comunale della Spezia, fa parte di essa ricoprendovi il ruolo di Assessore all’Assistenza Sociale ma rinunciando in seguito, nel 1954, ad ogni incarico, per motivi familiari.

 
 

anna-maria-vignolini
Anna Maria Vignolini “Valeria”, fino al novembre 1944 coordina i G.D.D. in una vasta area della provincia spezzina

delfina-betti
Delfina Betti, operaia dello Jutificio Montecatini e staffetta

dina-gattoronchieri
Dina Gattoronchieri, staffetta, muore a causa delle ferite riportate il 22 aprile 1945 durante il cannoneggiamento di Arcola

laura-de-fraia
Laura De Fraia (Franca), insieme a Mimma Rolla (Aura) fa parte dei G.D.D. di Arcola, svolgendo in essi importanti funzioni e organizzando rilevanti azioni

mimma-rolla
Mimma Rolla (Aura), insieme a Laura De Fraia (Franca) fa parte dei G.D.D. di Arcola, svolgendo in essi importanti funzioni e organizzando rilevanti azioni

rina-gennaro
Rina Gennaro “Anna”: collega Sarzana con la Spezia recandosi anche fuori provincia

vega-gori
Vega Gori “Ivana”, lavora come dattilografa a fianco di del segretario del P.C.I. Antonio Borgatti “Silvio”, entrando in contatto con Anna Maria Vignolini e con il gruppo di Arcola

Fonti

In generale e sulla Liguria

  • AA.VV. Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, La Pietra, Milano 1968, vol. II, p.676 e segg. (voce Gruppi Difesa Donna) e vol.II p. 127 e segg. (Donne nella Resistenza)
  • Gimelli, Franco; Battifora, Paolo, (a cura di), Dizionario della Resistenza in Liguria, Genova, De Ferrari, [2008?], p.184 (Voce Gruppi Difesa della Donna)
  • Gruppi di difesa della donna
  • Riflessione della storica Anna Bravo e testimonianza di Marisa Cinciari Rodano

IV Zona Operativa

  • Testimonianze di Anna Maria Vignolini, Rina Gennaro, Delfina Betti, in “La Resistenza nello Spezzino e nella Lunigiana”, ISR, La Spezia, 1973, pp.185-190
  • Ricci, Giulivo, Storia della Brigata garibaldina “U. Muccini”, I.S.R. La Spezia, 1978, passim
  • Donne arcolane nella Resistenza- Le celebrazioni del 30° della Resistenza e della Liberazione, 1975, con particolare riferimento alle testimonianze di Diana Bassano, Laura De Fraia, Dora Fidolfi , Vega Gori, Esperia Morettini, Maria Roffo, Gigina Rolla, Iva Rolla, Mimma Rolla, Paola Toffi, Jone Nevia Ricco),
  • Bianchi, Antonio, Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana, Editori Riuniti, 1975, (p.256 e segg., p. 314, p.361, ma anche seguendo i nomi delle donne citate nel testo dello stesso Bianchi Antonio del 1999, v. più sotto)
  • La Spezia marzo 1944-Classe operaia e Resistenza, Atti della Conferenza “Scioperi del marzo 1944” Sala del Consiglio Provinciale, 1° marzo 1974, Farina, Mario (a cura), I.S.R. La Spezia, 1976
  • Ricci, Giulivo, Storia della Brigata garibaldina “U Muccini”, I.S.R. La Spezia, 1978, passim
  • Articolo “Il contributo delle donne sarzanesi alla Resistenza- Con i volantini sotto il naso dei fascisti” (giornale “Il Secolo XIX”), 28 novembre 1982.
  • “La donna e la Resistenza” in Petacco, Arrigo, in collaborazione con G.Fusco, La Spezia in guerra 1940-45, cinque anni della nostra vita, La Nazione 1984, p.313
  • Articolo “L’eroismo delle donne” (giornale “Il Secolo XIX”), 29 novembre 1987
  • Valle, Anna, Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano, Edizioni Giacché, 1994, passim
  • Bianchi, Antonio, La Spezia e Lunigiana-Società e politica dal 1861 al 1945, Franco Angeli, 1999, 336-342, passim; 401-402 passim; ma anche seguendo i nomi di Anna Bassano, Laura De Fraia, Dora Fidolfi, Elvira Fidolfi, Rina Gennaro, Vega Gori, Mimma Rolla, Iva Rolla, Paola Toffi, Anna Maria Vignolini, citati nella presente scheda.
  • Gimelli, Giorgio, La Resistenza in Liguria, Cronache militari e documenti, a cura di Franco Gimelli, Carocci, 2005, p. 37, 151, 164, 347, 348 e n, 349n, 550, 561, 562, 644-645, 644n, 870, 871n (ma anche seguendo i nomi di Anna Bassano, Delfina Betti “Mariuccia”, Laura De Fraia “Franca”, sorelle Fidolfi, Rina Gennaro “Anna”, Vega Gori “Ivana”, Mimma Rolla, Iva Rolla, Paola Toffi, Anna Maria Vignolini “Valeria”)
  • Valle, Anna; Coviello Annalisa, Anch’io ho votato Repubblica, Edizioni Giacché, 2008, con particolare riferimento alle testimonianze di Rina Gennaro Bruzzone e Anna Maria Vignolini Perugi
  • Marchini, Pino “Un berretto pieno di speranze. I ricordi di Vanda Bianchi” (Edizioni Cinque Terre, 2010)
  • Gori, Vega, “Ivana”; Mirabello M.Cristina “Ivana” racconta la sua Resistenza. Una ragazza nel cuore della rete clandestina, Edizioni Giacché, 2013.
  • Borgatti, Antonio (a cura di Aldo Giacché), Anni clandestini. Memorie dal 1904 al 1945”, Edizioni Giacché, 2022.
  • Interviste a Vanda Bianchi, Luisa Borrini, Laura De Fraia, Rina Gennaro, Vega Gori
  • Due interventi audiovisivi di Anna Maria Vignolini
  • Per una storia generale e sintetica della Resistenza nello Spezzino

Le fotografie di Laura De Fraia, Vega Gori, Mimma Rolla, Anna Maria Vignolini sono state gentilmente concesse dalle interessate, la fotografia di Rina Gennaro fa parte della collezione privata di Vega Gori, la fotografia di Dina Gattoronchieri è tratta dal libro Comune di Arcola-Comitato Unitario della Resistenza, Arcola tra storia e ricordo 1939-1945, Centrostampa, Arcola, 1996, p.215; la fotografia di Delfina Betti fa parte della collezione privata della sig.ra Renata Bambini.


Gli inserimenti fotografici della presente Scheda sono stati curati da Mauro Martone

 
 
_____________

Note

[1] Dopo la Liberazione i GDD si sciolgono per entrare nell’UDI (Unione Donne Italiane) fondato il 15 settembre 1944 a Roma, ormai liberata, dalle comuniste Rita Montagnana, Marisa Cinciari Rodano, Egle Gualdi, Marisa Musu comuniste e dalle socialiste Giuliana Nenni e Maria Rovita.
[2] E’ opportuno far presente a chi legge che un conto è una ricostruzione lineare “a posteriori”, specie di organismi estremamente fluidi quali ad esempio i Gruppi Difesa della Donna fondamentalmente impiegati in ambito urbano, e un conto è il divenire reale di essi nel corso tumultuoso degli avvenimenti dell’epoca. Proprio perciò la razionalizzazione dei fatti frequentemente porta ordine in quella che è di fatto una rete che si allarga, si restringe, sovrappone maglie e nodi, a seconda dei momenti. Spesso si evince dalle carte di Archivio che S.A.P., Fronte della Gioventù (F.d.G.) e Gruppi Difesa della Donna (G.d.D.) vivono in osmosi. Non esiste un elenco dei GDD nello Spezzino e perciò bisogna risalire molto faticosamente ai nomi delle componenti di essi dall’elenco S.A.P. in cui le donne sono state inquadrate al momento del riconoscimento da parte della Commissione provinciale.
[3] Riportiamo in fondo alla Scheda, prima delle fotografie e delle Fonti, la sintesi di quanto Anna Maria Vignolini “Valeria” ha detto nel corso della conversazione avvenuta nella sua casa sarzanese, il giorno 23 novembre 2015, con M. Cristina Mirabello, curatrice della Scheda stessa per conto dell’I.S.R. della Spezia. La conversazione è importante per il contenuto intrinseco e perché on line ci sono scarsi documenti che riguardino Anna Maria Vignolini, la quale ha avuto invece un ruolo di tutto rilievo per la Resistenza al femminile
[4] Per lo Sciopero allo Jutificio “Montecatini” v. la testimonianza di Delfina Betti, dapprima operaia in fabbrica e poi staffetta, in I.S.R. La Spezia, La Resistenza nello Spezzino e nella Lunigiana- Scritti e testimonianze, 1973, p.190; ed ancora sempre la testimonianza di Delfina Betti in “La Spezia marzo 1944, Classe operaia e Resistenza. Atti della conferenza “Scioperi del marzo 1944”, a cura di Mario Farina, I.S.R. La Spezia, 1974, p.91
[5] A proposito dell’osmosi fra S.A.P., GDD. FDG di cui si parla alla Nota 2 della presente Scheda, proprio Rina Gennaro in una sua testimonianza del 1973 (v. Fonti) dice di essere stata contattata da Franco Diodati (v. Fronte della Gioventù) e di avere fatto parte delle S.A.P.
[6] Alcune di queste donne rivestiranno nel dopoguerra incarichi pubblici in cui metteranno a frutto l’incredibile esperienza e il patrimonio di idee maturati nel corso della Resistenza. Rina Gennaro sarà la prima segretaria U.D.I. alla Spezia, Anna Maria Vignolini sarà, fra le varie cariche ricoperte, l’unica donna Assessore nella Giunta del Comune della Spezia nel 1950, Laura De Fraia diventerà Assessore del Comune della Spezia

Una giornata particolare: in occasione del 79° Anniversario del Rastrellamento del 20 Gennaio 1945

A cura di Sandro Centi

Il 20 Gennaio 1945 avveniva il rastrellamento nazifascista, che può essere correttamente definito come uno dei fatti d’arme più importanti per la Cronologia della IV Zona Operativa.

Il rastrellamento, spesso ingiustamente trascurato dalle cronache e dalla storiografia generale, è, in realtà, per molti versi, decisivo riguardo all’evoluzione della guerra in Italia, e quindi la sua rilevanza va ben oltre il territorio spezzino.

