La Fondazione ETS Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea ha pubblicato il piano dell’offerta formativa rivolta alle Scuole, per l’anno scolastico 2024/2025.
A questo indirizzo il dettaglio del piano.
La Fondazione ETS Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea ha pubblicato il piano dell’offerta formativa rivolta alle Scuole, per l’anno scolastico 2024/2025.
A questo indirizzo il dettaglio del piano.
Giovedi 26 settembre alle ore 17 presso l’Auditorium della Civica Biblioteca Beghi, alla presenza del Sindaco Pierluigi Peracchini, sarà presentato il secondo volume di “Sentieri della libertà” una serie di guide agili che raccontano, con l’ausilio di interessanti foto a colori e sintetiche schede tematiche, i luoghi, le azioni e i protagonisti della lotta partigiana e della deportazione dai Giardini Pubblici al quartiere del Favaro di Migliarina.
Un percorso urbano, che passa per la centralissima Piazza Verdi, cuore di una città che vide distrutto il 70% del proprio tessuto urbano a causa dei bombardamenti. Una piazza che fu testimone di episodi drammatici ma anche luogo di festa, nel ’45, nella giornata della tanto agognata Liberazione.
Tocca tra gli altri luoghi anche Migliarina, teatro del terribile rastrellamento del 21 novembre 1944, in cui le strade di accesso al quartiere vennero bloccate e i cittadini, lavoratori, gente comune che vi transitava furono fermati e trasferiti al famigerato “Ventunesimo”, dove molti vennero sottoposti a interrogatori, torture e sevizie e infine deportati nei campi di concentramento tedeschi.
Itinerari per riflettere, facili e adatti a tutti, che includono nel percorso anche aree verdi come i Giardini Pubblici, la zona del Castello San Giorgio e il Parco della Maggiolina, con interessanti notazioni anche sui monumenti e i palazzi più significativi e pregevoli che si incontrano nel percorso.
La collana – pubblicata assieme alle Edizioni Giacché – è un’idea del Presidente della Fondazione ETS -ISR, l’Istituto spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, Patrizia Gallotti, tra gli autori di questo secondo volume assieme a Sandro Centi e Doriana Ferrato, Presidente ANED – La Spezia.
di Maria Cristina Mirabello
Il libro Tra utopia e realismo. Appunti sul Sessantotto, uscito nel 2024 per le Edizioni ETS-Pisa, a cura di Giorgio Pagano, è la raccolta della maggior parte delle relazioni tenute da vari studiosi nel corso del convegno “Il prisma spezzino. Il Sessantotto dalla dimensione locale a quella globale”1, convegno a sua volta innestato su una ricerca ad ampio raggio che, portata avanti negli anni precedenti, aveva prodotto un libro2.
Questa recensione non può trattare analiticamente i densi saggi3 che compongono Tra utopia e realismo. Appunti sul Sessantotto, ma vuole soffermarsi innanzitutto sul titolo che il curatore ha scelto, per sintetizzare poi alcuni spunti suggeriti dalla lettura dei vari Autori.
Il titolo che Giorgio Pagano ha dato al libro del 2024 è diverso da quello che aveva caratterizzato il convegno del 2022: quest’ultimo si richiamava infatti, più direttamente, alla precedente complessa ricerca di base4, la quale, pur collocando i materiali raccolti in un vero e proprio mosaico inquadrato in coordinate nazionali e internazionali, si focalizzava, tuttavia, fondamentalmente, sul territorio spezzino e zone contigue a esso, riguardo a geografia o ambiti culturali, con particolare riferimento alla Toscana e all’Università di Pisa. D’altra parte, i lavori del convegno, nel marzo 2022, avevano, in un certo senso, già abbondantemente travalicato il concetto, peraltro utile, di “prisma spezzino”5, per acquistare la dimensione di una riflessione a tutto campo sul Sessantotto.
Senza pretendere di spiegare le intenzioni che hanno portato il curatore Giorgio Pagano, il quale, nella sua Introduzione (pp.9-13), sottolinea, peraltro giustamente, gli aspetti di continuità tra la categoria interpretativa di “prisma spezzino” e Sessantotto in generale, a scegliere il titolo del 2024, vorrei fare alcune osservazioni sul binomio “realismo” e “utopia”, dicendo che esso si addice a una essenzializzazione del Sessantotto in generale.
Infatti, che cosa c’è di più realistico dell’utopia che, rivendicando altri luoghi e altri tempi, da quelli che ci offre un presente non condivisibile, e al quale vengono perciò opposte visioni “altre”, offre una speranza di cambiamento? E che cosa fu il Sessantotto se non un’utopia che traeva spunto dalla realtà ma che non riuscì a tradursi in realtà? E perché ci fu tale esito?
Nella instabile miscela di tanta-poca utopia e, complementarmente, di tanta-poca realtà (compresa la difficoltà di individuare categorie sufficientemente unificanti e capaci di incidere nel vivo pulsare dell’epoca), sta probabilmente l’essenza di una stagione, i cui caratteri non sono riconducibili a un profilo omogeneo, tanto che essi emergono in tutta la loro pluralità, storica e di interpretazione, dai saggi che compongono il libro. Saggio dopo saggio, attraverso una navigazione che lascia pochi spazi a certezze, ma che ci rende più ricchi di dubbi e conoscenze, riusciamo così a individuare alcune problematiche di fondo, per guardare dall’oggi all’ieri, ponendoci domande.
Quell’ieri fu totale discontinuità o si inserì, a sua volta, entro un cambiamento che solo a un certo punto divenne rottura? E questa rottura, per molti versi spontanea, una sorta di presa di posizione esistenziale diventata immediatamente politica, evidente, di massa, a livello, per la prima volta, soprattutto giovanile, e, vera novità, studentesco, quanto fu accompagnata da una sufficiente nuova categorizzazione da parte di chi aveva fino a quel momento rappresentato le istanze politiche di cambiamento, ma anche quanto le categorie assunte da chi si ribellava subirono la fascinazione di quelle vecchie? E perché?
Il saggio6 di Giorgio Pagano, in coerenza al titolo del saggio stesso, mette in rilievo come il Sessantotto, lungi dall’essere un’esplosione repentina, venga da lontano , soffermandosi sul Sessantotto degli inizi (e sulla sconfitta da esso subita), un movimento che l’Autore, sulla scorta di Edgar Morin, definisce come “sovra e infra-politico”, “totalmente libertario ma sempre con l’idea di fraternità onnipresente”, il cui principio animatore fu la presa di parola per chi fino ad allora era stato silente, la creatività, la fratellanza, e il cui sogno risultò poi infranto a causa “del ritorno alla dottrina, alle vecchie nozioni, ai vecchi strumenti organizzativi”. Un Sessantotto, dunque, che nasce e muore velocemente, e che dura non oltre un anno, dal 1967 al maggio successivo. Pagano si domanda se potesse andare diversamente e afferma che, sicuramente, il pensiero di Gramsci (che allora mancò) sarebbe stato prezioso sia per interpretare quella che fu una rivolta morale, sia per dare una forma etico-politica umanistica ai processi di modernizzazione che erano in corso nella società italiana, ritenendo che talune domande siano più che mai attuali oggi, quando “Ci serve una reazione culturale umanistica all’avvento di un mondo tecnicizzato e disumanizzante”.
Di movimento globale, e delle ragioni di esso, in un ampio contesto internazionale, cui fa specifici e argomentati riferimenti (corredati da numerose immagini), parla Marcello Flores7, il quale, dopo avere offerto una panoramica circostanziata, anche all’indietro nel tempo, si focalizza poi sul Sessantotto e sul fatto che, a suo parere, nel corso di esso, i movimenti che l’hanno caratterizzato “Dopo una prima fase fortemente originale e antiautoritaria sembrano retrocedere verso una più rassicurante tradizione, secondo logiche che sono prevalentemente quelle di ritrovare nel passato gli elementi caratterizzanti la rivoluzione… Nessuno di questi gruppi e di queste tendenze ha però la capacità di individuare una modalità di rivoluzione di tipo nuovo…”.
Luisa Passerini8 riflette sull’ampia gamma di significati (e applicazioni) assunti dal concetto di “lungo Sessantotto” e di “post Sessantotto”, quest’ultimo talvolta modificato da alcuni in “lunghi anni Settanta”, sulle piste che si aprono per una storia comparata e sulle direzioni di ricerca perseguite in più campi, a livello inter e transdisciplinare, compresa la funzione sull’immaginario dei media, con puntualizzazione della differenza tra concetti di “attivismo” e “artivismo”.
Di un punto nodale riguardo al Sessantotto si occupa Chiara Dogliotti9, la quale, riferendosi solo all’Italia e al “breve Sessantotto”, distingue le accezioni in cui può essere inteso il rapporto tra violenza e Sessantotto. Riconoscendo che, senza dubbio, l’attentato di Piazza Fontana a Milano, ha segnato un discrimine tra prima e poi, Dogliotti, non concorda su di esso come momento di “perdita dell’innocenza” da parte dei gruppi extraparlamentari. L’Autrice evidenzia così l’impossibilità di distinguere nettamente tra violenza difensiva e violenza offensiva, osservando che “pacifismo e fascinazione per la violenza” convivono nel movimento di “contestazione”, come si può notare nelle imponenti manifestazioni connotate da pratiche non violente ma anche dalla “fascinazione estetica per la figura del guerrillero di cui Ernesto Che Guevara costituisce l’esempio più famoso”, sebbene si tratti “principalmente di una violenza teorizzata, propagandata e celebrata, ma non agita”. In definitiva, dice Dogliotti: “Proprio nell’opposizione tra la presa di parola, tratto caratterizzante il Sessantotto e il movimento da esso scaturito, e la sconfitta della parola, insita nelle pratiche armate della stagione successiva, si misura tutta la distanza tra i due fenomeni”.
