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Giorni con la Storia: Cinzia Dutto

Autori, autrici e protagonisti/e

Venerdì 22 Febbraio 2024 ore 17
Presso il Centro studi “Memoria in rete” , Via G.B.Valle 6, La Spezia

Cinzia Dutto, autrice de Il diario di Maria – Storie di donne sulle montagne della Resistenza (LAReditore,2023)

Dialoga con Annalisa Coviello, giornalista

Una giornata particolare: 27 gennaio, Giorno della Memoria

a cura di Doriana Ferrato, Presidente ANED La Spezia

Premessa: la scelta della data
La legge 20 luglio 2000 n. 211 ha istituito il 27 gennaio come “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”.

L’articolo 1 precisa:

“La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”

L’articolo 2 prosegue:

In occasione del “Giorno della Memoria” di cui all’articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere

Prima di giungere a definire il disegno di legge, in Parlamento si discusse a lungo su quale data di riferimento potesse essere considerata simbolica e su quali eventi fondare la riflessione pubblica sulla memoria.

Inizialmente emersero due opzioni alternative, avanzate rispettivamente dal deputato Furio Colombo e dall’Associazione nazionale ex deportati politici nei campi nazisti (ANED): il 16 ottobre, data del rastrellamento del ghetto di Roma, e il 5 maggio, anniversario della liberazione del campo di Mauthausen.

Il 16 ottobre 1943 truppe tedesche delle SS e collaborazionisti fascisti effettuarono una retata di 1.259 cittadini ebrei prelevati dalle loro case; tra loro anche una donna incinta, che darà alla luce il suo bambino il giorno seguente. Saranno deportati ad Auschwitz in 1.023, solo una donna e quindici uomini sopravviveranno. Questa data avrebbe focalizzato l’attenzione sulle deportazioni razziali e sulle responsabilità, anche italiane, nello sterminio.

Il 5 maggio 1945 le avanguardie dell’Armata americana entrarono nel lager di Mauthausen, ultimo campo nazista liberato. Circa 20.000 deportati erano ancora prigionieri, quasi tutti al limite della sopravvivenza. Più del 10% morirà nel mese successivo alla liberazione, altri in seguito.

Si calcola che nel complesso dei lager dipendenti da Mauthausen siano stati imprigionati circa 230.000 deportati, quasi tutti “politici” e di decine di nazionalità diverse, oltre la metà deceduti.

La data del 5 maggio avrebbe sottolineato la centralità dell’antifascismo e delle deportazioni politiche in Italia.

Un’altra data fu proposta e accolta: il 27 gennaio, giorno della liberazione di Auschwitz, divenuto simbolo universale dello sterminio nazista durante la seconda guerra mondiale.

Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche arrivarono per prime presso la città polacca di Oswiecim (in tedesco Auschwitz), scoprirono il vicino campo di sterminio che rivelò compiutamente al mondo l’orrore del genocidio nazista e dei campi di sterminio.

Le cerimonie e le iniziative del “Giorno della Memoria” sono volte a conservare nel futuro la memoria delle vittime della Shoah e delle leggi razziali, di coloro che hanno messo a rischio la propria vita per proteggere gli ebrei, degli italiani perseguitati e deportati nella Germania nazista, sia militari sia politici.

Le cifre sono spaventose: circa 12 milioni di deportati (bambini, donne, uomini), 11 milioni di loro sterminati, circa la metà ebrei, gli altri principalmente oppositori politici e inoltre rom, sinti, zingari, Testimoni di Geova, asociali, apolidi, criminali comuni, omosessuali1.

Dall’anno 2005 il 27 gennaio, “Giorno della Memoria“, è una ricorrenza internazionale, come designato dalla risoluzione dell’Assemblea generale delle nazioni Unite.

Gli ultimi giorni di Auschwitz

Negli ultimi anni del secondo conflitto mondiale, la crescente pressione degli eserciti alleati sul Terzo Reich spinse i nazisti a liquidare progressivamente i campi di concentramento e i centri di sterminio situati a est e quindi prossimi alla linea del fronte orientale.

Il 18 gennaio 1945, incalzate dall’avanzata dell’Armata Rossa, le autorità naziste diedero inizio all’operazione di liquidazione definitiva del complesso concentrazionario di Auschwitz I, Auschwitz II (Birkenau), Monowitz (Buna) e dei suoi sottocampi, più di quaranta.

Le marce della morte

Circa 58.000 prigionieri di entrambi i sessi, purché si reggessero in piedi, furono incolonnati e costretti a marciare per chilometri nella neve in direzione ovest.

Ai liberatori, i percorsi si presenteranno disseminati di migliaia di corpi senza vita dei deportati, fucilati o morti per lo sfinimento o per il gelo durante il cammino.

I sopravvissuti alle marce della morte furono deportati principalmente ai campi di Mauthausen, Buchenwald e altri situati all’interno del Terzo Reich. I prigionieri superstiti vedranno la liberazione solo il 5 maggio 1945.

Primo Levi “giorni fuori dal mondo e dal tempo”

(18 gennaio – 27 gennaio 1945)

Primo Levi, deportato 174 517 nel lager Buna Monowitz, del complesso di Auschwitz, sopravvisse per alcune circostanze casuali: una certa conoscenza del tedesco che gli fece comprendere rapidamente le regole da rispettare nel lager, l’assegnazione al lavoro in laboratorio in una squadra di chimici e… la scarlattina. Infatti la malattia, nei giorni drammatici dell’evacuazione, non gli consentì di partire e lo costrinse a rimanere in infermeria nel campo. Questo lo salverà dalla “marcia della morte”.

In “Se questo è un uomo” Primo Levi testimonia ciò che ha visto e subito direttamente e l’oppressione esercitata contro l’uomo fino all’annientamento. Conclude l’autobiografia proprio con la “storia di dieci giorni fuori dal mondo e dal tempo”, (18 gennaio – 27 gennaio 1945), quelli dell’evacuazione e della liberazione del campo: in un mondo “di morti e di larve, l’ultima traccia di civiltà era sparita intorno a loro e dentro di loro. L’opera di bestializzazione, intrapresa dai tedeschi trionfanti, era stata portata a compimento da tedeschi disfatti”.

Dalla Spezia ad Auschwitz

Primo Levi era stato deportato ad Auschwitz dal campo di internamento di Fossoli (MO) il 22 febbraio 1944. In quello stesso trasporto (n.27), stimato intorno a 650 persone, delle quali 489 identificate2, si trovavano gli spezzini ebrei, donne, uomini e una bambina.

La piccola Adriana Revere ha compiuto nove anni da pochi giorni quando, con il padre Enrico e la madre Emilia De Benedetti, iniziò quel viaggio verso l’inferno che si concluse il 26 febbraio 1944. Adriana e la madre furono inviate alla camera a gas lo stesso giorno dell’arrivo ad Auschwitz II Birkenau, il padre superò la selezione ma successivamente fu deportato al campo di Flossenbürg, dove venne ucciso otto mesi dopo.

Nessuno degli ebrei spezzini deportati nei campi nazisti sopravvisse allo sterminio.

La liberazione di Auschwitz
Il Giorno della Memoria e La Spezia

La Spezia è una delle città italiane maggiormente colpita dalle deportazioni nazifasciste, in proporzione alla popolazione del tempo, e in particolare il quartiere di Migliarina, abitato da persone notoriamente antifasciste, già condannate negli anni Trenta a lunghi anni di esilio e confino e, dopo l’8 settembre 1943, tenute sotto stretta sorveglianza dai fascisti locali, pronti a vendette personali, ritorsioni e delazioni.

Il 27 gennaio di ogni anno La Spezia rinnova con sentita partecipazione il ricordo degli spezzini ebrei assassinati nel campo di Auschwitz e dei deportati perseguitati e uccisi per aver scelto di lottare per la Liberazione del Paese dalla dittatura fascista e dall’occupazione nazista.

Erano sindacalisti e maestranze che avevano organizzato o partecipato nelle fabbriche cittadine allo sciopero insurrezionale del marzo 1944, erano combattenti per la resistenza e partigiani arrestati da compiacenti Brigatisti Neri, donne e uomini diversi per idee, di ogni condizione sociale, comprese figure delle Forze Armate e del clero, uniti nella Resistenza civile contro i nazi-fascisti.

Il grande rastrellamento di Migliarina del 21 novembre 1944, rappresenta il culmine della ferocia nazifascista nel territorio spezzino.

Centinaia di cittadini inermi furono arrestati, imprigionati e torturati nella locale caserma XXI Reggimento di Fanteria, trasferiti via mare dal Molo Pirelli (oggi Molo Pagliari) al carcere di Marassi (GE) e poi nel campo di Bolzano. Infine deportati nei campi di sterminio del Reich, principalmente Mauthausen.

Gli ebrei, sterminati per la “colpa” di essere nati; tutti gli altri spezzini furono internati come oppositori politici. Accanto al numero di matricola, il triangolo di colore rosso, da esibire sulla divisa, nella simbologia del lager indicava il motivo della deportazione e il rosso rappresentava “i politici”.

A Mauthausen e nei sottocampi Gusen, Melk, Ebensee, ma anche a Dachau, Flossenbürg, Ravensbrück, Buchenwald,Neuengamme, Natzwweiler, Bergen Belsen si contano vittime spezzine.

Dalla sezione ANED della Spezia sono state accertate 585 persone deportate, di cui 234 decedute nei campi nazisti, ma le cifre sono sicuramente maggiori3.

La Spezia detiene un tragico primato: il più giovane deportato “triangolo rosso” deceduto nei lager, il quattordicenne Franco Cetrelli, ucciso il 22 aprile 1945 a Mauthausen.

Le cerimonie e le molteplici iniziative nel Giorno della Memoria, in particolare con gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado, rappresentano momenti di narrazione e di riflessione su quanto è avvenuto nel nostro territorio e quanto accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, per non smarrire la memoria di un tragico e oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, nella speranza che mai più torni quel passato.

Il triangolo rosso, assegnato ai progionieri politici
27 gennaio 1945 – 5 maggio 1945

Non dimentichiamo: il 27 gennaio 1945 non segna la fine dell’orrore nei lager!

Per oltre tre lunghi e drammatici mesi lo sterminio nei campi a ovest del Reich prosegue con indici di mortalità altissimi per il sovraffollamento, le malattie, la denutrizione, lo sfruttamento nel lavoro schiavo, le esecuzioni in massa…

A Dachau, Flossenbürg, Ravensbrück, Buchenwald,Neuengamme, Natzwweiler, Bergen Belsen e principalmente a Mauthausen e nei sottocampi Gusen, Melk, Ebensee si contano centinaia di vittime spezzine uccise o mandate alla camera a gas nei mesi di marzo e aprile 1945.