Mario Fontana, Comandante della IV Zona Operativa, nella sua “Relazione sull’attività operativa svolta dai reparti della IV Zona dal luglio 1944 al 25 aprile 1945” così descrisse quei giorni:

Questa azione [NdR: cioè il rastrellamento] preparata lungamente ed accuratamente eseguita con enormi forze dotate di moderno materiale da guerra, condotta con decisa volontà di liquidare definitivamente le formazioni patriote della IV Zona, costituisce un definitivo ed inglorioso scacco di tutte le speranze fasciste. Sono 20.000 uomini stupendamente armati che vengono irreparabilmente gettati sulle posizioni di partenza da 2.000 patrioti che oltre al loro coraggio, alla loro fede, al loro spirito di sacrificio, al desiderio di immolarsi per i principi della libertà non avevano che armi portatili individuali, talune delle quali, come lo Sten, li obbligavano a buttarsi sotto per poterle usare.”

Insomma, la superiorità tecnica nazifascista non poté nulla contro un movimento partigiano che, attraverso tappe non facili, non sempre lineari, più di una volta dolorose, aveva però maturato una consapevolezza con la quale si era mostrato in grado di fronteggiare un nemico tanto più potente.

Nella 79° ricorrenza del rastrellamento, se qualcuno volesse leggere una veloce sintesi delle vicende occorse alle varie Brigate, nel quadro della massiccia operazione nazifascista, segnalo: La “Battaglia del Gottero”, una vera epopea senza retorica, pubblicata da ISR/ETS La Spezia, particolarmente utile per “rispolverare” la storia.

Quest’anno, tuttavia, ISR/ETS può presentare una novità che va a completare la pubblicazione, approfondendo alcune questioni.

Infatti, sulla scorta di quanto ho letto e sulla base di ricerche fatte, ho delineato due Mappe tridimensionali, a colori, con l’obiettivo:

a) di rendere chiara agli occhi di chi legge la vasta area del rastrellamento stesso e le forze nemiche impiegate in esso;

b) di far comprendere l’epicità dello sganciamento attuato dai partigiani del Battaglione “Vanni”1 che, dopo avere combattuto, si diressero, come era stato ordinato loro dal Comando IV Zona Operativa, verso il Monte Gottero, completamente innevato, arrivando a sopportare temperatura di 20 gradi sotto zero.

La Mappa n.12 delinea l’area del rastrellamento e le forze in campo. Ho lavorato ad essa basandomi su testi già noti, ma integrandoli a seguito di mie riflessioni, per mettere in evidenza le direttrici della manovra, specificando, dove possibile, i reparti nazifascisti impegnati.

Mappa 1,  Rastrellamento 20-1-1945, IV Zona Operativa
Mappa 1: Rastrellamento 20-1-1945, IV Zona Operativa

La Mappa n.23 chiarisce invece come il Battaglione “Melchiorre Vanni” (Comandante Astorre Tanca “Astorre”4; Commissario Politico Franco Mocchi “Paolo”) riesca a salvarsi, dapprima combattendo duramente verso Bozzolo e poi nella zona di Zignago, sganciandosi, infine, con l’ascesa quasi proibitiva, a causa delle condizioni climatiche e ambientali, della fame e dei vestiti non adatti, verso il Monte Gottero.

Mappa 2, Sganciamento dallo Zignago del Battaglione "Vanni", andata e ritorno, 20-24 gennaio 1945
Mappa 2: Sganciamento dallo Zignago del Battaglione “Vanni”, andata e ritorno, 20-24 gennaio 1945

Il cammino percorso, sull’andata e sul ritorno, fu incredibilmente lungo come chilometri e incredibilmente corto come capacità oraria di percorrerli, nonostante l’itinerario impervio, e la durissima giornata di combattimenti del 20 gennaio, che pesava sulle spalle di quegli uomini.

Il Battaglione “Vanni”, dopo avere combattuto senza sbandamenti, si ritrovò infatti, come stabilito, a Pieve di Zignago (sera del 20 gennaio 1945): qui la popolazione5 diede, con spirito fraterno, ai partigiani, tutto quel poco, praticamente quasi niente, che aveva, per cibarsi. Lo sganciamento avvenne in modo ordinato, e tendenzialmente omogeneo: se ci furono delle diversificazioni nei tempi, e delle variazioni di piccoli gruppi, esse furono causate dalla eventualità onnipresente di imboscate, dalla durezza del cammino, nonché dalla fatica e dai sintomi gravi di congelamento in numerosi partigiani.

Comunque, il ritorno dei primi gruppi6, e sembra quasi incredibile, avvenne già alla mezzanotte del 24 gennaio 1945, a Torpiana.


NOTE

1 La scelta di illustrare l’itinerario di tale Battaglione è dipesa dal fatto che ISR/ETS La Spezia sta preparando una pubblicazione su di esso, in cui confluiranno, tra le altre, le Mappe che vengono presentate nell’articolo. Per una visione complessiva delle vicende del Battaglione, V. https://www.isrlaspezia.it/strumenti/lessico-della-resistenza/battaglione-m-vanni/.

2 Per costruire la Mappa n.1 mi sono rifatto ai seguenti libri: AAVV, “La Battaglia del Monte Gottero”, ISR, 1970; Gimelli, Giorgio (a cura di Franco Gimelli), La Resistenza in Liguria. Cronache militari e documenti, Carocci, 2005; Fiorillo, Maurizio, Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945, Editori Laterza, Roma-Bari, 2010; Battistelli, Pier Paolo, La Wermacht in Italia 1943-1945.Wehrmacht. Waffen-SS. Organisation Todt. SS e Polizei, Agrafe, 2022, nonché a vari documenti presenti in AISRSP.

3 Per costruire la Mappa n. 2 mi sono servito della Testimonianza di Giuseppe Mirabello “Apollo”, che fu impegnato, a capo del suo Distaccamento, tra Serò, Imara e Valle Oscura (in una carta militare del 1930 detta “Valle Scura”), confrontandola con le testimonianze di Saverio Sampietro “Falchetto” e Ottavio Chiappini “Lepre” (v. AISRSP) e con altri documenti di Archivio.

4 Astorre Tanca, Medaglia d’argento al VM alla memoria, muore, in combattimento, a Pieve di Zignago, il 4 marzo 1945

5 A proposito della popolazione, va ricordato brevemente, in questa sede, che essa non solo diede aiuto morale e materiale, ma che quella di Serò (dove si trovavano un Distaccamento del Battaglione “Vanni” e una Compagnia di “Giustizia e Libertà”, quest’ultima agli ordini di Giovanni Pagani, Medaglia d’oro al VM alla memoria, in seguito catturato sul Dragnone e poi fucilato (V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2023/03/Pagani-Giovanni-largo.pdf), partecipò direttamente, prendendo le armi, ai combattimenti.

6 Tra essi, quello di Giuseppe Mirabello “Apollo” (V. Testimonianza).

Breve Cronologia della IV Zona Operativa, luglio 1943 – aprile 1945

All’inizio del triennio di celebrazioni dell’Ottantesimo della Liberazione (1943-45/2023-25), pubblichiamo una breve Cronologia della IV Zona Operativa come strumento di consultazione per tutti, in particolar modo per le Scuole. Molti termini sono opportunamente collegati, a cura di ISR-La Spezia, a pagine di riferimento ritrovabili in questo sito.


La Cronologia, curata da Maria Cristina Mirabello, è già stata pubblicata nel libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana”, Edizioni Cinque Terre, 2017.


La medesima Cronologia, in occasione della pubblicazione on line, è stata integrata e corretta, sulla base di ulteriori documenti disponibili, a cura di Maria Cristina Mirabello e Giorgio Pagano.

Il 25 aprile è una gran festa, per la LIBERTÀ ritrovata, ma quanti sono morti per arrivare ad essa!

Il rastrellamento dell’8 ottobre 1944

A cura di Sandro Centi, membro del Consiglio di Amministrazione dell’ISR-ETS

Una premessa

Per comprendere meglio l’argomento trattato, può essere utile fare una breve ricostruzione storica degli avvenimenti che precedono l’8 ottobre 1944: mi soffermerò, per brevità, solo sugli antecedenti della Brigata Vanni, coinvolta, insieme ad altre forze partigiane, in esso. Il motivo di ciò è dato dal fatto che di tale Brigata non è stata ancora scritta una storia, e che quindi può essere utile delinearne alcuni caratteri.1

Il nucleo originario della futura Brigata Vanni nasce, nei primi giorni di giugno 1944, ad Adelano di Zeri, intorno a Primo Battistini (“Tullio”), al rientro di quest’ultimo, con pochi uomini, dalla Val di Taro e dalla Val di Ceno.

Questo gruppo, che si rafforza come quantità progressivamente, ha come Comandante Primo Battistini “Tullio” e come Commissario politico Giovanni Albertini “Luciano”. Denominato dapprima Brigata “Signanini”, verso la fine di luglio 1944, nell’ambito della nascita del Comando Unico affidato al Colonnello Mario Fontana “Turchi”, assume il nome di Brigata d’Assalto “Melchiorre Vanni”, con all’attivo più di duecento uomini.

I suoi Distaccamenti trovano posto in tale periodo nelle località di Adelano, Coloretta, Noce, Monte Favà, Patigno e Monte Malone, sul quale si svolgeranno i primi lanci.

Questa striscia di territorio offriva, oltre a un discreto isolamento, dato dal fatto che c’era una sola strada carrozzabile proveniente da Pontremoli, anche il vantaggio della posizione predominante per affrontare un eventuale combattimento in condizioni favorevoli. Da tali postazioni, gli uomini della Vanni, dovevano sostenere lunghe marce notturne per giungere in territorio nemico, a svolgere azioni di sabotaggio oppure di recupero di armi e materiale alimentare o prelevamenti di militari nemici, da utilizzare per scambio di prigionieri. “I più attivi erano sempre i vecchi ragazzi della Vanni”, ricorda il partigiano Saverio Sampietro (“Falchetto”), “che ormai si erano abituati a resistere ai sacrifici, alle fatiche, nell’affrontare tedeschi e fascisti”.