Sul Sessantotto e i terrorismi riflette Giovanni Gozzini10, il quale, innanzitutto, mette in evidenza la difficoltà di dare una definizione scientifica del fenomeno. Secondo un filone interpretativo largamente passato nel dibattito degli storici italiani ci sarebbe un passaggio “Da una contrapposizione tra l’iniziale spirito ribelle ma pacifico della contestazione e la susseguente degenerazione settaria violenta dei gruppi organizzati”. Ma l’Autore ritiene che occorra essere molto puntuali nella declinazione del “repertorio delle forme di azione dei movimenti di massa” e gli attentati terroristici, per cui “Sarebbe un grave errore disporle su un piano inclinato senza rotture di continuità”. L’ultimo gradino, quello degli indagati per fatti di sangue legati al terrorismo, è costituito, infatti, in Italia, da poco più di quattromila persone. D’altra parte, è, a parere di Gozzini, assai debole l’interpretazione secondo la quale “Il terrorismo nasce in Italia dalla necessità di proteggere i movimenti di massa e la prospettiva rivoluzionaria dalla reazione violenta degli avversari”. La tesi del nesso inverso tra Sessantotto e terrorismi non regge né in una prospettiva di storia comparata né per l’Italia, nella quale ultima, peraltro, non c’è solo una risposta repressiva da parte del sistema, basti pensare alle numerose riforme sociali, (tra esse, lo Statuto dei lavoratori del1970) e a quelle in ambito civile, riforme quantitativamente mai approvate prima in così gran numero dal Parlamento italiano. In realtà, il fenomeno terroristico è molto complesso, e configurabile come “Una propaggine estrema del ciclo della soggettività che il Sessantotto catalizza: la idea che il singolo possa cambiare la storia, quasi anche da solo”. E per singolo si intendono anche i piccoli gruppi, cui appartiene la maggior parte delle azioni terroristiche avvenute tra 1968 e 2007 in un campione di 15 paesi, su cui hanno evidentemente incidenza anche fattori di globalizzazione culturale, che diventano veri e propri paradigmi. In questo senso: “I terrorismi hanno una loro storia autonoma che deve essere ricostruita”. Il terrorismo va insomma vista come fenomeno ciclico nell’ambito della storia umana. In conclusione, Gozzini dice che la domanda giusta da porsi sul Sessantotto è perché la maggior parte dei giovani, compresa la “Piccola minoranza mobilitata nei movimenti di massa e coinvolta nel culto ideologico della violenza, non ha seguito il terrorismo, e a tale domanda possono risultare diverse le risposte”.
Parla della contestazione dei cattolici Alessandro Santagata11, il quale circoscrive i termini temporali di essa tra due eventi, da un lato, a monte, il Concilio Vaticano II e, a valle, il Sessantotto, individuandone, per l’Italia, il carattere nettamente politico e il fatto che la contestazione cattolica non sia una semplice sfaccettatura di quella studentesca, ma un fenomeno ben più complesso. A suo parere “Il Concilio aveva fornito le pezze di appoggio tanto ai sostenitori del superamento della concezione neo-medievalista della ‘cristianità’ in favore di una ‘cristianità profana e democratica’, quanto a coloro che intendevano superare anche quello schema e separare definitivamente fede e identità politica”. Il problema andava ben oltre alla questione dell’unità politica dei cattolici, non si trattava infatti di moltiplicare i partiti di ispirazione cristiana ma di superare la figura, ispirata a Maritain, del politico cristiano, perché solo così poteva essere evitata ogni strumentalizzazione della religione da parte della politica e impegnare i credenti, insieme alle altre forze della sinistra, in una rifondazione culturale laica e universale della società. Santagata ripercorre così per l’Italia gli avvenimenti di quegli anni, seguendo più tematiche: quella più propriamente legata alla dimensione politica delle elezioni, quella riguardante le associazioni cattoliche e i così detti “gruppi spontanei”, il cammino delle ACLI. Il Sessantotto è stato, per tale complesso fenomeno, un momento di accelerazione ma anche di trasformazione, e, per certi aspetti, di rottura. Nascono così i “gruppi spontanei”, presenti soprattutto nell’Italia centro-settentrionale, che dibattono sul rapporto tra identità religiosa e appartenenza alla sinistra, contestando abbastanza rapidamente quest’ultima, per approdare all’idea di una “nuova sinistra”, pur mantenendo salde radici nel campo cattolico, come ben emerge dalle denominazioni assunte dai gruppi stessi (Maritain, Mounier, don Milani, Persona e comunità, Esprit).
Secondo l’Autore, a unificare le esperienze della contestazione cattolica a livello globale, c’erano almeno due immaginari, quello del ‘68 e quello del cristianesimo dei poveri e della pace, compresa la penetrazione delle teologie latino-americane. In tale ambito si affacciavano anche tematiche del tutto nuove, come quella della sessualità e della pillola anticoncezionale. In definitiva, secondo Santagata, “La contestazione dei cattolici è stata nella sua durata medio-lunga anche una delle sfaccettature del ’68, di cui condivideva la ricerca di un orizzonte politico nuovo e di una nuova società. Non per un’altra Chiesa, ma per una ‘Chiesa altra’”.
Riflette sul Sessantotto, su Marx, su Raniero Panzieri e sul ritorno al Capitale, Alfonso Maurizio Iacono12 ponendo l’importanza della “Ripresa de Il Capitale in un contesto come quello italiano nel biennio ’68-’69, un fenomeno particolarmente significativo a Pisa che si caratterizzò, a differenza di altre università e di altre città italiane e non solo italiane, quasi da subito e propriamente per l’attenzione politica verso la centralità della fabbrica e del lavoro operaio”. Iacono individua i tratti precorritori di Raniero Panzieri e degli intellettuali che egli raccolse intorno a sé nell’ambito della rivista “Quaderni rossi”, dicendo che essa ebbe il merito di condurre un’analisi del capitalismo italiano molto diversa da quella della sinistra italiana, avendone rilevato i caratteri di vero e proprio “neocapitalismo”, compresi gli effetti derivanti da ciò.
Secondo Iacono, fu la ricerca di Panzieri che costrinse tutti a rileggere non solo il Marx dei Manoscritti o dell’Ideologia Tedesca, ma quello de Il Capitale. Panzieri pensava che il capitalismo italiano non fosse infatti “straccione”, come lo definiva la sinistra dell’epoca, ma forte e pianificatore, e che ciò avesse conseguenze enormi sul piano teorico, per cui il rapporto ricchezza-povertà non andava più posto sul piano diacronico del prima e del poi, essendo del tutto coessenziale. Non solo, Panzieri si occupava in modo nuovo del rapporto tra partiti e organizzazione politica. È vero, dice Iacono, che, a partire dagli anni ’80 del Novecento cambia tutto e non esiste più la centralità della fabbrica, ma questo non significa non riconoscere a Panzieri l’importanza di un ritorno a Marx, contro ogni forma di marxismo revisionista o stalinista. Non solo, del pensiero di Panzieri rimangono, attualissimi, alcuni aspetti, tra essi il richiamo al Marx della IV Sezione de Il Capitale. Il limite di Panzieri sta, sempre a parere di Iacono, nell’individuare lo Stato come pura emanazione della pianificazione, non esistendo né una pianificazione totale né un’anarchia pura. Attuale è inoltre Panzieri per la questione inerente al rapporto tra dirigenti e diretti, nell’ambito di un’azione politica intesa come globalità.
La conclusione dell’Autore è che, se c’era un’istanza potente nel Sessantotto, essa era quella di un’altra democrazia, insomma, il richiamo a una democrazia diretta, oggi più che mai esorcizzata, visto che quella attuale “È una democrazia fondamentalmente oligarchica, teorizzata come tale e non lo è diventata casualmente”. In una postilla finale, Iacono riprende alcuni spunti da testi di Nicola Badaloni, con riferimento, tra gli altri, a Il marxismo di Gramsci del 1975, in cui Badaloni denota, da un lato, l’attrazione intellettuale di Gramsci per George Sorel, e, dall’altro, il fatto che poi Gramsci si volgesse all’elaborazione dei concetti di direzione consapevole, egemonia, rivoluzione passiva, con l’inserimento dello spirito di scissione. E Iacono, riferendosi alla propria esperienza di studente a Pisa, osserva che è forse proprio ciò che, a quel tempo, egli stesso, allora studente, e gli studenti come lui, chiedevano, quando rivendicavano l’importanza della rottura nella storia.
Secondo alcuni studiosi, conclude Iacono, la storia dei partiti di massa era iniziata nel 1848 e si era conclusa nel 1968, mentre “Badaloni sperava ancora che il ’68 non avesse segnato tale fine, ma anzi quasi l’inizio. Non è andata così”.
Massimo Cappitti sottolinea la comunanza di tematiche tra Günther Anders e il Sessantotto13, mettendo in evidenza anche come, in realtà, sia però mancata una collaborazione assidua, quale ci si sarebbe attesa, tra il filosofo tedesco e il movimento. Anders ironizza infatti su una serie di aspetti che caratterizzano il movimento pacifista, al quale lui stesso aveva partecipato, definendo illusorio donare fiori ai poliziotti, insulsa la pratica del digiuno, mentre va invece ripensato l’uso della forza. Dice tuttavia Cappitti che dalle riflessioni di Anders non si può trarre indicazioni per una politica significativa, perché il suo obiettivo è quello di sconcertare, suscitare angoscia per farci confrontare con un presente tragico, in cui il problema non è quello di un buono o di un cattivo uso della tecnica, poiché è proprio la tecnica che grava sul mondo e sull’uomo. Il mondo è infatti permeato da un totalitarismo morbido che rende superfluo l’uomo, il quale collabora spesso, entusiasticamente, alla spoliazione di se stesso. Infatti, all’uomo viene offerto un mondo già interpretato, da cui non può derogare, in cui il regime totalitario mostra un sembiante bonario, ma, proprio perciò, è tanto più feroce. I soggetti, modellati dal totalitarismo, nel tempo libero, hanno, a causa dell’industria culturale, paradossalmente, una libertà minore di quella di cui godono nel tempo di lavoro. Insomma, gli individui vengono plasmati in tutto, anche riguardo alla parola per dire il mondo che a essi è offerto, già spiegato.