Quando, il 25 Aprile 1945, l’Italia festeggiava la Liberazione dal nazifascismo, la camera a gas di Mauthausen era in funzione a pieno regime: era l’ultimo giorno.

Il 25 Aprile dei superstiti di Mauthausen e dei sessanta campi dipendenti, sarà il 5 maggio 1945.

Il simbolo assegnato ai Testimoni di Geova

Fonti

  • Archivio ANED della Spezia.
  • Tibaldi Italo, Compagni di viaggio Milano, Franco Angeli, 1994.
  • Sito: www.deportati.it

Note

  1. Le SS, probabilmente a partire dal 1937, introdussero nel sistema concentrazionario la classificazione dei deportati in base al motivo della deportazione. A ciascun deportato era assegnato come contrassegno un triangolo in stoffa di diverso colore da cucire sulla casacca, con mezzi di fortuna, con il vertice rivolto verso il basso. Semplificando, i colori erano i seguenti: Giallo, costituito da due triangoli sovrapposti a formare la stella di David per gli ebrei; Verde per i criminali comuni; Viola per i Testimoni di Geova; Marrone per gli zingari, rom, sinti; Nero per gli asociali: Azzurro per gli apolidi; Rosa per gli omosessuali; Rosso per gli oppositori politici, con all’interno la sigla della nazionalità. Nel triangolo rosso degli italiani c’era la “I” e talvolta “IT”. ↩︎
  2. Italo Tibaldi, deportato diciassettenne e superstite dei campi di Mauthausen ed Ebensee, dopo la liberazione ha dedicato la sua vita a studi e ricerche sulla deportazione dall’Italia ai lager nazisti, raccogliendo circa 44.000 nomi di deportati italiani. Ha svolto una ricerca capillare sui convogli dall’Italia e dalle isole greche verso il Reich e identificato nomi dei deportati di 267 trasporti. ↩︎
  3. Dati in possesso di ANED della Spezia in “Elenco delle persone deportate nei campi di sterminio KZ, registrate dalla sezione”. ↩︎

Una giornata particolare: il 7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure

A cura di Maria Cristina Mirabello

Avvertenza tecnica

Questo articolo è stato scritto dopo un mio sopralluogo a Vezzano e, dal punto di vista bibliografico, grazie a chi ha fissato sulla carta i fatti del 7 dicembre prima di me. ISR La Spezia “7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure. Testimonianze raccolte dal Centro Culturale ‘7 dicembre’ di Vezzano Ligure”, 1976 (Misc. F 1 24); Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, Edizioni Giacché, 1994; Laura Lotti “Attilio e gli altri, con documenti e testimonianze”, Lunaria, 1996; Scheda nello Stradario della Resistenza spezzina, a cura di Francesca Mariani, dedicata a Piazza del Popolo-7 dicembre 1944; Schede per l’Atlante delle stragi nazifasciste in Italia curate da Maurizio Fiorillo, dedicate al 7 dicembre 1944 e al 2 febbraio 1945.

NdR Foto di copertina a cura di Mauro Martone

Sede del CLN vezzanese come è oggi. Foto di Mauro Martone
Sede del CLN vezzanese come è oggi. Foto di Mauro Martone

Contesto generale e premessa

Nel dicembre 1944, pur essendo svanita la speranza di una rapida avanzata alleata e di una prossima liberazione, dato l’arresto del fronte e il proclama del generale Alexander (13 novembre 1944), con il quale praticamente lo sforzo bellico veniva rimandato alla primavera successiva, la Resistenza partigiana in IV Zona Operativa, tuttavia, permaneva, non smobilitandosi, né sulle montagne, né al piano.

Va detto, però, che I colpi assestati alla popolazione civile1 e alla Resistenza armata furono, in quella fase, particolarmente duri. Basti pensare alla Brigata “Muccini”, che aveva subito il drammatico rastrellamento del 29 novembre 1944, e che, pur essendo passata, in una sua parte, oltre le linee, si stava faticosamente ricostituendo nella zona di appartenenza, sebbene fosse destinata, di lì a pochi giorni, a patire un ulteriore rovescio. Venne infatti catturato il Commissario politico, Paolino Ranieri “Andrea”, fermato mentre cercava medicine per alcuni superstiti del rastrellamento, rimasti feriti. Sempre nella stessa fase, al piano, anche qualche appartenente alle SAP (Squadre Azione Patriottica) fu costretto ad allontanarsi, perché ormai “bruciato”, cioè scoperto, o in odore di esserlo2. Tra i sappisti, sicuramente, Rina Gennaro “Anna”, che operava tra Ponzano Magra e La Spezia, e Filippo Borrini “Pino”, con tutta la sua famiglia3. “Pino”, figlio di Andrea Borrini, operaio dell’OTO Melara, a sua volta aggregatore di forze all’interno della fabbrica (anche in occasione degli scioperi del marzo 19444), aveva diretto il Fronte della Gioventù5, dopo la partenza dalla Spezia del primo organizzatore di giovani ribelli, Arrigo Diodati “Renato” o “Franco”6. Proprio Filippo Borrini aveva operato, come base di partenza, principiando dall’area di Vezzano Stazione, dove abitava, per allargare il suo raggio di azione alla zona vezzanese, a San Venerio, Carozzo, luoghi finitimi7, e oltre.

Già nell’autunno 1943, dunque, l’area vezzanese8 era stata caratterizzata da molteplici segni di insofferenza, e, progressivamente, da una vera e propria resistenza a tedeschi e fascisti, tanto che tale area diventò un bacino particolarmente fecondo, da cui avrebbero ampiamente attinto sia le varie formazioni partigiane armate della montagna, sia le SAP, e da cui sarebbero emersi , via via, molti personaggi che, vezzanesi per origine o per adozione o per transito, avrebbero illuminato, alcuni anche con il sacrificio della vita, la Resistenza spezzina9.

I fatti del 7 dicembre 194410

E proprio Vezzano Ligure è teatro di una vicenda, tra le più drammatiche dell’epoca, accaduta il 7 dicembre 1944 e destinata, da un lato, a pesare fortemente su un’intera comunità, nonché sulla rete resistenziale clandestina, e quindi sul CLN e sulle SAP locali, dall’altro, ad accentuare il quadro difficile in cui si colloca a livello provinciale il periodo fine novembre-dicembre 1944. Infatti, durante la notte, il paese è racchiuso dentro una morsa che il giorno 7 lo stringe senza scampo, essendo controllate tutte le possibili vie di uscita. I rastrellatori, tedeschi e fascisti, sono informati su che cosa cercare e su chi cercare11. Non solo, nell’accadimento, tragedia e beffa si mescolano: infatti il CLN spezzino aveva saputo per tempo che il giorno 7 ci sarebbe stato un rastrellamento, e l’aveva comunicato, tanto che le persone a rischio, tra cui il Segretario locale del CLN, Enrico Bucchioni, erano avvisate e pronte ad allontanarsi. Ma, ad un certo punto, proprio il giorno 6 dicembre, e non da parte del CLN12, era pervenuto inopinatamente un altro avviso, che, spostando la data all’8 dicembre, aveva determinato il fatto che nessuno ritenesse opportuno andare via già il 7.

Successe così che, alle 5 del mattino, nazisti e fascisti13 (questi ultimi agli ordini di Aurelio Gallo14) cinsero, con un vero e proprio assedio, il borgo, uccisero, con raffiche di mitra, Vera Giorgi e Carlo Grossi, che si erano affacciati sulla porta delle loro case15, ferirono in modo molto grave il sottufficiale di Marina, sappista, Giuseppe Carmè, che aveva tentato di fuggire sui tetti, morendo alcuni mesi dopo.

Furono fermate centinaia persone (circa 300), da cui fu scremato un numeroso gruppo (circa 90 uomini). Trasferiti in carcere, interrogati, in molti casi ferocemente torturati perché svelassero altri nomi, solo in parte rilasciati, furono portati con motozattere a Genova, e da qui mandati a Bolzano, per raggiungere poi, quale meta finale, i campi di concentramento, da cui in molti non ritornarono16. IL CLN vezzanese fu decimato: due membri di esso, Piero Andreani, Presidente, di 60 anni, ed Enrico Bucchioni, Segretario, di 24 anni, rimasero, sottoposti a sevizie, nel tristemente noto carcere, già sede del XXI Reggimento fanteria, da cui uscirono17 solo il 3 febbraio 1945, per essere però uccisi. Trasportati infatti davanti alla chiesa di Vezzano Basso, nel così detto “Campo”18, furono lì fucilati19.

Due uomini di età completamente diversa e con un unico destino

Dal libro di Anna Valle20 traggo materiale sui due fucilati. Il motivo per cui lo furono, in una mattinata fredda e piovigginosa, è sicuramente dovuto al fatto che essi erano ben conosciuti dai fascisti come esponenti di primo piano del CLN vezzanese: proprio perciò vennero prelevati dalla spedizione fascista agli ordini di Aurelio Gallo, in occasione della rappresaglia di cui si parla nella Nota 18. Posso fare anche l’ipotesi che non fossero stati eliminati in precedenza, o non avessero seguito la sorte di altri vezzanesi, deportati, in virtù del solito motivo, costituendo infatti essi, all’occasione, un’utile merce di scambio21. Ma questa è solo una mia ipotesi22.

Pietro Andreani23, detto “Pié de Cavana” era nato nel 1884. Antifascista, comunista fin dal 1921, licenziato, emigrato nel 1922, ritorna in Italia e fa il falegname, attività autonoma che probabilmente gli consente di sopravvivere tra le maglie della occhiuta vigilanza del regime dittatoriale, riprendendo le fila della cospirazione alla caduta del regime, e diventando, universalmente stimato, Presidente del CLN vezzanese. Catturato il 7 dicembre, è consapevole che molto difficilmente avrà scampo. Nel carcere dell’ex XXI è sottoposto a sevizie24 particolarmente prolungate, che risultano da numerose testimonianze25, e tuttavia riesce a provare sentimenti di solidarietà verso i compagni di prigionia26. Prima di essere fucilato, avrebbe gridato “Viva il comunismo”27.