Basti ricordare, tra le altre, l’azione, che passerà alla storia come “La beffa di Ceparana” (24 luglio 1944), quando la squadra di Eugenio Lenzi “Primula Rossa”, composta di 15 partigiani, tra cui Giuseppe Mirabello “Apollo”, Francesconi Fausto (“Furia”) e Giovanni Cozzani (“Ciccio”), scende al piano ed effettua un clamoroso colpo di mano contro i magazzini generali tedeschi a Ceparana, catturando militari tedeschi e repubblichini, impossessandosi anche di grandi quantitativi di generi alimentari. 

Purtroppo il 3 agosto 1944 ha inizio il primo rastrellamento in grande stile delle forze nazifasciste. Viene investita l’intera zona compresa tra il Vara, il Magra, il Taro. Partecipano all’azione reparti della X^ Mas, della G.N.R., delle Brigate nere, alpini della Monte Rosa e alpini tedeschi, in tutto 10.000 uomini.

Tutta la struttura organizzativa della Resistenza del territorio, che poi diventerà 4^ Zona Operativa, non ancora efficiente e solida, è messa a dura prova.

La scarsità di armi, l’impreparazione militare, politica, psicologica dei singoli partigiani (molti uomini erano arrivati da poco ai monti), la mancata organizzazione di una ordinata difesa da parte del Comando di Divisione, furono i principali fattori che determinarono lo sbandamento di interi reparti partigiani. Solo una efficace resistenza della Brigata “Cento Croci” e reparti di Giustizia e Libertà di Bucchioni, permise ai resti delle altre Brigate di ripiegare, seppur con gravi perdite. Si distinse, per spirito combattivo e coraggio, però, anche il distaccamento della Vanni dislocato al Ponte dei Rumori di Noce, guidato da Duilio Lanaro (“Sceriffo”), che seppe tener testa all’impeto delle colonne nazifasciste che risalivano da Pontremoli per entrare nello Zerasco. 

Dopo lo sbandamento, e la destituzione del Comandante Primo Battistini “Tullio”, al momento del rastrellamento non presente (unico sottoposto poi ad inchiesta, e la cui posizione è però variamente interpretata ed interpretabile), per la Vanni l’opera di ricomposizione risultò molto laboriosa. L’opera di riorganizzazione fu affidata al Commissario politico Giovanni Albertini “Luciano” che, già pochi giorni dopo, era fiducioso di riuscire presto nell’impresa e scriveva “In questo momento la Brigata si sta organizzando alacremente “. Albertini fidava altresì nel rientro di alcune forze rimaste alle dipendenze del destituito “Tullio”, ma questa speranza andò delusa, perché diversi ex effettivi della Vanni non si staccarono da lui, e questo dimostra come egli esercitasse ancora un forte ascendente su tanti partigiani, specialmente i più giovani. 

La Vanni, comunque, si ricostituì in fretta e, seppur ridotta numericamente, ritornò presto operativa.

Comandante venne nominato Duilio Lanaro (“Sceriffo”) e Commissario politico rimase Giovanni Albertini “Luciano”.  Essi, insieme a un centinaio di uomini, si spostarono prima su Fontana Gilente e poi in località “Boschetto”, zona compresa tra il passo dei Due Santi e Albareto di Borgotaro. Si sistemarono, ad eccezione del distaccamento comandato da “Primula Rossa”, che si trovava a Montedivalli, in alcune capanne di montagna con un po’ di fieno per le bestie.     

Anche in quel periodo tuttavia furono frequenti le partenze di squadre di sabotatori che andavano a compiere azioni militari verso Bolano, Piana Battolla, Follo, Ceparana e periferia della Spezia. Vale la pena ricordare la distruzione del famoso ponte parabolico ferroviario di Ostia Parmense attuata da una squadra di sabotatori della Vanni, in collaborazione con un distaccamento della Brigata Julia operante nella zona, che interruppe la linea La Spezia-Parma fino alla fine della guerra.

A metà settembre il Comando di Divisione decide lo spostamento della Vanni nella zona del Calicese. Dapprima la Brigata prende posto a Santa Maria, poi il Comando di essa si sposta, secondo la testimonianza di Saverio Sampietro (“Falchetto”) presso le Case Carzachi, tra Monte Alpicella e Monte Ciliegia. Inoltre Duilio Lanaro, (“Sceriffo”), Comandante della Vanni, in un rapporto al Comando di Divisione specifica che “Tre compagnie di circa 70 uomini ciascuna, sono sistemate sul crinale che corre dal Monte Pietrebianche fin sopra Montebello, con un ulteriore distaccamento a Tranci di Montedivalli”. 

Arriva così l’8 OTTOBRE 1944

Per capire meglio il dipanarsi del rastrellamento, occorre conoscere bene le forze in campo, la loro consistenza e la loro dislocazione.

La Brigata Vanni contava su una forza di circa 230 uomini,

La Colonna Giustizia e Libertà è coinvolta nel rastrellamento solo con uno dei due Battaglioni che la compongono e cioè il Battaglione Val di Vara, formato da tre compagnie per un numero complessivo di quasi 300 uomini. Per ultimo c’è il Battaglione Picelli di Nello Quartieri con circa 60-80 uomini.

Vediamo nella cartina seguente la loro dislocazione. 

Anche in questa circostanza, come nel rastrellamento del 3 agosto, siamo di fronte ad una forte disparità, sia nel numero di combattenti impiegati, sia nelle armi in dotazione. Tremila e più nazifascisti, armati di tutto punto, contro poche centinaia di partigiani molti dei quali privi di armamento personale.

La zona interessata al rastrellamento è quella delimitata dal perimetro costruito sulle località di Rocchetta Vara, Suvero, Casoni, Montereggio, Mulazzo, Parana, Tresana, Bolano, Piana Battolla, Madrignano, Castiglione Vara, con al centro la vallata di Calice.

Come si può intuire dalle località coinvolte, il rastrellamento interessa la metà circa del territorio che costituirà la 4^ Zona Operativa. 

La manovra a tenaglia, visibile nella cartina seguente, prevedeva di far convergere le truppe nazifasciste, dalle ali esterne di partenza, verso un solo punto centrale, che, in questo caso, era rappresentato dalla conca di Calice. 

L’attacco nazifascista fu sferrato con reparti di alpini della Monterosa, della X^ Mas, di Brigate nere, di tedeschi e truppe mongole. La Brigata Vanni e il Battaglione Val di Vara di Giustizia e Libertà, come vedremo, risentirono il maggior peso del combattimento. Certamente, nel suo complesso, l’operazione antiguerriglia si risolse in un insuccesso dei nazifascisti che, non riuscendo, come invece era avvenuto il 3 agosto, a scompaginare il dispositivo partigiano, abbandonarono dopo tre lunghe giornate l’impresa, consolandosi con il comunicare, attraverso la stampa e la radio, la falsa notizia di centinaia di morti e di feriti partigiani e di mezzo migliaio di prigionieri. 

In realtà il bilancio degli scontri è di 47 perdite partigiane, tra morti, feriti e catturati e un centinaio di perdite nazifasciste.

Pietro Beghi, Segretario del C.L.N. provinciale, annoterà: “L’8 ottobre ‘44 un nuovo rastrellamento compiuto da ingenti forze nazifasciste ha posto a dura prova le nostre formazioni, le quali, forti di una migliore organizzazione, si comportarono brillantemente mantenendo integro il loro inquadramento.” E ancora, la relazione del Comandante di Divisione Colonnello Mario Fontana: “Nei recenti rastrellamenti si sono particolarmente distinti i reparti della Brigata Vanni e il Distaccamento Bucchioni della Colonna Giustizia e Libertà. Detti reparti, che non hanno potuto, come da ordine del Comando, effettuare per tempo lo sganciamento previsto, hanno accettato e ricercato il combattimento, infliggendo al nemico gravi perdite”.

Come si svolsero i fatti

Alle prime ore del mattino del giorno 8 pattuglie della Vanni e di Giustizia e Libertà segnalano la presenza di forti contingenti tedeschi autocarrati nelle località di Piana Battolla, Rocchetta Vara, Mulazzo.

A quel punto in tutta la vallata di Calice risuona l’allarme generale, che indica un pericolo grave ed imminente. 

Da Rocchetta, dove le truppe tedesche si sono concentrate durante la notte, al mattino presto si muovono due colonne, una diretta a Veppo e l’altra verso Suvero. Alle ore 8 si segnala l’arrivo a Suvero di 12 autocarri carichi di SS tedesche. Messa in allarme, la 1^ Compagnia della Colonna Giustizia e Libertà, comandata da Daniele Bucchioni “Dany”, viene schierata a difesa nella zona compresa tra il monte Bastia e Foce di Borseda, a sbarramento delle provenienze da Rocchetta Vara.

Alle 8 circa le prime pattuglie tedesche, percorrendo la mulattiera che sale dall’abitato di Veppo, protette da violento fuoco di accompagnamento, giungono a poca distanza dalle file partigiane. Al segnale convenuto il fuoco di arresto dei partigiani si scatena all’improvviso facendo cadere numerosi nazifascisti. 

Dopo i primi sbandamenti, i tedeschi si riorganizzano e, con l’ausilio di nuovi reparti sopraggiunti e del fuoco di alcuni pezzi di artiglieria piazzati sulla rotabile sotto Veppo, tentano un nuovo attacco, ma anche questo viene respinto.

A metà mattinata giunge la notizia che reparti tedeschi sopraggiunti a Prati di Forno, provenienti da Beverone, tentano un aggiramento delle forze partigiane. Un’altra brutta notizia arriva dal versante opposto, dove una forte colonna tedesca, che da Suvero ha raggiunto i Casoni, scende da Monte Bastia per colpire al fianco la linea di difesa partigiana alla Foce di Borseda. Ai Casoni i tedeschi sono passati indisturbati: qualcosa non ha funzionato. Sulla mancata resistenza ai Casoni da parte della Compagnia lì dislocata i Comandi della GL espressero severe critiche, anche perché non si era provveduto ad avvertire i reparti impegnati alla Foce di Borseda del pericolo che incombeva dall’alto.