Si sofferma sulla cultura comunista, caso italiano, democrazia di massa Luca Basile14, il quale, richiamando un libro-intervista di Pietro Ingrao a Nicola Tranfaglia, sottolinea: “L’idea è che la data periodizzante del ’68 se, per un verso, avvia un ciclo di lotte destinato ad essere definitivamente ‘battuto’ colla conclusione del decennio Settanta, per un altro, in effetti, coagula al culmine domande e spinte innovatrici sedimentate con la prima affermazione del ‘neocapitalismo’ che non troveranno mai sbocco in una soggettività storico-politica trasformatrice davvero all’altezza delle sfide squadernate. Il ’68, potremmo dire, ‘apre’ e ‘chiude’. Apre un processo -poi interrotto alla fine del decennio successivo- di appropriazione della ‘democrazia di massa’, ma volge anche subito verso il graduale indebolimento della forza e della produttività di alcune istanze sociali introdotte dalla stessa ‘contestazione’ e dal ‘sindacato dei consigli’”.
Su tale base l’Autore imposta un’ampia analisi concernente una serie di nodi: il rapporto tra PCI e “contestazione”, il fatto che da parte di quest’ultimo non sia stata però acquisita, in tutta la sua portata storica, la critica della democrazia per una modernizzazione di essa, riconoscendo tuttavia in Pietro Ingrao uno dei pochi dirigenti comunisti “Autenticamente legati alla lezione gramsciana, che intorno alla saldatura fra la stagione dei conflitti post ’68 e democrazia di massa aveva incentrato il proprio contributo, e che nel ’76, in virtù del nuovo clima era stato eletto presidente della Camera”, mettendo in luce come proprio Ingrao riflettesse “Sulla necessità di superare la ‘separatezza’ delle forme della politica” fissando nell’ampliamento e rafforzamento della trama delle assemblee elettive il primo precipitato dello sforzo in tal senso”. Secondo Basile l’approfondimento teorico forse più stimolante della linea accennata da Ingrao è da vedersi in uno dei maggiori esponenti del marxismo neogramsciano della così detta “scuola di Bari”, cioè Biagio De Giovanni e nel libro-manifesto del 1973 Mezzogiorno e intellettuali. Tuttavia, secondo Basile, il PCI mancò di “Fare tesoro di simili spunti, attardato su una visione ‘catastrofista’ dei cambiamenti in corso”, persistendo nel richiamo alla priorità del ruolo assoluto della classe operaia e nella tendenza a privilegiare l’autonomia del piano politico, commisurando ad esso il proprio ceto dirigente. Si era insomma esaurita, secondo l’Autore, la sintesi culturale operata da Togliatti. Si verificò quindi un vuoto teorico in cui il PCI si trovò stretto tra sconfitta di fatto del dialogo con la DC, causata dal rapimento Moro, l’accumulo di aspettative tradite e l’incapacità di cogliere i segni ormai maturi della crisi del welfare nazionale.
Riflette sulle ragioni di un movimento e su quelle della sua sconfitta Marcello Montanari15, Il quale, richiamando sia quanto detto da Paolo VI, il quale pronuncia nel 1978 l’omelia per Aldo Moro, sia lo stesso Aldo Moro nel suo discorso al Consiglio Nazionale della DC del 21 novembre 1968 e poi all’XI Congresso della DC, richiama la drammaticità dei tempi, individuata dal Papa e da Moro, in un processo di secolarizzazione che mette in discussione le fondamenta stesse della vita sociale. Secondo Montanari dal discorso di Moro si può ricavare che, se la secolarizzazione è segno della perdita dell’Autorità come Verità, questa presenza della Verità può esser ricostruita non attraverso la militarizzazione della Chiesa, non attraverso una politica-potenza, ma solo attraverso una democrazia partecipativa. E proprio a quest’ultima, osserva l’Autore, aspirano i movimenti giovanili dell’epoca che vogliono espandere la vita democratica attraverso la crescita e la diffusione delle facoltà di governo. Ma, secondo Montanari, è proprio l’idea di una democrazia partecipativa che impaurisce le classi dominanti. Insomma, Aldo Moro ritrova nel ’68 non una critica della cultura e della scienza ma le potenzialità di una riforma dei saperi, tematiche che riguardano il governo e la crescita della democrazia nella società industriale e di massa. Proprio perciò la figura sociale dello studente risulta essere rilevante e significativa, anche se l’interrogarsi su tale novità si interruppe, come dice Guido Crainz, richiamato da Montanari, travolto da una politicizzazione estrema che ridusse i conflitti a vecchi schemi.
Secondo l’Autore, infatti, la cultura dominante dei molti gruppi politici minoritari che animarono il post ’68 era la visione della centralità della classe operaia e della classe come soggetto precostituito rispetto allo stesso meccanismo di riproduzione capitalistica. Ma la stessa risposta del PCI, il quale aveva a sua volta un orizzonte operaista, fu debole. Da qui l’interrogarsi dubitativo del PCI sulla figura dello studente, e se essa fosse morfologicamente assimilabile a quella dell’operaio. Accadde così che anche nel movimento degli studenti prevalesse un’ideologia operaista. E questo successe perché la cultura del PCI era ancora quella della centralità della fabbrica, non riuscendo a capire che nella società dei consumi il problema dell’egemonia si giocava ormai su come e che cosa consumare. La domanda di nuova democrazia e di una democratizzazione dei saperi non fu perciò intercettata, o venne vista in modo riduttivo. Il movimento studentesco denunciava il fatto che il nodo era quello della riforma dei saperi, il ’68 poneva dunque il problema di una democratizzazione dello Stato, ponendosi come momento conclusivo di un cammino iniziato con la Costituzione. La posta in gioco dimostra le responsabilità di chi, nei Partiti di sinistra, non seppe comprenderla, e di chi, nelle organizzazioni minoritarie, volle spingere il movimento verso una ideologia rivoluzionaria. La secolarizzazione poteva essere combattuta attraverso una riforma dei saperi che il movimento operaio, però, non seppe cogliere e nemmeno lo fecero i movimenti giovanili, dimostrandosi troppo poco gramsciani.
Guido Viale16 osserva che, riguardo a quanto ha già scritto in due suoi libri precedenti, il primo17 uscito nel 1978 e poi variamente ristampato, anche in tedesco, il secondo18 uscito in due edizioni, ha ben poco da aggiungere, sottolineando come il ricorso alla memoria individuale per interpretare i fatti sia irrinunciabile, e riconoscendo tale caratteristica al libro Le ragioni di un decennio di Giovanni De Luna.
A parere di Viale, dopo la fine del ’68 si sono contrapposte due interpretazioni: una che lo vedeva come l’ultima manifestazione di un’epoca ormai trascorsa di stampo otto-novecentesco, caratterizzata da grandi soggetti collettivi e ideologie, l’altra che individuava in esso la prima manifestazione di una nuova era, con l’irruzione sulla scena della rivolta degli studenti, la figura del lavoratore della conoscenza, il cognitariato (proletariato della conoscenza), insomma, il così detto neo operaismo, dapprima dissolto nella Rete e poi nel magma indifferenziato della moltitudine. A parere dell’Autore, in ambedue le interpretazioni c’è un nucleo di verità, ma anche molte cose sbagliate che possono essere messe in luce interpellando i protagonisti. Sicuramente l’eclisse, cui è soggiaciuta la memoria del ’68, è dovuta alla dissoluzione di molte certezze del movimento stesso operata dal femminismo, che aveva svelato la componente maschilista e i presupposti patriarcali di esso. Ma la causa principale che ha fatto dimenticare il ’68 è il suo limite intrinseco: stava velocemente prendendo corpo un’epoca caratterizzata dal rapido deterioramento dell’ambiente e dalla troppo lenta coscienza di quel processo. Il ’68 non è stato insomma ecologista, anche se in quegli anni il pensiero ecologista compiva importanti passi.
Il ’68, in Italia e altrove, è limitato a un orizzonte antropocentrico e androcentrico, in un quadro fondamentalmente sociale, sebbene notevoli fossero le analisi che, rivolte al Sé, erano applicabili alla vita quotidiana di tutti, prima ancora che lo facesse il femminismo. In tale ambito secondo l’Autore “Il marxismo c’entra poco. C’entra l’antipsichiatria di Ronald Laing e David Cooper e soprattutto la psichiatria di Franco Basaglia. C’entrano, specie il Germania, le ricerche della Scuola di Francoforte sulla personalità autoritaria, anche se poi era toccato ai suoi autori, Adorno e Horkheimer, che non avevano saputo riconoscere nel movimento un frutto delle loro ricerche, fare da bersaglio alla contestazione studentesca” mentre aveva visto, a ragione, nel movimento degli studenti un inveramento delle sue elaborazioni, l’Herbert Marcuse di Eros e civiltà e di L’uomo a una dimensione. Occorre anche pensare, quali fonti, a Rudi Dutschke, alla poetica beat giunta dall’America, al rifiuto di andare combattere in Vietnam, ma anche alle pubblicazioni dell’Internazionale situazionista, che avrebbe ispirato la rivolta del campus francese di Nanterre. C’entrava, inoltre, un lungo lavorio in campo pedagogico, quello don Milani (Lettera a una professoressa) e di Paul Freire (La pedagogia degli oppressi).