Enrico Bucchioni, figlio di Natale e di Antonia Bellati, nasce nel 1920. Il padre, arsenalotto, integra il reddito familiare lavorando terreni di sua proprietà. In famiglia ci sono altri due figli, Natale (Francesco)28 e Pierino29. Portato alle belle arti, suona il violino e impara a dipingere sotto la guida di Navarrino Navarrini, diplomandosi maestro e non iscrivendosi all’Università per motivi economici. Cattolico, volto al prossimo, instaura un rapporto di stima con il parroco di Vezzano Alto30. L’8 settembre 1943 è militare, a Perugia e, arrivato a casa, è tra coloro che salgono sul Monte Grosso, insieme a Pierino. Ritornato a Vezzano, probabilmente dopo il drammatico rastrellamento del 3 agosto 1944, organizza il CLN locale, diventando uno dei dirigenti di esso, insieme ai “vecchi” Pietro Andreani, nato, come già detto, nel 1884, e a Rinaldo Basini31, nato nel 1893. Il giovane Enrico diventa responsabile della Resistenza in zona, dalle direttive riguardanti l’opera di accompagnamento dei giovani che volevano andare in montagna, agli atti di sabotaggio, alla diffusione di volantini. Avvicinatosi al Partito comunista, diffonde e/o produce materiale di tale Partito o ad esso ispirato.

Arrestato, e messo in cella con altri, tra cui il fratello Pierino, continua a scrivere ai suoi, dicendo di stare bene, e, probabilmente, continua a disegnare. Quest’ultimo particolare, toccante e per alcuni versi macabro, trova conferme nella testimonianza di Sante Quaglia32.

Enrico scrive l’ultimo biglietto alla madre il 2 febbraio 1945, comunicandole che l’altro figlio, Pierino, è stato portato via “oggi” dal carcere, e aggiungendo, sul retro: “Adesso occupatevi solo di me, a Pierino ci va bene, non pensate male di lui33.” In verità la madre non potrà fare proprio nulla per quei due suoi figli: Enrico è prelevato e fucilato il giorno dopo, Pierino non tornerà indietro da Bolzano.

Il corpo di Enrico, abbandonato nel Campo di Vezzano Basso, dimostrerà i segni inequivocabili delle torture subite.

Sopralluogo e riflessioni a partire dall’oggi

Arrivo a Vezzano sull’onda, soprattutto, della rilettura del libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”34, perché in esso si sente palpitare, nonostante gli anni intercorsi tra il 1944 e il 1994, data di uscita del testo, una storia viva, corale: quel “nostra” del titolo, è, infatti, significativo esempio di vicinanza e affetto.

Il mio tentativo è quello di riappropriarmi, se possibile, al di là degli aspetti fattuali e tecnici che riguardano la storia come materia35, di un’atmosfera.

Il mio appuntamento è con Nadia Ferdeghini36, dell’ANPI locale, la quale mi parla di quei tempi e di quegli uomini, per come li ha sentiti narrare (essendo nata, come me, nel Dopoguerra) e mi dice che, la mattina del 7 dicembre 1944, il paesaggio era caratterizzato da una nebbiolina trasudante umidità37, forse come quella che mi accoglie oggi.

E così, dal suo terrazzo, che dà verso il Golfo da una parte e verso il Magra dall’altra, fotografo innanzitutto la casupola38, ormai in rovina e sommersa dai rovi, dove si riuniva il CLN vezzanese, collocata un po’ fuori dal paese, lievemente a valle, raggiungibile attraverso sentierini e, soprattutto, in una posizione che consentisse a chi vi si trovava vie di fuga agevoli. E Nadia mi dice che la zona di Vezzano era luogo di transito per chi avesse deciso di recarsi ai monti, grazie alla guida di staffette incaricate di farlo: suo padre, Emilio Ferdeghini, detto “Lio”, riconosciuto come partigiano nella Brigata “Gramsci”-Battaglione “Maccione”39, nei rari racconti, le ha detto di avere messo bombe ai tralicci del ponte ferroviario di Fornola (cui si arrivava grazie ad una vietta posta in Masignano), e che, sempre lui, svolgeva anche la funzione di guida per chi volesse recarsi in montagna. Utilizzava, a tale scopo, la terra di famiglia, in Corongiola, particolarmente adatta a raggruppare uomini che dovessero fermarsi lì, per qualche ora o un po’ di più, in quanto sufficientemente riparata e dotata di una bella fontana, denominata “cirloncin”, dai canti degli uccellini che, attirati da essa, andavano a dissetarsi. Da lì partivano i ribelli, a gruppetti, ed Emilio li portava in genere verso la zona del Monte Gottero.

Vado poi, sempre con Nadia, nella sede dell’ANPI, un vero e proprio piccolo museo40, di fronte al quale trattengo quasi il fiato. Su tutte le pareti ci sono fotografie e documenti, ma noto anche che ad un muro sono addossati dei bellissimi maxi cartoni, disegnati da Luciano Viani: in essi, tramite disegni, si parla dei fatti salienti del 7 dicembre, ma anche di altre cose, compresa l’opera delle staffette e la fontana in Corongiola, un modo didattico e incisivo per spiegare la storia a ragazzi che vadano a visitare la sede.

Quadro con fotografie dei partigiani e patrioti di Vezzano Ligure-Sede Anpi Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone
Quadro con fotografie dei partigiani e patrioti di Vezzano Ligure. Conservato presso la sede ANPI di Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone

E, mentre il mio sguardo si appunta tecnicamente sui documenti, per cui chiedo la possibilità di fotografarne almeno due, quello con la composizione, probabilmente, delle persone principalmente impegnate nella Resistenza vezzanese e quello costituito dalla foto dei partigiani, riuniti insieme in un quadro, vivi e morti41, come si prese l’abitudine di fare nell’immediato Dopoguerra, creando dei veri e propri “medaglieri” con le foto di tutti, ciò che mi fa davvero commuovere è ancora altro. Custoditi sotto vetro stanno documenti autografi di Enrico Bucchioni, gelosamente preservati e tramandati. Non solo, dentro una vetrina, su un manichino, è collocato l’abito e la sciarpa rossa che Pietro Andreani indossò, così mi viene detto, il 3 febbraio 1945, quando fu fucilato, mentre, subito sopra, su un altro ripiano, c’è la sciarpa gialla a pois, che metteva in carcere per ripararsi dal freddo. I colori hanno forse subito l’usura del tempo, ma non più di tanto: il vestito, forato dai proiettili, e le due sciarpe, ci ricordano materialmente e visivamente che un tempo appartenevano a un uomo, morto in circostanze drammatiche. Sono gli oggetti stessi a narrare, in un certo senso, la loro storia, senza bisogno di inventare nulla, è come se da essi provenissero dei barlumi, per aiutarci a ricostruirla, senza finzioni o aggiunte, rispettando i fatti della storia, ma anche con una sorta di empatia per quelle vicende.

Documento depoca conservato presso la sede ANPI di Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone
Documento d’epoca conservato presso la sede ANPI di Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone

L’ultimo passo, a chiusura logica, è quello che compio per portarmi lì vicino, di fronte alle targhe di marmo, poste sulla parete esterna dell’edificio comunale. Sono incisi nella pietra i nomi di chi morì nel periodo resistenziale: la comunità vezzanese ha deciso di suddividerli tra chi è caduto in combattimento, chi di fronte al plotone di esecuzione e chi nei campi di concentramento. Leggendoli, è possibile fare anche un ripasso veloce di storia della Resistenza della IV Zona Operativa. I nomi fissati nella pietra sembrano essere indelebili. E, tuttavia, le pietre non bastano: occorrono le narrazioni. Spariti i protagonisti e i testimoni, possiamo affidarci ai libri, alle pietre, ma, soprattutto, alla volontà di tramandare una storia, tragica certo, e tuttavia, proprio “nostra”, e perciò degna di essere ricordata.

Lapide commemorativa a Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone
Lapide commemorativa a Vezzano Ligure. Foto di Mauro Martone

NOTE

1 Basti pensare al massiccio rastrellamento del giorno 21 novembre 1944, a causa del quale vennero arrestate più di 250 persone, di tutte le età e provenienti da tutti gli strati sociali, V. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/07/Deportati-di-Migliarina-largo.pdf (Scheda cura di Maria Cristina Mirabello)

2 Qualcuno, come il Capitano Renato Mazzolani di “Giustizia e Libertà”, responsabile delle SAP cittadine, venne arrestato in dicembre. Tradotto in carcere (nella sede dell’ex XXI Reggimento Fanteria), sottoposto a torture, si uccise, per non parlare. V. per lui anche https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2015/12/Mazzolani-Renato-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).

3 Nella famiglia è da ricordare la sorella minore, Luisa, soprannominata “Vanna” che, usando i pattini e fruendo della insospettabilità derivante dal fatto che era giovanissima (all’epoca aveva 15 anni), fungeva da collegamento rispetto a Antonio Borgatti “Silvio”, Segretario della Federazione provinciale comunista, il quale aveva trovato casa alle Pianazze, quindi, vicino al Termo, zona contigua al territorio vezzanese. Ne parla Borgatti nel suo libro “Anni clandestini. Memorie 1904-1945”, (a cura di Aldo Giacché), Edizioni Giacché, 2022.

4 Andrea Borrini si era già impegnato, clandestinamente, durante gli anni del regime fascista, nell’ambito del “Soccorso rosso”.

5 All’inizio, poco dopo l’8 settembre, si trattava di gruppi spontanei, costituiti da giovani e giovanissimi della zona di Vezzano Stazione, Fornola, Vezzano, San Venerio, Carozzo. Ne parla Vega Gori “Ivana”, la quale ricorda come spesso, all’inizio, manifestassero la loro insofferenza a fascisti e tedeschi cantando sommessamente cori di opera, ad esempio “Si ridesti il leon di Castiglia”, dall’“Ernani” di Verdi, per passare poi ad appiccicare ai muri volantini, anche scritti a mano, usando farina impastata con acqua come colla. Lei, che sarebbe diventata dattilografa e staffetta per Antonio Borgatti, rimanendogli a fianco per tutti i mesi, dal giugno 1944 fino, praticamente, alla Liberazione, era, nell’autunno 1943, una ragazza appena diciassettenne, che i fratelli non volevano nella cospirazione. V. “‘Ivana’ racconta la sua Resistenza. Una ragazza nel cuore della rete clandestina”, Edizioni Giacché, 2013. Dei due fratelli di “Ivana”, Erro, sarebbe poi andato ai monti, nel Parmense, mentre l’altro sarebbe rimasto al piano, diventando, nel Dopoguerra, il primo Sindaco, eletto, di Vezzano Ligure.

6 Arrigo Diodati, dopo la sua permanenza alla Spezia, si trasferì a Genova. Combattente nella Resistenza genovese, catturato, si salvò fortunosamente dalla strage nazifascista di Cravasco il 23 marzo 1945.

7 Tra i luoghi finitimi non va dimenticata Arcola, da subito caratterizzata da dinamiche molto attive, anche come Fronte della Gioventù.