A quel punto Bucchioni, per evitare l’accerchiamento, ordina il disimpegno delle squadre più minacciate e via via delle altre, un ripiegamento verso i boschi di Debeduse e Borseda, occultando le armi pesanti. Rimangono a coprire la ritirata soltanto il Comandante Bucchioni e il giovanissimo Gerolamo Spezia “Piero” che dalla loro postazione sparano rabbiosamente in tutte le direzioni. Ormai il cerchio di fuoco si stringe inesorabilmente su di loro. Una raffica di traccianti colpisce il povero Spezia alla testa e in pieno petto, e muore all’istante. A quel punto Bucchioni, sparando all’impazzata, approfittando di una bomba fumogena lanciata dai tedeschi, in mezzo a un inferno di fuoco, si lancia giù per il pendio, riuscendo a ricongiungersi con i propri uomini. I tedeschi dilagano su Borseda, sfogando tutta la furia su poveri civili e, dopo aver razziato il bestiame, temendo un contrattacco partigiano si avviano verso valle. Il bilancio di questa epica battaglia indica è di cinquanta morti nazifascisti, tre morti partigiani e oltre dieci uomini dichiarati dispersi. Furono quattro i civili barbaramente uccisi. 

Un’altra direttrice dell’attacco concentrico messo in atto dalle forze nazifasciste è quella proveniente da est, dalla vallata del Magra, partendo dai paesi di Mulazzo e Tresana.

Un tratto di questo versante della catena divisoria tra il Vara e il Magra è occupato dal Battaglione Picelli di Nello Quartieri (“Italiano”), con il grosso della formazione schierato alla Crocetta di Mulazzo e un distaccamento posizionato leggermente più a sud, in un casone sopra la frazione di Parana, dove, nell’abitato, si trova anche un distaccamento di Giustizia e Libertà comandato da Ferruccio Bardotti.

Il mattino presto dell’8 ottobre viene dato l’allarme su un movimento di truppe nella strada tra Mulazzo e il bivio Parana-Montereggio, poiché lì, allora, terminava la strada rotabile. Tutto il Battaglione Picelli si mobilita, ma il rastrellamento arriva su di esso all’improvviso. Dopo gli scontri a fuoco alla Madonna del Monte, a Montereggio e a Crocetta, che si protraggono fino alle due del pomeriggio, tutte le forze del Battaglione ripiegano sui crinali e decidono lo sganciamento alla Formentara di Zeri.

Nei combattimenti rimane ucciso un partigiano del vicino Battaglione Internazionale, un altro è ferito, e un altro ancora viene catturato e poi fucilato.  Il rastrellamento ha duramente scosso gli uomini del Picelli, che si sentono abbandonati dal Comando di Divisione, lasciati senza lanci e ridotti in miserevoli condizioni di armamento e vestiario. Seguirà, per fortuna, un chiarimento risolutore che porterà successivamente alla costituzione di un nuovo Battaglione, denominato Matteotti-Picelli, comandato sempre da Nello Quartieri, che entrerà a far parte della futura Brigata Gramsci.

Ritorniamo allo svolgimento del rastrellamento per vedere cosa è successo al distaccamento della GL stanziato a Parana. Alle prime luci del giorno, il tenente Ferruccio Bardotti, messo al corrente dell’arrivo di ingenti forze nemiche, lascia l’abitato di Parana e, risalendo la costa, prova a costituire una linea di difesa sul crinale del monte. Vista però la enorme superiorità dell’attaccante, ripiega e raggiunge il Comando della GL a Fresoni. Insieme al “Boia” (Vero Del Carpio, Comandante della Colonna) e altri addetti del Comado riuscirà ad occultarsi negli anfratti del torrente Mangiola. Lo stesso “Boia”, è bene ricordarlo, aveva impartito disposizioni che prevedevano di difendere le posizioni, se si era in presenza di truppe della R.S.I., e di sganciarsi, se si trattava di forti contingenti tedeschi. 

Il Colonnello Fontana, col suo Comando di Divisione si trova al Cerro, ma riesce ad allontanarsi, puntando su Fontanafredda, prima che la località venga raggiunta dalle truppe che salgono da Mulazzo. Queste truppe, in perfetto assetto di guerra, sono formate da tedeschi, mongoli e Brigate nere con reparti di SS italiane, guidate dal criminale torturatore, tristemente noto alla Spezia, Aurelio Gallo, che, appena arrivato a Parana, ordina di incendiare la casa che aveva ospitato il Distaccamento GL.

Durante la notte, tra otto e nove ottobre, era caduta abbondante pioggia, che aveva limitato le operazioni militari e le attività di pattuglia. Comunque i tedeschi e i fascisti, provenienti da più direzioni, si attestarono nei paesi del versante orientale (Castello, Santa Maria e Nasso). Ritennero pericolosa la permanenza a Borseda e a Debeduse, che pertanto tornarono sotto il controllo partigiano. 

Rimangono da spiegare gli avvenimenti del terzo fronte di attacco, quello portato da sud, che, nelle intenzioni del Comando germanico, avrebbe dovuto chiudere il cerchio intorno alle formazioni partigiane, per poi distruggerle.

In questo caso viene investita maggiormente la Brigata Vanni che, subendo vari scontri a fuoco, perde 13 combattenti.  

Come abbiamo visto, fin dalle prime ore dell’8 ottobre, forti contingenti tedeschi si stanno ammassando nei pressi di Piana Battolla.  Si crea un collegamento tra il Distaccamento comandato da “Primula Rossa” della Brigata Vanni, collocato a Tranci, e partigiani di Giustizia e Libertà della 2^ Compagnia stanziati poco sopra Piana Battolla. Intanto le truppe nazifasciste, prima di superare il ponte sul Vara, hanno effettuato un rastrellamento nell’abitato di Piana Battolla, in cui muore un operaio e un partigiano, gravemente ferito, perde la vita nei giorni successivi. 

I tedeschi, dopo aver razziato capi di bestiame a Castiglione e Beverino, formano uno schieramento che si estende da Padivarma alle pendici di Montebello, vicino a Bolano, con una colonna, che fa da caposaldo, dislocata nella frazione di Usurana, per bloccare ogni uscita a valle della conca di Calice. Sempre nella mattinata si aggiunge un altro forte contingente tedesco, che si mette in movimento da Tivegna, irradiandosi in tutte le direzioni. 

Il rastrellamento parte fulmineo e non dà tempo ai Comandi partigiani di organizzare una difesa efficace, perciò viene deciso di desistere alle prime puntate tedesche per mettere in salvo il materiale pesante e sganciarsi in un secondo tempo. Infatti, il gruppo di “Primula Rossa” si allontanerà da Tranci, dirigendosi verso i boschi di monte Falò, perché, dato l’esiguo numero di combattenti, non è in grado di contenere la forte spinta nemica. 

Le cose non vanno bene nemmeno nella zona di Madrignano dove, in uno scontro a fuoco, perdono la vita tre partigiani della Vanni: Ferri Lindo, Allegria Mario e Rabez Ivan, un partigiano russo.

Intanto verso le 13 del pomeriggio, più a monte, una parte del distaccamento di Case Carzachi della “Vanni” si è disposto a bloccare la strada di Calice e, sempre d’intesa con reparti di Giustizia e Libertà, l’altra parte di distaccamento si schiera su altre posizioni per respingere eventuali attacchi da Madrignano. 

Proprio mentre questi uomini si apprestano a sostenere l’urto del nemico, nella zona tenuta dalla Vanni, cominciano a circolare diversi elementi sbandati di altre formazioni, privi anche delle armi personali, che contribuiscono a determinare un clima di confusione e scompiglio nelle file dei combattenti.  Questo fatto, molto destabilizzante, viene riportato nel rapporto finale del Comando di Brigata firmato dal Comandante Duilio Lanaro (“Sceriffo”) Comandante e dal commissario Politico Giovanni Albertini (“Luciano”). 

Il primo reparto tedesco, giunto a tiro, viene preso sotto il fuoco di un mitragliatore e perde 7 uomini, ma gli attacchi successivi e l’intensificarsi del fuoco nemico spezzano ogni velleità di resistenza, quindi lo sganciamento ordinato dal Comando viene effettuato molto disordinatamente. 

Nel tardo pomeriggio “Sceriffo” e “Luciano” si portano con due plotoni nei pressi di Martinello, verso il piano, per effettuare un attacco contro i rincalzi tedeschi che stanno affluendo in zona. Appostato un plotone a sud di Martinello e uno fra Martinello e Novegina, con l’ausilio di elementi di Giustizia e Libertà, attaccano una compagnia nemica di circa 60 effettivi, che sta transitando, e provocano 47 perdite, tra morti e feriti. Il contingente della Vanni è però quasi subito esposto al fuoco di un’altra Compagnia nemica, piazzata più ad ovest del fiume: lo sganciamento si può effettuare solo al calar della notte. Alla sera del giorno 8 ottobre quasi tutte la frazioni, con le eccezioni di Borseda e Debeduse, sono occupate dai nazifascisti. I partigiani sono tutti intorno, nascosti nei boschi e nei canali. Durante la notte, comincia la pioggia, a tratti torrenziale, che continuerà a cadere fino alla fine del rastrellamento. Il giorno 9 un forte distaccamento della Vanni si trova nel canalone dei Carzachi e decide di affrontare e attaccare i rastrellatori che pattugliano vari punti della montagna.

Sotto l’acquazzone partono a gruppi gli uomini, i quali, prese direzioni diverse, scelgono condizioni favorevoli per portare attacchi e imboscate. Purtroppo, nella Pineta di Calice, una squadra della Vanni, dislocata sul Monte Alpicella, si scontra con un forte contingente nazifascista salito dal madrignanese e, nella rabbiosa sparatoria che si scatena, perdono la vita 7 partigiani. Un cippo li ricorda. Sono: Ferrari Mario, Montefiori Giorgio, Marchini Armando, Montefiori Giulio, Ruggeri Luigi, Cioli Ovidio, e un Patriota non identificato. Altri tre perdono la vita nei pressi di Ferdana di Calice, mentre si spostano su Forno. Sono i partigiani Botto Giuseppe, Ferrari Attilio e Moretti Giovanni.

Il rastrellamento prosegue per tutto il giorno 9 ma, verso sera, le truppe tedesche cominciano a defluire verso valle, lasciando alla retroguardia reparti delle Brigate nere. Il giorno 10 il rastrellamento perde ulteriormente di intensità e il giorno 11 reparti della Brigata nera giunti alle ore 2 a Piana Battolla occupano e controllano tutto il paese, procedendo alle 6 di mattino ad un rastrellamento nell’abitato, con l’arresto di tutti gli uomini trovati. Durante il periodo di permanenza in paese la Brigata nera si dà al saccheggio più sfrenato in tutte le case. 

Finiva così il secondo rastrellamento in grande stile attuato dalle forze nazifasciste in quella che da dicembre avrebbe assunto la denominazione di IV Zona Operativa. 