Viale nega recisamente ogni contiguità tra il narcisismo competitivo e i movimenti del ’68 perché il primo nasce dall’affossamento del valore della cooperazione su un piano paritario, quella sorta di Felicità pubblica, definita da Hannah Arendt “Un momento magico in cui sembra che la liberazione individuale coincida con quella collettiva”, che invece fu tipica del ’68.
E comunque, poiché l’interno dei movimenti era famiglia, scuola e, per molti, la religione, proprio perciò quegli anni non possono essere ricondotti all’orgia di ideologia “marxista-leninista”, spesso tradotta in forme grottesche, da quelle assimilabili al libretto delle Guardie rosse, a ritratti di Stalin portati in processione. Il vero sostrato era dato dalla ribellione: gli studenti non erano spinti né dal partito né dall’ideologia né dalla storia, ma dal bisogno di prendere le distanze dall’autorità, della famiglia e della scuola, per costruire una vera fratellanza e sorellanza con i propri coetanei e coetanee. L’esterno del movimento aveva un alto e un basso. Il primo era la struttura classista della società, di cui scuola e università erano anticamera, e che andavano destrutturate con una lunga marcia attraverso le istituzioni, una presa di posizione antigerarchica. Il basso era la classe operaia e le lotte operaie, le quali avrebbero beneficiato di tale critica. Un seguito delle rivolte studentesche fu infatti la mobilitazione degli operai in fabbrica ritrovabile in più Pesi. E proprio ciò indusse il capitalismo a procedere nello sviluppo della fabbrica diffusa e nella fondazione della Trilateral, una rete di uomini più addentro al potere, nei tre gangli di esso all’epoca (USA, Europa e Giappone), per dare vita alla rivoluzione neoliberista.
Ma se il ’68 è stato una rottura della normalità, cioè di quello che viene chiamato sviluppo, ormai non si può prescindere dalla crisi ambientale e climatica che mette in forse il futuro di tutti. Vanno perciò riconsiderati i termini della lotta antiautoritaria, non può esserci emancipazione sociale senza la possibilità che i cicli fisici e biologici su cui si regge la vita di questo pianeta si riproducano e si rigenerino. “Ai binomi comandare e ubbidire, o oppressi e oppressori, tutti interni all’universo dei soli rapporti tra gli esseri umani sullo sfondo di una ‘natura’ inerte’, che non partecipa al conflitto, si dovranno sostituire binomi come dominare e subire, ovvero devastare e soggiacere…”, dunque, una visione ben più ampia.
Note
1 Svoltosi alla Spezia il 25 e 26 marzo 2022, per iniziativa dell’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea e dell’Associazione Culturale Mediterraneo,
2 G. Pagano, M.C. Mirabello, Un mondo nuovo, una speranza appena nata. Gli anni Sessanta alla Spezia ed in provincia, vol. I, Dai moti del 1960 al Maggio 1968, Edizioni Cinque Terre, La Spezia, 2019; vol. II, Dalla Primavera di Praga all’Autunno caldo, Edizioni Cinque Terre, la Spezia, 2021.
3 La pluralità di essi è ben connotata nella seconda parte del titolo: “Appunti sul Sessantotto”.
4 V. Nota 2.
5 Quanto il concetto di “prisma spezzino” sia difficilmente riducibile a un ambito meramente locale, è ben deducibile dal complesso materiale di due archivi, quello di Giuliano Giaufret e quello di Ganluca Solfaroli, che hanno costituito una importante documentazione per il libro di Giorgio Pagano e Maria Cristina Mirabello citato alla Nota 2. Tali archivi, successivamente acquisiti, per liberale dono dei proprietari, dall’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, sono visibili, come titoli e contenuti di massima, al seguente link: www.isrlaspezia.it/altri-archivi/.
6 Gli anni Sessanta e il “Sessantotto degli inizi”, pp.15- 33.
7 Il contesto internazionale del Sessantotto, pp. 35-59.
8 “Lungo” Sessantotto e “Post-“Sessantotto, pp. 61-71.
9 Perdere la parola. La violenza politica e il Sessantotto, pp. 73-81.
10 Sessantotto e terrorismi, pp. 83-95.
11 La contestazione cattolica tra Vaticano II e Sessantotto, pp. 97-106.
12 Il Sessantotto e Marx. Raniero Panzieri e il ritorno a Il Capitale, pp. 107-117.
13 Günther Anders e il Sessantotto, pp. 119-123.
14 L’onda lunga del Sessantotto. Aspetti del dibattito su cultura comunista e “contestazione”, “caso italiano” e democrazia di massa, pp.125- 141.
15 1968. Le ragioni di un movimento. Le ragioni di una sconfitta, pp.143- 153.
16 Condivisione versus gerarchia. L’antiautoritarismo, nucleo duro del sessantotto globale, pp. 155- 169.
17 Il Sessantotto-Tra rivoluzione e restaurazione.
18 Con due titoli diversi: A casa. Una stori irritante; Giorno dopo giorno-50 anni di nuovi inizi.
La scelta di tradurre in fumetti le tante storie rintracciabili nelle vicende della IV Zona Operativa1 è la finalità del progetto ideato da ISRSP e realizzato nel periodo ottobre 2023 – marzo 2024 grazie all’interesse del Dirigente USP – La Spezia e alla disponibilità dei Dirigenti Scolastici dell’I.I.S.S. “L.Einaudi-D.Chiodo” – Indirizzo grafica (prof. Emilio Di Felice), dell’I.T.C.T. “A.Fossati-M.Da Passano” – Indirizzo grafica e comunicazione (prof.ssa Paola Leonilde Ardau) e dell’I.S.S. “V.Cardarelli” – Liceo Artistico (prof.ssa Sara Cecchini), che hanno aderito al percorso formativo, su delibera dei rispettivi Collegi Docenti e Consigli di Istituto.
Il progetto è a cura di:
Fondazione ETS ISRSP
(Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea)
I.I.S.S. “L.Einaudi-D.Chiodo” – Indirizzo grafica
I.T.C.T. “A. Fossati-M.Da Passano” – Indirizzo grafica e comunicazione
I.S.S. “V .Cardarelli” – Liceo Artistico.
Le/I docenti e le studentesse/gli studenti che hanno partecipato all’opera:
I.I.S.S. “L.Einaudi-D.Chiodo”: prof.ssa Simona Mori, prof.ssa Maria Pezzuto, prof.ssa Angelica Frugis; studenti: Anna Airaghi, Gianluca Broccini, Yassine Essaid, Greta Martina Ferdinandi, Sara Sadia Houmine, Sara Martini, Verona Meshi, Giada Perricone, Ersida Prushi, Karem Serva, Sabrina Tonarelli, Francis Ken Tulipas,Tiziano Tuvo, Sebastiano Vitali Lorenzini.
I.T.C.T. “A.Fossati-M.Da Passano”: prof. Maurizio Fiorillo, prof.ssa Giorgia Santi, prof.ssa Marta Borsi; studenti: Sofia Bonni, Emma Martinelli, Leonardo Rubini.
I.S.S. “V.Cardarelli” (Liceo Artistico): prof. Nicholas Lucchetti, prof.ssa Linda Ferravante; studenti: Connor Aquilano, Emma Borsetto, Gaia Callegher, Francesca De Matteis, Alessandra Laurencigh, Orielvy Moronta, Giorgia Pulinas, Viola Signoriello, Zoe Venturini.
La stesura delle storie ha visto la preziosa supervisione di Francesco Frongia, esperto fumettista, che ha tenuto, tra ottobre e marzo, dieci lezioni alla presenza di tutte le parti coinvolte così da mettere in grado, sia i propositori, sia gli attuatori, di capire meglio la tecnica e le ragioni del fumetto, e per facilitare la realizzazione delle trame selezionate.
Abbiamo aggiornato la pagina relativa all’iniziativa, per permettere a tutti di avere un’anteprima della storia a fumetti realizzata.
Venerdì 19 Aprile 2024, ore 16,30
Auditorium Biblioteca Civica “P.M. Beghi”, La Spezia
Presentazione dell’e-book Sentieri di Libertà, storie a fumetti
Intervengono:
Pierluigi Peracchini,
Sindaco del Comune della Spezia
Giulia Crocco,
Ufficio Scolastico Regionale per la Liguria, Dirigente Ambito territoriale La Spezia
Patrizia Gallotti,
Presidente ISR La Spezia
Sarà presente il gruppo di lavoro:
esperti ISRSP,
esperto fumettista,
docenti e ragazze/i delle Scuole partecipanti:
ISS Cardarelli, ISS Einaudi-Chiodo, ITCT Fossati-Da Passano
La Fondazione ISRSP insieme a ARCI La Spezia, ARCI Canaletto e Archivi della Resistenza, presenta la tappa spezzina del Festival Fact Checking, giunto alla sua terza edizione:
Lunedì 15 Aprile, ore 17:00, presso il Circolo ARCI Canaletto,
via Giovanni Bosco, 2 alla Spezia
Chiara Colombini, autrice di “Storia passionale della guerra partigiana” (Laterza 2023) e di “Anche i partigiani però…” (serie “Fact Checking”, Laterza 2021).
Dialoga con
Annalisa Coviello, giornalista ed Emanuele De Luca, Archivi della Resistenza.
Interventi di
Patrizia Gallotti, Presidente di Fondazione ISRSP e Nicola Pedretti, Presidente Arci Canaletto.