8 D’altra parte l’area vezzanese, nonostante la repressione dovuta alla dittatura fascista e la presenza di un consistente gruppo di famiglie conservatrici, ha anche forti radici, sia repubblicane che socialiste (e poi comuniste). Il terreno si presenta, insomma, fecondo per le iniziative resistenziali, diventando una sorta di laboratorio per esse. Cospirano Piero Borrotzu, tenente, sardo, di madre vezzanese, accolto a Vezzano, dopo l’8 settembre, dal cugino della madre, Nino Ferrari), Medaglia d’oro al VM alla memoria, tra i primi della Brigata d’ assalto “Lunigiana, fucilato a Chiusola il 5 aprile 1944; Franco Coni, sottotenente, sardo, amico di Borrotzu, anche lui animatore della Brigata d’Assalto Lunigiana, quindi Comandante per un periodo del Battaglione “Matteotti” e poi, fino alla Liberazione, della I Compagnia “Arditi”; il Colonnello Giulio Bottari, che tesse da subito instancabilmente le fila clandestine e che, catturato a Genova, deportato, muore a Mauthausen nell’aprile 1945; Maresciallo Lugi Dallara, legato a Giulio Bottari, catturato e fucilato per rappresaglia a Ressora di Arcola (27 settembre 1944), Giovanni Spezia, catturato e fucilato per rappresaglia a Ressora di Arcola (27 settembre 1944), padre di Gerolamo; Gerolamo Spezia, Medaglia d’oro al VM alla memoria, caduto durante il rastrellamento dell’8 ottobre 1944. Non solo, numerosi sono i contatti, grazie al socialista Attilio Battolini, tra il paese e Follo, dove si trova l’avvocato Agostino Bronzi, anche lui socialista, e dove si stanno, a loro volta, muovendo gruppi resistenziali. Per Attilio Battolini e le sue vicende, v. in particolare “Attilio e gli altri” di Laura Lotti, cit.
Per una maggiore conoscenza di Piero Borrotzu, Giulio Bottari, Agostino Bronzi, Piero Spezia, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Borrotzu-Pietro-largo.pdf; https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Bottari-Giulio-via.pdf; https//www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/10/Bronzi-Agostino-darsena.pdf; https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/Spezia-Gerolamo-largo.pdf (Schede a cura di Maria Cristina Mirabello). Per le circostanze della fucilazione di Luigi Dallara e Giovanni Spezia v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/11/Arcola-Martiri-della-Libert%C3%A0-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).

9 L’articolo è dedicato ai fatti di Vezzano del 7 dicembre 1944, e non a tutta la Resistenza vezzanese o a tutta quella che in questo borgo ha radici o afferenze. Il Libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., nel corso delle sue pagine, dà però la parola, direttamente o mediatamente, a molti vezzanesi aderenti alla Resistenza: Renato Andreani, Ideale Battolini, Cesare Bonatti, Giuseppe Bonati, Medaglia d’argento al VM, Aldo Comis, Enrico Cozzani, Pietro Cozzani, Francesco Del Bello, Piero Del Giudice, Emilio Ferdeghini Riccardo Ferti, Alessandro Grossi, Cesare Orlandi, Pierino Puppo, Sante Quaglia, Ilvano Tomà, Bruno Scattina (va detto che dai loro racconti emergono ulteriori figure, alcune delle quali hanno combattuto in altre regioni, come quella di Gianni Bocchi, Medaglia d’argento al VM, Sergio Conti e Camillo Risi o, addirittura, in altre nazioni, come Pierino Baldassari). Si ricordi infine che appartiene al Comune di Vezzano anche il gruppo valeranese, con Amelio Guerrieri, Medaglia d’argento al VM, Origliano Montefiori, Nello Sani (quest’ultimo morto nel corso del rastrellamento del 20 gennaio 1945), gruppo cui il libro di Anna Valle fa cenni.

10 Numerose testimonianze sul 7 dicembre, o comunque su date collegate ad esso, riguardanti vezzanesi, sono ritrovabili nel libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., che, a sua volta, attinge in parte anche dal “Numero Unico ‘Circolo Culturale 7 dicembre’”, 1974, o da altri scritti. Tra i ricordi quelli di Giovanni Andreani, Edilio Conti, Rinaldo Basini, Attilio Battolini Emilio Ferdeghini, Alessandro Grossi, Riccardo Ferti, Piero Orlandi, Ilvano Tomà, Piero Puppo, Erio Portonato. C’è inoltre la testimonianza di Giuseppina Cogliolo “Fiamma”, che non è vezzanese ma che conosce Enrico Bucchioni in circostanze per lei drammatiche: ferita, ma scampata al rastrellamento della Brigata “Muccini” del 29 novembre 1944, arriva fortunosamente a Fornola, dove operano le SAP. Accompagnata a Vezzano Ligure, viene affidata a Enrico Bucchioni e accolta premurosamente dalla madre di lui. Collocata, in via provvisoria, dentro una casa disabitata, in fondo al paese, si sveglia il mattino dopo, quando una donna le dice di scappare, informandola che è stato catturato Enrico Bucchioni, con altri. Proprio Enrico era riuscito a farla avvisare, ed è, quindi, grazie a lui, che “Fiamma” può allontanarsi, mettendosi in salvo.

11 Tra i principali informatori di essi è, sicuramente, don Emilio Ambrosi, processato per questo motivo nel Dopoguerra, condannato a morte, commutati in 30 anni di reclusione, e morto poi in carcere nel corso del 1946. Il comportamento di don Ambrosi è, insomma, completamente diverso da quello di numerosi sacerdoti spezzini, i quali si dimostrarono veri “pastori del popolo”, patendo anche il carcere (v. per un approfondimento il rastrellamento di Migliarina del 21 novembre 1944). Per non parlare di chi fu ucciso (don Emanuele Toso e don Giovanni Battista Bobbio). Per ulteriori notizie sui sacerdoti spezzini, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/07/Scarpato-Mario-don-largo.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello).
Tra i segnalati, si salva un ragazzo perché risparmiato dal soldato (polacco) che lo ha fermato. Dice Giovanni Andreani, il quale, in quella tragica giornata, riuscì a nascondersi: “Nel nascondiglio dove restai per diverse ore potei assistere anche a un fatto che mi colpì profondamente. Vidi un polacco che accompagnava un giovane vezzanese, Giuseppe Dalle Lucche, detto Pino; essi percorrevano la via Verdi quando, giunti all’altezza della ‘cabina’, il milite fece nascondere il giovane, poi fermò una pattuglia tedesca, impedendo così che il Dalle Lucche fosse visto, quindi si presentò a mia madre invitandola a nascondere il ragazzo per salvarlo dalle ire nazifasciste. Le fece capire che ‘Pino’ assomigliava a un suo fratello trucidato in Polonia dalle forze tedesche.” Sempre Giovanni Andreani, aggiungendo di avere notato come quel soldato polacco fosse dotato di una mappa “Dove erano segnate in rosso le case di alcuni partigiani vezzanesi”, conferma il fatto che il rastrellamento aveva degli obiettivi precisi e precedentemente segnalati (“7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure”, cit.).

12 La vicenda della data differita è ricostruita articolatamente in Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.

13 Scrive Maurizio Fiorillo nella Scheda già citata che il reparto tedesco non è stato identificato; quanto ai fascisti italiani, afferma Fiorillo, prendono parte al rastrellamento reparti della Divisione “Monterosa” della RSI e della spezzina Brigata Nera “Tullio Bertoni”.

14 Per Aurelio Gallo, fascista al servizio dei tedeschi, e per il carcere dell’ex XXI, luogo spezzino in cui egli interrogava e seviziava i prigionieri, v. https://www.isrlaspezia.it/wp-content/uploads/2014/01/XXI-Reggimento-via.pdf (Scheda a cura di Maria Cristina Mirabello). Aurelio Gallo viene processato (non solo per i fatti di Vezzano ma per molti altri gravissimi episodi) dalla Corte d’Assise straordinaria, alla Spezia, nel Dopoguerra. Condannato a morte, è ucciso a Forte Bastia (Vezzano Ligure) il 5 marzo 1947. Tra i torturatori del carcere vanno annoverati, in ordine alfabetico, Emilio Battisti, Aldo Capitani, Matteo Guerra, Michele Morelli, Ennio Viviani. Tra gli aguzzini, molti detenuti ricordano anche don Rinaldo Stretti. Subirono la pena di morte, fucilati insieme ad Aurelio Gallo, solo Emilio Battisti e Michele Morelli.
A proposito delle torture inflitte e delle vicende processuali, v. l’articolo di Giorgio Pagano “I ribelli della Lunigiana e Aurelio Gallo, il torturatore” (22-4-2019) in “Città della Spezia”, giornale on line, https://www.cittadellaspezia.com/2019/04/22/i-ribelli-della-lunigiana-e-aurelio-gallo-il-torturatore-284477/

15 Si tratta quindi di due vittime civili che però la comunità vezzanese ha sentito di ascrivere alla Resistenza locale.

16 Laura Lotti in “Attilio e gli altri”, cit., dedicato ad Attilio Battolini, che il 7 dicembre è appena rientrato da una missione a Vezzola (Zignago) presso il Comandante Mario Fontana, dice, a proposito del 7 dicembre 1944: “Attilio è preoccupato perché ha cose murate. Egli cade con molti amici e compagni nella morsa tedesca che quella notte chiude tutte le strade di uscita dal paese. Contadini, operai appena usciti di casa sono fermati ed inviati nella piazza della chiesa. Non c’è possibilità di fuga. Tra i primi ad essere arrestati sono Pietro Andreani, vecchio comunista e presidente del CLN. Arrivano contemporaneamente nel piazzale davanti a villa Centi Attilio Battolini, la famiglia Ferdeghini composta da Luigi e dai suoi figli Emilio e Francesco, Rinaldo Basini, a cui si aggiungono Piero Orlandi, Vittorio Lumachelli, Edilio Conti, Rino Andreani, Luigi Cozzani e molti altri… I segnalati, circa 90 persone delle 300 fermate, sono raccolti in un recinto di tavole situato sotto villa Centi.” Le cose “murate” sono, evidentemente, documenti clandestini.

17 Il giorno prima, 2 febbraio 1945, c’era stato, a Vezzano, uno scontro tra una squadra di partigiani scesa al piano per approvvigionamenti, e alcuni fascisti, nel corso del quale furono feriti 4 partigiani (di cui due vennero portati via dai compagni; gli altri due, non individuati sul momento, rimasero lì: uno, Annibale Giansoldati, morì poche ore dopo, ed uno, Aldo Comis, ferito, ma in grado di muoversi, si salvò portandosi verso Fornola, dove fu soccorso da una famiglia. Per i fascisti ci furono un morto e un ferito, probabilmente provocati dall’avere fatto esplodere essi stessi, malamente, una bomba.