Considerazioni finali

Come già visto anche in altre occasioni, la collaborazione fra uomini delle diverse formazioni avveniva, sul campo, senza problemi. L’attacco di Martinello, che causò notevoli perdite al nemico (47 tra morti e feriti), perché diversi automezzi furono centrati con bombe al plastico, fu condotto secondo i canoni classici della guerriglia: una colonna nemica fu sorpresa durante un trasferimento e colpita dall’alto della scarpata stradale (non vi furono perdite tra gli attaccanti).

L’11 ottobre i reparti nazifascisti si erano ritirati dalla zona colpita dal rastrellamento ed in pochi giorni ci fu la completa riorganizzazione delle forze partigiane. 

Ma non mancarono le polemiche. Di fronte ad un episodio militare come questo rastrellamento, che può essere ritenuto una sconfitta per gli attaccanti, i quali fallirono i loro obiettivi, stupisce, a mio parere, che nei primi rapporti dei Comandi, i quali in seguito modificheranno però il loro giudizio, siano state espresse critiche pesanti sull’operato del movimento partigiano. Certamente ciò è da attribuire alla pretesa di una perfezione organizzativa ed operativa dei reparti partigiani che non c’era e non poteva esserci. Non va inoltre dimenticato il concetto che finalmente era prevalso, malgrado la riluttanza dei militari di carriera, che il vero senso dell’attività delle formazioni consistesse nel conservare la propria capacità offensiva, usandola dove e quando l’autonoma iniziativa lo decidesse, e, al contrario, nel non accettare il combattimento secondo le condizioni e il momento scelto dal nemico, come appunto avveniva nei rastrellamenti. 

Certo, in questa occasione, il limite tra il combattimento attivo e il disimpegno, non fu uniformemente interpretato e applicato. Fu evidente che i Comandi avrebbero dovuto essere più chiari, e proprio di tale riflessione fu fatto tesoro in occasione del grande rastrellamento del gennaio 1945.

Infatti, il concetto di “sganciamento” sarebbe stato correttamente inteso, a gennaio, come un’operazione normale, da effettuare ogni volta che fosse possibile evitare il combattimento in condizioni sfavorevoli, mantenendo nel contempo, se non la compattezza, almeno l’integrità dei reparti. 

Da questo punto di vista salta agli occhi il progresso compiuto dell’agosto all’ottobre 1944. Molte testimonianze riferiscono che, spostandosi all’interno della zona rastrellata, si incontravano gruppi sparsi di partigiani, ma non si aveva l’impressione del panico, non erano state gettate le armi e, soprattutto, prevaleva la coscienza di riprendere subito dopo l’attività di reparto. 

Un ricordo personale

Con una certa emozione, chiudo questo articolo facendo un omaggio alla memoria di mio padre, Sergio Centi, partigiano della Brigata Vanni, e con lui, non potendoli nominare uno ad uno, vorrei dire grazie a tutti gli altri combattenti dell’8 ottobre 1944: a quelli della Vanni, di Giustizia e Libertà e del Picelli, ma vorrei anche ricordare la popolazione civile delle zone investite dal rastrellamento, colpita da uccisioni, violenze e ruberie. E, insieme a loro, occorre dire, e ribadire, con i dati numerici alla mano, specie in tempi di smemoratezza storica come quelli che viviamo, che tanti furono i morti lungo il cammino resistenziale: da quelli degli organismi politici, come il CLN, a quelli della Cento Croci, della Muccini, della Costiera, del Pontremolese, del Matteotti-Picelli, del Maccione, della Compagnia Arditi, dei V.A.L., della Leone Borrini, delle S.A.P. e dei G.A.P., insomma degli appartenenti a tutte le ramificazioni della rete clandestina.

Tantissimi furono i deportati nei campi di concentramento: La Spezia ha, nell’ambito della deportazione, un tragico primato, registrando, percentualmente, rispetto alle altre città italiane, più deportati, e annoverando il maggior numero di vittime a Mauthausen.

Acute furono le sofferenze e numerose le perdite nella popolazione civile.

Tornando al rastrellamento dell’8 ottobre, mio padre ha sempre raccontato che per due giorni si era trascinato, al pari dei suoi compagni, bagnato fradicio, nei boschi e nei canali, conducendo una sorta di guerriglia “mordi e fuggi” e trascorrendo le notti dentro i canaloni, semisommerso dall’acqua. Mi diceva anche, però, che, in quelle drammatiche circostanze, aveva ottenuto il permesso del Comando per sconfinare nella zona “libera” di Borseda. Voleva infatti dare l’ultimo saluto all’amico d’infanzia e coetaneo, il diciannovenne vezzanese “Piero” Spezia, deceduto in combattimento con GL e decorato poi di Medaglia d’oro al V.M. alla memoria, la cui salma era stata pietosamente composta nella cappella del cimitero di Borseda. 

Ora, “Piero” e mio padre, riposano, tutti e due a pochi metri di distanza, nel cimitero di Vezzano Ligure.

Mio padre, come altri, è stato tuttavia fortunato perché ha potuto vivere la sua vita, il povero Spezia, e moltissimi come lui, sono morti, spesso nel fiore degli anni.

1 L’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea sta provvedendo a colmare tale lacuna.

Il rastrellamento del 20 Gennaio 1945. Una data memorabile

Il 20 Gennaio 1945 avveniva il rastrellamento nazifascista che può essere correttamente definito come uno dei fatti d’arme più importanti per la Cronologia della IV Zona Operativa.

Il rastrellamento, che spesso le storiografia generale trascura, è in realtà, per molti versi, decisivo riguardo all’evoluzione della guerra in Italia, e quindi la sua rilevanza va ben oltre il territorio spezzino.

Riportiamo di seguito un brano tratto da quanto dice Mario Fontana, Comandante della IV Zona Operativa, nella sua “Relazione sull’attività operativa svolta dai reparti della IV Zona dal luglio 1944 al 25 aprile 1945” su tale episodio.

“Questa azione [NdR: cioè il rastrellamento] preparata lungamente ed accuratamente eseguita con enormi forze dotate di moderno materiale da guerra, condotta con decisa volontà di liquidare definitivamente le formazioni patriote della IV Zona, costituisce un definitivo ed inglorioso scacco di tutte le speranze fasciste. Sono 20.000 uomini stupendamente armati che vengono irreparabilmente gettati sulle posizioni di partenza da 2.000 patrioti che oltre al loro coraggio, alla loro fede, al loro spirito di sacrificio, al desiderio di immolarsi per i principi della libertà non avevano che armi portatili individuali, talune delle quali, come lo Sten, li obbligavano a buttarsi sotto per poterle usare.”

Insomma, la superiorità tecnica nazifascista non poté nulla contro un movimento partigiano che, attraverso tappe non facili e non sempre lineari, aveva però maturato una consapevolezza con la quale si era mostrato in grado di fronteggiare un nemico tanto più potente.

Note

  • Erroneamente il rastrellamento del 20 gennaio 1945 è anche conosciuto con la denominazione di “battaglia del Monte Gottero”, sebbene sul monte non si sia svolta una vera e propria battaglia, ma esso sia stato invece teatro di un epico ed estenuante “sganciamento” da parte dei reparti partigiani che, dopo avere retto il primo urto del nemico, riuscirono in questo modo a salvarsi.
  • Le pagine seguenti sono state scritte, rielaborando fondamentalmente le schede, curate da Valerio Martone, su Via XX gennaio 1945 e Via Monte Gottero

20 Gennaio 1945

La cartina riportata rende bene la manovra a tenaglia che le forze nazi-fasciste mettono in atto a partire dal 20 gennaio 1945 per sconfiggere in modo definitivo i partigiani della IV Zona Operativa. Il tentativo è quello di eliminare il secondo polmone della Resistenza alle spalle della Linea Gotica, dopo aver distrutto alla fine di novembre 1944 la Divisione Garibaldi Lunense e ridimensionato la Brigata d’assalto Garibaldi “U. Muccini” in val d’Aulella. Non a caso proprio il 25 gennaio 1945 c’è la visita di Mussolini a Pontremoli, Aulla e Mocrone.

In realtà quella che avrebbe potuto essere per i Resistenti una vera e propria catastrofe, si rivela, nonostante le numerose e dolorose perdite subite, l’occasione in cui essi dimostrano una capacità di organizzazione molto più alta rispetto a quella messa in campo nei rastrellamenti precedenti. Alla fine di gennaio saranno perciò i nazifascisti, molto superiori per numero ed armi, a ritirarsi, senza avere raggiunto gli obiettivi prefissati.

Antefatti

Già il 29 dicembre 1944 reparti fascisti della Monterosa occupano l’area di Varese Ligure, isolando le formazioni della IV Zona da Genova e il giorno dopo reparti nazi-fascisti si dirigono in Val di Taro, isolando da nord i partigiani. Ulteriori arrivi di truppe nemiche sono segnalati a Pontremoli e a Borghetto Vara dal 15 al 18 gennaio 1945.

Il meteo

Meteo: Il 20 gennaio 1945 il tempo è sereno, il 21 il tempo è sereno; il 22 cade nuovamente la neve, il 23 e 24 il cielo si fa variabile, mentre fra 25 e 27 il tempo ritorna sereno.

Brigate partigiane, rastrellamento e Monte Gottero

L’ormai atteso (il SIM partigiano -Servizio Informazione Militare- ha tempestivamente segnalato l’azione nemica) e temuto rastrellamento, che qualche Resistente ha definito come “i giorni dell’ira”, scatta fra 20 e 25 gennaio 1945.

Il piano del Comando tedesco si propone di accerchiare tutta la zona e rastrellarla completamente: prendono parte ad esso la IV Divisione di Fanteria della Wehrmacht, reparti di Alpenjaeger, di Gebirgjager, la divisione Turkestan composta da mercenari tatari, Alpini della Divisione Monterosa, Bersaglieri della Divisione Italia, Brigate Nere della Spezia, Carrara, Chiavari, la X Flottiglia Mas, i reparti ANTISOM, per un complesso di 25 mila uomini circa.

I partigiani della IV Zona sono circa 2500, dotati di armi leggere, ma impossibilitati a resistere per lungo tempo, anche perché del tutto deficitario è il loro equipaggiamento a livello di vestititi e scarpe: proprio perciò l’ordine è di resistere al primo assalto, per consentire al grosso delle forze di effettuare spostamenti, sganciamenti e occultamenti.