Dal 11 al 15 aprile il “Festival Fact Checking in tour” porta i libri della collana, diretta da Carlo Greppi, in giro per la Toscana e la Liguria di Levante. La rete nasce dalla libreria Lo Spazio Pistoia, ideatrice del progetto con l’Istituto storico della Resistenza di Pistoia, e la collaborazione della libreria Nina di Pietrasanta e Archivi della Resistenza.
Nelle province di Massa Carrara e La Spezia il progetto si sviluppa in collaborazione con ANPI, ARCI, gli Istituti storici della Resistenza ISRA Pontremoli e Fondazione ISR La Spezia, il Museo audiovisivo della Resistenza, il Circolo Pertini, le librerie indipendenti e le scuole del territorio.
Info 353 411 8722 o arci.circolocanaletto@gmail.com
Mercoledì 17 Aprile 2024 ore 17
Centro studi “Memoria in rete” , Via G.B.Valle 6, La Spezia
Marco Cerri, autore di La pastasciutta dei Cervi. Fame, dono e sfida antifascista in una festa del luglio 1943 (Viella Editrice, 2023)
Dialoga con Annalisa Coviello, giornalista.
All’indomani del 25 luglio 1943, la destituzione di Mussolini venne salutata con forme di distruzione simbolica del regime fascista (abbattimento di busti e statue del duce, cancellazione delle scritte murali, saccheggi delle sedi fasciste, falò purificatori, ecc.). I sette fratelli Cervi, insieme agli antifascisti del loro paese, portarono invece in piazza due bidoni del latte, ricolmi di pastasciutta; proposero, cioè, un banchetto collettivo all’interno del quale, senza distinzioni e gerarchie, una comunità avrebbe ritrovato un nuovo senso della propria identità. Alla fine degli anni Ottanta, si ebbe la felice intuizione di riproporre l’antico gesto dei sette fratelli; nel corso degli anni, la festa della pastasciutta antifascista si è diffusa in tutta Italia, fino a diventare una delle manifestazioni più importanti e conosciute dell’antifascismo italiano.
Marco Cerri, di formazione sociologica, da tempo si occupa di storia della Resistenza italiana. Si è già interessato alla vicenda della famiglia e dei fratelli Cervi in una ricerca sulla costruzione del loro mito nell’Italia repubblicana (Papà Cervi e i suoi sette figli. Parole della storia e figure del mito, Rubbettino, 2013).
La Presidente Patrizia Gallotti, la Vice Presidente Maria Cristina Mirabello e tutto l’Istituto augura una Buona Pasqua a tutti.
Il 26 marzo 1944 i tedeschi fucilarono ad Ameglia (La Spezia)1 15 soldati statunitensi catturati nel corso di una missione di guerra.
Dopo 80 anni dall’eccidio ricordiamo brevemente l’episodio2, traducendo il testo, in omaggio alle vittime, anche in lingua inglese.
I soldati statunitensi erano3:
Come si chiamava la missione di guerra di cui i soldati erano stati incaricati, quando avvenne, da chi ebbero tale compito?
La missione si chiamava “Ginny II”4, avvenne in data 22 marzo 1944, su ordine dell’OSS5.
A quale reparto appartenevano i soldati statunitensi? Erano riconoscibili come soldati? Qual era il compito della loro missione?
I componenti del Commando appartenevano tutti all’US Army OSS 2677 Special Reconnaissance Regiment (Company D), vestivano tutti l’uniforme e dovevano interrompere, tra Bonassola e Framura, la linea ferroviaria, strategica per le comunicazioni tedesche e per i rifornimenti alla Linea Gustav.
Quando e con quale mezzo arrivarono? Come era stato programmato il loro arrivo e il loro rientro?
Arrivarono dalla Corsica, a bordo di motosiluranti6, nella notte del 22 marzo 1944, e, tramite tre gommoni, sbarcarono sulla spiaggia, tra Bonassola e Framura; dopo il sabotaggio, per il ritorno, da attuare sempre a bordo dei gommoni, sarebbero stati attesi dalle stesse motosiluranti.
Che cosa successe realmente?
Il punto di sbarco risultò diverso da quello previsto, e molto lontano dal punto del sabotaggio, i contatti “in loco” non si attivarono subito, le motosiluranti, che avrebbero dovuto all’occorrenza recuperare i soldati, non poterono farlo per sopravvenute difficoltà, ed essi dovettero nascondere, con problemi, tutto il loro materiale, compresi i gommoni, trovare un rifugio e, poiché non era previsto che rimanessero lì, cercare anche del cibo. Un ragazzo del luogo li aiutò ma, purtroppo, un altro abitante avvertì il posto di guardia fascista e i 15 militari statunitensi vennero fatti prigionieri.
Questo successe il 24 marzo 1944.
Che cosa accadde nell’intervallo di tempo tra la loro cattura e la fucilazione?
Brevemente interrogati a Bonassola, furono poi portati alla Spezia, dove subirono veri e propri interrogatori da parte di ufficiali tedeschi che sapevano la lingua inglese. Ciò avvenne a Carozzo, presso il Comando della 135° Brigata da Fortezza agli ordini del Colonnello Kurt Almers. Egli trasmise la notizia al suo superiore generale Anton Dostler del LXXV Corpo d’Armata. Dostler informò, a sua volta, il Comandante supremo tedesco in Italia, Feldmaresciallo Albert von Kesselring, ricevendo, secondo la testimonianza resa successivamente dallo stesso Dostler, l’ordine di fucilarli, sulla base dell’ordine del Führer per l’eliminazione dei Commando catturati dietro le linee. E così accadde, sebbene Kurt Almers avesse tentato, in data 25 marzo 1944, di far annullare a Dostler l’ordine di esecuzione.
Quando e dove avvenne la loro fucilazione?
I 15 militari statunitensi furono portati ad Ameglia, dove vennero fucilati in località Punta Bianca, all’alba di domenica 26 marzo 1944, senza alcun processo, forse alla presenza della popolazione, e poi sepolti in località isolata di quel territorio.
Dopo la guerra, qualcuno ha pagato per la loro morte?
Il Generale Anton Dostler fu processato a Caserta7 da un tribunale alleato per crimini di guerra e condannato a morte, sentenza eseguita mediante fucilazione ad Aversa il 1° dicembre 1945. Non fu possibile, in quel contesto, dimostrare la responsabilità di Albert von Kesselring riguardo ai fatti, sebbene, all’epoca di essi, egli si trovasse, come accertato in seguito, addirittura in Liguria.8
Note
1 Nel Comune di Ameglia esistono più targhe in memoria della fucilazione (luogo), del loro seppellimento (luogo) e una in ricordo dell’episodio (con tutti i nomi dei 15 soldati).
2 Numerosi sono coloro che si sono interessati all’eccidio nel corso degli anni. Tra essi, Maurizio Fiorillo, che compila la scheda “Episodio di Punta Bianca, Ameglia”; Giorgio Pagano, che scrive in data 3 aprile 2022 “Dalla Corsica a Punta Bianca. Il viaggio senza ritorno di 15 giovani” e “Kesserling e le menzogne sull’episodio degli americani a Punta Bianca” in “Ameglia informa”, maggio 2022 e seg..
Sia Maurizio Fiorillo che Giorgio Pagano indicano numerose fonti di appoggio.
Molto articolata e documentata, riguardo allo svolgersi della missione, cattura dei soldati, loro fucilazione e processo relativo alla loro uccisione, è anche la voce relativa su Wikipedia.
3 L’elenco è stato trascritto integralmente dalla Scheda di Maurizio Fiorillo (V. Nota 2).
4 L’impresa era stata già tentata, ma inutilmente, nella notte tra 27 e 28 febbraio 1944 (Missione “Ginny I”).
5 Office of Strategic Services.
6 PT 214 e PT 210
7 Il processo a Dostler viene ritenuto, giuridicamente, l’apripista per il processo di Norimberga.
8 Giorgio Pagano, riprendendo il libro di Sandro Antonini “Generali e burocrati nazisti in Italia:1943-1945” e il saggio “Kesserling, via Rasella e la ‘missione Ginny’” dello storico statunitense Richard Raiben, scrive un articolo sul fatto che, proprio nei giorni della strage, Kesserling era in Italia, anzi in Liguria, e il 24 marzo 1944, alle 10,45 alla Spezia.
(Translated by Tamara Corning and Valerio Martone)
Snippets of history: a few questions and answers to remember a tragic event.
On March 26th, 1944 German soldiers executed 15 American soldiers by firing squad after they were captured during a war mission.
Eighty years after the massacre, we revisit the episode and include the text in English as a tribute to the victims.
The American soldiers were:
What was the name of the war mission to which the soldiers were entrusted? When did it happen? Who gave them this duty?
The mission was called “Ginny II”. It occurred on March 22nd, 1944 under the OSS orders.
What was the military unit of the American soldiers? Were they recognizable as soldiers? What was the final goal of their mission?
All the men of the commando were part of the US Army OSS 2677 Special Reconnaissance Regiment (Company D). All of them wore a military uniform. Their final goal was to blow up the railway line between Bonassola and Framura, which was strategic for both German communications and their supply lines that reinforced the Gustav line.
When and how did they arrive? How was their arrival and return planned?
They arrived from Corsica during the night of March 22nd, 1944, using PT boats. They landed on the beach between Bonassola and Framura using three rubber dinghy boats. After the sabotage, the plan was to use the same means of transport to return.
What actually happened?
They landed in a different place than they had intended to, which was very far from the point of the sabotage. Due to this error, the local contacts did not come to action immediatly. Causing further complications, the PT boats, which the soldiers should have used for their return, couldn’t recover them because of unexpected difficulties. At this point, the American soldiers weren’t where they were supposed to be, so they had to hide all their equipment and find refuge and food. They found help from a local boy, but unfortunately another local inhabitant notified their presence to the local fascist guard post and the 15 American soldiers were taken as prisoners. All of this happened on March 24th, 1944.