18 Oggi “Piazza del Popolo-7 dicembre 1944”.

19 La sequenza dei fatti del 7 dicembre 1944 e di quelli, ad essi collegati, del 2-3 febbraio 1945, è ricostruita da Maurizio Fiorillo nelle Schede citate.

20 “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.

21 Ad esempio, per scambi tra fascisti e/o tedeschi catturati dai partigiani ed elementi della Resistenza.

22 La lettura di alcuni biglietti scritti da Enrico Bucchioni in carcere, rivolti ai familiari, lascia intravedere in lui qualche speranza di poter sfuggire al duro destino che lo attende (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., pp. 64-72). Sempre dalle testimonianze sembra invece potersi ricavare la certezza, più volte espressa da Pietro Andreani, riguardo a sé, che morirà (v. dopo).

23 Citato anche nel libro di Antonio Bianchi “Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana”, Editori Riuniti, 1975, p. 111, come attivo propagandista del Partito Comunista.

24 Sul carcere e su quanto avveniva tra le sue mura esistono molte testimonianze. Tra esse, v. “Ricordi di un luogo di tortura” di Attilio Battolini, “La Spezia. Rivista del Comune”, ristampa del n.4-6, luglio-dicembre 1955 (anche Attilio Battolini subì percosse e torture). Presta cure a Battolini Emilio Ferdeghini (v. la sua testimonianza nel libro di Laura Lotti “Attilio e gli altri”, cit., p. 200).

25 V. ad esempio, tra le altre, quella di Emilio Ferdeghini nel libro di Laura Lotti “Attilio e gli altri”, cit., p. 201. Il comportamento di Andreani è sempre molto coraggioso, anche se “Tutte le sere veniva prelevato e torturato così ferocemente che non riusciva più a parlare”.

26 Ilvano Tomà, catturato il 7 dicembre e portato in carcere con gli altri vezzanesi, dichiara che una sera, mentre era interrogato, vide in un angolo della stanza il corpo sanguinante e riverso sul pavimento di Andreani. Probabilmente, come osserva Anna Valle, Tomà svenne, ritrovandosi poi nella stessa cella di Andreani che lo compianse dicendo appunto, in dialetto, allo stesso Tomà: “Povro fanto, guarda cosa i t’an fato”. Tomà rimase con Andreani qualche tempo, ma una sera, sempre Andreani, tornando da un interrogatorio, gli comunicò che era successo qualcosa a Vezzano, aggiungendo “Mi fucileranno e fucileranno anche te”, consigliandogli per il mattino dopo, quando sarebbe stata detta la Messa, di non rientrare nella sua stessa cella. Tomà fece così, rientrò, ma in un’altra cella, salvandosi, così egli sostiene, dalla fucilazione (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p. 63).

27 Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p.85.

28 Natale (Francesco) scampa in modo del tutto fortuito al rastrellamento del 7 dicembre 1944.

29 Pierino Bucchioni, rastrellato il 7 dicembre, imprigionato, segue, come molti compaesani, la via della deportazione, rimanendo bloccato (come altri) nel campo di Gries, a Bolzano. Nei giorni della Liberazione, muore tragicamente, travolto da un camion di tedeschi in fuga.

30 Il parroco di Vezzano Alto è don Storti, ben diverso dal delatore e connivente fascista don Emilio Ambrosi, parroco di Vezzano Basso. Secondo la testimonianza di Pietro Bernardi, riportata da Anna Valle in “Una storia nostra”, cit., p. 22, Enrico Bucchioni, prima di essere fucilato, avrebbe chiesto al parroco di Vezzano Basso di essere comunicato, e ciò gli sarebbe stato negato.

31 Basini, arrestato il 7 dicembre, imprigionato, viene avviato alla deportazione, ma, a causa dei bombardamenti, come altri vezzanesi, viene fermato a Bolzano e, in questo modo, si salvò.

32 Risulta da più fonti che il carcere dell’ex XXI, dopo la Liberazione, presentò, agli occhi di chi vi entrava, molti disegni sulle pareti. Tra essi, Sante Quaglia dice di avere ravvisato un disegno di Vezzano visto dal fiume, una Madonna, la chiesa di Vezzano Basso, riconoscendovi, senza dubbio, la mano di Enrico Bucchioni. La tinta dei disegni, bruno rossastra, per come è stata descritta, farebbe presupporre in essi la presenza di sangue (v. Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p. 73).
Il carcere, situato nell’attuale via Aldo Ferrari, è stato abbattuto negli anni Settanta del Novecento: al posto di esso sorge oggi il complesso scolastico del “2 giugno”.

33 Probabilmente Enrico ritiene Pierino più al sicuro lontano dalle grinfie dei carcerieri fascisti spezzini rispetto a quanto può accadere a lui che, ormai, sente la morte appressarsi sempre più.

34 Cit.

35 Esempio di ciò sono le due Schede curate da Maurizio Fiorillo.

36 L’appuntamento è di pomeriggio, il 10 novembre 2023. Nadia è figlia di Emilio Ferdeghini “Lio”. Ho potuto mettermi in contatto con lei grazie a Oretta Jacopini, dell’ANPI-La Spezia.

37 Nell’opuscolo “7 dicembre 1944 a Vezzano Ligure”, cit., Giovanni Andreani parla per quella giornata di pioggia e freddo intenso.

38 Una foto della casupola, in tempi in cui era ancora visibile nelle sue linee fondamentali, è appesa nella sede ANPI, di cui parlerò dopo. Mi dice Nadia Ferdeghini che nella casupola c’era un piano terra adibito a pollaio e, sopra di esso, un piano per il fieno.
Le riunioni del CLN non avvenivano solo in questa sede, ma, per non dare troppo nell’occhio, anche in sedi diverse.
E’ bene ricordare che un’altra casupola si trovava nel territorio vezzanese, ben nascosta dentro i boschi del Molinello, nel rigido inverno 1944-1945. La conformazione era identica, un piano terra, dove stavano però le pecore, e un piano sopraelevato, dove Vega Gori “Ivana”, diciottenne, vezzanese di adozione, batté a macchina, per lunghe ore, documenti della Federazione PCI e del CLN provinciali.

39 V. Registro Storico dei partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa https://www.isrlaspezia.it/strumenti/partigiani-e-patrioti-della-iv-zona-operativa-1943-1945/; v. anche la sua Scheda in https://partigianiditalia.cultura.gov.it/persona/?id=5bf7bf164d235218049f219f. Emilio Ferdeghini fu catturato il 7 dicembre 1944. Imprigionato all’ex XXI°, poi a Marassi, quindi a Milano, in un gruppo di 12 vezzanesi, arrivò a Bolzano. Destinato alla deportazione, ormai in treno sulla via di Mauthausen, non vi arrivò a causa dei bombardamenti. Riportato a Bolzano con il fratello, il padre e il cognato Giuseppe Baldassini, venuta la Liberazione, poté rientrare (Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit., p.56-57).

40 I documenti d’epoca conservati in esso, mi dice Nadia Ferdeghini, provengono da Claudio Bucchioni, figlio di Francesco Bucchioni, e quindi nipote di Enrico, che li ha donati all’ANPI. Di tali documenti, scritti da Enrico Bucchioni, si trova un’analisi accurata nel libro di Anna Valle “Una storia nostra. Enrico Bucchioni e i partigiani di Vezzano”, cit.

41 Questo tipo di documentazione è, a mio parere, assai importante, ed è stata però a lungo trascurata. Essa consente, pur nei limiti delle eventuali e scusabili dimenticanze, di ricostruire, almeno complessivamente, il quadro resistenziale di ogni zona della provincia, perché in tutta la provincia ci furono iniziative fotografiche identiche. Non solo, si dà così un volto a chi non c’è più, ma, poiché spesso, come nel caso di quello di Vezzano, il quadro è suddiviso in settori, si possono individuare le funzioni svolte dai dai vari personaggi.

Breve Cronologia della IV Zona Operativa, luglio 1943 – aprile 1945

All’inizio del triennio di celebrazioni dell’Ottantesimo della Liberazione (1943-45/2023-25), pubblichiamo una breve Cronologia della IV Zona Operativa come strumento di consultazione per tutti, in particolar modo per le Scuole. Molti termini sono opportunamente collegati, a cura di ISR-La Spezia, a pagine di riferimento ritrovabili in questo sito.


La Cronologia, curata da Maria Cristina Mirabello, è già stata pubblicata nel libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Sebben che siamo donne. Resistenza al femminile in IV Zona Operativa, tra La Spezia e Lunigiana”, Edizioni Cinque Terre, 2017.


La medesima Cronologia, in occasione della pubblicazione on line, è stata integrata e corretta, sulla base di ulteriori documenti disponibili, a cura di Maria Cristina Mirabello e Giorgio Pagano.

L’8 Settembre 1943, la nascita dei CLN e la formazione delle prime bande partigiane. Giornata di studio

Il programma:

Mercoledì 25 ottobre 2023

ore 10,30
Aula Magna Istituto di Istruzione Superiore
“G. Capellini-N.Sauro”

Paolo Magliani, giornalista, collaboratore del Secolo XIX,

intervista

Paolo Pezzino, storico, presidente dell’Istituto nazionale “Ferruccio Parri”

ore 17,00
Auditorium Biblioteca Civica “P.M. Beghi”

Saluti dei rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni organizzatrici

Giorgio Pagano, copresidente del Comitato Provinciale Unitario
della Resistenza

Il quadro locale

Paolo Pezzino, storico, presidente dell’Istituto nazionale
“Ferruccio Parri”

Il quadro nazionale e internazionale

modera Paolo Magliani

Ingresso libero

Borsa di Studio intitolata a Rachele Farina, aggiornamento

La Commissione giudicatrice per l’assegnazione della borsa di studio intitolata a Rachele Farina non ha assegnato a nessun lavoro di ricerca la borsa di studio stessa.

Il bando originale:

La Prof.ssa Nicoletta Gruppi, figlia di Rachele Farina, che fu insegnante, scrittrice, storica di storia delle donne, e la Fondazione ETS Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, bandiscono un concorso per l’assegnazione di una borsa di studio per onorare la memoria della prof.ssa Rachele Farina, dell’importo di euro2.500,00 al lordo delle ritenute di legge e di eventuali oneri previdenziali per una ricerca originale e non pubblicata che si muova nell’ambito del seguente argomento “Movimenti e figure di donne tra inizio ‘900 e ricostruzione del secondo Dopoguerra (nel territorio spezzino)

Chi può partecipare

Al bando possono partecipare soggetti di età compresa tra i 20 e i 60 anni in possesso di Laurea o di Diploma di Scuola Secondaria di II Grado

Per l’anno 2023 potranno presentare la ricerca (entro il 30.9.2023) coloro che intendono svolgere l’argomento assegnato

Criteri di valutazione

La borsa di studio sarà assegnata, se ritenuto idoneo il lavoro ricevuto, al primo candidato della graduatoria di merito formulata dalla Commissione giudicatrice.
In caso di parità di merito sarà la Commissione giudicatrice a stabilire diverse modalità per l’attribuzione della borsa.
Il giudizio della Commissione giudicatrice è insindacabile.