Per tutta la durata del 20 gennaio, con cielo sereno e neve altissima sui crinali appenninici, viene così opposta al nemico una forte resistenza: verso la via Aurelia, a Brugnato, mentre a Serò di Zignago la popolazione locale si mescola addirittura ai partigiani, combattendo con essi e infliggendo perdite serie ai nemici.

Nel settore est i nazifascisti raggiungono Monte Scassella e Varese Ligure, inoltre da Pontremoli giungono a Coloretta, salendo lungo la valle di Zeri, per sorprendere le postazioni a difesa dei contrafforti meridionali del Picchiara, dei Casoni e del Cornoviglio.

Il ripiegamento programmato dei partigiani prevede l’abbandono ordinato di Cornice, Serò, Godano e Calabria e, sopraggiunta la notte, viene attuato il previsto piano di sganciamento, in condizioni climatiche proibitive, segnalate come tali negli annali di meteorologia, per la neve alta e la temperatura bassissima, essendo al contempo necessario lasciare il meno possibile tracce sul manto candido.

La maggior parte della I Divisione “Liguria-Picchiara”, formata dalla Colonna “Giustizia e Libertà” e dalla Brigata garibaldina “Gramsci” (in cui sono confluite le precedenti Brigate “Gramsci”, “Vanni” e “Matteotti-Picelli”, ormai con la denominazione di Battaglioni), compresa la Divisione “Cento Croci”, iniziano a ritirarsi verso il Monte Gottero, anche se nella zona di Cornice e Serò rimangono impegnati tutta la giornata reparti del Battaglione “Vanni”, del “Gramsci”, del “Matteotti Picelli” e una compagnia di “Giustizia e Libertà”.

La Brigata “Gramsci”, che ha sostenuto l’urto tedesco a Bozzolo con il Battaglione “Vanni” di Astorre Tanca, riallineatasi sulla direttrice che va da Serò a Scogna, lasciati due partigiani armati di Bren sul campanile di Scogna, a copertura dei reparti che si stanno avviando verso il Gottero, si concentra all’una di notte a Torpiana per raggiungere, secondo quanto stabilito dal Comando della IV Zona operativa, Fontana Gilente, nell’alto pontremolese.

Lo fa, divisa in due segmenti, l’uno costituito dal Battaglione “Gramsci” e dal Comando di Brigata e l’altro costituito soprattutto da uomini del “Vanni”, seguendo l’itinerario Pignona, Antessio, Chiusola. La marcia continua durante tutta la notte ma, nella giornata del 21, essendo sereno, la lunga linea nera di uomini che si muove verso il Gottero, è individuata dai tedeschi che, però, a causa della distanza, non riescono a far arrivare a segno le raffiche delle armi.

Nonostante il gelo e la neve, alta in alcuni punti anche due metri, i partigiani della Brigata “Gramsci” si portano entro il pomeriggio del 21, sul Gottero, alla cui sommità il termometro segna meno venti gradi (e dove trovano uomini della “Centocroci”, già lì): la Brigata, sempre divisa nei due segmenti sopra individuati, nonostante il manifestarsi di numerosi e gravi casi di congelamento, raggiunge infine Fontana Gilente, non senza ulteriori peripezie come lo scontro con i terribili Mongoli della divisione Turkestan e la cattura di un gruppo di partigiani, riusciti però per la maggior parte a fuggire.

Poiché tuttavia a Fontana Gilente non c’è cibo, viene ordinato ai due segmenti della Brigata “Gramsci” di recarsi alle così dette Cascine di Bassone, sopra Guinadi, alle quali arrivano in modo differito entro la giornata del 23. Le Cascine rappresentano la salvezza: qui i partigiani hanno infatti modo di riposare e mangiare almeno qualche patata che viene bollita nella neve fatta sciogliere. La marcia dei partigiani riprende poi per tutto lo Zerasco, dove la popolazione è terrorizzata dai Mongoli che hanno bruciato Adelano e massacrato dodici partigiani della colonna “Giustizia e Libertà”, fra cui la famiglia Perini, costituita dal padre e due fratelli gemelli. Il giorno dopo i partigiani superano il passo del Rastrello e rientrano su Torpiana.

Il Battaglione “Matteotti-Picelli”, comandato da Nello Quartieri “Italiano”, sempre appartenente alla “Gramsci” e che si è distinto soprattutto a Bergassana, a Godano e Calabria presso Scogna, segue all’incirca lo stesso percorso, rientrando nelle posizioni occupate prima del rastrellamento il 1 febbraio.

Più difficoltoso ed articolato risulta lo sganciamento della Colonna “Giustizia e Libertà”. Quest’ultima, che combatte duramente dalle sue posizioni, solo in parte valica il Gottero perché, nel caso del Battaglione “Val di Vara”, è dislocata troppo lontana da esso. Perciò tale Battaglione, dopo avere combattuto, ripiega, o disperdendosi nei boschi di Calice o oltrepassando di notte il Vara per uscire dalla zona rastrellata, o venendo sorpreso e scontrandosi con la Brigata Nera come succede a Valeriano.

Delle tre compagnie dell’altro Battaglione azionista, lo “Zignago”, solo una esce, non vista, dalla zona rastrellata, mentre le altre due, che il 20 gennaio a Brugnato si battono per oltre cinque ore, in un aspro combattimento portato avanti da Giovanni Pagani e dai suoi uomini, si trovano circondate dalle forze nemiche. Non potendo che ritirarsi, ma trovando ormai occupate dai nemici le vie in quota, i gruppi si disperdono per rifugiarsi in dirupi e anfratti, sul Monte Picchiara e sul Monte Dragnone, dove resistono ai limiti della sopravvivenza. In questo quadro vengono catturati sul Dragnone gli appartenenti alla Colonna “Giustizia e Libertà” Giovanni Pagani, Ezio Grandis e Giuseppe Da Pozzo, con 8 compagni.

Anche la Divisione “Cento Croci” tenta fra 20 e 21 lo sganciamento attraverso il Gottero, raggiunge, con parecchie perdite di uomini e materiali la cima del monte la sera del 21 gennaio, per poi ridiscendere verso la Val di Taro: la sera del 23 gennaio, 17 partigiani di essa, compresi il Comandante Richetto e il Commissario politico Benedetto, vengono catturati dai tedeschi, anche se, successivamente, il Commissario Benedetto, grazie ad uno scambio di prigionieri, tornerà libero insieme ad alcuni compagni, e Richetto riuscirà a scappare.

Il Maggiore inglese Gordon Lett e i paracadutisti della “Forza Speciale”, non avendo avuto collegamenti e notizie certe nell’ultimo periodo prima del rastrellamento, sono colti di sorpresa. Una parte dei paracadutisti, che si trovano a Coloretta, raggiungono le falde del Gottero passando a nord di Sesta Godano. Gordon Lett, con altri paracadutisti e una parte di uomini del Battaglione “Internazionale”, si trova nei pressi di Arzelato: da qui scende a Chiesa di Rossano, sale sul Picchiara e quindi sul Gottero. Rientrerà a Rossano attraverso Torpiana, Serò e Calice.

La “Brigata Costiera”, che ha come area di riferimento la fascia a mare, ma che, proprio nei giorni in cui inizia il rastrellamento, sta ristrutturandosi per integrarsi con il Battaglione Pontremolese nello Zerasco, è in parte a Sasseta di Zignago. Gli uomini che lì si trovano seguono perciò le sorti dei reparti garibaldini che vanno verso il Gottero.

I rastrellatori nazi-fascisti si ritirano fra 25 e 31 gennaio ed entro i primi giorni di febbraio 1945, dunque, i reparti partigiani, rientrano nelle rispettive posizioni. I morti partigiani sono stati circa 50 e circa 40 i prigionieri. Moltissimi uomini presentano congelamenti, più o meno gravi, agli arti inferiori, privi come sono delle calzature adatte. I reparti hanno subito colpi ma non si è verificato uno sbandamento generale, e questo grazie alla maggiore efficienza complessiva assunta dai partigiani, ma anche grazie alla popolazione civile che, quando e appena ha potuto, ha protetto, accolto e sfamato, con quel poco che c’è, i “ribelli”.

Costituzione Italiana e donne tra essere e dover essere: spunti di riflessione

CORSO DI FORMAZIONE PER DOCENTI SCUOLE SECONDARIE DI I E II GRADO

Il corso – il cui fondamento normativo è l’art.6 (Formazione docenti) della legge 92/2019 che ha introdotto l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole – si propone di fornire ai docenti spunti di riflessione sul ruolo che hanno avuto le donne prima nella Resistenza e poi nel percorso di affermazione del principio di uguaglianza fino al suo inserimento nella Costituzione.

Spesso nei testi di storia si tratta solo per cenni della partecipazione delle donne alla Resistenza, sebbene il loro contributo sia stato determinante. Infatti, gli Istituti storici della Resistenza, compreso quello spezzino, hanno potuto raccogliere e rendere pubbliche le memorie di molte protagoniste di questo periodo storico.

Il corso prevede 2 moduli, uno di carattere informativo e l’altro di carattere laboratoriale, e svilupperà le pratiche della didattica per competenze e dell’e-learning.

Destinatari
Docenti Scuola secondaria I e II grado
Max iscrizioni: n. 35 (25 in presenza + 10 online).

Durata del corso:
8 ore
Frequenza necessaria: 6 ore (almeno il 75% della durata del corso)

Costo:
€ 60,00.
È possibile il pagamento con Carta del docente – codice SOFIA n. 79731

Data apertura iscrizioni: 25 gennaio 2023
Data chiusura iscrizioni: 22 febbraio 2023

Contatti:
Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea
email:
isr@comune.sp.it
info@isrlaspezia.it
Biblioteca Civica P.M. Beghi, Via del Canaletto, 100, La Spezia

Direttore responsabile:
Prof.ssa Marcella D’Imporzano
Responsabile Area didattica Fondazione ETS Istituto Spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea.

Metodologia di lavoro:
Aula – lezioni Frontali;
Laboratori;
e-learning

Materiali e tecnologie usati:
Slide , videoproiettore, dispense

I partecipanti al corso a distanza potranno seguire le lezioni attraverso il programma di videoconferenze ZOOM meetings .