What happended in the time between being captured and their executed by firing squad?
After being briefly questioned in Bonassola, they were brought to La Spezia, where they were interrogated by English speaking German officers. This took place in Carozzo, at the command post of the 135th Fortress Brigade, under the command of Colonel Kurt Almers. Almers informed his superior in command, the General of the LXXV army corps, Anton Dostler who in turn informed the supreme German commander in Italy, General Field Marshal Albert von Kesserling. According to the testimony later released by Dostler himself, it was von Kesserling who gave the execution orders, as ordered by the Führer himself for the enemy commandoes caughts behind the lines. Despite the efforts of Kurt Almers to cancel the execution orders on March 25th, 1944, it became a reality.
When and where they were executed?
The 15 American soldiers were brought to Ameglia, where they were executed by firing squad near Punta Bianca, at dawn on Sunday, March 26th, 1944, without a trial, perhaps in the presence of the local citizens, and then buried in an isolated location in the area.
After the war, did anybody pay for their death?
General Anton Dostler was tried in an Allied war trial in Caserta for war crimes and sentenced to death. The sentence was carried out by firing squad in Aversa, on December 1st, 1945. Despite the fact that it was later verified he was in Liguria at the time everything happened, in 1945 it was not possible for the courts to prove any responsibility on the part of Albert von Kesserling.
Note: see the original text in Italian for the bibliography.
Abbiamo più volte ricordato come la Resistenza sia il momento in cui le donne italiane rivelano un protagonismo prima sconosciuto, sebbene luminosi esempi femminili siano ravvisabili anche anteriormente, a livello di lotta per l’emancipazione, per la giustizia, per la libertà.
Senza soffermarci sulla storia generale delle donne italiane, basti ricordare che, nel corso del Ventennio fascista, non tutte le donne chinarono il capo, anzi, molte conobbero la persecuzione politica, la vigilanza continua, l’esilio, il confino, la prigione, incorrendo anche nelle condanne del Tribunale Speciale, e/o furono oggetto di vessazioni, semplicemente perché amiche o familiari di antifascisti.
Sicuramente è però il momento resistenziale a svelare, con più nettezza, il protagonismo femminile, sia a livello di lotta armata che di rete civile clandestina: portaordini, staffette, dattilografe, travestitrici di soldati sbandati nel dramma dell’8 settembre, coadiuvanti di una scelta che implicava, comunque, anche semplicemente proteggendo con il silenzio chi effettivamente cospirava, grossi rischi.
La loro funzione è riconosciuta chiaramente da Antonio Borgatti “Silvio”, membro comunista del CLNp, in molte delle sue Relazioni, nonché nel suo libro, postumo, pubblicato nel 2022, tanto che, tra febbraio e marzo 1945, essendo colpita la rete clandestina da vere e proprie ondate di arresti, egli dice chiaramente che, ormai, può fidare solo sulle donne, meno individuabili sicuramente degli uomini.
Non si può comunque dimenticare che proprio queste ultime furono, in un certo senso, le vere volontarie della libertà, non essendo colpite dai bandi forzati di chiamata alle armi della RSI, ma compiendo dunque una scelta che potevano risparmiarsi, e che, per il genere femminile, si rivelava, in quel contesto, inusuale, oltremodo difficile e pericolosa.
In occasione dell’8 marzo 2024, pensiamo, ripubblicando di seguito la scheda sui Gruppi Difesa della Donna, di rendere un argomentato omaggio a tante donne che hanno fatto la Resistenza spezzina, mettendo direttamente a disposizione del grande pubblico un importante contenuto degli Strumenti, il Lessico della Resistenza spezzina.
Vogliamo infine anche ricordare che, proprio negli scioperi del 1-3 marzo 1944, fu rilevante il protagonismo femminile, sia dei GDD, che di singole donne, ad esempio di Elvira Fidolfi, operaia dello Jutificio Montecatini: faceva parte del gruppo organizzatore della protesta, venne arrestata con la sorella Dora e deportata, non tornando più dal campo di concentramento.
Foto di copertina tratta dall’archivio della rivista Noi Donne.
A cura di Maria Cristina Mirabello
Nel novembre 1943 si incontrano a Milano le comuniste Rina Picolato, Giovanna Barcellona e Lina Fibbi, l’azionista Ada Gobetti e la socialista Lina Merlin per costituire un’Associazione di donne che assista i combattenti per la libertà e sia aperta a tutte le donne intenzionate a lottare per la loro emancipazione, indipendentemente dalla propria fede religiosa o politica. A questo primo nucleo si aggiungono poi anche donne democristiane e il 10 luglio 1944 i Gruppi Difesa della Donna sono riconosciuti ufficialmente dal CLNAI come proprio organo.
I Gruppi Difesa della Donna affiancano quindi la Resistenza su molteplici piani: organizzano infatti scioperi contri i nazifascisti; creano una rete di assistenza solidale alle famiglie dei deportati, incarcerati e caduti; organizzano le proteste contro il caro-vita; propagandano la resistenza ai nazi-fascisti contribuendo a ciò nella vita quotidiana e nelle fabbriche ( per il sabotaggio della produzione di guerra), nelle scuole, nelle campagne (per boicottare la consegna di viveri all’ammasso); si dedicano all’assistenza sanitaria, alla stampa (abbiamo in tale ambito i giornali “La compagna”, “La difesa della donna lavoratrice”, mentre di ispirazione cattolica è “La Fiamma”)[1].
IV Zona Operativa
Va detto innanzitutto che i Gruppi Difesa della Donna si presentano in genere in Liguria come un fenomeno fondamentalmente urbano ma che nel territorio spezzino[2] vedono un radicamento nelle campagne, specie arcolane e sarzanesi.
Per quanto si può capire e ricavare dai documenti di Archivio (scarsi) coevi e dalle testimonianze posteriori si ha un continuo interscambio fra S.A.P., Gruppi Difesa della Donna e Fronte della Gioventù. In un certo senso è come se chi agiva in quel momento avesse di sé l’idea di operare in qualità di appartenente ai Gruppi Difesa della Donna e/o al Fronte della Gioventù, essendo però inquadrato burocraticamente “a posteriori” nei Battaglioni S.A.P. Questa importante notazione esce fuori anche dalla lucidissima e organica testimonianza resa da Anna Maria Vignolini la quale parla, a proposito delle organizzazioni dell’epoca, di un lavoro “artigianale”, cioè poco formalizzato, in cui sicuramente c’erano alcuni elementi-snodo, a conoscenza della rete cospirativa nel suo complesso, ma la maggior parte dei componenti sapeva solo un “segmento” delle strutture, accadimenti e decisioni[3].
E’ indubbio che alcune zone della Provincia presentino nel corso della Resistenza gruppi di donne particolarmente attive, come si può dedurre e dalle testimonianze citate nelle Fonti e da documenti trasmessi. Alla fine di dicembre 1943 esce, ad esempio, in tutta la Val di Magra un lungo volantino in cui sono ripresi articoli de “l’Unità”.
Ad Arcola, da cui proviene Elvira Fidolfi, animatrice insieme alla sorella Dora dello sciopero del 1944 allo Jutificio Montecatini[4], esiste un gruppo particolarmente combattivo di donne, alcune delle quali molto giovani: fra esse si distinguono Laura De Fraia “Franca”, Mimma Rolla “Aura”, Iva Rolla (madre di Mimma), tutte riconosciute nel Battaglione S.A.P. II Zona. Con loro è Paola Toffi (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. II Zona) addetta alla stampa e propaganda (in contatto con Antonio Borgatti “Silvio”, segretario della Federazione Comunista, Maria Roffo (riconosciuta nel battaglione S.A.P. II Zona), Jone Nevia Ricco, incaricata di battere a macchina.
Sempre di questo gruppo fa parte Dina Gattoronchieri, che rimarrà poi uccisa. Con tale consistente nucleo entra per un certo periodo in contatto anche Vega Gori “Ivana” di Vezzano Stazione (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. III Zona), la quale lavora come dattilografa della stampa clandestina, dei documenti P.C.I. e C.L.N., a continuo contatto, per questa mansione e per quella di staffetta porta-materiale, con Antonio Borgatti “Silvio”.
Anna Maria Vignolini “Valeria” (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. Ia Zona) muove le fila delle donne di tutta la variegata area che va da Ortonovo, a Sarzana, a Santo Stefano, Lerici, S. Terenzo, Termo, Limone. Melara, fino alla zona del cimitero dei Boschetti alla Spezia.
La sua opera inizia subito dopo l’8 settembre 1943, quando è incaricata di organizzare gruppi femminili per raccogliere denaro e vestiario, onde dare supporto a nuclei partigiani ai monti, gruppi che solo successivamente si chiameranno Gruppi Difesa della Donna. E’ lei che, nel suo operare, incontra tutta una serie di donne: quelle arcolane citate più sopra, specie Laura De Fraia e Mimma Rolla, ma si reca anche molte volte a casa di Vega Gori a Vezzano Stazione per insegnarle, fra l’altro, a scrivere a macchina in grande, tramite l’uso ripetuto delle X, le testate della stampa clandestina.
I compiti svolti dalle donne, deducibili dalla testimonianza di “Valeria” e dalle testimonianze citate nelle Fonti, sono molteplici: da quelli, più legati al ruolo femminile, del lavoro a maglia e del ricamo e cucito per le uniformi partigiane e bandiere a quelli di supporto alla così detta “resistenza civile”, fino a quelli che traguardano livelli di rischio ben più elevati, e comunque più lontani dalla tradizionale immagine femminile: si va così dal fare le scritte sui muri, alla battitura a macchina di documenti delicatissimi del C.L.N. e del P.C.I., della stampa clandestina (specialmente “l’Unità” e “Noi Donne”), al trasporto e diffusione di materiale clandestino (talvolta anche armi), al mantenimento dei contatti fra le varie zone della città, della montagna e, in taluni casi, fuori La Spezia.