La Commissione giudicatrice

La Commissione sarà composta dalla figlia di Rachele Farina, prof.ssa Nicoletta Gruppi, dalla Presidente ISR La Spezia dott.ssa Patrizia Gallotti e dalla Vice Presidente ISR La Spezia prof.ssa Maria Cristina Mirabello.

Come partecipare

Gli interessati dovranno far pervenire la ricerca all’Ufficio Segreteria ISR (in un unico file PDF) all’indirizzo mail: info@isrlaspezia.it entro e non oltre il 30.09.2023

L’interessato/a dovrà indicare anche il proprio domicilio, il numero di telefono, l’indirizzo e-mail e il recapito al quale desidera vengano effettuate eventuali comunicazioni. Dovrà inoltre essere allegata fotocopia del documento d’identità. I documenti, che il candidato ritiene utili allegare ai fini della valutazione, potranno essere prodotti in originale o in fotocopia semplice.

La Commissione si riserva la facoltà di procedere a idonei controlli sulla veridicità del contenuto delle attestazioni allegate e/o autodichiarate da chi risulterà assegnatario della borsa di studio. La borsa verrà ritirata in caso di false dichiarazioni accertate anche dopo la sua consegna.

Trattamento dei dati personali

I dati personali forniti dai candidati saranno trattati, esclusivamente, per le finalità di gestione della procedura in oggetto.

Consegna della borsa di studio

La borsa di studio in memoria di Rachele Farina verrà consegnata nel mese di dicembre 2023.

La storia del Novecento attraverso lo sport

CORSO DI FORMAZIONE PER DOCENTI SCUOLE SECONDARIE DI 1° E 2° GRADO – a.s.2023-24

Lo sport in tutte le sue forme, praticato a livello agonistico e dilettantistico, rappre­senta un importante strumento formativo d’integrazione sociale e di dialogo culturale per la diffusione di valori fondamentali quali la lealtà, l’impegno, lo spirito di squadra e il sacrificio.

La scelta della tematica del corso nasce dalla concomitanza nel 2024 di due importanti eventi riguardanti lo sport: 1) è in dirittura d’arrivo l’iter legis costituzionale che modifica l’art.33 Cost. introducendo il diritto allo sport come diritto costituzionale, 2) si svolgeranno i Giochi della XXXIII Olimpiade che, come già accaduto in passato specialmente durante il Novecento, fanno emergere lo sport a fenomeno complesso e pervasivo che caratterizza, secondo forme e modalità differenti, l’intera storia dell’umanità, rappresentando una chiave di lettura fondamentale per comprenderne gli aspetti più profondi.

Attraverso le manifestazioni sportive più rilevanti, come le Olimpiadi, i Mondiali delle varie discipline, il Giro ciclistico di uno Stato ecc. si possono comprendere le trasformazioni culturali, politiche, economiche, sociali, di mentalità e costume avvenute nella storia.

Il corso, che intende fornire utili informazioni su alcuni passaggi significativi della storia del Novecento, analizzati attraverso la lente dello sport, trova fondamento normativo nell’art.6 (Formazione docenti) della legge 92/2019 che ha introdotto l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole e si propone di fornire ai docenti utili proposte operative.

Obiettivi

  • Far cogliere la valenza dello sport come strumento formativo d’integrazione sociale e di dialogo culturale per la diffusione di valori fondamentali quali la lealtà, il rispetto delle regole e dell’ambiente di gioco, l’impegno, lo spirito di squadra, il sacrificio, la collaborazione;
  • Trasferire i valori dello sport nella vita di tutti i giorni e consolidare una capacità di comunicazione efficace;
  • Avere occasioni e spunti innovativi per avvicinare gli studenti alla narrazione storica;
  • Ricostruire le vicende della storia del Novecento del nostro Paese attraverso la lente dello sport;
  • Stimolare l’interesse di studenti e studentesse alla conoscenza della storia mediante la riflessione su vicende di sportivi generalmente tenuti ai margini della rievocazione storica;
  • Affrontare un metodo didattico trasversale.

Il corso prevede 5 incontri, tre di carattere informativo e gli altri due di carattere laboratoriale, con testimonianze e ipotesi di una UDA trasversale di educazione civica e svilupperà le pratiche della didattica per competenze e dell’e-learning.

Destinatari:
Docenti Scuola secondaria I e II grado

Max iscrizioni:
n. 40 (30 in presenza + 10 online).

Durata del corso:
12 ore

Frequenza necessaria:
9 ore (almeno il 75% della durata del corso)

Costo corso:
€ 70,00
È possibile il pagamento con Carta del docente,
codice SOFIA n 84709.

Data apertura iscrizioni: 12 settembre 2023

Data chiusura iscrizioni: 18 novembre 2023


Direttore responsabile:
Prof.ssa Marcella D’Imporzano
Responsabile Area didattica Fondazione ETS Istituto Spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea.

Metodologia di lavoro:
Aula – lezioni frontali;
Laboratori;
e-learning

Materiali e tecnologie usati:
Slide, videoproiettore, dispense

Sede di svolgimento:
La Spezia, MIR Centro Studi Memoria in rete, via Gio Batta Valle, 6

I partecipanti al corso a distanza potranno seguire le lezioni attraverso il programma di videoconferenze ZOOM meetings

Contatti:

Fondazione ETS – Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea
c/o Biblioteca Civica P.M Beghi, via del Canaletto, 100
19126 – La Spezia
cell. 353 452 3633 – tel. 0187 727886 – email: info@isrlaspezia.it

Calendario del corso:

Mercoledì 6 dicembre 2023, orario 16.00-18.00
Campi e temi della storia dello sport
Alberto Molinari
Collaboratore dell’Istituto storico di Modena e della Rete degli Istituti storici dell’Emilia Romagna, membro della Società italiana di Storia dello Sport (SISS), membro del Laboratorio di storia delle migrazioni dell’Università di Modena e Reggio Emilia, autore di numerosi saggi, vincitore del premio Manacorda 2022 per il volume “Major Taylor il negro volante. La storia del primo ciclista di colore, tra sport e razzismo” Ediciclo 2022.

Lunedì 22 gennaio 2024, orario 16.00-18.00
Giochi di potere. Olimpiadi e politica nella storia del Novecento
Nicola Sbetti
Docente presso l’Università Alma Mater Studiorum, Bologna, Scuola di Scienze Politiche, membro della Società Italiana Storia dello Sport, di cui è delegato regionale per l’Emilia Romagna, presso la biblioteca provinciale del CONI.

Mercoledì 21 febbraio 2024, orario 16.00-18.00
“Biciclette partigiane” e altre storie di sport in guerra
Sergio Giuntini
Presidente della Società italiana di Storia dello Sport (SISS) tra i maggiori storici dello sport italiani, ha insegnato Storia dello Sport all’Università Statale di Milano e attualmente svolge attività di ricerca presso la Facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Roma Tor Vergata, autore di decine di volumi e saggi. Dialogherà con i corsisti partendo da un suo recente libro “Biciclette partigiane”. 20 storie di ciclismo e Resistenza (Bolis Edizioni).

Giovedì 14 marzo 2024, orario15.30-18.30
Testimonianze dallo/sullo sport: parlano i protagonisti e interrogano i corsisti
Stefano Mei
Presidente FIDAL Campione europeo a Stoccarda 1986 nei 10.000 metri, 42 presenze in Nazionale assoluta

Alessandra Borio
Docente scuola superiore, partecipante alle Olimpiadi di Los Angeles 1984 per il canottaggio

Sauro Baldiotti
Maestro benemerito cintura nera 7° dan di Karate e componente Commissione Nazionale Insegnanti Tecnici Karate della Federazione Sportiva Nazionale FIJLKAM

Armando Napoletano
Giornalista del quotidiano genovese Il Secolo XIX e corrispondente di Tuttosport; autore di numerosi libri tra i quali “Due piedi sulle nuvole. Stefano Mei, una storia di atletica leggera” (2019) e “Lo scudetto dello Spezia. Storia della vittoria dei Vigili del Fuoco del 1944 e del presidente che diede vita al sogno” (2020) Edizioni Giacché

Mercoledì 10 aprile 2024, orario 15.30-18.30
Unità di apprendimento trasversale di educazione civica: confronto e discussione
Daniel Degli Esposti
Storico del mondo contemporaneo, è autore di saggi, mostre e contenuti multimediali sulle vicende del Novecento in Emilia-Romagna. Si occupa di storia dello sport nel XX secolo, realizzando progetti didattici e iniziative di Public History. È attivo nel progetto culturale “Allacciati le storie”, in sodalizio professionale con Paola Gemelli. Costruisce percorsi di ricerca e divulgazione storica con associazioni e amministrazioni comunali, applicando i metodi della Public History alle ricerche di storia locale. Realizza attività didattiche e laboratori per gli studenti e cicli di incontri formativi per gli adulti.


La Fondazione ETS Istituto spezzino per la storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea è parte della Rete degli istituti associati all’Istituto Nazionale Ferruccio Parri (ex Insmli) riconosciuto agenzia di formazione accreditata presso il Miur (L’Istituto Nazionale Ferruccio Parri con la rete degli Istituti associati ha ottenuto il riconoscimento di agenzia formativa, con DM 25.05.2001, prot. n. 802 del 19.06.2001, rinnovato con decreto prot. 10962 del 08.06.2005, accreditamento portato a conformità della Direttiva 170/2016 con approvazione del 01.12.2016 della richiesta n. 872 ed è incluso nell’elenco degli Enti accreditati).

La Società Italiana di Storia dello Sport (SISS) è un’associazione culturale senza fini di lucro, nata nel 2004 su iniziativa del Centro di Studi per l’Educazione Fisica e l’Attività Sportiva di Firenze e del Gruppo italiano del European Committee for Sports History (CESH).
SISS conta su un nutrito gruppo di storici di altissimo profilo scientifico dediti a vari ambiti disciplinari nel quadro della storia dello sport.
Dalla sua fondazione la Società Italiana di Storia dello Sport si è distinta nel suo impegno per l’organizzazione di congressi sul territorio nazionale coinvolgendo storici di fama internazionale, per la realizzazione di pubblicazioni inerenti la storia dello sport e delle federazioni sportive e per la promozione della partecipazione degli storici italiani alle manifestazioni italiane e internazionali aventi come oggetto la storia dello sport.