Obiettivi:

  • affrontare il percorso storico del ruolo della donna nella vita sociale, politica e culturale italiana, esaminando le vicende che, già a partire dall’elaborazione della Costituzione italiana, sono state grandi fattori di cambiamento nel riconoscimento e nell’affermazione dei diritti delle donne
  • fornire strumenti utili a stimolare la riflessione sull’importanza della partecipazione piena e consapevole dei giovani alla vita civica, culturale e sociale delle comunità in cui vivono rispettando diritti e doveri indicati dalla Costituzione della Repubblica Italiana.
  • redigere un’unità  di apprendimento trasversale per l’insegnamento dell’Educazione civica all’interno della scuola
  • fornire stimoli e materiali per una didattica interdisciplinare avente come focus l’educazione civica.

Calendario corso

I modulo di carattere informativo:

giovedì 23/02, orario 16.00 – 18.00
Le donne della Costituente: i loro obiettivi, contributi e dettato Costituzionale.
Dr.ssa Monica Di Barbora,
Dottoranda Università Milano Bicocca, archivista, insegnante, ricercatrice della Fondazione ISEC

giovedì 9/03, orario 16.00 – 18.00
La Resistenza al femminile dal territorio spezzino a quello nazionale. Ruolo delle donne nella/dopo la Resistenza e testimonianze di protagoniste.
Dr.ssa Patrizia Gallotti,
Presidente Fondazione ETS ISR SP
Dr.ssa Annalisa Coviello,
giornalista e autrice di saggi

II modulo di carattere laboratoriale:

lunedì 27/03, orario 16.00 – 18.00
Laboratorio su Donne-Resistenza-Costituzione
Dr. Tiziano Vernazza,
Responsabile area comunicazione e rapporti con utenza Fond. ETS ISR SP
Prof.ssa Maria Cristina Mirabello,
Vicepresidente Fondazione ETS ISR Sp

mercoledì 19/04, orario 16.00 – 18.00
Ipotesi di una possibile unità di apprendimento trasversale di educazione civica (sulla tematica affrontata): confronto e discussione.
Prof.ssa Maria Cristina Mirabello,
Vicepresidente Fondazione ETS ISR SP
Prof.ssa Marcella D’Imporzano,
Responsabile area Didattica Fondazione ETS ISR SP

Mappatura delle competenze:

Come indicato dall’UE, l’elenco delle competenze chiave per la realizzazione e lo sviluppo della persona, per la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione sono da riferirsi a otto ambiti. In questo percorso formativo ci si focalizza su due di queste competenze trasversali:
1. competenza in materia di cittadinanza;
2. competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali.

Punto 1: la conoscenza della Costituzione rientra tra le competenze di cittadinanza che tutti gli studenti, di ogni ordine, devono conseguire (co.3 art.4 L.92/2019).

Punto 2: l’acquisizione della consapevolezza che i valori democratici contenuti nella Costituzione rafforzano e consolidano la coesione sociale, la giustizia sociale, il diritto ad una effettiva parità tra uomini e donne, ad uno stesso trattamento in campo lavorativo, può sviluppare nei giovani capacità di riflettere e di usare strategie di comportamento e di auto-correzione della propria condotta nei contesti sociali e lavorativi.


Bibliografia generale di riferimento

Si avverte che sono segnalati testi di rilevanza locale e testi di rilevanza nazionale, sia sull’argomento specifico “Donne e Resistenza” che sulla Resistenza in generale.

Saranno fornite ulteriori indicazioni bibliografiche specifiche in occasione di ciascuna lezione

Fonti bibliografiche:
  • AA.VV. La donna nella Resistenza in Liguria, La Nuova Italia, 1979;
  • AAVV, Migliarina ricorda, testimonianze sulla Resistenza e Deportazione ’43-’45, Daniela Piazza Editore, 1996;
  • Alfonso, Donatella, Ci chiamavano libertà. Partigiane e resistenti in Liguria 1943-1945, Genova, De Ferrari, 2012, II ediz.ampliata 2013;
  • Alloisio, Mirella; Beltrami, Giuliana, Le volontarie della Libertà, Ed. Mazzotta, 1981;
  • Antifascismo e Resistenza alla Spezia (1922-1945), ISR La Spezia, 1987 (Gallotti, Patrizia, La donna e la Resistenza);
  • Antoni, Varese; Ricci, Giulivo, Protagonisti (a cura di/dei), IV Zona Operativa. La Brigata Garibaldina Cento Croci. Storia e Testimonianze, Ed. Giacché, 1997 (riferimento alle suore dell’Ospedale di Albareto);
  • Beccaria Rolfi, Lidia; Bruzzone, Anna Maria, Le donne di Ravensbrϋck. Testimonianze di deportate politiche italiane, Einaudi, 1978;
  • Beghi, Pietro, Mario, Discorsi e scritti dal 1954 al 1966, ISR La Spezia, 1972;
  • Bertonelli, Elena, in Scuola e dintorni, Giornale del Liceo Raffaele Lombardi Satriani di Petilia Policastro, n.3, 2016-2017 (in cui si parla di Virginia Bertonelli “Dolores”);
  • Biagi, Claudia, La donna nella Resistenza in Lunigiana, tesi di laurea, 2013 (reperibile presso ISR La Spezia);
  • Bianchi, Antonio, Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana, Editori Riuniti, 1975;
  • Bianchi, Antonio, La Spezia e Lunigiana-Società e politica dal 1861 al 1945, Franco Angeli, 1999 (riferimenti all’attività dei Gruppi Difesa della Donna, Fronte della Gioventù e SAP);
  • Borachia, Paolo; Ada, Diario in tempo di guerra. Note e Ricordi di famiglia e Note in chiaro sul periodo ‘43-45, Ed. Europa, 1988;
  • Bravo, Anna; Bruzzone, Anna Maria, In guerra senz’armi. Storie di donne, 1940-1945, Laterza, 1995;
  • Bruzzone, Anna Maria; Farina, Rachele, La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi, Bollati-Boringhieri, 2006;
  • Cappi, Vania, Partigiana, se fosse il caso, la farei sempre. Storie di donne nella lotta di Liberazione in provincia della Spezia, 2009 (tesi di laurea reperibile presso ISR La Spezia);
  • Coggio, Sondra, Noi, le donne della filanda. Storia dello Jutificio di Fossamastra, Edizioni Giacché, 2010( riferimento alle sorelle Fidolfi);
  • Cogliolo, Giuseppina, Una ribelle di nome Fiamma, Edizioni Chillemi, 2009;
  • Comune di Arcola-Comitato Unitario della Resistenza, Arcola tra storia e ricordo 1939-1945, Centrostampa, Arcola, 1996;
  • Del Maestro, Camillo, Centocroci per la Resistenza, Editrice Ass. Partigiani “Centocroci” Varese Ligure, 1982( riferimento a Rosetta Solari);
  • Donne arcolane nella Resistenza. Le celebrazioni del XXX della Resistenza e della liberazione, 1975 (Comune di Arcola, Comitato Unitario della Resistenza);
  • Esthel, Giulietta, L’ultima primavera, (stampa in proprio), 2016 (romanzo resistenziale ambientato fra IV Zona e Garfagnana);
  • Farè, Ida; Spirito, Franca, Mara e le altre. Le donne e la lotta armata: storie, interviste, riflessioni, Feltrinelli, 1979 (riferimento a Vera Del Bene);
  • Fasoli, Giuseppe, Una tipografia clandestina. Il centro-stampa della Rocchetta di Lerici durante la lotta di Liberazione, ISR La Spezia, 1981 (riferimenti a Lina Isoppo, moglie di Alfredo Ghidoni e a Teresa Bertella, moglie di Argilio Bertella);
  • Fiorillo, Maurizio, Uomini alla macchia, Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945, Editori Laterza, 2010;
  • Flores, Marcello; Franzinelli, Mimmo, Storia della Resistenza, Laterza, 2019
  • Fratini, Laura, Le donne spezzine nella Resistenza, in La Spezia, Rivista del Comune, Ristampa, n.4-6 del luglio-dicembre 1955, in occasione del Consiglio Comunale del 13/11/1971 dedicato al tema “La continuità della Resistenza nella società civile”;
  • Galletto, Lido, La lunga estate, Acrobat Carrara, 2006 (riferimento a Adele Cecchini);
  • Gallotti, Patrizia, La donna e la Resistenza in AA.VV., Antifascismo e Resistenza alla Spezia (1922-1945), Atti del Convegno tenuto a villa Marigola nel 1985, Tip. La Moderna, La Spezia, 1987;
  • Ghidoni, Graziella La siepe di bosso, Grafidea, La Spezia, 2003;
  • Gimelli, Giorgio, La Resistenza in Liguria, Cronache militari e documenti, Carocci, 2005;
  • Gobetti, Ada, Diario partigiano, Rizzoli, 2015, p. 86
  • Godano, Cesare, Paideia ‘44’, Edizioni Giacché, 1994 (riferimento a Carmen Bisighin);
  • Gori “Ivana” Vega; Mirabello M.Cristina, “Ivana” racconta la sua Resistenza. Una ragazza nel cuore della rete clandestina, Edizioni Giacché, 2013;
  • Guarino, Domenico; Brilli, Chiara, Ribelli. Gli ultimi partigiani raccontano la Resistenza. Di ieri e di oggi, Infinito Edizioni, 2011 (riferimento a Laura Seghettini);
  • Guerrieri, Sirio; Ceresoli, Luigi, Dai Casoni alla Brunella. La Brigata Val di Vara nella storia della Resistenza, Zappa editore, Sarzana, 1986;
  • ISR La Spezia, M. Fontana e la quarta zona operativa del Corpo Volontari della Libertà, 1972
  • Lalli, Oscar, Nebbia e sole in Val di Magra, Mareggiani-Bologna,1963;
  • Lalli, Oscar, Lotta partigiana intorno alle Alpi Apuane e sull’Appennino ligure tosco-emiliano, Mareggiani-Bologna, 1964 (riferimento alla figlia Amalia Lydia Lalli);
  • Farè, Ida; Spirito, Franca, Mara e le altre. Le donne e la lotta armata: storie, interviste, riflessioni, Feltrinelli, 1979 (riferimento a Vera Del Bene);
  • La Resistenza nello Spezzino e nella Lunigiana. Scritti e testimonianze, ISR, 1973;
  • La Spezia, Rivista del Comune, numero speciale dedicato al Ventennale della Resistenza, 1965 (riferimento a Lina Fratoni, Carmela Rossi Lurpini, Anna Maria Vignolini, Rina Gennaro e Delfina Betti);
  • La Spezia, Rivista del Comune,Ristampa n.4-6 del luglio-dicembre 1955 in occasione della riunione straordinaria del Consiglio Comunale del 13 novembre 1971 dedicata al tema “Continuità della Resistenza nella vita civile”;
  • Lett, Gordon, Rossano, Eli Milano, 1958 (riferimenti a Dina De Luchi e Amelia Sperindè);
  • Lo sciopero allo Jutificio Montecatini, (a cura di Mario Farina), in ISR La Spezia, La Spezia 1944, Classe operaia e Resistenza, Atti della Conferenza Gli scioperi del marzo 1944, Sala del Consiglio Provinciale, 1 marzo 1974;
  • Mafai, Miriam, Pane nero. Donne e vita quotidiana nella seconda guerra mondiale, Mondadori, 1987;
  • Marchini, Pino, Un berretto pieno di speranze. I ricordi di Vanda Bianchi, Edizioni Cinque Terre, 2010;
  • Menapace, Lidia, Io, partigiana, La mia Resistenza, Feltrinelli, 2014;
  • Micromega 3/2015, Ora e sempre Resistenza (riferimento a Laura Seghettini);
  • Mimma, Rolla,(a cura di Bianca Lena), La mia Resistenza, memorie e riflessioni di una partigiana, Edizioni Giacché, 2018
  • Neri, Giorgio, Comune di Arcola-ANPI di Arcola Percorsi partigiani, Edizioni Giacché, 2005;
  • Nicora, Tiziana, La partecipazione femminile alla guerra partigiana, tesi di laurea anno accademico 1985-86, (intervista a Delfina Betti);
  • Pagano, Giorgio, Eppur bisogna ardir, Edizioni Cinque Terre, 2015;
  • Pagano, Giorgio; Mirabello, Maria Cristina, Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana, Edizioni Cinque Terre, 2017;
  • Petacco, Arrigo, La Spezia in guerra 1940-45. Cinque anni della nostra vita, La Nazione-Cassa di Risparmio, 1984;
  • Quartieri De Lucchini, Luciana, …E il cuore cantava, edizioni Nuova Cultura, 2014;
  • Relazione di Umberto Vendramin sul gruppo S.A.P. ‘Giustizia e Libertà’ della città della Spezia, Fabiani, La Spezia, 1945;
  • Registro Storico dei riconoscimenti delle qualifiche di “Partigiano” o “Patriota” presso Archivio dell’ISR La Spezia; LINK
  • Ricci, Giulivo, Avvento del Fascismo Resistenza e Lotta di Liberazione in Val di Magra, I.S.R., La Spezia, 1975;
  • Ricci, Giulivo, La colonna “Giustizia e Libertà”, Fiap-Ass. Partigiani Mario Fontana, I.S.R., La Spezia, 1995;
  • Ricci, Giulivo, Storia della Brigata Garibaldina “U. Muccini”, ISR La Spezia, 1978 (riferimenti ai Gruppi Difesa della Donna, al Fronte della Gioventù e alle SAP);
  • Ricci, Giulivo, Storia della Brigata “Matteotti-Picelli”, ISR La Spezia, 1978;
  • Rovelli, Marco Eravamo come voi. Storie di ragazzi che scelsero di resistere, Laterza, 2015 (riferimento a Laura Seghettini);
  • Scaramuccia, Alberto, Una donna di piazza Brin, in Storie di quartiere, Concorso 2008, Le donne, la città e i suoi quartieri, Litoeuropa, 2009 (riferimento a Vera Del Bene);
  • Seghettini, Laura, (a cura di Rapetti, Caterina), Al vento del Nord. Una donna nella lotta di Liberazione, Carocci, 2006;
  • Sivori Carabelli, Isa; Banti, Egidio; Meneghini, Pino; Carabelli, Igino; Isoppo, Claudio, Testimoni del tempo e della storia, Editore Alpicella, 2005 (riferimento a Amalia Lydia Lalli);
  • Solari, Rosetta, Ricordi di una ragazza partigiana, Monte Università Parma, 2006;
  • Tobagi, Benedetta, La Resistenza delle donne, Edizioni Einaudi, 2022;
  • Valle, Anna, Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano, Edizioni Giacché, 1994;
  • Valle, Anna; Coviello, Annalisa, Anch’io ho votato Repubblica. Le donne spezzine e la conquista del voto. Storia, immagini e testimonianze di un’epoca, Edizioni Giacché, 2008.
  • Veneruso, Danilo, La donna dall’antifascismo alla Resistenza, in AA.VV, La donna nella Resistenza in Liguria, Consiglio Regionale della Liguria, La Nuova Italia Editrice, 1979