Ha compiti di questo tipo ad esempio Rina Gennaro “Anna”[5] (riconosciuta nel Battaglione S.A.P. IV Zona, v. Fonti): “Anna”, membro per un certo periodo del Comitato federale del P.C.I., funge da staffetta in provincia ma si reca anche a Genova (con lei ha un fitto scambio di materiale alla stazione FF.SS. di Sarzana sempre Anna Maria Vignolini). Tutte le donne nominate ed in genere i Gruppi Difesa della Donna ruotano nell’area del Partito Comunista[6].
Particolarmente rimarchevole è il ruolo dei Gruppi Difesa della Donna nella preparazione e supporto dei grandi scioperi del marzo 1944 che, diretti e voluti dal C.L.N.A.I. si diffondono nel Nord Italia, interessando le industrie spezzine e segnando un punto di svolta notevole a livello di Resistenza (e di repressione di essa).
I Gruppi Difesa della Donna offrono un notevole supporto al grande sciopero delle fabbriche spezzine in generale, sostenendo e partecipando in modo attivo particolarmente alla dura e coraggiosa lotta condotta dalle operaie dello Jutificio “Montecatini”.
E tuttavia le donne dei G.D.D. non operano solo in appoggio ad azioni decise da altri, cioè da organismi esterni rispetto ai Gruppi, ma arrivano anche a promuovere azioni autonome, che le vedono protagoniste a tutti gli effetti della lotta.
Ad Arcola, ad esempio, esse pensano, vogliono e gestiscono in proprio una manifestazione per ottenere derrate alimentari. La protesta si articola in due fasi: la prima, meno partecipata, avviene il 12 febbraio 1945, la seconda, di fronte al Palazzo Comunale, il 15 febbraio 1945: in quest’ultima circa 300 donne, fra arcolane e sfollate, ottengono pieno successo, tanto che riescono pienamente nel loro intento di far distribuire pane e zucchero.
Dalla lettura delle testimonianze e dai documenti d’archivio (pochi) rimasti, si ricava comunque, cosa già detta alla nota 2, ma che è utile sottolineare, un continuo interscambio fra S.A.P., Gruppi Difesa della Donna e Fronte della Gioventù.
Sintesi della conversazione tra M. Cristina Mirabello e Anna Maria Vignolini “Valeria” nella sua casa sarzanese, il giorno 23 novembre 2015. Tale sintesi va vista come integrativa e non sostitutiva delle altre importanti testimonianze da lei rilasciate in passato e citate nelle Fonti.
Anna Maria Vignolini “Valeria”, nata nel 1923, è forse la donna il cui nome ricorre più frequentemente nei documenti di Archivio e nelle pubblicazioni sulla IV Zona Operativa, pur essendosi ella mantenuta piuttosto defilata rispetto alle occasioni pubbliche in cui negli ultimi anni si è parlato di Resistenza, tanto che, ad esempio, è decisamente poco ritrovabile nella Rete e quindi nella comunicazione on line.
La sua importante vicenda resistenziale parte prima del 25 luglio 1943 e matura definitivamente nel contesto dei drammatici fatti dell’8 settembre 1943.
Nata e cresciuta in una famiglia di sentimenti antifascisti, dopo essersi diplomata maestra, lavora immediatamente dopo il diploma al Consorzio Agrario di Sarzana: qui sostituisce un impiegato richiamato al fronte e fratello del suo futuro fidanzato e marito, Turiddo Perugi, che Anna Maria conosce al Consorzio e che sarà, con il nome di battaglia “Rì”, fra i fondatori della Brigata “U. Muccini”. E’ proprio Turiddo che la segnala, come elemento potenzialmente disponibile alla lotta antifascista, ai comunisti sarzanesi, da cui viene progressivamente avvicinata.
Paolino Ranieri ed Anelito Barontini, dirigenti del P.C.I., che hanno già patito il carcere e il confino fascista e che tanta parte avranno nella Resistenza dopo l’8 settembre, tengono con lei illuminanti conversazioni a carattere politico-storico, ad esempio sulle recenti vicende della guerra di Spagna e di Etiopia.Anna Maria comincia così a leggere “La madre” di Gorki e viene convinta a trascrivere a macchina l’intero testo del “Manifesto del Partito Comunista” di K.Marx e F.Engels, cosa che fa nella pausa pranzo dalle 13 alle 14 o dopo l’orario di lavoro, anche se viene poi scoperta e denunciata da un impiegato.
Quando arriva l’8 settembre 1943, il gruppo sarzanese del P.C.I. è quello più organizzato in provincia per affrontare le drammatiche vicende dell’epoca ed Anna Maria Vignolini, che rimane al Consorzio Agrario fino alla primavera 1944, quando sarà invitata dal Partito a dedicarsi completamente alla lotta resistenziale, è subito investita della responsabilità di coordinare ed organizzare le donne, le quali solo ad un certo punto prendono la denominazione di Gruppi Difesa della Donna.
A Sarzana, già dal dicembre ’43, Anna Maria, cui viene raccomandato di non far conoscere fra loro i gruppi resistenziali, costituiti al massimo da cinque elementi fra loro e di non dire i nomi dei capi partigiani, prende i contatti, presentandosi come comunista, con numerose donne.
Fra esse, innanzitutto, una collega di lavoro al Consorzio, Benita Marchini, quindi con Saura Bertolla, Anna Garbusi, Nella Giannazzi, Maria Guelfi, Iella Cargioli, Anna Merli, Adriana Galletto, Lucetta Posselt con l’obiettivo di svolgere importanti compiti giornalieri, quali la raccolta di materiale, vestiario, cibo, denari e collegamenti con il nucleo originario di quella che sarà poi la “Brigata Muccini”.
Nel corso del suo impegno incontra così, in alcuni casi per una volta sola, in altri casi più frequentemente o abitualmente, una serie di personaggi che hanno parte anche notevole nelle vicende resistenziali spezzine, ad esempio Franco Diodati “Renato” (v. nota 1, in “Fronte della Gioventù”) da lei visto una volta sola, all’inizio, ai Giardini pubblici della Spezia, dove si reca con titubanza, perché lontana dai luoghi conosciuti di Sarzana e dintorni, recando con sé un orologio datole da una zia per controllare i tempi e dove, probabilmente per l’agitazione del momento, lo smarrisce.
Ha invece contatti organici con i comunisti Eugenio Bellegoni “Marcello” di Sarzana, Luciano Goliardi “Wladimiro” capo del CLN sarzanese, incontra talvolta il comunista sarzanese Emilio Baccinelli, ha frequenti interscambi con il giovane Filippo Borrini di Vezzano che, dopo la partenza di Diodati fortemente sospettato a seguito degli scioperi del ’44, si occupa del Fronte della Gioventù, incontra il comunista Silvio Maggiani “Giuseppe” di Arcola.
La segretezza dell’organizzazione, divisa per compartimenti e strutturata in modo da far conoscere il minor numero possibile di militanti fra loro, onde evitare eventuali lunghe file di arresti in caso di cattura, è ben dimostrata dal fatto che Anna Maria Vignolini, nonostante l’incarico assai delicato ed importante che svolge, non incontra mai, nel corso del periodo resistenziale, Antonio Borgatti “Silvio”, segretario della Federazione Comunista spezzina, che conoscerà solo nel dopoguerra.
Quello della Resistenza è anche, per molti versi, un lavoro “artigianale”, cioè poco formalizzato, in cui sicuramente ci sono alcuni uomini raffigurabili quali elementi- snodo, a conoscenza della rete cospirativa nel suo complesso, ma la maggior parte dei componenti, e per motivi di segretezza e perché talune cose erano in continuo divenire, conosce solo un “segmento” degli accadimenti, decisioni, linee generali dell’organizzazione.
L’ampiezza della zona coordinata da “Valeria” è notevole, allargandosi geograficamente da Ortonovo, confine della provincia spezzina a oriente, a Sarzana, Santo Stefano, Vezzano, Arcola, Lerici, fino a comprendere la parte del Comune della Spezia che riguarda il Termo, Melara, Limone, per arrivare al cimitero dei Boschetti.
Anna Maria si muove a piedi, in bicicletta, in treno, per informare, coordinare, consegnare e smistare materiale che batte a macchina. E nella vasta zona cui sovrintende risultano i gruppi forse più attivi di donne: quello di Sarzana sopra citato e quello di Arcola, in cui “Valeria” ricorda particolarmente Laura De Fraia e Mimma Rolla, con le quali si incontra una prima volta per strada, avendo come segno convenzionale di riconoscimento un fiore, anche se poi ci saranno riunioni, specie nella casa di Mimma Rolla, dentro il paese, e in quella di Anna Bassano, sorella di Ezio Bassano, a Ressora).
Proprio il gruppo costituitosi ad Arcola diventa ben presto uno dei più preparati ed attivi. Della zona di Vezzano Ligure ricorda soprattutto Vega Gori “Ivana”: a quest’ultima, andando nella sua casa, a Vezzano Stazione, insegna come si batte a macchina la stampa clandestina e soprattutto come si dispongono i caratteri per le testate dei giornali.
A Sarzana ha anche contatti con Rina Gennaro “Anna”, lì sfollata, cui consegna pacchi di volantini e stampa clandestina alla Stazione FF.SS., quando Rina prende il treno per La Spezia, dove lavora nel negozio di scarpe di Melley.