Invito alla lettura: “Io sono un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”

di Maria Cristina Mirabello

Io sono un operaio

Autore: Dino Grassi
Io son un operaio. Memoria di un maestro d’ascia diventato sindacalista”
a cura di Giorgio Pagano
Edizioni ETS, Pisa, 2023

Una premessa

Le pagine del libro, in tutto 194, dense per il significato che rivestono, corrono assai veloci se il lettore le affronta con atteggiamento curioso verso un mondo, quello del lavoro, del sindacato, dei partiti, in special modo del PCI, dalla metà circa degli anni Quaranta del Novecento fino alla fine degli anni Settanta, compresa un’incursione nella contemporaneità, grazie all’intervista suddivisa in due fasi che il curatore Giorgio Pagano, nel gennaio e nel febbraio 2023, ha fatto a Dino Grassi, nato nel 1926 e scomparso poi nel giugno 2023.

Il contenuto in breve

Un’autobiografia operaia, ma non solo

Il cuore del libro, attorno al quale ruota la recente intervista di Giorgio Pagano a Dino Grassi, la postfazione, “Un’idea compiuta di moralità”, costituita da un piccolo saggio storico sempre di Giorgio Pagano, il ricco corredo fotografico, nonché le sintetiche biografie di numerosi uomini della comunità operaia del cantiere Muggiano, è costituito da quella che potrebbe essere definita, in termini letterari, un’autobiografia di Dino Grassi. È lui il vero protagonista, quindi, ma, attorno a lui, prende vita un’intera comunità di fabbrica, tramite una sintesi personale, e tuttavia, mai individualistica.

Uno sguardo che, dalla fabbrica, si sposta sul mondo

Si viene a comporre nella narrazione una sorta di filo rosso che attraversa epoche differenti, oggi trascurate e quasi dimenticate, in una dimensione territoriale, nazionale ed internazionale, epoche che vale la pena “sfogliare” insieme alle pagine del libro, per non smarrire il senso di una epopea collettiva, senza la cui conoscenza il nostro presente sarebbe -ed è- desolatamente privo di strumenti interpretativi.

Non tutti gli operai hanno scritto o scrivono: Dino Grassi, che aveva amato da sempre i libri, tanto da provarne nostalgia e ritornare, ormai adulto, sui banchi di scuola, ma che, da giovinetto, si era fermato, dopo la Scuola Elementare, alle prime classi dell’Avviamento, perché la povertà della sua famiglia non glielo consentiva, scrive, con efficacia, chiarezza e originalità, mescolando stili diversi e dando voce a quelli che non hanno potuto cimentarsi con tale complessa arte.

La sua autobiografia, sorretta da numerosi e puntuali riferimenti documentari dentro lo stesso testo (corredato da chiare note storiche curate da Giorgio Pagano), può essere integrata, per chi volesse approfondire l’argomento, con ulteriori carte tratte dall’archivio dello stesso Grassi, che trovano posto in un sito web appositamente predisposto.

Una possibile sintesi

Dalle pagine emergono innanzitutto la dignità e le abilità del mondo del lavoro, descritto da Grassi attraverso un linguaggio puntuale, e da cui traspare tutto l’orgoglio di farne parte, esercitando un mestiere che, come quello del “maestro d’ascia”, dà luogo a prodotti ben fatti.

L’essere operaio passa infatti, per Grassi, attraverso l’esercizio consapevole di una capacità che gli consente di esprimere, con fierezza, il suo essere innanzitutto lavoratore, vero e proprio fondamento del suo essere sindacalista e aderente al PCI. Questo non significa che il protagonista non metta in luce tutti gli aspetti faticosi, disumani, alienanti che possono caratterizzare la condizione dei lavoratori (le pagine dedicato a ciò sono numerose) ma che, proprio partendo dal prodotto che esce, letteralmente, dalle mani dell’operaio, si può intraprendere una faticosa via di riscatto personale e di classe.

Entrato giovanissimo in cantiere a 14 anni, nel 1940, Grassi fa a tempo a conoscere l’angoscia dei bombardamenti, la violenza della guerra e del connubio nazifascista, ascendendo i gradini lavorativi della fabbrica che vive come vera e propria “Università”. La sua maturazione sindacale e politica si intreccia all’aver vissuto a fondo il mondo del lavoro: proprio ciò gli consente di essere sindacalista e dirigente politico consapevole, arrivando a ricoprire la carica di Consigliere regionale della Liguria per il PCI dal 1970 al 1980.

E nell’autobiografia, una specie di romanzo di formazione, vivono le vicende di un’intera città (e provincia), dal difficilissimo secondo dopoguerra, alle sconfitte elettorali della sinistra, alla discriminazione contro i lavoratori inquadrabili in essa, alle lotte del lavoro, a quelle per la salvezza del Muggiano, che, per un perverso intreccio di decreti governativi italiani e direttive della Comunità europea, doveva, negli anni Sessanta, essere ridotto a cantiere di riparazione, il che equivaleva ad essere condannato a morte.

E insieme alle lotte mai sopite e ai momenti drammatici, ci sono le conquiste di quegli anni, le più importanti mai conseguite dalla classe operaia italiana e… c’è la salvezza del cantiere.

Nota finale: la figura di Dino Grassi, per chi si appassionasse ad essa, ha trovato spazio, negli ultimi anni, anche nel libro in due volumi di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello “Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia e in provincia”, Cinque Terre Edizioni.

Ricerca storica e riflessioni (Battaglione garibaldino “Melchiorre Vanni”) #3

La storia è complicata, ma è inutile volerla complicare… Un piccolo esempio nel groviglio del processo a “Facio”

A cura di Maria Cristina Mirabello1

Lo studio del materiale alla base delle vicende della Brigata (poi Battaglione) “Melchiorre Vanni”2, o comunque riferito a fatti in qualche modo legati ad essa, ha dovuto necessariamente confrontarsi con un episodio drammatico, quello della fucilazione di Dante Castellucci “Facio”, Comandante del Battaglione “Picelli”. Infatti furono uomini della “Vanni”, comandata da Primo Battistini “Tullio”, ad essere usati come forza operante sul campo, ad Adelano di Zeri, e quindi ad essi fu poi demandata la fucilazione di “Facio”, all’alba del 22 luglio 1944.

Questo intervento non ha lo scopo di addentrarsi dentro al groviglio costituito, a mio parere ancora oggi3, dalla vicenda del processo (testi e contesti), cui sarà dedicato un Capitolo nel libro sulla4 “Vanni”, ma, semplicemente, di focalizzare un aspetto forse minore, e, tuttavia, a mio parere, storiograficamente importante.

In sintesi: chi era e che cosa faceva, nel luglio 1944, Nello Scotti, il cui nome ricorre nei libri sul processo? Ultimamente5 si è messa in dubbio addirittura l’esistenza di tale personaggio, avanzando ipotesi sull’uso del suo nome come copertura di una vera e propria eminenza grigia non spezzina, che agiva nello Zerasco: proprio perciò è bene indagare quale funzione Nello Scotti abbia realmente svolto in quella delicata fase.

Come si vede, le domande non pongono il quesito di quale sia stata la reazione, alla sentenza di condanna a morte di “Facio”, da parte dei vari membri del Tribunale (tra cui Nello Scotti), Tribunale peraltro criticato aspramente da Antonio Borgatti “Silvio”, all’epoca Segretario del PCI provinciale spezzino, per modalità di procedure, composizione e, quindi, esito finale6. Alla domanda sulla reazione, non posta in premessa, cercherò comunque di dare una qualche risposta.

Accingendomi alla ricerca, mi sono innanzitutto detta che, sebbene certe tematiche siano complesse e che, quindi, debbano essere trattate con molta cura, ciò non significa che occorra sempre formulare ipotesi complottistiche.

Ho deciso perciò di appurare, innanzitutto, l’esistenza fisica di Nello Scotti7, per capirne poi le vicende nel luglio 1944.

Devo onestamente dire che non sono riuscita a sbrogliare la faccenda fino a quando non ho potuto leggere il documento emerso, grazie a Oretta Jacopini, dall’Archivio privato, citato alla Nota 1: solo leggendolo ho infatti preso atto di che cosa facesse Nello Scotti in quei giorni del luglio 1944.

Ma, prima di passare al documento, vorrei rapidamente ricordare, e ce lo dice già Giulivo Ricci nei suoi scritti, specialmente nella “Storia della Brigata Matteotti-Picelli”, come non ci sia chiarezza sulla scena del processo svoltosi contro “Facio” ad Adelano, riguardo alle funzioni svolte dagli attori che vi compaiono, ad esempio su chi fece il Presidente8. In effetti le testimonianze in parte convergono e in parte divergono, non solo, non si capisce bene se “Alda”9 e Nello Scotti siano la stessa persona.

Contenuto del documento

Il documento è la richiesta10 (siglata dal numero 34) di iscrizione11 alla Federazione del PCI- La Spezia, Sezione Centro, avanzata, in data 10 giugno 1945, da Nello Scotti, nato il 12 luglio 1894 alla Spezia, ivi abitante, di professione impiegato in Municipio. Nello Scotti definisce la propria provenienza come “operaia”, la propria cultura “buona”, dichiara di avere frequentato la II Istituto Tecnico e di avere letto “Opere economiche, politiche, sociali dalla seconda metà dell’Ottocento alle attuali opere”. Afferma poi di essere stato iscritto al PSI fino al 1921 e, da tale data, al Partito Comunista, di non avere partecipato alla guerra di Spagna, né a quella di Abissinia, né ad Associazioni combattentistiche, d’arma e cooperativistiche.

Alla domanda se abbia appartenuto a formazioni patriottiche, risponde “Sì”, dal “1 luglio 1944 al 3 agosto 1944”, e poi alla domanda “In quale formazione?” indica “Comando I Divisione, quale Presidente Tribunale Rivoluzionario”, e, alla domanda “Al comando di chi’?” risponde “Colonnello Mario Fontana (Turchi)12.

Quanto alla sua attività economica e politica dall’8 settembre 1943 fino alla data della Liberazione, afferma “Economiche disagiate; politica nella zona costiera; in collegamento Comando Divisione13”. E, infine, al quesito riguardo a quale attività intenda dedicarsi, se politica, sindacale, religiosa, giovanile, risponde “Politica-Sindacale”.

Segue poi, nel Paragrafo “Osservazioni”, una lunga precisazione dattiloscritta: “Patriotta dal 1 luglio al rastrellamento 3-8-44, rimanendo nella zona costiera in seguito a malattia. In detta zona ho costituito CLN a Borghetto Vara, Pignone, Beverino. Cellule di Partito in zona di Pignone, Beverino, Borghetto Vara.