Sitografia

È possibile ascoltare le video interviste pubblicate sul sito ISR nel Progetto Voci della Memoria

cui si aggiungono le video-interviste a cura dell’ANED della Spezia

Le pagine e i documenti su questo sito

su sito esterno

Museo Audiovisivo della Resistenza – Massa Carrara e La Spezia

Articoli

Altri documenti scaricabili dal sito Camera dei deputati


Le foto dell’intestazione sono tratte da “Anch’io ho votato Repubblica” di A. Valle e A. Coviello © Edizioni Giacché” e Archivio Camera dei Deputati

L’Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea è parte della Rete degli istituti associati all’Istituto Nazionale Ferruccio Parri (ex Insmli) riconosciuto agenzia di formazione accreditata presso il Miur (L’Istituto Nazionale Ferruccio Parri con la rete degli Istituti associati ha ottenuto il riconoscimento di agenzia formativa, con DM 25.05.2001, prot. n. 802 del 19.06.2001, rinnovato con decreto prot. 10962 del 08.06.2005, accreditamento portato a conformità della Direttiva 170/2016 con approvazione del 01.12.2016 della richiesta n. 872 ed è incluso nell’elenco degli Enti accreditati)

25 aprile 2022: le iniziative dell’Istituto

L’Istituto storico spezzino, che da cinquant’anni raccoglie, tutela e valorizza il patrimonio materiale e ideale della Resistenza, promuove la celebrazione del 77° anniversario della Liberazione mettendo in evidenza tre strumenti fondamentali per la conoscenza della IV Zona Operativa

e cioè il Registro storico dei partigiani e patrioti riconosciuti operanti nella IV Zona Operativa, attualmente esposto al Centro d’Arte Moderna e Contemporanea (CAMeC),

Il Registro storico dei partigiani e patrioti riconosciuti operanti nella IV zona operativa in esposizione al CAMeC
Le vie della Resistenza

la pagina che elenca le Vie della Resistenza,

Mappa-Lessico

e quella dedicata al Lessico della Resistenza.

Interessante anche il percorso bibliografico tematico, con didascalie dedicate, che la Biblioteca Civica Beghi, unitamente all’ISR spezzino, propone mostrando i primi studi di carattere scientifico sulla Resistenza spezzina. Una ricca bibliografia compresa tra il 1972 e il 1995, che di seguito viene presentata:

  • Riunione tenutasi a Migliarina il 21 ottobre 1971 per la raccolta delle testimonianze, 1971
  • Testimonianze Miscellanee P.1.1-P.1.29, 1969-1975
  • Pietro Mario Beghi. Discorsi e scritti dal 1954 al 1966, 1972.
  • La Resistenza nello Spezzino e nella Lunigiana. Scritti e testimonianze, 1973 e 2° Ed. 1975
  • La Battaglia del Gottero (20 gennaio 1945), 1974.
  • I fatti di Valmozzola (il gruppo di Monte Barca), 13-17 marzo 1944, 1974.
  • Giulivo Ricci, Contributi alla storia della Resistenza in Lunigiana, 1976
  • La Spezia Marzo 1944. Classe operaia e Resistenza, 1976.
  • G.Ricci, Storia della Brigata Garibaldina Ugo Muccini, 1978.
  • G.Ricci, Storia della Brigata Matteotti-Picelli,1978.
  • Sacerdoti cattolici nella Resistenza, La Spezia, Sarzana, Brugnato / [presentazione di Franco Franchini], 1979.
  • Antifascismo e Resistenza alla Spezia (1922-1945), 1987.
  • Il CLN spezzino come autorità di governo, Atti del convegno, 1995.
  • G.Ricci, La Colonna Giustizia e Libertà, 1995.
  • Antifascismo e Resistenza nella e dalla scuola spezzina, Atti del convegno, 1999.
alcuni dei testi scelti per il persorso bibliografico tematico sul 25 aprile
alcuni dei testi scelti per il persorso bibliografico tematico

Fino al primo maggio sarà fruibile a tutti i cittadini e utenti della Biblioteca Beghi la vetrina tematica per la Festa della Liberazione, con i pannelli che descrivono la storiografia della Resistenza spezzina a partire dalla fondazione dell’ISR spezzino.

Alle didascalie sono affiancati i volumi più importanti e i pezzi unici recentemente rilegati della Resistenza spezzina.

info:
Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea
CAMeC

Nuova “sezione” del sito ISR: il “Lessico della Resistenza”

Mappa-Lessico

Giovedì 14 aprile, alle ore 11.15, presso la Biblioteca del Liceo Classico “Costa” sarà presentato il “Lessico della Resistenza”.

A un anno di distanza dalla presentazione del Progetto “Le vie della Resistenza”, il sito web dell’Istituto spezzino per la Storia della Resistenza si arricchisce di un nuovo, ulteriore, prezioso strumento per lo studio della Lotta di Liberazione nella IV Zona Operativa.

Il Lessico, graficamente visualizzato in forma di semplici “etichette” cliccabili che danno accesso a schede informative, propone l’organigramma completo delle forze partigiane, fotografato alla data del 12 aprile 1945, nell’ultimo periodo della Lotta di Liberazione. Le schede sono dotate di apparato critico e fonti.

Il progetto si è avvalso del patrocinio del Comitato Unitario Provinciale della Resistenza; l’elaborazione della mappa iniziale del Lessico è stata svolta da Maurizio Fiorillo e Maria Cristina Mirabello. Quest’ultima ha poi curato le schede nel loro complesso. Il Comitato Scientifico dell’ISR spezzino ha supportato tutto il lavoro.

Durante la presentazione sono previsti i saluti di Sara Cecchini, Dirigente Scolastico del Liceo Costa, gli interventi di Patrizia Gallotti, Direttrice dell’Istituto spezzino e Maria Cristina Mirabello, vice Presidente dell’Istituto.

La presentazione, rivolta il 14 aprile 2016 agli studenti del “Costa”, potrà essere richiesta all’ISR spezzino dagli altri istituti scolastici eventualmente interessati.