Quanto alle riunioni, esse avvengono, specie all’inizio e approfittando della buona stagione, generalmente in luoghi poco sospettabili, quindi non tanto e solo nelle case, ma in campagna o in riva al fiume, per sembrare, nel caso di gruppi sia misti di ragazze e ragazzi che formati da elementi di un solo sesso, impegnate/i in una scampagnata o per dare la sensazione di essere innocue/i bagnanti.
C’è una foto di Anna Maria insieme ad altri tre giovani (due uomini -Werther Bianchini e Dante Savona- e una donna, Benita Marchini) risalente all’estate del 1944, scattata in campagna, in cui il gruppetto, in questo caso animatore del Fronte della Gioventù (esempio lampante dell’osmosi fra varie organizzazioni di cui abbiamo lungamente detto nella presente Scheda), sembra tutto fuori che un pericoloso nucleo sovversivo.
Fra le azioni promosse dai Gruppi Difesa della Donna che Anna Maria Vignolini ricorda forse con più commozione è senza dubbio il grande sciopero delle fabbriche spezzine ai primi del 1944, durante il quale le donne organizzate da lei fungono da sostegno e supporto per la lotta in generale, ma specialmente partecipano in modo attivo e circostanziato a quella condotta dalle operaie dello Jutificio: fra queste ultime i nazi-fascisti catturano poi le due sorelle Elvira e Dora Fidolfi, deportandole: solo Dora ritornerà a casa.
Nel corso della sua attività, ad un certo punto, Anna Maria Vignolini si sposta di casa, si allontana cioè dalla sua dimora sarzanese, per collocarsi più vicino alla Brigata “U. Muccini”, caposaldo della Resistenza in zona, Brigata cui ella ha già portato aiuti in vestiario quando un primo nucleo della formazione si trovava al lago Santo nel Parmense: alloggia così nella casa di “Venù” (Benvenuto Ambrosini), futuro suocero di Flavio Bertone “Walter” nella zona di Giucano, una casa considerata il vero avamposto della “Muccini” verso il piano.
Poiché però bisogna giustificare la sua assenza da casa, viene sparsa la voce che Anna Maria insegna in un paesetto sui monti. Nel frattempo, nella sua casa di Sarzana, è stata requisita una stanza per un ufficiale tedesco che, non essendo a conoscenza della vera attività della ragazza, si offre, quando lei torna a casa a salutare i genitori, di farla accompagnare qualche volta con una macchina per risparmiarle un tratto di strada.
E’ così che Anna Maria sfila davanti all’Albergo Laurina, dove ha sede il Comando delle Brigate Nere, con la sua borsa apparentemente innocua ma carica di materiale clandestino ad elevatissimo rischio. La guerra rende audaci i timidi ed Anna Maria, ragazza riservata e perfino, come lei stessa si autodefinisce, un po’ paurosa, osa cose inimmaginabili: e questo soprattutto in nome degli ideali da cui è animata e da cui –ella dice- è spinta e sono spinti i ragazzi e le ragazze che operano con lei.
La vicenda sarzanese del suo impegno si chiude il 29 novembre 1944, quando i nazi-fascisti scatenano contro la “Muccini” il drammatico rastrellamento a seguito del quale buona parte della Brigata è costretta a passare il fronte guidata da Piero Galantini “Federico”, rimanendo nella zona sarzanese un nucleo ristretto con Flavio Bertone e Paolino Ranieri.
Proprio nella mattinata del 29 novembre Anna Maria si sta recando alla postazione avanzata della “Muccini”, e cioè alla casa di “Venù”, di cui si è detto, e sta facendo un tratto di via accompagnata dal padre. Ad un certo punto essi incontrano però un amico di famiglia il quale comunica loro che sta succedendo un vero inferno, che c’è un rastrellamento, insomma che non devono assolutamente andare verso quella direzione.
Allora Anna Maria rapidamente decide, ed è la sua fortuna, che è meglio ritornare alla Stazione di Sarzana per tentare di prendere un treno che va a Carrara, dove la sua mamma sta assistendo un’altra figlia, ricoverata per un intervento.
Riesce a prendere il treno, nessuno la cerca o riconosce, scende all’Avenza e arriva da lì a Carrara, dove si riunisce alla mamma e alla sorella, alloggiando presso una zia. E’ quindi a Carrara che vive, fino alla Liberazione, la seconda, importante fase della sua esperienza resistenziale, dirigendo i Gruppi Difesa della Donna del luogo, in continuo contatto con la dirigenza politica del P.C.I. e con la formazione partigiana “Menconi”, partecipando alle riunioni, accogliendo, nell’abitazione in cui è ospitata o in case amiche, i partigiani della “Muccini” quando, stremati e bisognosi di cure mediche ed ospedaliere, sconfinano oltre la IV Zona.
Anna Maria presta inoltre assistenza, con le altre donne ai numerosissimi feriti che, in condizioni precarie e drammatiche, affollano l’ospedale della città. Questi ultimi sono in massima parte vittime civili delle cannonate provenienti dalla Linea Gotica, dove gli anglo-americani le tirano, avendo l’obiettivo giornaliero di difendere i confini fra la provincia di Massa Carrara e La Spezia da incursioni tedesche e fasciste.
In questo drammatico e devastante contesto, quasi incredibilmente, dati i tempi, Anna Maria riesce anche a dedicarsi alla promozione e allestimento di spettacoli di varietà in teatro.
A guerra finita ritorna a Sarzana ed è chiamata per svariati anni ad importanti incarichi politici e istituzionali per conto del P.C.I.: eletta nelle prime votazioni per l’Amministrazione Comunale della Spezia, fa parte di essa ricoprendovi il ruolo di Assessore all’Assistenza Sociale ma rinunciando in seguito, nel 1954, ad ogni incarico, per motivi familiari.
Fonti
In generale e sulla Liguria
IV Zona Operativa
Le fotografie di Laura De Fraia, Vega Gori, Mimma Rolla, Anna Maria Vignolini sono state gentilmente concesse dalle interessate, la fotografia di Rina Gennaro fa parte della collezione privata di Vega Gori, la fotografia di Dina Gattoronchieri è tratta dal libro Comune di Arcola-Comitato Unitario della Resistenza, Arcola tra storia e ricordo 1939-1945, Centrostampa, Arcola, 1996, p.215; la fotografia di Delfina Betti fa parte della collezione privata della sig.ra Renata Bambini.
Gli inserimenti fotografici della presente Scheda sono stati curati da Mauro Martone
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Note
[1] Dopo la Liberazione i GDD si sciolgono per entrare nell’UDI (Unione Donne Italiane) fondato il 15 settembre 1944 a Roma, ormai liberata, dalle comuniste Rita Montagnana, Marisa Cinciari Rodano, Egle Gualdi, Marisa Musu comuniste e dalle socialiste Giuliana Nenni e Maria Rovita. ⇑
[2] E’ opportuno far presente a chi legge che un conto è una ricostruzione lineare “a posteriori”, specie di organismi estremamente fluidi quali ad esempio i Gruppi Difesa della Donna fondamentalmente impiegati in ambito urbano, e un conto è il divenire reale di essi nel corso tumultuoso degli avvenimenti dell’epoca. Proprio perciò la razionalizzazione dei fatti frequentemente porta ordine in quella che è di fatto una rete che si allarga, si restringe, sovrappone maglie e nodi, a seconda dei momenti. Spesso si evince dalle carte di Archivio che S.A.P., Fronte della Gioventù (F.d.G.) e Gruppi Difesa della Donna (G.d.D.) vivono in osmosi. Non esiste un elenco dei GDD nello Spezzino e perciò bisogna risalire molto faticosamente ai nomi delle componenti di essi dall’elenco S.A.P. in cui le donne sono state inquadrate al momento del riconoscimento da parte della Commissione provinciale. ⇑
[3] Riportiamo in fondo alla Scheda, prima delle fotografie e delle Fonti, la sintesi di quanto Anna Maria Vignolini “Valeria” ha detto nel corso della conversazione avvenuta nella sua casa sarzanese, il giorno 23 novembre 2015, con M. Cristina Mirabello, curatrice della Scheda stessa per conto dell’I.S.R. della Spezia. La conversazione è importante per il contenuto intrinseco e perché on line ci sono scarsi documenti che riguardino Anna Maria Vignolini, la quale ha avuto invece un ruolo di tutto rilievo per la Resistenza al femminile ⇑
[4] Per lo Sciopero allo Jutificio “Montecatini” v. la testimonianza di Delfina Betti, dapprima operaia in fabbrica e poi staffetta, in I.S.R. La Spezia, La Resistenza nello Spezzino e nella Lunigiana- Scritti e testimonianze, 1973, p.190; ed ancora sempre la testimonianza di Delfina Betti in “La Spezia marzo 1944, Classe operaia e Resistenza. Atti della conferenza “Scioperi del marzo 1944”, a cura di Mario Farina, I.S.R. La Spezia, 1974, p.91 ⇑
[5] A proposito dell’osmosi fra S.A.P., GDD. FDG di cui si parla alla Nota 2 della presente Scheda, proprio Rina Gennaro in una sua testimonianza del 1973 (v. Fonti) dice di essere stata contattata da Franco Diodati (v. Fronte della Gioventù) e di avere fatto parte delle S.A.P. ⇑
[6] Alcune di queste donne rivestiranno nel dopoguerra incarichi pubblici in cui metteranno a frutto l’incredibile esperienza e il patrimonio di idee maturati nel corso della Resistenza. Rina Gennaro sarà la prima segretaria U.D.I. alla Spezia, Anna Maria Vignolini sarà, fra le varie cariche ricoperte, l’unica donna Assessore nella Giunta del Comune della Spezia nel 1950, Laura De Fraia diventerà Assessore del Comune della Spezia ⇑