In Adelano (Zeri) nominato presidente Tribunale Rivoluzionario e ufficiale di collegamento con gli alleati (Maggiore Gordon Lett)14.”

Fermo restando che tutto il documento è importante, è anche evidente che, per l’oggetto specifico della ricerca, risultano rilevanti specialmente alcune affermazioni di Nello Scotti. Da esse infatti ricaviamo che: Nello Scotti nel luglio 1944 è nello Zerasco, dove è nominato Presidente del “Tribunale Rivoluzionario”. Poiché non risultano altri Tribunali in tale fase, se non quello che ha condannato a morte “Facio”, Nello Scotti si riferisce ad esso. Cercando di lavorare di cesello, si può notare che Nello Scotti si autodefinisce “nominato” e lo fa con riferimento puntuale ad Adelano: insomma, la nomina è inerente all’episodio che ci interessa15.

Viene a questo punto spontanea una domanda: “Ma perché Laura Seghettini dice che la sentenza del processo è pronunciata da Antonio Cabrelli ‘Salvatore’? Forse sbaglia Laura?”. A mio parere, è molto difficile dimenticare chi condanna a morte il compagno (“Facio”) che ti sei scelta. E, in questo caso, Laura non sbaglia. La spiegazione è un’altra. Risulta anche in Giulivo Ricci che, al momento della sentenza, ci furono comportamenti diversi, di assenso, dubbio, perfino qualcuno che forse si ritirò dal giudizio. E’ plausibile che Nello Scotti non si sia identificato completamente nella sentenza, si sia ritirato (ma di ciò non c’è traccia nel documento da me esaminato, in cui, se mai, tale nomina diventa un titolo in positivo) e che perciò la situazione sia stata presa in mano da Antonio Cabrelli16, il quale, probabilmente, nel corso del processo, aveva rivestito il ruolo di Pubblico Ministero17.

Il cenno che, nelle “Osservazioni”, Nello Scotti fa ad una sua malattia per cui è rimasto nella zona costiera18 è inoltre molto utile per identificarlo con “Alda”. Infatti, in un documento successivo al 3 agosto 1944, relativo al drammatico rastrellamento avvenuto in tale data, Luciano, figlio di Nello Scotti, parla della malattia del padre, ma non lo nomina, probabilmente per le regole della clandestinità con il nome (e, tanto meno, con il cognome), bensì chiamandolo “Alda”19. La lettera20 è rivolta al PCI, e Scotti parla di “Alda”21 non solo come di persona prossima a se stesso, ma anche ben conosciuta dai destinatari.

In finale occorre osservare, per completezza, che la militanza di Nello Scotti, nonostante il suo riferirsi a opere successive al 3 agosto 1944, e questo lo fa nelle “Osservazioni”, non ha tuttavia un arco di tempo sostanziale per durata e/o opere, che gli consenta di avere la qualifica né di “Partigiano” né di “Patriota”. Infatti il suo nome non figura nel Registro Storico dei Partigiani e Patrioti della IV Zona Operativa e nemmeno nell’archivio IPartigiani d’Italia (v. Rubrica “Cerca”).

Arrivata a queste conclusioni, che non vogliono essere definitive, sebbene le reputi abbastanza vicine a come potrebbero essere andate le cose, mi sono anche detta che Nello Scotti avrebbe potuto dichiarare il falso, insomma non essere stato Presidente del Tribunale ad Adelano, ecc., per cui cadrebbe tutto il ragionamento fatto. Credo, però, che mettere in atto un dubbio metodico, quando si fa ricerca storica, sia un bene, ma voler a tutti i costi ipotizzare “a posteriori” una costruzione fatta solo di sospetti, non faccia bene della storia…

1 Ho potuto scrivere questo intervento, che diventerà, nel libro sulla “Vanni”, un piccolo ma importante inserto, grazie all’impegno di Oretta Jacopini (ANPI-La Spezia) la quale mi ha consentito di leggere (e fotografare) un documento riguardante Nello Scotti. Oretta Jacopini ha infatti fotografato l’originale, giacente nell’Archivio privato di Lorenza Rocca, cognata di Luciano Scotti “Vittorio”, Comandante della I Divisione “Liguria-Picchiara”, IV Zona Operativa, nonché figlio di Nello Scotti.

2 L’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età contemporanea /ETS mi ha incaricato di scriverla, individuando come data di uscita il 2024 (80° della Brigata “Vanni”), nell’ambito della ricorrenza del triennio 1943-1945, in corrispondenza all’arco 2023-2025.

3 Sebbene qualcuno parli di “verità” riguardo alla vicenda: la parola “verità” ricorre infatti, come si può notare, in almeno due titoli della bibliografia citata alla Nota 6.

4 Preposizione al femminile perché, nel luglio 1944, essa è Brigata, diventando Battaglione solo dopo qualche mese, a seguito della formalizzazione della IV Zona Operativa.

5 V. Salsi, Massimo, Il pezzo mancante. Una spy story nella Resistenza italiana, Albatros, 2022.

6 Il documento rinvenuto può infatti aiutarci a fare ipotesi plausibili anche a proposito della reazione di Nello Scotti.

7 Alcuni, in genere più anziani di me, mi dicevano di averlo sentito nominare, ma occorreva capire se l’arco di tempo in cui era vissuto fosse congruente al processo. Ricordo anche che la sua esistenza non era stata messa in dubbio dai seguenti Autori che si sono occupati del processo a “Facio”, e che sono, in ordine cronologico: Giulivo Ricci “La storia della Brigata Matteotti-Picelli”, ISRSP (1978), Spartaco Capogreco “Il piombo e l’argento. La vera storia del partigiano Facio”, Donzelli Editore (2007); Maurizio Fiorillo “Uomini alla macchia. Bande partigiane e guerra civile. Lunigiana 1943-1945, Editori Laterza (2010), Luca Madrignani “Il caso Facio. Eroi e traditori della Resistenza”, il Mulino (2014), Pino Ippolito Armino “Indagine sulla morte di un partigiano. La verità sul comandante Facio”, Bollati Boringhieri (2023), né, tanto meno, da Laura Seghettini, compagna di “Facio”, quindi testimone coeva, in “Al vento del Nord. Una donna nella lotta di Liberazione” (a cura di Caterina Rapetti), Carocci, 2006. Tuttavia, quello che non risulta sempre chiaro dai libri è che cosa facesse Nello Scotti ad Adelano, se sia possibile identificarlo con “Alda” o se lui e “Alda” siano due personaggi diversi (v. dopo).

8 Secondo Laura Seghettini, quando lei entrò nella stanza del processo, vide Antonio Cabrelli “Salvatore” che, quale Presidente, pronunciava la sentenza.

9 Secondo taluni è uno tra gli attori della scena.

10 La richiesta segue un preciso questionario, prestampato e articolato in 4 pagine. Il riempimento è per la maggior parte dattiloscritto.

11 L’iscrizione al PCI era piuttosto complessa e passava, come si può vedere dallo stampato, per una serie di gradi di giudizio.

12 Sulla data della fondazione del Comando Unico affidato al Colonnello Mario Fontana, sappiamo che le date non sono univoche. Insomma, probabilmente Nello Scotti era nello Zerasco dal 1 luglio 1944, ma questa data non è coincidente con la fondazione del Comando Unico stesso (e con la pluralità di date con cui ci dobbiamo confrontare). E’ anche evidente che Scotti debba legare il Tribunale a qualche organismo formale e che perciò lo “appoggi” al Comando I Divisione, non certo alle Brigate afferenti.

13 Il testo è riportato come tale: “Economiche” è ellittico: va completato, forse, esplicitando in “condizioni economiche”. Le citazioni, comprese doppie, maiuscole e minuscole, punteggiatura, sono riportate come tali.

14 La domanda di iscrizione è controfirmata da due presentatori: Adriano Vergassola, vecchio comunista spezzino, e Terzo Ballani “Benedetto”, già noto e stimato Commissario Politico della Brigata “Cento Croci”. Il parere del Comitato di Cellula, a firma Aldo Franceschini, è favorevole, così quello del Comitato di Sezione a firma, se interpreto bene la scrittura, Quiriconi; infine, il Comitato Direttivo del Partito, a firma, Bruno Caleo, approva (Bruno Caleo “Fiumi”, già appartenente alla Brigata “Ugo Muccini”, è stato, nel secondo Dopoguerra, per un lasso di tempo non lungo, funzionario della Federazione provinciale del PCI spezzino).

15 Per essere ancora più esplicita: Nello Scotti non è nominato ed inviato dal CLN spezzino o dal Partito Comunista spezzino. Si trova ad Adelano (forse -ipotesi- perché il figlio, Luciano Scotti, sta per assumere un importante incarico: infatti diventerà Capo di Stato Maggiore della ormai nascitura I Divisione “Liguria”). Nella situazione determinatasi riguardo a “Facio”, Nello Scotti, vecchio iscritto al PCI (se la dichiarazione da lui resa per chiedere l’iscrizione corrisponde, nel riferimento al 1921, al vero) diventa, per anzianità, una sorta di garanzia, e viene nominato Presidente del Tribunale (per la composizione del Tribunale v. Nota 17).

16 Antonio Cabrelli “Salvatore”, comunista, ma in realtà sospeso da tale Partito, personaggio del tutto controverso, su cui tornerà il libro sulla “Vanni”: nominato nel luglio 1944 Commissario Politico della I Divisione “Liguria”, verrà poi sostituito dal comunista Tommaso Lupi “Bruno”.

17 Dal punto di vista giuridico, insomma, un pasticcio colossale. Antonio Borgatti “Silvio” giudicò, non a caso, tale Tribunale, come del tutto approssimativo.

18 In realtà, a mio parere, al solito, lo scritto è ellittico e l’espressione “costiera” va intesa come “zona di competenza della Brigata ‘Costiera’”. E’ utile, a tale proposito, un articolo on line di Giorgio Pagano (“Città della Spezia” – 24 marzo 2019) intitolato “24 marzo 1945, storia di un eccidio mai raccontato”, dove, riferendosi ad un grave episodio accaduto a Villa (Pignone), cita, traendolo dalle testimonianze raccolte, Nello Scotti, che, fermatosi a dormire a Villa, viene avvisato dell’arrivo dei fascisti. E quella, come dice lo stesso Pagano, era zona della Brigata “Costiera”.

19 Non era infrequente che, in clandestinità, gli uomini assumessero nomi di donne.

20 Gli estremi del documento saranno pubblicati quando uscirà il libro sulla “Vanni”.

21 Tra le varie elucubrazioni su “Alda”, c’è perfino chi l’ha identificato con un partigiano sarzanese che ha militato nelle formazioni autonome parmensi.